Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 49

November 16, 2015

Coppi Night 08/11/2015 - Cella 211

I film di ambientazione carceraria sono un classico, e in genere posso anche dire di gradirli. Che si tratti dell'evasione, o dell'infiltrazione, o varianti sul tema, il vasto parco di personaggi (spesso un po' delle macchiette) che si ritrovano in questa ambientazione riesce a movimentare la storia. Inoltre c'è quasi sempre un sottotono di indeterminatezza, quell'incertezza nell'identificare chi sono i buoni e i cattivi. Per definizione i carcerati dovrebbero essere il male e i carcerieri il bene, ma quasi sempre il confine non è così netto, anzi. Filme come Das Experiment lo rendono in modo esplicito e drammatico, ma anche in altri meno impegnati si trova sempre il recluso nobile e il secondino stronzo.
Questo Cella 211 è arrivato completamente di sorpresa. Film spagnolo di alcuni anni fa, non è certo un blockbuster con una distribuzione capillare alle spalle, ma si distingue per diversi aspetti ben congegnati. La storia di base è quella della rivolta nel carcere, i detenuti che riescono a prendere controllo della prigione, tengono degli ostaggi e avanzano richieste. La situazione è movimentata dal fatto che il protagonista non è un carcerato ma una guardia appena assunta, che per caso si ritrova da solo in una cella nel momento in cui scoppia la rivolta, e capisce quindi che l'unica possibilità per salvarsi è quella di farsi passare anche lui per un detenuto, e unirsi ai ribelli. Per una serie di circostanze arriva a diventare uno degli uomini di fiducia di Malamadre, il leader della rivolta, ed è quindi nella posizione di portare avanti il suo pericoloso doppio gioco.
Il film mantiene un alto livello di tensione e le interpretazioni sono convincenti. Juan, il protagonista, non è affatto un eroe, è un ragazzo certamente sveglio ma impreparato per una situazione del genere, ma per salvare prima se stesso e poi sua moglie, è costretto a fare cose che non avrebbe mai pensato prima. E se inizialmente il suo è solo un modo per garantirsi la sicurezza e non mettere in pericolo gli altri ostaggi, poco per volta la prospettiva cambia, e le pretese di Malamadre (che poi riguardano le condizioni di vita nel carcere) gli paiono sempre più giuste, fino al punto da abbracciare davvero la rivolta (e la vendetta, anche). Da parte sua, anche Malamadre ha un cambio di prospettiva, quando inevitabilmente viene a sapere che Juan è una guardia, quindi uno di loro.
Ci sono forse un paio di punti non del tutto chiari, ad esempio il modo in cui la rivolta esplode (vediamo Malamadre che si libera delle manette, ma come da qui si passi all'apertura di tutte le celle non è chiaro), e la ragione delle proteste fuori dal carcare quando si diffonde la notizia della situazione. Quest'ulitmo aspetto probabilmente si ricollega al fatto che gli ostaggi sono membri dell'ETA, e che c'è quindi una tematica politica di fondo che forse al di fuori della spagna non è del tutto comprensibile.
Il film comunque non ne perde troppo, perché a portare avanti la storia sono i protagonisti, Juan e Malamadre in particolare, e il modo in cui il loro rapporto e i loro schemi di pensiero si evolvono nel corso della vicenda. E questo è reso in maniera inaspettatamente efficace.
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Published on November 16, 2015 01:30

November 14, 2015

Piccole cose inutili

Oggi avrei dovuto pubblicare sul blog il commento all'ultimo film del Coppi Club, ma quando ho scoperto quello che era successo ieri notte ho preferito rimandare il post, anche perché per una sgradevole coincidenza conteneva anche alcuni accenni al terrorismo (anche se non quello "islamico"). Ho preferito il silenzio, e non ho voluto aggiungere parole inutili al marasma che già si è sollevato. D'altra parte, su questo blog non si parla di cose così importanti, si trattano argomenti frivoli: libri, musica, fantascienza, film... non è certo con questi che si affronta la situazione odierna.
Volendo lasciare a mio modo un commento, trovare qualcuno che parlasse con me, mi è venuto in mente di citare proprio l'ultimo episodio di Doctor Who, trasmesso la settimana scorsa, e che per un'altra sgradevole coincidenza affrontava in maniera diretta temi come l'integrazione, la convivenza, la guerra. Su facebook ho inserito un video tratto dalla puntata, e lo ripropongo qui:

 
"Ma ti pare il caso?" si potrebbe obiettare. Ti sembra che una cosa così grave vada commentata con una cazzata del genere, sminuita al livello di una serie tv?
Ci ho pensato un pochino, e dopo mezza giornata sono arrivato alla conclusione che sì, mi pare davvero il caso. Mi sono reso conto che quello che sono, quello che penso, quello che voglio, è influenzato in maniera forte dai libri che ho letto, i film che ho visto, la musica che ho ascoltato. Che tutte quelle piccole cose inutili con cui ho perso tempo hanno contribuito a formarmi e rendermi, per molti versi, migliore di quello che sarei altrimenti.
Un episodio di Doctor Who o un libro di Kurt Vonnegut mi hanno fatto acquisire una consapevolezza maggiore di qualunque libro di storia, hanno provocato in me reazioni più forti di qualunque discorso alle Nazioni Unite. E mi viene quindi da pensare come sarebbe la situazione, se tutti nel mondo avessero letto Mattatoio n. 5 o Straniero in terra straniera o The Adjacent , se tutti avessero visto Wall-E o Her , se tutti avessero ascoltato Moderat o Paul Kalkbrenner, solo per citare qualcuno che forse non ha nemmeno un collegamento diretto con la situazione attuale. Mi chiedo se non sia possibile cambiare qualcosa senza usare i paroloni e scomodare le poltrone più in alto. Se non abbiamo tutti bisogno di storie che ci accompagnino sulla strada della ragione e della comprensione, piuttosto che nozioni, ideali e programmi.
Mi viene quasi da pensare che queste cose frivole, queste cose inutili e superflue siano in fondo quelle che potrebbero salvarci. Non ne sono sicuro, forse è solo un modo per ripulirmi la coscienza. Ma se si dice che tutti dobbiamo fare qualcosa, forse partire dal basso può servire a qualcosa.
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Published on November 14, 2015 08:26

