Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 46
February 14, 2016
Rapporto letture - Gennaio 2016
Iniziamo con la cronistoria delle letture del 2016. Quattro libri consumati a gennaio, stavolta tutti facilmente inquadrabili nella fantascienza.
Il libro con cui ho inaugurato l'anno è Mort(e), di Robert Repino. In questo caso ho voluto dedicare un post apposito al libro, quindi non mi ripeto e vi rimando a quello. Giusto per darvi idea di cosa si parla, Mort(e) racconta della guerra scatenata dalle formiche contro l'umanità, durante la quale gli animali domestici vengono elevati a creature intelligenti e usate come soldati. Mort(e) è appunto un gatto domestico, eroe di guerra, che però non è così convinto degli ideali della guerra a cui le formiche li stanno educando. Le premesse possono sembrare scontate e sciocche, ma il libro si sviluppa verso temi molto profondi, con le storie di Mort(e) e molti altri personaggi che si stratificano a formare un quadro molto complesso. Voto: 9/10
Dopo Repino sono passato a un autore italiano, anzi, nello specifico autrice. Serena M. Barbacetto (mi fa un po' strano trovare l'iniziale puntata in nome italiano, ma così si trova scritto), scrittrice che potremmo definire esordiente, che conta qualche racconto pubblicato in digitale e alcune autoproduzioni.
Overclock
è una raccolta di racconti nei quali si può individuare un sottile filo conduttore nel tema della capacità di calcolo. Le prime due storie sono buone, partono da un'idea valida ma a mio avviso soffrono nello sviluppo, che non coinvolge abbastanza, al punto che, pur apprezzando il nucleo della vicenda, in realtà non avevo particolarmente a cuore la sorte dei personaggi. Il terzo racconto è più confuso e meno originale, e non riesce a costruire in modo efficace la tensione che dovrebbe. In generale quindi non una brutta lettura, ma nonostante gli spunti interessanti non del tutto soddisfacente. Voto: 6.5/10
Il primo autore nigeriano che abbia mai letto in vita mia è Efe Tobunko, portato in Italia da Future Fiction con il suo
Risoluzione 23
. Volendo sintetizzare al massimo, si potrebbe definire questo romanzo breve una storia cyberpunk, perché molti degli ingredienti di base del genere sono presenti: l'interconnessione, l'affermazione dei diritti, l'intelligenza artificiale. Questi stessi argomenti sono però declinati sulla base delle tendenze più recenti, con lavoro di estrapolazione che fa di Risoluzione 23 un ottimo esempio di narrativa d'anticipazione. Non è facile capire chi sia "il nemico" in questa storia, se il pericolo arrivi dalle IA, dai governi, dai terroristi, dalle corporazioni... gli stessi protagonisti non arrivano a una conclusione, ed è forse questo il messaggio più importante che deriva dal testo, l'impossibilità di definire i ruoli in un mondo ormai avviato in un loop continuo di accelerazione da cui è impossibile tirarsi fuori. Voto: 7.5/10
Concludiamo con un altro autore italiano, anche questo classificabile come "esordiente". So che è difficile restare seri parlando di un libro dal titolo
Alieni Coprofagi dallo Spazio Profondo
, soprattutto se si considera che sì, il romanzo di Marco Crescizz parla proprio di alieni che mangiano merda. Tuttavia non si tratta di bizarro fiction, e per quanto l'idea possa apparire assurda, a pensarci bene non c'è nessuna ragione per cui gli alieni non dovrebbero essere così appassionati di feci umane da rapirci per usarci come "mucche da merda" (d'altra parte noi facciamo lo stesso, se non con il latte, pensate alla melata). Il protagonista di Alieni Coprofagi è Nunzio, giovane ragazzo gravemente obeso e socialmente inetto, tanto misero da conversare abitualmente con la visione di Arnold Schwarzenegger, modello di machismo e determinazione. Nunzio vorrebbe migliorare la sua vita, ma proprio non ce la fa, e anzi finisce su una delle astronavi degli alieni (superfans di Star Wars) che lo rimpinzano in modo da estrarre i suoi escrementi di prima qualità. Quindi sì, la storia di questo romanzo è decisamente sopra le righe, ma non si tratta di un'accozzaglia di gag e volgarità gratuite. La parabola di Nunzio è edificante e più profonda di quanto sembrerebbe, perché non è affatto sicuro che le cose sarebbero andate diversamente senza gli alieni mangiamerda. Forse un po' semplicistico e affrettato nel finale (che mi ha ricordate alcune scene di Dodgeball), ma nel complesso risulta un buon libro, in grado di sorprendere in più di un'occasione. Voto: 7/10
Il libro con cui ho inaugurato l'anno è Mort(e), di Robert Repino. In questo caso ho voluto dedicare un post apposito al libro, quindi non mi ripeto e vi rimando a quello. Giusto per darvi idea di cosa si parla, Mort(e) racconta della guerra scatenata dalle formiche contro l'umanità, durante la quale gli animali domestici vengono elevati a creature intelligenti e usate come soldati. Mort(e) è appunto un gatto domestico, eroe di guerra, che però non è così convinto degli ideali della guerra a cui le formiche li stanno educando. Le premesse possono sembrare scontate e sciocche, ma il libro si sviluppa verso temi molto profondi, con le storie di Mort(e) e molti altri personaggi che si stratificano a formare un quadro molto complesso. Voto: 9/10
Dopo Repino sono passato a un autore italiano, anzi, nello specifico autrice. Serena M. Barbacetto (mi fa un po' strano trovare l'iniziale puntata in nome italiano, ma così si trova scritto), scrittrice che potremmo definire esordiente, che conta qualche racconto pubblicato in digitale e alcune autoproduzioni.
Overclock
è una raccolta di racconti nei quali si può individuare un sottile filo conduttore nel tema della capacità di calcolo. Le prime due storie sono buone, partono da un'idea valida ma a mio avviso soffrono nello sviluppo, che non coinvolge abbastanza, al punto che, pur apprezzando il nucleo della vicenda, in realtà non avevo particolarmente a cuore la sorte dei personaggi. Il terzo racconto è più confuso e meno originale, e non riesce a costruire in modo efficace la tensione che dovrebbe. In generale quindi non una brutta lettura, ma nonostante gli spunti interessanti non del tutto soddisfacente. Voto: 6.5/10
Il primo autore nigeriano che abbia mai letto in vita mia è Efe Tobunko, portato in Italia da Future Fiction con il suo
Risoluzione 23
. Volendo sintetizzare al massimo, si potrebbe definire questo romanzo breve una storia cyberpunk, perché molti degli ingredienti di base del genere sono presenti: l'interconnessione, l'affermazione dei diritti, l'intelligenza artificiale. Questi stessi argomenti sono però declinati sulla base delle tendenze più recenti, con lavoro di estrapolazione che fa di Risoluzione 23 un ottimo esempio di narrativa d'anticipazione. Non è facile capire chi sia "il nemico" in questa storia, se il pericolo arrivi dalle IA, dai governi, dai terroristi, dalle corporazioni... gli stessi protagonisti non arrivano a una conclusione, ed è forse questo il messaggio più importante che deriva dal testo, l'impossibilità di definire i ruoli in un mondo ormai avviato in un loop continuo di accelerazione da cui è impossibile tirarsi fuori. Voto: 7.5/10
Concludiamo con un altro autore italiano, anche questo classificabile come "esordiente". So che è difficile restare seri parlando di un libro dal titolo
Alieni Coprofagi dallo Spazio Profondo
, soprattutto se si considera che sì, il romanzo di Marco Crescizz parla proprio di alieni che mangiano merda. Tuttavia non si tratta di bizarro fiction, e per quanto l'idea possa apparire assurda, a pensarci bene non c'è nessuna ragione per cui gli alieni non dovrebbero essere così appassionati di feci umane da rapirci per usarci come "mucche da merda" (d'altra parte noi facciamo lo stesso, se non con il latte, pensate alla melata). Il protagonista di Alieni Coprofagi è Nunzio, giovane ragazzo gravemente obeso e socialmente inetto, tanto misero da conversare abitualmente con la visione di Arnold Schwarzenegger, modello di machismo e determinazione. Nunzio vorrebbe migliorare la sua vita, ma proprio non ce la fa, e anzi finisce su una delle astronavi degli alieni (superfans di Star Wars) che lo rimpinzano in modo da estrarre i suoi escrementi di prima qualità. Quindi sì, la storia di questo romanzo è decisamente sopra le righe, ma non si tratta di un'accozzaglia di gag e volgarità gratuite. La parabola di Nunzio è edificante e più profonda di quanto sembrerebbe, perché non è affatto sicuro che le cose sarebbero andate diversamente senza gli alieni mangiamerda. Forse un po' semplicistico e affrettato nel finale (che mi ha ricordate alcune scene di Dodgeball), ma nel complesso risulta un buon libro, in grado di sorprendere in più di un'occasione. Voto: 7/10
Published on February 14, 2016 09:26
February 12, 2016
Coppi Night 07/02/2016 - The Last Witch Hunter
Se questo fosse un blog di tipo diverso da quello che è, inizierei il post dicendo che questa è la prima Coppi Night che si è svolta nella mia CASA NUOVA, che pur richiedendo ancora qualche lavoro di messa in ordine, è dalla settimana scorsa abitabile e abitata, il che non è cosa da poco visto lo sbattimento degli ultimi mesi. Ma questo non è un blog di quel tipo, quindi parliamo del film.