November 12, 2015

Doctor Who 9x08 - The Zygon Inversion

Devo ammettere che inizio a sentirmi in difficoltà a commentare questa stagione di Doctor Who . Nel senso che non mi piace dare l'impressione del fanboy, quello che per ogni sopracciglio alzato scatta a saltellare di emozione, insomma, quando c'è stato bisogno sono stato critico anche con Futurama , e lì sì che sono un fanboy. Quindi è quasi imbarazzante dover riconoscere una puntata di buon livello dietro l'altra, e assegnare una media di voti superiore al 7... ma sarei disonesto a fare altrimenti, perché a questa stagione le stanno davvero azzeccando tutte.
Ci eravamo lasciati con un prevedibile cliffhanger: la UNIT neutralizzata, Kate Stewart eliminata, Clara copiata, il Dottore in procinto di essere abbattuto sul suo aereo. Sembra quindi che il piano degli Zygon ribelli (che sono comunque una minoranza) abbia funzionato alla perfezione, e ora le forze si ricompattano per l'offensiva finale, che prevede di far scoprire l'esistenza degli alieni in mezzo agli uomini, forzando uno Zygon integrato nella società umana a manifestare la sua vera natura. Dopodiché si va alla ricercha dell'Osgood Box, l'apparecchio lasciato dal Dottore che serve appunto a gestire una simile situazione di emergenza.
Ma naturalmente il Dottore non è morto, e lui e Osgood (umana o zygon che sia) proseguono con il loro piano per fermare la guerra imminente, inizialmente credendo Clara morta, anche se si scopre presto che non è così. In un certo senso in questo episodio succede l'opposto del precedente: mentre lì ogni personaggio seguiva un suo percorso diverso, qui le strade convergono di nuovo, e così arriviamo al climax finale in cui tutti i personaggi sono nella stessa stanza, davanti all'Osgood Box, per mettere in scena l'ultimo atto della storia.
E l'ultimo atto è un monologo. Ogni tanto tocca al Dottore fare una delle sue esposizioni, esortazioni, celebrazioni... più o meno tutti i Dottori ci sono passati. Ma questo è forse il monologo più lungo visto finora, siamo a dieci minuti di intensa interpretazione da parte di Peter Capaldi. Una lunga riflessione sulla guerra, il senso dei conflitti, le conseguenze del "noi contro loro", riportata da qualcuno che queste cose le conosce di prima persona. Il tema è profondo, e quando il Dottore parla nessuno riesce a interrompere, anzi, tutti abbassano lo sguardo, sentendosi in un modo o nell'altro coinvolti e colpevoli. La soluzione del Dottore per il conflitto che sta per esplodere è semplicemente quella di fermarsi a parlare, pensare alle proprie ragioni e quelle della parte avversaria, e concludere che quello che stanno per fare è un immenso errore. D'altra parte lui ci è già passato, molte volte, e sa che cosa significa.
È una sequenza molto forte, ed è impossibile non rimanerne catturati, grazie alla straordinaria performance di Capaldi, che ancora una volta si dimostra perfettamente nella sua parte. Si potrebbe dire quasi che, a nove anni di età, il Doctor Who moderno sia diventato grande, e abbia finalmente raggiunto una maturità di temi e situazioni mai toccati prima. Certo, si potrebbe ravvisare una certa retorica in quello che il Dottore dice, ma il coinvolgimento emotivo reso dall'attore rende il tutto credibile. The Zygon Inversion è così un'altra ottima puntata, che pur con ritmi diversi si inserisce bene a seguito di The Zygon Invasion , proseguendo il riferimento (allegorico o indiretto) a temi profondi e attuali. Il che non è affatto scontato per uno show che viene ancora considerato "per bamini". Voto: 8/10
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Published on November 12, 2015 00:00

November 9, 2015

Sognare le stelle

Il weekend appena trasocrso è stato piuttosto movimentato, per chi frequenta (in qualunque ruolo) il piccolo mondo dell'editoria di genere italiana. Chi visita questo blog probabilmente è al corrente della cosa e non ha bisogno che riferisca i dettagli, ma anche se così non fosse, quello che è successo (o potrebbe essere successo) non è il nucleo della questione, almeno non per questo post.
A mio avviso il dato importante che è emerso nuovamente è come il meccanismo delle recensioni che fanno scalare le classifiche sia profondamente fallato. Ovviamente il richiamo principale è per Amazon, ma non voglio dare l'idea che il portale in sé sia il male. Amazon è il principale store in uso oggi, soprattutto per quanto riguarda gli ebook, e gestire in modo trasparente un mercato così vasto non è certo un'impresa facile. E così le falle vengono a galla.

Certo, i problemi non si presenterebbero se tutti fossero onesti, ma in qualunque interazione sociale bisogna presumere la possibilità che il prossimo possa essere disonesto (l'intero vivere civile si basa su questo assunto, tutto sommato). Il problema è che c'è troppo da guadagnare dal sabotare in vario modo il sistema di recensione/voto in modo da portare vantaggio ai propri testi, o anche danneggiare quelli altrui. Avere il proprio titolo "pompato" nella classifica del suo genere specifico (sempre che sia individuato in modo corretto, e non sia anche questo fatto in modo disonesto) comporta un vantaggio troppo consistente nei confronti della ristretta cerchia di riferimento. La sproporzione tra le dimensioni dell'offerta e quelle della domanda conduce inevitabilmente a una guerra tra poveri in cui fare i furbi conviene fin troppo. E allora arrivano le recensioni a pagamento, lo scambio di commenti, gli account fake, gli ebook vuoti, e tanti altri piccoli stratagemmi che rendono la vita dell'ingenuo lettore una sofferenza continua.
C'è un motivo per cui non lascio recensioni su Amazon, e se inizialmente poteva essere la pigrizia, in seguito mi sono convinto che fosse meglio così. Tutto quello che leggo passa da questo blog, così sono sicuro che il mio apporto non contribuirà a far scendere o salire in classifica un titolo, anche se si merita l'una o l'altra cosa. Mi viene quasi da immaginare che certi titoli nei piani alti della classifica in realtà non siano mai stati letti da nessuno, e che il sistema sia così perverso che si autoalimenti a colpi di recensioni farlocche, ma questa è solo una congettura.
Ho già avuto occasione di affermarlo (forse in un paio di interviste, non ricordo bene), ma ribadisco che liberarsi dal paradigma della classifica e delle 5 stelline è l'unico modo per lasciarsi dietro queste brutture. Ne guadagnerebbero i lettori ma soprattutto gli autori e gli editori, che siano figure separate o coincidenti come nel caso dei selfpublisher.
Proviamoci, potremmo avere delle belle sorprese.
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Published on November 09, 2015 23:20

November 8, 2015

Coppi Night 1/11/2015 - The Green Inferno

Ultimamente c'è voglia di horror nel Coppi Club, e se ne potrebbe inferire che c'è una profonda inquietudine serpeggiante nella vita quotidiana di giovani trentenni che sublima nella volontaria esposizione a visioni disturbanti, ma volendo anche no. The Green Inferno è un film di cui si è chiachcierato parecchio qualche mese fa, alla sua uscita, un cannibal movie come non se ne vedevano da anni, e quando poi è arrivato in Italia ci hanno voluto tutti ricordare che Luca Barbareschi queste cose le faceva before they were cool. Lasciamo queste disquisizioni a chi di cinema ci campa, sia mai che gli rubiamo il lavoro.
Concentriamoci sul film. Un gruppo di attivisti-ambientalisti (preferibilmente vegani) vuole fermare l'abbattimento di una foresta in amazzonia, organizza una protesta classica legandosi agli alberi e tutti sono contenti. L'entusiasmo si smorza quando durante il volo di ritorno hanno un incidente, e precipitano nel mezzo alla giungla nel territorio di un villaggio di cannibali, che provvede a imprigionarli e mangiarli uno per uno. Beh, dai, c'è di che divertirsi, no?
Uhm, mica tanto. Uno pensa di guardare questo film per gustarsi qualche bella scena gore di quelle pesanti, ma a parte lo sbudellamento del primo malcapitato (con accurata spremitura delle orbite oculari) non è che ci sia poi tanto da tapparsi gli occhi. Insomma visto un torace umano abbrustolito e spellato, visti tutti.
Dice: ma guarda che il cannibalismo non è il tema portante del film, è solo uno strumento con cui viene veicolato un messaggio blablabla. Ok, mi sta bene. Ma qual è il messaggio? Che i buoni non sono sempre buoni e i cattivi non sempre cattivi? Questo dovrebbe farcelo capire il fatto che il leader degli attivisti si scopre essere in combutta con gli abbattitori di foreste per guadagnare qualche retweet, mentre invece i cannibali tutto sommato combattono una battaglia di libertà. Se il punto è questo, è reso in modo grossolano e superficiale, vuoi ad esempio perché da eroe splendente il capofilantropo diventa di punto in bianco uno stronzo insensibile, con una velocità e una totalità paragonabile ad Anakin Skywalker che passa al lato oscuro in Episode III.
Allora dice: sì ma guarda che è un film tecnicamente perfetto, la regia, la fotografia, gli effetti non in CGI, roba di alto profilo. Va bene, non lo metto in dubbio e sono sicuro che sarà un esempio da portare alla discussione della tesi per chi studia al DAMS, ma a me spettatore ne viene poco o nulla. Anche perché, se dobbiamo parlare di aspetti tecnici, a mio avviso la recitazione è mediamente a livelli di b-movie, sembra di trovarsi con attori non professionisti, e se mi dite che pure questo è voluto, allora boh, siamo tornati al neorealismo e non me n'ero accorto.
Un'altra cosa che mi lascia perplesso nel film sono quei momenti awkward che si presentano ogni tanto, alcune brevi sequenze che non sai se sono lì per far ridere, per smorzare la tensione, o che altro. Tipo la ragazza che ha la diarrea e si scarica in angolo della gabbia, con tanto di rumori alla Pierino. O quell'altra che per saltare da una roccia all'altra scivola nell'acqua e sparisce, ci mancava il commento del Gabibbo sotto. Oppure i cannibali storditi da una bustina di marijuana infilata in gola alla vittima che devono cucinare, e che attaccano a ridere prima che gli parta la fame chimica. E anche la scena post-credits, con la telefonata della sorella del capo attivista che sembra prepari il terreno per un sequel. Non so, a me sembrano tutte cose inserite a caso, e che non hanno una vera funziona nel contribuire a fornire un messaggio, se davvero ce n'è uno.
Ma magari sono io che mi vado a cercare troppe spiegazioni e in realtà dovevo solo seguire il body count. Però un po' di appetito me l'ha messo, devo ammettere.
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Published on November 08, 2015 01:54