Per quanto mi riguarda ho istintiva adorazione per Vin Diesel, probabilmente dovuta all'amore totale per Pitch Black (e in misura minore, per i seguiti). Mi rammarico solo che l'attore dedichi buona parte del suo tempo alla serie di Fast and Furious, perché i film che puntano sui motori proprio non riescono ad appassionarmi (con poche notabili eccezioni). Ma quando ho saputo che stava uscendo un altro suo film, slegato da entrambi i personaggi di Riddick e Toretto, sono rimasto fiocamente incuriosito.
Il film non si presenta male, con una premessa intrigante: il protagonista viene "maledetto con la vita", condannato all'immortalità, e per questo diventa l'unico e definitivo cacciatore di streghe in grado da solo di tenere a bada l'intera sottopopolazione di creature dotate di poteri magici. Poi chiaramente le cose si complicano, ed emerge una minaccia che il buon Vin (non mi ricordo il nome del personaggio) credeva di aver eliminato, che potrebbe annientare l'umanità e blabla, solite cose, pretesto per qualche scena d'azione.
Ma non tutto funziona perfettamente in The Last Witch Hunter. La prima cosa che a mio avviso stride sono le controparti del protagonista, che non dimostrano in nessun modo il carisma necessario per potersi affiancare alla pari a uno che per svariati secoli ha distrutto a randellate le streghe. L'alchimia tra lui e la ragazza (la Ygritte di Game of Thrones, ma anche, più memorabilmente, la protagonista di Honeymoon) appare imposta e artificiosa, per cui quando lui si preoccupa della sua sorte non c'è in realtà nessuna tensione. In effetti l'unico comprimario che poteva reggere il ruolo era Michael Caine (vabbè, hai detto nulla), ma probabilmente non potevano permettersi pagarlo per tutta la durata del film per cui la sua parte è quasi marginale. Anche lo scontro finale me lo aspettavo più epico, invece sembra concludersi in pochi minuti, anzi sembra quasi che qualcosa sia stato tagliato nella versione finale.
Infine ho trovato parecchio fastidiosi gli espliciti rimandi ai possibili seguiti, sulla linea di "ho visto cose terribili che ci aspettano", e la nuova squadra che si prepara nelle ultime scene, come a dire che sì, ehi, ci vedrete ancora, tornate presto!
Insomma, un film nel complesso godibile ma che avrebbe potuto essere molto meglio, soprattutto se doveva convincermi a vedere eventuali seguiti, ancora non confermati, per i quali al momento sarei in dubbio. Ma so che poi mi farò di nuovo convincere da Vin Diesel, soprattutto se si fa ricrescere la barba.
Per quanto mi riguarda ho istintiva adorazione per Vin Diesel, probabilmente dovuta all'amore totale per Pitch Black (e in misura minore, per i seguiti). Mi rammarico solo che l'attore dedichi buona parte del suo tempo alla serie di Fast and Furious, perché i film che puntano sui motori proprio non riescono ad appassionarmi (con poche notabili eccezioni). Ma quando ho saputo che stava uscendo un altro suo film, slegato da entrambi i personaggi di Riddick e Toretto, sono rimasto fiocamente incuriosito.Il film non si presenta male, con una premessa intrigante: il protagonista viene "maledetto con la vita", condannato all'immortalità, e per questo diventa l'unico e definitivo cacciatore di streghe in grado da solo di tenere a bada l'intera sottopopolazione di creature dotate di poteri magici. Poi chiaramente le cose si complicano, ed emerge una minaccia che il buon Vin (non mi ricordo il nome del personaggio) credeva di aver eliminato, che potrebbe annientare l'umanità e blabla, solite cose, pretesto per qualche scena d'azione.
Ma non tutto funziona perfettamente in The Last Witch Hunter. La prima cosa che a mio avviso stride sono le controparti del protagonista, che non dimostrano in nessun modo il carisma necessario per potersi affiancare alla pari a uno che per svariati secoli ha distrutto a randellate le streghe. L'alchimia tra lui e la ragazza (la Ygritte di Game of Thrones, ma anche, più memorabilmente, la protagonista di Honeymoon) appare imposta e artificiosa, per cui quando lui si preoccupa della sua sorte non c'è in realtà nessuna tensione. In effetti l'unico comprimario che poteva reggere il ruolo era Michael Caine (vabbè, hai detto nulla), ma probabilmente non potevano permettersi pagarlo per tutta la durata del film per cui la sua parte è quasi marginale. Anche lo scontro finale me lo aspettavo più epico, invece sembra concludersi in pochi minuti, anzi sembra quasi che qualcosa sia stato tagliato nella versione finale.
Infine ho trovato parecchio fastidiosi gli espliciti rimandi ai possibili seguiti, sulla linea di "ho visto cose terribili che ci aspettano", e la nuova squadra che si prepara nelle ultime scene, come a dire che sì, ehi, ci vedrete ancora, tornate presto!
Insomma, un film nel complesso godibile ma che avrebbe potuto essere molto meglio, soprattutto se doveva convincermi a vedere eventuali seguiti, ancora non confermati, per i quali al momento sarei in dubbio. Ma so che poi mi farò di nuovo convincere da Vin Diesel, soprattutto se si fa ricrescere la barba.
Published on February 12, 2016 00:00
February 8, 2016
Zoo (stagione 1)
Un paio di post fa parlavamo di Mort(e) di Robert Repino, romanzo il cui antefatto è un'aperta guerra tra umani e le altre specie animali, seppur "elevate" e indirizzate dalle formiche. Questo mi ha fatto tornare in mente una serie tv vista un paio di mesi fa, che ha più o meno lo stesso tema, e di cui non mi dispiace scrivere due righe.
Zoo è una serie americana del 2015, basata sul romanzo di James Patterson e Michael Lewidge, andata in onda a metà dell'anno scorso e approdata poco dopo anche in Italia. Mi sono infatti imbattuto per caso nel primio episodio, trasmesso la domenica pomeriggio sui Rai4, e ne sono rimasto abbastanza incuriosito da continuarne la visione. La trama di base della serie è proprio l'inizio di una "ribellione" degli animali nei confronti dell'uomo, dapprima con attacchi inusuali ma sporadici, poi con azioni sempre più coordinate e mirate, strategicamente efficaci. La rivoluzione coinvolge ipoteticamente tutti gli animali, ma nella serie (o almeno, nella prima stagione, unica trasmessa finora) la vediamo messa in atto da mammiferi e uccelli: leoni, gatti, cani, orsi, pipistrelli, corvi, passeri e così via. I protagonisti della serie fanno parte di una squadra messa insieme appunto per studiare il fenomeno e cercare una possibile soluzione, analizzando i casi noti e intervenendo sul posto.
Di fatto, buona parte della serie consiste nel seguire il gruppo (un etologo, una guida di safari, una giornalista investigativa, un veterinario, un'agente dei servizi segreti) che saltella da una località all'altra del mondo sulle tracce delle ultime aggressioni documentate, e tenta di ricostruire quanto avvenuto per trovare indizi su come la rivolta si sta diffondendo. Naturalmente, la loro è una squadra che agisce in segreto, senza coperture ufficiali, perché la potenziale crisi non può essere resa pubblica, quindi non hanno le giornate facili.
Il fatto che parli di questa serie non significa necessariamente che mi sia piaciuta, o almeno non nel senso straordinario. Zoo è una produzione di medio livello, che soffre palesemente di qualche problema di sceneggiatura e di budget. Ma riesce a raggiungere dei notevoli momenti di assurdità che la fanno quasi tendere al so bad it's good. Faccio un solo esempio su tutti, citando la sequenza in cui, per rilevare se un animale era stato contaminato, il veterinario crea un cervello simulato usando latte di cocco perché, a suo dire, è il liquido più simile a quello contenuto nel cervello, e scaldandolo se ne ottiene una replica efficace, e quando l'ampolla scoppia hanno la prova che l'animale era infetto. Ma oltre a questo, in tutte le puntate c'è un momento di intensa drammaticità quando gli animali si organizzano per un attacco, come i gatti sugli alberi davanti all'asilo, o gli orsi che vanno in letargo per sviluppare la corazza. D'altra parte già la sigla è abbastanza eloquente (perché, ammettetelo, avete mai visto qualcosa di più inquietante di un occhio di zebra?):
Questa involontaria tendenza al comico rende la visione leggera e scorrevole, e tutto sommato anche i twist che si succedono, e concludono pressoché ogni episodio, contribuiscono a rendere la storia avvincente, nonostante le assurdità di fondo.