November 5, 2015

Axiom Verge

Arricchiamo l'occasionalissima rubrica dedicata ai videogiochi di questo blog, che deve la sua occasionalità al fatto che non posso di fatto definirmi un "gamer", visto che ad esempio non ho mai avuto una console (a partire dal Super Nintendo, con cui giocavo dal vicino di casa). Tuttavia qualche oretta sui videogame la passo ogni tanto, e soprattutto negli ultimi tempi mi sto interessando in particolari ai giochi indipendenti, ovvero quelli prodotti non da case di produzione con duecento programmatori, ma da una manciata di solitari nerd chiusi in cantina.

Axiom Verge , per dire, è stato interamente realizzato da Tom Happ . E con "interamente" intendo proprio in modo completo: codice, grafica, musiche, testing. Tutti gli aspetti sono stati messi a punto da lui nell'arco di circa cinque anni, culminando con l'uscita del gioco nel marzo 2015 su PS4 e PC. Axiom Verge è essenzialmente un "metroidvania": un gioco di azione in 2D a scorrimento orizzontale, in cui il protagonista deve esplorare diverse aree, acquisire nuovi oggetti e strumenti per proseguire, e confrontarsi con una serie di avversari di forza via via crescente, con una serie di boss da sconfiggere per procedere. Della serie di Metroid (almeno quello classico) riprende diversi elementi in modo talmente palese da non poter nemmeno essere considerato un semplice omaggio: la suddivisione in zone del mondo, ognuna con un suo tema diverso, le "porte" di transizione da una stanza all'altra, e il percorso di gioco che si basa su aree inizialmente inaccessibili ma che poi si possono raggiungere una volta ottenuti i giusti upgrade. Questo basterebbe a convincere i nostalgici di Super Metroid e simili a provarlo, ma potrebbe anche portare qualcuno a pensare che si tratti tutto sommato di qualcosa di già visto e quindi poco coinvolgente. Ma Axiom Verge fa più che riproporre uno schema consolidato e di sicuro successo, riesce a innovarlo con alcune semplici ma determinanti mosse.
Ci sono infatti diversi elementi caratteristici che rendono il gioco una scoperta continua. Innanzitutto i vari oggetti e strumenti che si trovano lungo il percorso. Alcuni sono abbastanza prevedibili come il trapano e il rampino, mentre altri molto più gustosi come il drone per esplorare le aree più strette, il camice che permette di attraversare le pareti, o il fenomenale address disruptor , un'arma che corrompe il "codice" del mondo circostante facendo apparire o scomparire dei glitch nell'ambiente o nei nemici. Un altro aspetto veramente innovativo per questo genere di giochi è che le diverse armi accumulabili lungo il percorso non hanno un livellamento crescente di potenza. Vale a dire, che non ci sono armi da usare contro avversari specifici che sono invulnerabili alle altre, ogni diversa pistola usata dal protagonista ha caratteristiche diverse (velocità, gittata, area d'effetto, rimbalzi) che può renderla più adatta in situazioni diverse, ma di base si potrebbe concludere il gioco con il semplice axiom disruptor che si riceve all'inizio. L'altro elemento determinante nell'arricchire l'esperienza è la storia che sta dietro Axiom Verge. Nel paragrafo che segue illustrerò parte del lore che sta alla base del gioco, ma senza spoiler pesanti (niente che non scoprireste nella prima mezz'ora di gioco). In quello successivo invece scenderò più in profondità, e lì gli spoiler ci sono.
Il protagonista controllato dal giocatore è Trace, un fisico che in seguito a un incidente durante un esperimetno si risveglia in un mondo oscuro e misterioso. Guidato da una voce femminile di cui non conosce l'identità, Trace apprende di trovarsi su Sudra, una sorta di dimensione alternativa, un mondo la cui civiltà è crollata a causa di un'epidemia che ha sterminato la popolazione e l'intervento di un intruso, Athetos, anche lui proveniente da un altro mondo. Per raggiungere Sudra, sia Athetos che Trace hanno attraversato the Breach, qualcosa di simile a un tessuto tra le varie dimensioni che opportunamente manipolato può fare tanto da canale di transito quanto tra barriera tra i mondi. I sudrani sapevano usare il Breach ma ne hanno perso la capacità, ed è stato Athetos a impossessarsene, e lo usa come strumento di difesa. È appunto il Breach a causare i glitch sparsi nel mondo, la realtà di Sudra risulta corrotta e deve essere ripristinata. È questo che Elsenova, la voce che guida Trace, gli spiega poco per volta. Elsenova è una Rusalki, una gigantesca macchina senziente che i sudrani avevano creati secoli, e che ora sta conducendo (insieme alle altre Rusalki sopravvissute) la battaglia contro Athetos. Trace è un componente fondamentale di questa lotta, perché lui, come Athetos, è un patternmind, ed è quindi in grado di utilizzare le armi e gli strumenti progettati dal nemico.
Questo è il primo livello della storia narrata, ma verso metà gioco le cose si complicano notevolmente. Il lore di Axiom Verge viene reso tramite le conversazioni di Trace con le Rusalki e i boss, alcune brevi cutscene, e soprattutto le note sparse in tutto il mondo. Le note sono documenti di divers origini, scritti da più autori (i sudrani, le Rusalki, Athetos, lo stesso Trace) che concedono brevi nozioni di quanto è successo prima dell'arrivo di Trace. Le note non vengono necessariamente trovate in un ordine preciso, per cui ricostruire la storia non è semplice, fino a quando non se ne è accumulate un buon numero. Quello che emerge dalle note è un contesto ben più complesso e sfaccettato. E qui sotto siamo nello spoiler, occhio.
Dalle note si apprende che le Rusalki erano macchine da guerra, e che erano state volontariamente disattivate dai sudrani. È solo quando sono stati portati vicino all'estinzione che hanno deciso di riattivarle, in modo che potessero aiutarli a difendersi. Ma gli obiettivi delle Rusalki non sono del tutto chiari. È palese che stanno combattendo contro Athetos, eppure una di loro era dalla sua parte. E il controllo che esercitano su Trace, che possono rianimare nelle camere di resurrezione (i save point) e anche uccidere a piacimento grazie ai nanocomponenti che gli hanno impiantato. Si può arrivare al ragionevole sospetto che Trace sia obbligato a combattere, e questo si fa sempre più evidente man mano che il gioco prosegue, quando anche i boss nutrono dei dubbi all'idea di uccidere Trace. Lo stesso Athetos, ovviamebte boss finale, si rivela quasi passivo e relativamente facile da battere, come se non volesse davvero opporsi a Trace. Quindi, Athetos è davvero il nemico, e le Rusalki sono sicuramente nel giusto? Non è sicuro, eppure Trace non può fare altrettanto. Ma in fondo, lo stesso Sudra è un mondo reale? Possibile che Trace, nell'incidente al laboratorio, sia rimasto ferito, o sia anche morto? Forse il mondo in cui si muove è un sogno, o anche una simulazione? D'altra parte una delle note, intitolata Axiom 1 , dice:
(a) All algorithms are universal and valid, regardless of whether they are executed.
(b) Cognition is a sub algorithm whose behavior is to perceive properties of the parent algorithm describing it.
(c) Any algorithm giving rise to cognitive entities will be perceived as reality by the entities described.
Quali sono gli algoritmi a cui si riferisce Athetos, che ha scritto questa nota? Quali sono le entità coscienti che percepiscono l'algoritmo come realtà?
Il gioco non fornisce rispote, o almeno nessuna risposta certa. Ci sono un paio di interpretazioni più valide di altre, avvalorate anche dalle scene mostrate dopo i titoli di coda alla fine del gioco. È in realtà probabile che la missione di Trace non sia finita, e forse nemmeno quella di Athetos. In effetti Tom Happ ha già rivelato di essere al lavoro su Axiom Verge 2, ed è facile immaginare che Trace avrà un nemico diverso, stavolta.
Riattraversando la breccia per tornare nel nostro mondo in cui Sudra è solo un gioco (algoritmo?), ci rimane tra le mani un prodotto davvero profondo. Oltre a essere divertente, e quasi mai frustrante come a volte possono esserlo alcuni di questi giochi, Axiom Verge risulta avvincente e in grado di far riflettere sulle potenzialità e i limiti della mente, dell'intelligenza, della programmazione, anche della vita e della realtà. È raro che un videogame di questo tipo riesca a coinvolgere il giocatore oltre il semplice "arrivo al prossimo boss e trovo un nuovo aggeggio". Una menzione di merito va fatta all'eccellente colonna sonora , che riesce a caratterizzare gli ambienti e creare un'atmosfera aliena e gustosamente retro. In definitiva un grande gioco e una straordinaria narrazione, e un'ulteriore conferma che spesso basta l'idea di una sola persona per ottenere qualcosa di ben fatto.
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Published on November 05, 2015 23:20

November 2, 2015

Doctor Who 9x07 - The Zygon Invasion

Abbiamo già appurato che questa stagione di Doctor Who sta cercando di stabilire inaspettati collegamenti con il passato della serie: la citazione delle precedenti companion, di Jack Harkness, il flashback a The Fires of Pompeii, e adesso un riferimento diretto alla storia svoltasi in The Day of the Doctor, l’episodio speciale dei 50 anni della serie. In effetti The Zygon Invasion (anche questo, come ormai si è capito sarà per il resto della stagione, è la prima parte di un episodio doppio) si può quasi considerare un seguito diretto del 50° anniversario di DW. In quella puntata si seguivano due linee narrative principali: quella dell’ultimo giorno della Time War, e una subdola invasione da parte degli Zygon, gli alieni mutaforma in grado di assumere l’aspetto di altre creature. Il subplot degli Zygon, che lì era secondario, si concludeva con un trattato di pace tra uomini e alieni, e un accordo per la ricollocazione di questi ultimi sulla Terra. Ora scopriamo che da allora sono circa venti milioni gli Zygon che vivono in incognito (in forma umana) sul nostro pianeta, e come ci si poteva aspettare, l’occasione per l’epslosione di un conflitto non tarda a presentarsi.
Personaggio chiave dell’episodio è Osgood, la scienziata nerd dell’UNIT che avevamo conosciuto proprio in The Day of the Doctor e visto morire in Death in Heaven . Ma di Osgood non ce n’era una sola, ne esistevano la versione umana e quella Zygon, due controparti che si sono in certo senso uniformate, tanto da dimenticare (o da non ritenere più importante) chi fosse chi. Osgood è la personificazione della possibile pace tra le due specie, ed è per questo che viene rapita dagli Zygon ribelli che si oppongono all’accordo, e vogliono invece essere riconosciuti per quello che sono.
L’episodio procede quasi come un’investigazione, con i protagonisti che si dividono per tutto il mondo in cerca di indizi per scoprire come gli Zygon intendono condurre la loro rivoluzione. Il Dottore, Clara e Kate Stewart (la figlia del Brigadiere) seguono tracce diverse ma arrivano a scoprire ognuno una parte del piano… se non che la capacità degli Zygon di copiare le persone si presta fin troppo bene a trarre in inganno gli avversari.
A fare due conti, nella lunga storia di Doctor Who quasi la metà degli alieni è in grado di assumere in un modo o nell’altro forma umana: le tecnologie pressoché magiche presenti nel whoniverse lo rendono più che agevole. Ma gli Zygon in questo sono leggermente diversi, perché la loro è una capacità naturale, una strategia di sopravvivenza che fa parte del loro modo di pensare. Inoltre, pare che questi Zygon abbiano subìto un notevole upgrade: possono attingere ai ricordi degli altri e trarre da qui l’immagine da riprodurre, invece di dover mantenere in ostaggio il loro “originale” per mantenerne l’aspetto. Un aggiornamento interessante che rende gli alieni decisamente più pericolosi, in particolare se stanno cercando di sovvertire l’ordine a cui sono sottoposti.
È facile riconoscere in questo episodio anche alcuni paralleli con fatti di attualità piuttosto drammatici. Da una parte il modo degli Zygon ribelli di affermare le proprie ragioni assomiglia decisamente alle strategie dei terroristi emerse negli ultimi anni, con video dimostrativi, esecuzioni in diretta di ostaggi, slogan e simboli ripetuti per incutere timore. Dall’altro lato il modo in cui gli Zygon sono visti e trattati ricorda in modo sospetto la gestione dei flussi migratori che si stanno riversando in Europa dalle zone di guerra. Noi conosciamo bene la situazione italiana, ma bisogna ricordare che c’è stata una crisi seria anche nel Regno Unito, e mostrare in uno show del genere (di solito ritenuto “per famiglie”) una chiara allegoria dell’immigrazione clandestina è una mossa ardita.
La puntata riesce a mantenere un buon equilibrio tra questi temi e la parte più action, risultando così avvincente, nonostante non si tratti di altro che di una preparazione del vero scontro che si verificherà nella seconda parte. L’episodio si conclude con un doveroso cliffhanger, gli Zygon sembrano aver messo ko la UNIT (che controllava la loro presenza sul pianeta) e il Dottore (che per l’occasione ha riassunto il suo ruolo di Presidente del Mondo) sta per essere abbattuto sul suo aereo presidenziale. Al solito, sappiamo bene che il Dottore non morirà davvero (di certo non a metà di un doppio episodio), ma il finale in sospeso ci può stare.
Un paio di elementi degni di nota sono, ancora una volta, degli accenni ai temi ricorrenti di questa nona stagione: l’ibrido (questa volta identificato in Osgood, metà umana metà Zygon) e il rapporto con Clara. A parte che per buona parte della puntata scopriamo che Clara non era davvero lei, ma già prima della sua entrata in scena nell’episodio sembra quasi che stia cercando di ignorare il Dottore. Sembra che l’incrinatura tra i due si faccia sempre più definitiva, e probabilmente scopriremo presto dove condurrà.
Come per tutte le puntate dispari di questa stagione, la valutazione finale è parzialmente falsata dal fatto di non essere una storia completa, ma finora The Zygon Invasion merita comunque un voto 7/10
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Published on November 02, 2015 23:16