Per la verità non sarei in grado di riassumere di preciso cosa è successo in questa prima stagione (seguono lievi spoiler), perché non si capisce bene se gli animali si stiano evolvendo tutti insieme, o se il loro comportamento anomalo (rivelabile quando gli animali manifestano la pupilla indomita, gli si legge negli occhi!) è dovuto alla contaminazione da parte di una "cellula madre" diffusa in tutti i prodotti di una multinazionale, che infatti cerca di mettere a tacere la task force dei protagonisti. Ma devo anche ammettere che l'ultimo episodio (spoiler un po' più pesanti!) in cui la ribellione delle bestie è ormai un fatto noto e accettato, e le persone devono stare attente a uscire di casa, ha un suo fascino come ambientazione postapocalittica.
La stagione uno si conclude con un ulteriore cliffhanger, e la seconda è attualmente in produzione, quindi presto potremo sapere come prosegue la vicenda. E, nonostante sia cosciente che non si tratta della serie dell'anno, sono effettivamente curioso di proseguire.
Zoo è una serie americana del 2015, basata sul romanzo di James Patterson e Michael Lewidge, andata in onda a metà dell'anno scorso e approdata poco dopo anche in Italia. Mi sono infatti imbattuto per caso nel primio episodio, trasmesso la domenica pomeriggio sui Rai4, e ne sono rimasto abbastanza incuriosito da continuarne la visione. La trama di base della serie è proprio l'inizio di una "ribellione" degli animali nei confronti dell'uomo, dapprima con attacchi inusuali ma sporadici, poi con azioni sempre più coordinate e mirate, strategicamente efficaci. La rivoluzione coinvolge ipoteticamente tutti gli animali, ma nella serie (o almeno, nella prima stagione, unica trasmessa finora) la vediamo messa in atto da mammiferi e uccelli: leoni, gatti, cani, orsi, pipistrelli, corvi, passeri e così via. I protagonisti della serie fanno parte di una squadra messa insieme appunto per studiare il fenomeno e cercare una possibile soluzione, analizzando i casi noti e intervenendo sul posto.Di fatto, buona parte della serie consiste nel seguire il gruppo (un etologo, una guida di safari, una giornalista investigativa, un veterinario, un'agente dei servizi segreti) che saltella da una località all'altra del mondo sulle tracce delle ultime aggressioni documentate, e tenta di ricostruire quanto avvenuto per trovare indizi su come la rivolta si sta diffondendo. Naturalmente, la loro è una squadra che agisce in segreto, senza coperture ufficiali, perché la potenziale crisi non può essere resa pubblica, quindi non hanno le giornate facili.
Il fatto che parli di questa serie non significa necessariamente che mi sia piaciuta, o almeno non nel senso straordinario. Zoo è una produzione di medio livello, che soffre palesemente di qualche problema di sceneggiatura e di budget. Ma riesce a raggiungere dei notevoli momenti di assurdità che la fanno quasi tendere al so bad it's good. Faccio un solo esempio su tutti, citando la sequenza in cui, per rilevare se un animale era stato contaminato, il veterinario crea un cervello simulato usando latte di cocco perché, a suo dire, è il liquido più simile a quello contenuto nel cervello, e scaldandolo se ne ottiene una replica efficace, e quando l'ampolla scoppia hanno la prova che l'animale era infetto. Ma oltre a questo, in tutte le puntate c'è un momento di intensa drammaticità quando gli animali si organizzano per un attacco, come i gatti sugli alberi davanti all'asilo, o gli orsi che vanno in letargo per sviluppare la corazza. D'altra parte già la sigla è abbastanza eloquente (perché, ammettetelo, avete mai visto qualcosa di più inquietante di un occhio di zebra?):
Questa involontaria tendenza al comico rende la visione leggera e scorrevole, e tutto sommato anche i twist che si succedono, e concludono pressoché ogni episodio, contribuiscono a rendere la storia avvincente, nonostante le assurdità di fondo.
Per la verità non sarei in grado di riassumere di preciso cosa è successo in questa prima stagione (seguono lievi spoiler), perché non si capisce bene se gli animali si stiano evolvendo tutti insieme, o se il loro comportamento anomalo (rivelabile quando gli animali manifestano la pupilla indomita, gli si legge negli occhi!) è dovuto alla contaminazione da parte di una "cellula madre" diffusa in tutti i prodotti di una multinazionale, che infatti cerca di mettere a tacere la task force dei protagonisti. Ma devo anche ammettere che l'ultimo episodio (spoiler un po' più pesanti!) in cui la ribellione delle bestie è ormai un fatto noto e accettato, e le persone devono stare attente a uscire di casa, ha un suo fascino come ambientazione postapocalittica.
La stagione uno si conclude con un ulteriore cliffhanger, e la seconda è attualmente in produzione, quindi presto potremo sapere come prosegue la vicenda. E, nonostante sia cosciente che non si tratta della serie dell'anno, sono effettivamente curioso di proseguire.
Published on February 08, 2016 23:00
February 6, 2016
Coppi Night 24/01/2016 - Dead Snow
Nazisti zombie! No, cioè, non so se avete capito: nazisti ZOMBIE!!! Questo è il modo in cui si presenta questo film, e uno che lo approccia ha la comprensibile pretesa di trovarsi davanti qualcosa di eclatante, esagerato, pirotecnico. E invece quello che ottiene è solo meh.
È già insolito vedere un film norvegese, quindi non si sa bene cosa aspettarsi, ma attribuire la generale fiacchezza e improvvisazione di questo film alla sua nazionalità sarebbe una scappatoia. La storia si apre nel più classico stile horror, con il gruppo di amici in vacanza che si reca in una capanna nel bosco in mezzo al niente per trascorrere alcuni giorni di baldoria. Si potrebbe aprire un capitolo a parte sul modo in cui questi ragazzi intendono la "baldoria", ma questo, forse, si può davvero attribuire a differenze culturali, quindi sorvoliamo. Nel pieno del loro divertimento, vengono prima visitati da un indigeno che gli racconta delle leggende sui nazisti, e poi attaccati dai non-morti. Questo avviene ben oltre metà film, quando abbiamo già perso abbastanza tempo a vedere sequenze inutili di interazioni all'interno del gruppo.
Quando poi la mattanza inizia, uno pensa di potersi finalmente gustare qualche bella scena di azione, ma anche qui Dead Snow scarseggia, mancando di coraggio e carisma. Le sequenze splatter ci sono (molte delle quali incentrate sullo srotolamento degli intestini), ma appaiono piatte e senza brio, come se nemmeno dei nazisti zombie si divertissero a sviscerare le vittime. E comunque tutto lo splatter del mondo non potrà mai eguagliare lo schifo di una scena in cui due ragazzi scopano mentre lui è sulla tazza del cesso a cacare. Ci sono anche diversi problemi di coerenza interna, ma a un certo punto passando in secondo piano rispetto alla noia e comunque niente che non si veda normalmente in your average horror movie.
Il tutto si svolge senza un criterio preciso, con il peccato imperdonabile di non identificare un protagonista, facendo occasionalmente baluginare uno dei personaggi per poi rispegnerlo poco dopo. E non si tratta di quelle furbizie del tipo "pensavi fosse il protagonista, invece muore!" che ogni tanto certi sceneggiatori riescono ad azzeccare, qui è proprio una sequenza casuale di cose che accadono a persone. La recitazione appare monocorde e impersonale, ma qui sono disposto a credere che una buona dose di colpa sia del doppiaggio, che a sua volta forse soffre di problemi di lip sync. Ma anche con tutte le attenuanti del caso, il risultato è pessimo.
Ho scoperto che è in produzione un Dead Snow 2, e se volete il mio consiglio, statene lontani come da un nazista zombie.
È già insolito vedere un film norvegese, quindi non si sa bene cosa aspettarsi, ma attribuire la generale fiacchezza e improvvisazione di questo film alla sua nazionalità sarebbe una scappatoia. La storia si apre nel più classico stile horror, con il gruppo di amici in vacanza che si reca in una capanna nel bosco in mezzo al niente per trascorrere alcuni giorni di baldoria. Si potrebbe aprire un capitolo a parte sul modo in cui questi ragazzi intendono la "baldoria", ma questo, forse, si può davvero attribuire a differenze culturali, quindi sorvoliamo. Nel pieno del loro divertimento, vengono prima visitati da un indigeno che gli racconta delle leggende sui nazisti, e poi attaccati dai non-morti. Questo avviene ben oltre metà film, quando abbiamo già perso abbastanza tempo a vedere sequenze inutili di interazioni all'interno del gruppo.Quando poi la mattanza inizia, uno pensa di potersi finalmente gustare qualche bella scena di azione, ma anche qui Dead Snow scarseggia, mancando di coraggio e carisma. Le sequenze splatter ci sono (molte delle quali incentrate sullo srotolamento degli intestini), ma appaiono piatte e senza brio, come se nemmeno dei nazisti zombie si divertissero a sviscerare le vittime. E comunque tutto lo splatter del mondo non potrà mai eguagliare lo schifo di una scena in cui due ragazzi scopano mentre lui è sulla tazza del cesso a cacare. Ci sono anche diversi problemi di coerenza interna, ma a un certo punto passando in secondo piano rispetto alla noia e comunque niente che non si veda normalmente in your average horror movie.
Il tutto si svolge senza un criterio preciso, con il peccato imperdonabile di non identificare un protagonista, facendo occasionalmente baluginare uno dei personaggi per poi rispegnerlo poco dopo. E non si tratta di quelle furbizie del tipo "pensavi fosse il protagonista, invece muore!" che ogni tanto certi sceneggiatori riescono ad azzeccare, qui è proprio una sequenza casuale di cose che accadono a persone. La recitazione appare monocorde e impersonale, ma qui sono disposto a credere che una buona dose di colpa sia del doppiaggio, che a sua volta forse soffre di problemi di lip sync. Ma anche con tutte le attenuanti del caso, il risultato è pessimo.
Ho scoperto che è in produzione un Dead Snow 2, e se volete il mio consiglio, statene lontani come da un nazista zombie.
Published on February 06, 2016 00:51
February 2, 2016
Robert Repino - Mort(e)
Prima di scegliersi il suo nome, Mort(e) si chiamava Sebastian. Sebastian viveva con la famiglia Martini, una coppia con due figli e qualche problema di relazione, ma lui non lo sapeva. Passava tutto il suo tempo in casa, osservando l'esterno solo dalle finestre. Aveva un'amica, Sheba, che veniva a trovarlo occasionalmente, e con cui condivideva i suoi posti segreti, dormendo l'uno accanto all'altra. Ma dopo lo scoppio della Guerra Senza Nome, le cose sono cambiate. Sebastian si è svegliato, ha iniziato a capire, i Martini sono scappati, lasciandolo da solo, Sheba è scomparsa. Allora Sebastian ha abbandonato il suo nome da schiavo, e dopo essersi unito a uno squadrone di altri soldati, ha scelto il suo nuovo nome: Mort(e).Mort(e), e Seastian prima di lui, è un gatto. Come tutti gli animali è rimasto coinvolto nella Guerra, quella che le formiche hanno scatenato contro l'umanità, dopo millenni di pianificazione. Uno dei loro primi atti è stato quello di diffondere un ormone in grado di elevare l'intelligenza delle bestie, quelle più comuni e vicine all'uomo, donando loro la consapevolezza del loro stato di schiavitù, e impiegandole come esercito. Gli animali cambiano nel corpo e nella mente, diventano bipedi e crescono, sviluppano il pollice opponibile, acquisiscono memoria, intelletto e coscienza. Il messaggio della Regina è diffuso chiaramente a tutti: ribellatevi, eliminate i padroni. E per i padroni, gli umani, non c'è niente da fare. La Guerra Senza Nome è rapida e devastante, e nonostante poche sacche di resistenza, della civiltà umana rimane poco, sostituita gradualmente dalla zootopia degli animali di specie diverse che convivono pacificamente.
In tutto questo, Mort(e) è il personaggio centrale per entrambe le fazioni: eroe di guerra per gli animali, messia per gli uomini sopravvissuti. Mort(e) compie il suo dovere, ma non è convinto dagli ideali della guerra agli umani. Il suo unico obiettivo è ritrovare Sheba, portare a compimento quella promessa che le aveva fatto di proteggerla sempre. C'è in questo una traccia di nostalgia dei tempi andati, quando il mondo era piccolo e lui ne capiva così poco. Ma c'è anche dell'altro: Mort(e) capisce che la liberazione degli animali è solo uno strumento, forse un esperimento della Regina, e che le sue promesse non saranno mai mantenute. L'EMSAH, il virus diffuso dagli umani che fa impazzire gli animali, non è quello che sembra, perché lui lo ha visto. Lui sa. E la Regina sa che lui sa, perché la Regina vede tutto.
Questa è in sostanza la trama di Mort(e) , romanzo d'esordio di Robert Repino, autore di cui non avevo mai sentito parlare prima, e in cui mi sono imbattuto tra le segnalazioni di testi di fantascienza più interessanti dell'anno scorso. Vista così sembra una storia scontata e sconclusionata: animali parlanti e la natura che si ribella, gli uomini puniti per la loro arroganza. Niente che non si sia già visto nei post dei gruppi vegani estremisti. Tuttavia, questa è solo la superficie. Mort(e) è un romanzo complesso e profondo, che parte dalla guerra tra uomini e animali per affrontare temi vasti e articolati. In effetti, la guerra non è l'evento centrale della storia, e si conclude nei primi capitoli, portando presto l'attenzione sul seguito, quando la popolazione umana è ormai decimata e gli animali stanno prendendo il loro posto in superficie, sotto la guida onnipresente della Regina dal sottosuolo.
I personaggi che affiancano Mort(e) nella narrazione sono delle specie più varie, e di ognuno di questi conosciamo la storia, a un certo punto: Culdesac la lince, Wawa il cane, Bonaparte il maiale, Imenoptera Unus la formica regina. Questi tasselli compongono la storia vista da una pluralità di voci, rendendola tridimensionale e di interpretazione non così immediata. Ne deriva che Mort(e) non è, come ci si potrebbe aspettare, un romanzo sul rispetto della Natura, ma nemmeno una distopia alla Fattoria degli animali. Gli animali antropomorfi che popolano il romanzo sono fin troppo simili a noi per non poterci riconoscere: degli uomini mostrano le stesse incertezze e debolezze, e a volte loro stessi se ne rendono conto. C'è sicuramente un messagio anti-specista in questo libro, ma non è l'unico. C'è anche una riflessione su cosa ci differenzia gli uni dagli altri, e cosa invece ci rende affini. Si parla di
religione
, che può salvare o può distruggere, e che spesso sono le singole persone (inteso in senso ampio: persone umane e non) a seguire su una delle due strade. Si parla anche di amore, quello che la Regina cerca di comprendere, e di dedizione, quella che spinge Mort(e) a cercare Sheba fino all'ultimo, pur non sapendo se sia ancora viva, se sia cambiata o rimasta un normale cane quadrupede.Forse, lo ammetto, Mort(e) mi ha colpito tanto perché l'ho letto in un momento particolare. Da pochi mesi infatti ho acquisito un gatto (vi risparmio La storia di Opel per il momento), e mi sono trovato a immaginare cosa penserebbe di me in una situazione del genere. Mi vedrebbe come il suo schiavista o come un padre benevolo? Pur sapendo di aver fatto tutto il possibile per il suo bene, lo sto di fatto recludendo, e proprio come Sebastian, lo castrerò per rendergli la vita più facile. Mi sono quindi detto che, se un giorno un Opel bipede e antropoide mi puntasse contro un fucile, non credo che potrei biasimarlo. Ma questa è una considerazione personale, che forse mi ha reso più partecipe del romanzo non incide sul giudizio complessivo.
Mort(e) è uno dei libri più coinvolgenti che abbia letto negli ultimi mesi. Grazie ai suoi personaggi forti, ben caratterizzati, e a una storia lineare ma incisiva, mi ha tenuto più volte appiccicato al kindle oltre l'orario limite per la lettura. Il che, per un libro con animali parlanti, non è affatto male. Naturalmente, non lo si trova in italiano, ma potete leggerlo in lingua originale, nella sua edizione cartacea e digitale pubblicata da Soho Press.
Published on February 02, 2016 23:20
February 1, 2016
Gandalf Web Radio 004 - Il mio primo podcast!
Scommetto che questa non ve l'aspettavate. Beh, io non me l'aspettavo, questo è sicuro. La cosa è stata improvvisa e imprevista: qualche settimana fa mi è arrivato l'invito per partecipare a un podcast, da parte di
Federico Galdi
, autore fantasy che ha iniziato con Nytrya una saga pubblicata da Plesio.
Federico ha da alcuni mesi aggiunto sul suo blog la rubrica Gandalf Web Radio, un podcast dedicato ad argomenti tipici del fantasy e della narrativa. Ma, oh, aspè, si parla di fantasy, checcestoaffà io? No, ecco, nello specifico, questa puntata era dedicata a un tema un po' diverso: Lo Zen e l'arte della fantascienza italiana .
Gli ospiti della puntata, oltre a me, sono Stefano Andrea Noventa, autore che conosco e che balzella agilmente tra fantascienza e fantasi, e Sergio Giardo , fumettista di grande rilievo nel panorama italiano. Nel corso della trasmissione abbiamo parlato delle nostre esperienze con la fantascienza, sia da lettori che da autori, del rapporto con il fandom, la percezione del genere... e anche del Risveglio della Forza, sì.
Essendo il mio primo podcast non ero adeguatamente attrezzato, per cui il mio chiaramente è l'audio meno nitido e con più ritorno... comunque probabilmente le cose più interessanti da sentire non sono le mie. Ecco qui i tre quarti d'ora spremuti dalle due ore circa di chiacchiere di un venerdì sera.