November 1, 2015

Coppi Night 25/10/15 - Unfriended

Film di cui avevo sentito parlare nei mesi scorsi, apprezzato in particolare per la sua originalità. Questo senza dubbio non lo si può contestare: nel cinema i tentativi di veicolare una storia in una forma narrativa diversa si presentano ogni tanto, ma a quanto mi risulta (non sono un esperto, accetto smentite) questo è il primo film basato interamente sullo schermo di un computer. Beh, ok, quasi interamente, ma di questo accenneremo dopo.
Non c'è granché da dire sulla storia che sta dietro le conversazioni via skype e in chat dei protagonisti. Una ragazza si è suicidata in seguito alla diffusione di un video imbarazzante, e a un anno dalla sua morte quelli che erano i suoi conoscenti più stretti vengono presi di mira dal suo spirito, o quello che è, che li costringe uno per uno ad ammettere le proprie colpe, per poi ucciderli. Niente che non si sia già visto centinaia di volte nell'ambito dei film horror.
La novità di Unfriended sta appunto nel fatto che il tutto non è mostrato con le normali scene girate di un film, ma attraverso il monitor del computer di una delle protagoniste. Attraverso questo conosciamo gli altri ragazzi in videoconferenza, vediamo i video da youtube che documentano quanto accaduto un anno prima, seguiamo link e discussioni sulle possessioni di spiriti e così via. È sicuramente un modo innovativo e anche abbastanza immersivo di narrare la vicenda, ed è in definitiva il pregio maggiore del film. Inizialmente sembra che la presenza dei ragazzi sia solo un mezzo per mostrare una serie di morti successive, ma più avanti le dinamiche del gruppo si complicano quando il fantasma li costringe a rivelare piccoli segreti (menzogne, bassezze, tradimenti) che li mettono uno contro l'altro.
Ci sono anche alcuni aspetti negativi che possono far diventare la visione irritante. Uno è fondamentale: guardatelo su uno schermo abbastanza grande, o avrete difficoltà a seguire le conversazioni in chat che si susseguono per tutto il film. Senza la possibilità di leggere quello che la ragazza scrive vi perderete buona parte del background. Essenziale anche poter comprendere l'inglese, ma questo lo do quasi per scontato. Al secondo posto, devo citare un finale poco coerente con la storia e la forma del film: mi riferisco proprio all'ultima scena in cui (spoiler da qui a fine paragrafo!) la telecamera si sposta dal monitor e mostra la stanza in cui è apparso il fantasma della suicida. Questo tradisce in due sensi le intenzioni iniziali: in senso narrativo, perché fino a quel momento non c'era stata nessuna apparizione soprannaturale, e le vittime precedenti erano state forzate ad ammazzarsi da sole; in senso strutturale, perché si butta via proprio negli ultimi secondi l'idea originale che sostiene tutto il film. Ho il sospetto che il regista abbia avuto qualche perplessità su come concludere e si sia lasciato sedurre dal fascino del jumpscare.
C'è anche un'altra cosa da considerare: probabilmente Unfriended inveccherià male. Può darsi che già tra un paio di anni molte delle operazioni svolte sul monitor non risultino del tutto comprensibili: ai ritmi con cui la fruizione dei mezzi di comunicazione digitali evolve, può darsi che la memorializzazione di un profilo facebook, spotify e chatroulette non abbiano più degli omologhi a breve. Quindi guardatelo ora (dura anche meno dei 90 minuti standard), tra qualche anno potrebbe risultare incomprensibile.
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Published on November 01, 2015 01:42

October 29, 2015

Non temerò alcun spoiler

Gli spoiler sono una delle più fastidiose piaghe dell’era di Internet. Oggigiorno è difficile aggirarsi per la Rete in cerca di informazioni in merito a una qualunque opera di narrativa (libro, film, fumetto, videogioco) senza imbattersi inavvertitamente in post, commenti e recensioni che contengono dettagli rilevanti della trama, in grado di rovinare (spoil) la lettura/visione/gioco, togliendo il piacere della scoperta all’ignaro lettore/spettatore/giocatore.
I più coscienziosi si premurano di piazzare degli SPOILER ALERT ben evidenti, in modo che chi vuole evitare le anticipazioni possa accuratamente passare oltre. Ma per ognuno di questi utenti educati del web ci sono decine di troll che si divertono espressamente a spoilerare le trame, in particolare per le serie tv più in voga del momento.
Uno dei peggiori spoiler che ho subito in vita mia è stato quello della scena finale della terza stagione di Lost. Non sto a descrivere la cosa (anche per evitare spoiler, beninteso), ma quella breve sequenza è un punto di svolta fondamentale in una serie che per giudizio unanime ha segnato la storia della televisione. E io, leggendo qua e là commenti e impressioni prima della visione dell’episodio, mi sono trovato sotto gli occhi una singola frase che rivelava come in quella puntata Jack in realtà…