Limiti tecnici a parte, mi sono divertito molto e mi auguro che in futuro si possa ripetere qualcosa di simile, ringrazio quindi Federico per l'invito e l'immane lavoro. Buon ascolto, e ricordate di recuperare anche le puntate precedenti del podcast!
Federico ha da alcuni mesi aggiunto sul suo blog la rubrica Gandalf Web Radio, un podcast dedicato ad argomenti tipici del fantasy e della narrativa. Ma, oh, aspè, si parla di fantasy, checcestoaffà io? No, ecco, nello specifico, questa puntata era dedicata a un tema un po' diverso: Lo Zen e l'arte della fantascienza italiana .
Gli ospiti della puntata, oltre a me, sono Stefano Andrea Noventa, autore che conosco e che balzella agilmente tra fantascienza e fantasi, e Sergio Giardo , fumettista di grande rilievo nel panorama italiano. Nel corso della trasmissione abbiamo parlato delle nostre esperienze con la fantascienza, sia da lettori che da autori, del rapporto con il fandom, la percezione del genere... e anche del Risveglio della Forza, sì.
Essendo il mio primo podcast non ero adeguatamente attrezzato, per cui il mio chiaramente è l'audio meno nitido e con più ritorno... comunque probabilmente le cose più interessanti da sentire non sono le mie. Ecco qui i tre quarti d'ora spremuti dalle due ore circa di chiacchiere di un venerdì sera.
Limiti tecnici a parte, mi sono divertito molto e mi auguro che in futuro si possa ripetere qualcosa di simile, ringrazio quindi Federico per l'invito e l'immane lavoro. Buon ascolto, e ricordate di recuperare anche le puntate precedenti del podcast!
Published on February 01, 2016 00:16
January 22, 2016
Coppi Night 10/01/2016 - Ant-Man
Questo film mi incuriosiva, perché a detta di molti nel colossale progetto multipiattaforma dell'univesro cinematografico Marvel, si collocava a margine, rendendolo un prodotto un po' diverso rispetto alla sequela di eroi 1-2-3 tutti uguali tra loro. Complice anche il fatto che si tratta di un supereroe non tra i più popolari, anche se a quanto ne so tra i più longevi. Insomma, mi sono detto, vuoi vedere che Ant-Man effettivamente mi piace?
La risposta è stata "uhm". Non posso dire di essermi annoiato (come è avvenuto con Winter Soldier e
Age of Ultron
), e in generale il tono leggero e autoironico ha funzionato. Però ci sono dei grossi problemi strutturali e di coerenza interna che mi hanno fatto perdere molto del gusto. Faccio qualche leggere spoiler da qui in poi, evitate se volete.
Partiamo dal fatto che io sono più che disponibile a sospondere l'incredulità. Se mi dici che nella tua storia i gatti cacano smeraldi e le nuvole sono fatte di amido di mais, io ti dò retta. Questa è la premessa della tua storia, la accetto come assioma e vediamo dove mi porti. Se però tradisci la tua premessa (premessa che tu stesso hai stabilito, non ti ho imposto io), allora stai facendo un grave errore di coerenza interna, e non posso più prendere seriamente quello che mi dici. In Ant-Man c'è un'enorme falla di questo tipo. All'inizio del film ci viene spiegato che l'invenzione di Pym permette di rimpicciolire le cose perché riduce lo "spazio vuoto" tra gli atomi. Cosa che mi sta bene, per quanto possa essere impossibile in realtà, se è la premessa della storia ci credo. Questo però perde di significato quando, nel finale del film, Ant-Man diventa "subatomico", cioè così piccolo da poter passare negli spazi tra le molecole, e ancora di più, fino appunto a trovarsi nel mondo quantistico. Ma per definizione, se la tua tuta riduce lo spazio tra gli atomi, non può farti diventare più piccoloo di un atomo. È un passaggio cruciale del film, è di fatto il climax dello scontro con il villain, e il fatto che mandi a puttane la premessa è terribile.
Conseguenza di questo c'è un aspetto anche peggiore: viene spiegato che la tecnologia di Pym modifica il "volume" di un corpo, ma non la sua massa (perché appunto, viene ridotto lo spazio tra gli atomi ma non la loro quantità), e questo giustifica anche l'apparente super-forza di Ant-Man quando è minuscolo (90 kg di pressione concentrati in un puntino). Ma se questo è vero, allora per l'eroe dovrebbe essere impossibile cavalcare le formiche (che schiaccerebbe comunque), così come Pym non potrebbe portarsi un carro armato come portachiavi, perché pur lungo 4 centimetri peserebbe comunque svariate tonnellate.
In secondo luogo, altra cosa che non mi convince è la compresenza in Ant-Man di due poteri ben distinti e la cui associazione è tutt'altro che scontata. Voglio dire, già la possibilità di rimpicciolirsi non c'entra nienta con la capacità di comunicare e comandare le formiche, anzi, non c'è ragione per cui Pym avrebbe dovuto sviluppare due tecnologie così differenti e di ambiti tanto opposti: da una parte fisica atomica e dall'altra biochimica con qualche accenno di telepatia (!!!). Sembra che l'apparecchio per comunicare con le formiche sia un accessorio, un'invenzione secondaria e trascurabile, ma a pensarci bene implica una serie di avanzamenti forse più rivoluzionari delle particelle Pym.
A tutto questo si aggiunge il tritissimo conflitto padre-figlia, la solita balla del "ho mentito per proteggerti", e una Evangeline Lilly completamente fuori parte (a partire dalla zazzera in testa). Ant-Man ha avuto una storia travagliata, e questi scossoni e cambi di direzione probabilmente sono rimasti. Non sto a dire che se il film fosse stato finito da Edgar Wright sarebbe stato eccezionale, ma sicuramente avrebbe potuto portare in una direzione più fresca, sopratutto all'interno di questo sottogenere.
Insomma, se questo è il meglio dell'innovazione che il MCU può offrirmi, a questo punto penso serenamente di poterne fare a meno, quindi a meno che non mi venga forzata la visione (cosa che può capitare, nel Coppi Club), li eviterò accuratamente.
La risposta è stata "uhm". Non posso dire di essermi annoiato (come è avvenuto con Winter Soldier e
Age of Ultron
), e in generale il tono leggero e autoironico ha funzionato. Però ci sono dei grossi problemi strutturali e di coerenza interna che mi hanno fatto perdere molto del gusto. Faccio qualche leggere spoiler da qui in poi, evitate se volete.Partiamo dal fatto che io sono più che disponibile a sospondere l'incredulità. Se mi dici che nella tua storia i gatti cacano smeraldi e le nuvole sono fatte di amido di mais, io ti dò retta. Questa è la premessa della tua storia, la accetto come assioma e vediamo dove mi porti. Se però tradisci la tua premessa (premessa che tu stesso hai stabilito, non ti ho imposto io), allora stai facendo un grave errore di coerenza interna, e non posso più prendere seriamente quello che mi dici. In Ant-Man c'è un'enorme falla di questo tipo. All'inizio del film ci viene spiegato che l'invenzione di Pym permette di rimpicciolire le cose perché riduce lo "spazio vuoto" tra gli atomi. Cosa che mi sta bene, per quanto possa essere impossibile in realtà, se è la premessa della storia ci credo. Questo però perde di significato quando, nel finale del film, Ant-Man diventa "subatomico", cioè così piccolo da poter passare negli spazi tra le molecole, e ancora di più, fino appunto a trovarsi nel mondo quantistico. Ma per definizione, se la tua tuta riduce lo spazio tra gli atomi, non può farti diventare più piccoloo di un atomo. È un passaggio cruciale del film, è di fatto il climax dello scontro con il villain, e il fatto che mandi a puttane la premessa è terribile.
Conseguenza di questo c'è un aspetto anche peggiore: viene spiegato che la tecnologia di Pym modifica il "volume" di un corpo, ma non la sua massa (perché appunto, viene ridotto lo spazio tra gli atomi ma non la loro quantità), e questo giustifica anche l'apparente super-forza di Ant-Man quando è minuscolo (90 kg di pressione concentrati in un puntino). Ma se questo è vero, allora per l'eroe dovrebbe essere impossibile cavalcare le formiche (che schiaccerebbe comunque), così come Pym non potrebbe portarsi un carro armato come portachiavi, perché pur lungo 4 centimetri peserebbe comunque svariate tonnellate.
In secondo luogo, altra cosa che non mi convince è la compresenza in Ant-Man di due poteri ben distinti e la cui associazione è tutt'altro che scontata. Voglio dire, già la possibilità di rimpicciolirsi non c'entra nienta con la capacità di comunicare e comandare le formiche, anzi, non c'è ragione per cui Pym avrebbe dovuto sviluppare due tecnologie così differenti e di ambiti tanto opposti: da una parte fisica atomica e dall'altra biochimica con qualche accenno di telepatia (!!!). Sembra che l'apparecchio per comunicare con le formiche sia un accessorio, un'invenzione secondaria e trascurabile, ma a pensarci bene implica una serie di avanzamenti forse più rivoluzionari delle particelle Pym.
A tutto questo si aggiunge il tritissimo conflitto padre-figlia, la solita balla del "ho mentito per proteggerti", e una Evangeline Lilly completamente fuori parte (a partire dalla zazzera in testa). Ant-Man ha avuto una storia travagliata, e questi scossoni e cambi di direzione probabilmente sono rimasti. Non sto a dire che se il film fosse stato finito da Edgar Wright sarebbe stato eccezionale, ma sicuramente avrebbe potuto portare in una direzione più fresca, sopratutto all'interno di questo sottogenere.
Insomma, se questo è il meglio dell'innovazione che il MCU può offrirmi, a questo punto penso serenamente di poterne fare a meno, quindi a meno che non mi venga forzata la visione (cosa che può capitare, nel Coppi Club), li eviterò accuratamente.
Published on January 22, 2016 10:10
January 17, 2016
Rapporto letture - Dicembre 2015
Eccoci all'ultimo rapporto letture del 2015, un po' in ritardo rispetto al solito, ma se siete stati attenti sapete che in queste settimane il "tempo libero" da dedicare al blog è scarso, quindi mi sono dovuto svegliare alle 7 di domenica mattina per scrivere questo post, apprezzatelo. Dopo l'imbarazzante performance di novembre, torniamo su numeri più regolari, con quattro libri/riviste letti.
Cominciamo con il numero 74 di Robot, rivista di fantascienza (la rivista?) trimestrale con cui avevo perso un po' il filo ma ho deciso di recuperare. In questo numero ci sono un paio di cose interessanti, come l'ultimo racconto di Ted Chiang, che propone una profonda riflessione sulla memoria e come sia influenzata dalle emozioni, sempre di ottimo livello anche se forse un po' di didascalico nella struttura; c'è poi il racconto di Stefano Paparozzi, esordiente totale che al primo colpo vince il Premio Robot, con quella che potremmo definire una storia di formazione intervallata da alcuni bizzarri episodi di sovrapposizione temporale: buon racconto che a mio avviso avrebbe potuto essere un po' asciugato, ma che riesce a coinvolgere nonostante i wall of text e la quasi totale assenza di dialoghi, il che non è poco. Più sottotono il romanzo breve di Mario Antonio Miglieruolo, autore storico della sf italiana che propone una variazione sul tema del derelitto in una società in rovina, trascinato a fare porcate qua e là senza un vero obiettivo: un tipo di storia che senza particolari spunti al di là delle volgarità e scene di sesso non dice molto. Saggi e interviste mediamente interessanti, ma niente di sorprendente.
Posso poi tirare un forte sospirone di sollievo commentando Livido di Francesco Verso. Vi spiego la situazione. Anni fa, ebbi l'ardire di scagliarmi contro le scelte del Premio Urania (in quello che fu il primo post "di risalto" di questo blog), e tra gli esempi citati per sostenere la mia tesi c'era E-Doll, appunto di Verso, che avevo reputato terribile. Ora, di recente Verso si è imbarcato nel progetto Future Fiction, visionario e innovativo, e ho avuto anche occasione di conoscerlo a Stranimondi, trovandolo come una persona competente, simpatica e umile. Chiaramente la mia opinione su E-Doll non cambia, ma mi sarebbe spiaciuto dover dire che anche Livido era una schifezza. Fortunatamente non è così, anzi: questo è proprio un bel romanzo. È uno di quei libri che si muove su filo del romanzo di formazione, pur non essendo una storia "per ragazzi", un genere che mi piacerebbe sperimentare. Ed è una storia tutt'altro che fredda, profondamente umana, vivida, piena di empatia. Il protagonista è Peter Pains, che conosciamo da ragazzino, quando insieme alla sua banda rovista nella spazzatura (ormai ascesa allo status di palta) in cerca di materiale da rivendere. Peter è segretamente innamorato di Alba (come lo si può essere a quell'età), che non è propriamente umana, poiché si tratta di una personalità caricata sul corpo di un androide (beh, ok, ginoide). Ma Alba finisce vittima proprio della banda di Peter, comandata da suo fratello, e viene fatta a pezzi. Da quel momento, l'obiettivo del ragazzo sarà quello di ritrovare Alba, pezzo per pezzo, rimetterla insieme e poter finalmente essere felice con lei. Nel corso del libro Peter cresce, matura, ma quell'amore irrazionale non lo abbandona mai, e anzi si ripresenta a tratti più forte di prima, quando la sua vita adulta non gli lascia altre prospettive. Un amore irrazionale, dicevo, ma d'altra parte come si possono stabilire i confini di razionalità di un sentimento del genere? Quello di Peter sconfina pericolosamente nell'ossessione, e lui stesso se ne rende conto, ma anche chi gli è vicino (suo fratello, i compagni di banda, la sua compagna) ha le proprie fissazioni, e il confronto con loro è inevitabile. Peter è un personaggio vero, e la sua battaglia è semplice e comprensibile, e si compie lentamente, cautamente, nel corso di una vita ordinaria, senza teatralità. Livido è anche un libro accessibile a chi non è avvezzo alla fantascienza, perché anche i concetti di nexumanità e singolarità che stanno alla base della storia si possono apprendere nel corso della lettura. Quindi, con un sospirone di sollievo, posso dire che questo è un gran bel libro. Voto: 8/10
Altra rivista, stavolta il primo volume da me acquistato di Parallàxis, il numero 3. I racconti contenuti spaziano da autori contemporanei come Desirina Boskovich e Alessandro Forlani, a classici come Franz Kafka e Giambattista Basile. Quello della Boskovich (americana mia coetanea) è un racconto weird su una scatola dai poteri indefinti e incontrollabili nelle mani di un bambino. Forlani invece presenta un racconto "alla Lovecraft" ambientato in Italia ai tempi del fascismo, con un'entità oscura e demoniaca che è una chiara metafora di minacce ben più terrene. In chiusura del volume c'è anche un saggio di Matthew M. Hollander sul ruolo dell'eroe e del sacrificio (personale o altrui), che parte dall'episodio di Isacco e arriva fino a controversi esperimenti recenti. Come ho già detto altrove, Parallàxis è una rivista di alto livello, curata esteriormente e nei contenuti, e poco per volta recupererò sicuramente gli altri numeri. Per questo sono molto soddisfatto di essere anch'io presente sul numero 4.
L'ultimo libro letto quest'anno è di Paolo Di Orazio. Vi ricordate questo nome? Io sì, maledizione. Lo ricordo bene perché quando ho letto L'incubatrice ne sono stato seriamente turbato. Era l'agosto di due anni fa, ma è come se fosse l'altra settimana, per quanto mi ha segnato. La mia sensibilità horror forse non è così sviluppata, ma se dovessi indicare un racconto che mi ha in qualche modo "spaventato", allora sarebbe quello. "Spavento" probabilmente non è il termine giusto, si tratta più di un sommovimento interiore, come se le parole che stavo leggendo fossero processate dai villi intestinali invece che dai neuroni. Debbi (la strana) mi ha fatto un effetto simile, in certe parti. Il romanzo si presenta come una storia caotica e lisergica la cui protagonista è Debbi, una prostituta per necessità ma forse anche per vocazione, capace di soddisfare qualunque perversione dei clienti, che racconta in prima persona ciò che le accade. Quando Debbi viene posseduta, la sua mente si scollega dal corpo e va a trovare il coniglietto Ribes, che le tiene compagnia con le sue conversazioni assurde fino alla fine dell'atto. Il percorso di Debbi si incrocia con quello di un omicida seriale, che violenta e tortura bambini in maniera atroce. Sulle tracce di questo criminale c'è un poliziotto in pensione, Vanacura, ossessionato dalla cabala e dal paranormale. Vanacura cerca di mettere insieme i pochi indizi disponibili mentre Debbi conosce le vittime degli omicidi nel suo mondo immaginario. Questo sostanzialmente è quello che avviene, "da fuori". Ma dall'interno della mente (di Debbi e dell'autore), le cose sono molto più complicate. È difficile descrivere e spiegare, perché la natura allucinatoria di molti capitoli non permette una trasposizione efficace, ma il livello di perversione raggiunta da alcune sequenze di questo libro è immenso. Il capitolo finale, in cui Vanacura trova le vittime, e forse anche l'omicida, è davvero agghiacciante (e lo sapete che io non spreco parole di questo tipo). Dico forse, perché in realtà alla fine non tutto è chiaro. Cioè, forse niente lo è. Non lo è per Debbi, non lo è per la sua psichiatra, non lo è per Vanacura, e non lo è mai stato per Ribes. Qualcosa è successo, qualcuno è morto, qualche essere mostruoso e forse innaturale si è manifestato, ma forse no. Ma stabilire la realtà di quanto è avvenuto non è importante, perché in azione ci sono forze che esistono a prescindere dalla loro esistenza. C'è il buio, quello che abbiamo dentro, il Babadook, quella parte che possiamo negare, controllare, prendere a pugni e lasciarci sanguinante alle spalle, ma che è sempre lì. Possiamo identificarlo con il demonio, possiamo dargli un nome, anche un numero (666, per esempio), come fa Vanacura, ma la definizione non ci aiuterà a comprenderlo, tanto meno ad accettarlo. Ribes lo sa, Debbi lo impara. Anche voi potete provarci, ma non ci riuscirete comunque. Anzi, morirete provandoci. Come tuti. Voto: 9.5/10
Cominciamo con il numero 74 di Robot, rivista di fantascienza (la rivista?) trimestrale con cui avevo perso un po' il filo ma ho deciso di recuperare. In questo numero ci sono un paio di cose interessanti, come l'ultimo racconto di Ted Chiang, che propone una profonda riflessione sulla memoria e come sia influenzata dalle emozioni, sempre di ottimo livello anche se forse un po' di didascalico nella struttura; c'è poi il racconto di Stefano Paparozzi, esordiente totale che al primo colpo vince il Premio Robot, con quella che potremmo definire una storia di formazione intervallata da alcuni bizzarri episodi di sovrapposizione temporale: buon racconto che a mio avviso avrebbe potuto essere un po' asciugato, ma che riesce a coinvolgere nonostante i wall of text e la quasi totale assenza di dialoghi, il che non è poco. Più sottotono il romanzo breve di Mario Antonio Miglieruolo, autore storico della sf italiana che propone una variazione sul tema del derelitto in una società in rovina, trascinato a fare porcate qua e là senza un vero obiettivo: un tipo di storia che senza particolari spunti al di là delle volgarità e scene di sesso non dice molto. Saggi e interviste mediamente interessanti, ma niente di sorprendente.