Si potrebbe pensare che a quel punto avrei dovuto smettere di guardare Lost. Senza poter godere del ribaltamento epocale in una serie che pure dei misteri e colpi di scena ha fatto il suo ingrediente principale, che ci stavo a fare davanti alla tv, a guardare un episodio che sapevo già come sarebbe finito? Invece ho continuato a guardarlo e, giudizi sulla serie (e in particolare sulla sesta stagione) a parte, posso ritenermi comunque soddisfatto.
Allora forse non lo avevo ancora capito, ma col tempo mi sono accorto di una cosa. Quello che ho scritto all’inizio, che gli spoiler rovinano la fruizione di un’opera (per usare un termine generico che comprende tutti i tipi di narrazione possibili), non è vero. Dirò qualcosa di sconvolgente per i più, ma la realtà è questa: gli spoiler non esistono.
Ok, ho esagerato. Gli spoiler per come sono definiti esistono, e sono antipatici, questo non si può negare. Ma la pericolosità dello spoiler è largamente sopravvalutata. Dire che uno spoiler rende inutile la fruizione, e che una volta subìto si può tranquillamente abbandonare l’opera, equivale ad affermare che non c’è niente, al di là della mera sequenza di eventi della storia, che valga la pena di essere seguito. Che quindi una semplice cronistoria di ciò che accade può bastare a riassumere il tutto.
In realtà, quando si legge/guarda/gioca, la trama che seguiamo è certamente importante, ma non è l’unico elemento che interessa, e spesso non è nemmeno quello centrale. Ci sono un’infinità di altre sfaccettature che arricchiscono l’opera, e rendono la sua fruizione un’esperienza memorabile: mescolando tutto in unico calderone, possiamo ricercare e amare nell’opera un particolare stile, musica, atmosfera, regia, immersività, empatia, interpretazione… la lista è davvero infinita. Tutti questi elementi concorrono a suscitare un certo tipo di emozioni, che il semplice snodarsi della storia, di per sé, non possiede.
È per questo che rileggiamo i libri. È per questo che riguardiamo i film, anzi a volte singole scene, ancora e ancora. È per questo che pur sapendo già che sarebbe successo, ho avuto i brividi quando ho sentito Jack Shepard gridare “We have to go back!”.
Certo ci sono delle opere in cui la storia in sé è fondamentale, e io stesso mi oriento quasi sempre su libri e film estremamente plot-driven, ma ci sono poi altri elementi che intervengono nel formare il mio rapporto con l’opera, al punto che la storia passa quasi in secondo piano. Si potrebbe obiettare che ci sono dei generi particolari in cui lo spoiler è particolarmente devastante: un giallo o un thriller, dove si insegue il classico “chi è l’assassino”, vengono letteralmente svuotati del loro significati se sappiamo in anticipo la risposta, no?
No. Ed ecco un ottimo controesempio: conoscete Colombo, la celebre serie poliziesca interpretata da Peter Falk? In ogni puntata di Colombo, la prima sequenza consiste nell’esecuzione dell’omicidio da parte di un personaggio che quasi sempre si vede chiaramente in volto. Per tutto il resto dell’episodio, lo spettatore sa bene chi e come ha commesso l’omicidio, ma il divertimento sta nel capire come Colombo arriverà a scoprirlo e smascherarlo. Questo meccanismo, con le dovute proporzioni, si può applicare a tutte le storie del genere. Per quanto l’identità dell’assassino (o comunque, l’entità del mistero) possa essere importante, non sarà mai determinante nel definire il valore complessivo dell’opera.
Che poi è un lungo giro di parole per dire che non conta la meta, ma il viaggio. Oppure, in alcuni casi, non contano le risposte, ma le domande.
Ecco cosa intendevo quando ho detto che gli spoiler non esistono. Dirò di più: un’opera che può essere seriamente spoilerata, ovvero che perde il suo significato se la trama è nota in anticipo, è un’opera senza valore. Perché vuol dire che non ha niente da dire, se non riportare una successione di eventi. E chi mai si è appassionato alla tabellina con il riepilogo delle date salienti che si trovava all’inizio di ogni capitolo del libro di storia?
Non abbiate paura degli spoiler. Non sono vostri nemici, anzi, vi aiuteranno a distinguere ciò che davvero merita di essere letto/visto/giocato/fruito. Seguite il corso degli spoiler, e troverete delle grandi sorprese.
Ma forse, questa cosa avreste voluto scoprirla da soli. Forse avrei dovuto mettere uno SPOILER ALERT in cima al post…
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Published on October 29, 2015 00:20