Posso poi tirare un forte sospirone di sollievo commentando Livido di Francesco Verso. Vi spiego la situazione. Anni fa, ebbi l'ardire di scagliarmi contro le scelte del Premio Urania (in quello che fu il primo post "di risalto" di questo blog), e tra gli esempi citati per sostenere la mia tesi c'era E-Doll, appunto di Verso, che avevo reputato terribile. Ora, di recente Verso si è imbarcato nel progetto Future Fiction, visionario e innovativo, e ho avuto anche occasione di conoscerlo a Stranimondi, trovandolo come una persona competente, simpatica e umile. Chiaramente la mia opinione su E-Doll non cambia, ma mi sarebbe spiaciuto dover dire che anche Livido era una schifezza. Fortunatamente non è così, anzi: questo è proprio un bel romanzo. È uno di quei libri che si muove su filo del romanzo di formazione, pur non essendo una storia "per ragazzi", un genere che mi piacerebbe sperimentare. Ed è una storia tutt'altro che fredda, profondamente umana, vivida, piena di empatia. Il protagonista è Peter Pains, che conosciamo da ragazzino, quando insieme alla sua banda rovista nella spazzatura (ormai ascesa allo status di palta) in cerca di materiale da rivendere. Peter è segretamente innamorato di Alba (come lo si può essere a quell'età), che non è propriamente umana, poiché si tratta di una personalità caricata sul corpo di un androide (beh, ok, ginoide). Ma Alba finisce vittima proprio della banda di Peter, comandata da suo fratello, e viene fatta a pezzi. Da quel momento, l'obiettivo del ragazzo sarà quello di ritrovare Alba, pezzo per pezzo, rimetterla insieme e poter finalmente essere felice con lei. Nel corso del libro Peter cresce, matura, ma quell'amore irrazionale non lo abbandona mai, e anzi si ripresenta a tratti più forte di prima, quando la sua vita adulta non gli lascia altre prospettive. Un amore irrazionale, dicevo, ma d'altra parte come si possono stabilire i confini di razionalità di un sentimento del genere? Quello di Peter sconfina pericolosamente nell'ossessione, e lui stesso se ne rende conto, ma anche chi gli è vicino (suo fratello, i compagni di banda, la sua compagna) ha le proprie fissazioni, e il confronto con loro è inevitabile. Peter è un personaggio vero, e la sua battaglia è semplice e comprensibile, e si compie lentamente, cautamente, nel corso di una vita ordinaria, senza teatralità. Livido è anche un libro accessibile a chi non è avvezzo alla fantascienza, perché anche i concetti di nexumanità e singolarità che stanno alla base della storia si possono apprendere nel corso della lettura. Quindi, con un sospirone di sollievo, posso dire che questo è un gran bel libro. Voto: 8/10
Altra rivista, stavolta il primo volume da me acquistato di Parallàxis, il numero 3. I racconti contenuti spaziano da autori contemporanei come Desirina Boskovich e Alessandro Forlani, a classici come Franz Kafka e Giambattista Basile. Quello della Boskovich (americana mia coetanea) è un racconto weird su una scatola dai poteri indefinti e incontrollabili nelle mani di un bambino. Forlani invece presenta un racconto "alla Lovecraft" ambientato in Italia ai tempi del fascismo, con un'entità oscura e demoniaca che è una chiara metafora di minacce ben più terrene. In chiusura del volume c'è anche un saggio di Matthew M. Hollander sul ruolo dell'eroe e del sacrificio (personale o altrui), che parte dall'episodio di Isacco e arriva fino a controversi esperimenti recenti. Come ho già detto altrove, Parallàxis è una rivista di alto livello, curata esteriormente e nei contenuti, e poco per volta recupererò sicuramente gli altri numeri. Per questo sono molto soddisfatto di essere anch'io presente sul numero 4.
L'ultimo libro letto quest'anno è di Paolo Di Orazio. Vi ricordate questo nome? Io sì, maledizione. Lo ricordo bene perché quando ho letto L'incubatrice ne sono stato seriamente turbato. Era l'agosto di due anni fa, ma è come se fosse l'altra settimana, per quanto mi ha segnato. La mia sensibilità horror forse non è così sviluppata, ma se dovessi indicare un racconto che mi ha in qualche modo "spaventato", allora sarebbe quello. "Spavento" probabilmente non è il termine giusto, si tratta più di un sommovimento interiore, come se le parole che stavo leggendo fossero processate dai villi intestinali invece che dai neuroni. Debbi (la strana) mi ha fatto un effetto simile, in certe parti. Il romanzo si presenta come una storia caotica e lisergica la cui protagonista è Debbi, una prostituta per necessità ma forse anche per vocazione, capace di soddisfare qualunque perversione dei clienti, che racconta in prima persona ciò che le accade. Quando Debbi viene posseduta, la sua mente si scollega dal corpo e va a trovare il coniglietto Ribes, che le tiene compagnia con le sue conversazioni assurde fino alla fine dell'atto. Il percorso di Debbi si incrocia con quello di un omicida seriale, che violenta e tortura bambini in maniera atroce. Sulle tracce di questo criminale c'è un poliziotto in pensione, Vanacura, ossessionato dalla cabala e dal paranormale. Vanacura cerca di mettere insieme i pochi indizi disponibili mentre Debbi conosce le vittime degli omicidi nel suo mondo immaginario. Questo sostanzialmente è quello che avviene, "da fuori". Ma dall'interno della mente (di Debbi e dell'autore), le cose sono molto più complicate. È difficile descrivere e spiegare, perché la natura allucinatoria di molti capitoli non permette una trasposizione efficace, ma il livello di perversione raggiunta da alcune sequenze di questo libro è immenso. Il capitolo finale, in cui Vanacura trova le vittime, e forse anche l'omicida, è davvero agghiacciante (e lo sapete che io non spreco parole di questo tipo). Dico forse, perché in realtà alla fine non tutto è chiaro. Cioè, forse niente lo è. Non lo è per Debbi, non lo è per la sua psichiatra, non lo è per Vanacura, e non lo è mai stato per Ribes. Qualcosa è successo, qualcuno è morto, qualche essere mostruoso e forse innaturale si è manifestato, ma forse no. Ma stabilire la realtà di quanto è avvenuto non è importante, perché in azione ci sono forze che esistono a prescindere dalla loro esistenza. C'è il buio, quello che abbiamo dentro, il Babadook, quella parte che possiamo negare, controllare, prendere a pugni e lasciarci sanguinante alle spalle, ma che è sempre lì. Possiamo identificarlo con il demonio, possiamo dargli un nome, anche un numero (666, per esempio), come fa Vanacura, ma la definizione non ci aiuterà a comprenderlo, tanto meno ad accettarlo. Ribes lo sa, Debbi lo impara. Anche voi potete provarci, ma non ci riuscirete comunque. Anzi, morirete provandoci. Come tuti. Voto: 9.5/10
Published on January 17, 2016 00:37
January 11, 2016
DTS live @ Bookowski - Genova 31 gennaio
Era da tempo che aspettavo l'occasione, ma chiamiamola anche il pretesto, di tornare a Genova. Città che visito periodicamente ogni 2-3 anni e per cui provo un'insolita e ingiustificata affinità. E i bello di essere un scritore è che puoi andare in giro con una scusa, dicendo "mah, è per i libri".