October 27, 2015

Coppi Night 18/10/2015 - Jeepers Creepers

Io credo di aver già visto questo film. In un'altra epoca, quando guardare film horror era una sorta di prova di coraggio da raccontare poi agli amici e di cui vantarsi con le pischelline. Credo che questo anzi fosse un film che all'epoca, madò, oh, questo lo devi proprio vedere eh, è roba peeeesa! Non sono sicurissimo, ma ci sono un paio di scene che sento di aver già visto, quindi penso che sia così.
E quindi, non so. Non so se a fare la differenza è proprio l'età, o forse il fatto che la sensibilità del pubblico muta fisiologicamente nel tempo, e ciò che funziona oggi non funzionerà tra vent'anni. In parte sicuramente è vero, ma poi capita che rivedi un film come Jumanji ed è ancora fenomenale. Forse l'horror soffre di più del passaggio del tempo? O forse sono i film superficiali e ottusi ad accusarne.
A essere onesto non posso nemmeno fare un commento organico, perché ho dormito per una mezz'ora buona nella parte finale, quella, presumo più "intensa", in cui avveniva il confronto diretto col mostro. Ma non me ne rammarico poi tanto. Perché questo film è, in buona sostanza, una raccolta di cliché odiosi e frustranti, quelli che sono così abilmente ripercorsi in Quella casa nel bosco . È il tipico film in cui lo spettatore si trova a urlare verso lo schermo: "Ma che stai facendo? Ma scappa di lì!!!" perché quella è l'unica condotta ragionevole che qualunque persona nel mondo adotterebbe, quando ti infili in un tubo che finisce sottoterra in cui hai appena visto buttare giù un cadavere e finisci in un cazzo di sotterraneo tappezzato di cadaveri dopo che ti hanno inseguito e speronato in strada e hai riconosciuto qualcuno che riconoscevi ed è morto in un incidente stradale e sei a 40 chilometri dal più vicino centro civilizzato! Gesussanto, i due fratelli protagonisti di questa storia ripetono in media una volta ogni sei minuti "Dobbiamo andarcene" ma poi rimangono, e continuano a infilarsi nelle situazioni più pericolose possibili invece di girare il culo e lasciare che se ne occupi qualcun altro, tanto più che hanno pure chiamato la polizia.
Un film moscio, con protagonisti insopportabili ai quali auguri la più atroce delle fini, un villain senza spessore e dalle capacità non identificate, tante chiacchiere e nemmeno il gusto dello splatter più frivolo. Bocciato sotto ogni punto di vista, quindi mi scuso con i compagni di seconda media coi quali mi vantavo di averlo visto, adesso che siamo grandi possiamo confessare che ci ha fatto schifo a tutti, ok?
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Published on October 27, 2015 10:10

Unknown to Millions

Andrea Viscusi
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