E così, a fine mese, come potete anche leggere sul sito di Zona 42, torneremo a presentare Dimenticami Trovami Sognami, che nonostante abbia quasi raggiunto un anno di età ha ancora qualcosa da dire. La presentazione si svolgerà domenica 31 gennaio, ore 17, alla libreria Bookowski. Ecco la locandina:
A condurre e moderare ci sarà Alessandro Vietti, autore e blogger che potete conoscere anche nelle vesti di Grande Marziano.
Come accennavo sopra, oltre che per farsi una chiacchierata su DTS, sarà anche l'occasione per festeggiare un anno del libro, occasione per la quale abbiamo pensato a una gustosa promozione. E vabbè, certo, andrò anche all'Acquario, ché forse ci sono ancora i cuccioli di lamantino...
Per le news potete seguire la pagina facebook di Bookowski, e se siete in zona fareste bene a farci un giro ogni tanto.
E così, a fine mese, come potete anche leggere sul sito di Zona 42, torneremo a presentare Dimenticami Trovami Sognami, che nonostante abbia quasi raggiunto un anno di età ha ancora qualcosa da dire. La presentazione si svolgerà domenica 31 gennaio, ore 17, alla libreria Bookowski. Ecco la locandina:
A condurre e moderare ci sarà Alessandro Vietti, autore e blogger che potete conoscere anche nelle vesti di Grande Marziano.
Come accennavo sopra, oltre che per farsi una chiacchierata su DTS, sarà anche l'occasione per festeggiare un anno del libro, occasione per la quale abbiamo pensato a una gustosa promozione. E vabbè, certo, andrò anche all'Acquario, ché forse ci sono ancora i cuccioli di lamantino...
Per le news potete seguire la pagina facebook di Bookowski, e se siete in zona fareste bene a farci un giro ogni tanto.
Published on January 11, 2016 23:30
January 9, 2016
Coppi Night 03/01/2016 - Mad Max: Fury Road
Se c'è una cosa che non mi emoziona nei film sono gli inseguimenti e le acrobazione con veicoli di vario tipo. Che siano auto, moto, aerei, astronavi, biciclette, skateboard, le scene d'azione basate su velocità e propellente (benzina, materia oscura, calorie, o whatever) a manetta non mi stimolano più di tanto. Cioè, sì, subisco l'adrenalina dell'azione in sé, ma nessun bonus per il fatto che ci siano veicoli in movimento.
Fury Road ha cambiato tutto questo. Ne avevo sentito parlare bene, ma ero rimasto un po' scettico perché non credevo potesse essere esattamente un film adatto ai miei gusti. Di fatto, non lo è. Però, è davvero fenomenale. È un po' La grande bellezza dei film di inseguimenti (non so se c'è un nome specifico per questa categoria): forse non dice nulla di nuovo, anzi, forse non dice nulla proprio, ma è fatto così bene che ne rimani comunque catturato.
Ho visto il Mad Max con Mel Gibson ere fa, e francamente a parte il tono generale non ricordo molto. Mi sembra però di capire che a parte il contesto postapocalittico questo abbia poco a spartire con quei film. Non penso si possa considerare un sequel, e se il personaggio protagonista del film è lo stesso di Interceptor, credo allora che si possa parlare di una sorta di reboot. Ma in realtà non importa, perché il film si può godere benissimo senza nessun riferimento ai precedenti (se c'erano, me li sono persi, e mi è piaciuto comunque).
A proposito del protagonista, tecnicamente sarebbe il Max del titolo, interpretato da Tom Hardy, ma a me sembra che il ruolo centrale sia quello di Furiosa, una Charlize Theron che mette i brividi. E non ci dispiace affatto questa ambiguità, chissenefrega se i due si contendono la posizione centrale nella storia, che pure è piuttosto labile.
Il film si riduce tutto sommato a una serie di inseguimenti, scontri, combattimenti, imboscate, scazzottate, abbordaggi, esplosioni, trappole, e metteteci tutto quello che vi viene in mente, ce ne sarà sempre uno in più a cui non avevate pensato. È una continua corsa agli armamenti in cui ogni volta che sembra si sia raggiunto l'apice viene fuori qualcosa di più, ed è impossibile rilassarsi un attimo. In tutto questo, sorprendentemente, tutti i personaggi riescono ad assumere una loro pur minima complessità: dai due citati coprotagonisti al villain, dal ragazzetto convertito alle vergini sacrificali (non proprio vergini, ma vabbè), dai luogotenenti a Megan Gale (che è stata una sorpresa ritrovarmi davanti, era parecchio che non la vedevo, e vedere che si è mantenuta così in forma da quando faceva la pubblicità della Omnitel [all'epoca avevo 12-13 anni, if you know what i mean] mi ha fatto quasi piacere come rivedere un vecchio amico). Tutti loro, anche se hanno soltanto qualche minuto di schermo e poche battute, hanno una posizione chiara e si intuisce la loro backstory senza bisogno di una specifica esposizione.
L'estetica del film poi è qualcosa di eccezionale. Non parlo solo delle scenografie e della regia, ma anche di tutto il progetto che sta dietro ai veicoli, ai costumi, ai macchinari, le armi, anche le leve e i pulsanti. Si sente la presenza di un mondo, una lunga storia di cui sappiamo poco ma che ha portato all'evoluzione di tutta l'ambientazione così come la vediamo. Per questo mi pento di non aver colto l'occasione di vederlo al cinema, dove la spettacolarità era sicuramente ancora maggiore.
Ora capisco perché in molti hanno indicato Fury Road tra i migliori film del 2015. Mi duole ammetterlo, ma avevate ragione.
Fury Road ha cambiato tutto questo. Ne avevo sentito parlare bene, ma ero rimasto un po' scettico perché non credevo potesse essere esattamente un film adatto ai miei gusti. Di fatto, non lo è. Però, è davvero fenomenale. È un po' La grande bellezza dei film di inseguimenti (non so se c'è un nome specifico per questa categoria): forse non dice nulla di nuovo, anzi, forse non dice nulla proprio, ma è fatto così bene che ne rimani comunque catturato.Ho visto il Mad Max con Mel Gibson ere fa, e francamente a parte il tono generale non ricordo molto. Mi sembra però di capire che a parte il contesto postapocalittico questo abbia poco a spartire con quei film. Non penso si possa considerare un sequel, e se il personaggio protagonista del film è lo stesso di Interceptor, credo allora che si possa parlare di una sorta di reboot. Ma in realtà non importa, perché il film si può godere benissimo senza nessun riferimento ai precedenti (se c'erano, me li sono persi, e mi è piaciuto comunque).
A proposito del protagonista, tecnicamente sarebbe il Max del titolo, interpretato da Tom Hardy, ma a me sembra che il ruolo centrale sia quello di Furiosa, una Charlize Theron che mette i brividi. E non ci dispiace affatto questa ambiguità, chissenefrega se i due si contendono la posizione centrale nella storia, che pure è piuttosto labile.
Il film si riduce tutto sommato a una serie di inseguimenti, scontri, combattimenti, imboscate, scazzottate, abbordaggi, esplosioni, trappole, e metteteci tutto quello che vi viene in mente, ce ne sarà sempre uno in più a cui non avevate pensato. È una continua corsa agli armamenti in cui ogni volta che sembra si sia raggiunto l'apice viene fuori qualcosa di più, ed è impossibile rilassarsi un attimo. In tutto questo, sorprendentemente, tutti i personaggi riescono ad assumere una loro pur minima complessità: dai due citati coprotagonisti al villain, dal ragazzetto convertito alle vergini sacrificali (non proprio vergini, ma vabbè), dai luogotenenti a Megan Gale (che è stata una sorpresa ritrovarmi davanti, era parecchio che non la vedevo, e vedere che si è mantenuta così in forma da quando faceva la pubblicità della Omnitel [all'epoca avevo 12-13 anni, if you know what i mean] mi ha fatto quasi piacere come rivedere un vecchio amico). Tutti loro, anche se hanno soltanto qualche minuto di schermo e poche battute, hanno una posizione chiara e si intuisce la loro backstory senza bisogno di una specifica esposizione.
L'estetica del film poi è qualcosa di eccezionale. Non parlo solo delle scenografie e della regia, ma anche di tutto il progetto che sta dietro ai veicoli, ai costumi, ai macchinari, le armi, anche le leve e i pulsanti. Si sente la presenza di un mondo, una lunga storia di cui sappiamo poco ma che ha portato all'evoluzione di tutta l'ambientazione così come la vediamo. Per questo mi pento di non aver colto l'occasione di vederlo al cinema, dove la spettacolarità era sicuramente ancora maggiore.
Ora capisco perché in molti hanno indicato Fury Road tra i migliori film del 2015. Mi duole ammetterlo, ma avevate ragione.
Published on January 09, 2016 06:40
Unknown to Millions
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Libri, fantascienza, serie tv, Futurama, Doctor Who
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