Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 72

February 13, 2014

Weird Love

Pixel non ha ancora finito di distruggere la concezione di realtà dei miei lettori*, che rilancio con un nuovo e-book. In effetti non era in programma di rilasciarne due a così breve distanza, ma è stato proprio Pixel ad arrivare in ritardo, mentre per questa nuova raccolta siamo perfettamente nei tempi previsti.

Sì, perché oggi è il 14 febbraio, è San Valentino, è la festa degli innamorati, e poprio all'amore è dedicato Weird Love !


http://www.amazon.it/Weird-Love-Storie-amore-convenzionale-ebook/dp/B00IDEZV4A/ref=sr_1_5?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1392316904&sr=1-5
Il sottotitolo, Storie di amore non convenzionale , dovrebbe chiarire che cosa troverete all'interno: cinque racconti in cui l'"amore" è il tema principale, che vedono i protagonisti confrontarsi con questo sentimento declinato in forme atipiche, a volte perverse, e in ogni caso weird. Dei racconti qui contenuti, due sono del tutto inediti, mentre gli altri tre, anche se già comparsi in alcune raccolte, sono probabilmente difficili da recuperare attualmente, e ho pertanto deciso di riproporli.
Senza entrare nel merito delle singole storie, posso dire che ho cercato, in tutti i casi, di affrontare il tema in modo non banale, con prospettive e toni vari e spaziando tra generi: fantascienza, dark, urban fantasy, horror. Mi auguro quindi che nel complesso i racconti riescano a soddisfare tutte le tipologie di lettore. C'è in ogni racconto una componente cupa, malinconica, e mi dispiace dirvelo, ma se cercate il lieto fine non lo troverete qui.
Come nel caso di Quattro Apocalissi e Myhtolofiction , la copertina è stata realizzata da Simone Laurenzana, quindi va a lui il credito per l'immagine che ammicca al paranormal romance, lo so, e un po' è voluto, ché alla fine i soldi stanno lì, è risaputo.
Weird Love è disponibile su Amazon in formato .mobi. Attualmente non ho trovato un valido sistema di diffusione per gli epub (si accettano suggerimenti), ma se richiedete questo formato penso che potremmo trovare un compromesso. Peraltro, per incoraggiare i miei nuovi letttori*, in concomitanza con l'uscita di Weird Love ho deciso di mettere Pixel in offerta gratuita, solo per questo weekend, in modo che possiate tenervi occupati fino a lunedì con le mie storie (e mi riferisco soprattutto a voi single...). Sono occasioni che non capitano spesso, nella vita!
Ah, e tanti auguri a voi innamorati! Non so se augurarvi un amore come quello che racconto in queste storie, perché forse non è proprio quello che cercavate...





*Trattasi di un'etnia molto ristretta ed estremamente riservata, che alcuni antropologi ritengono essere più un mito che una vera popolazione
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Published on February 13, 2014 23:40

February 11, 2014

Rapporto letture - Gennaio 2014

Primo rapporto letture dell'anno! Iniziamo l'anno con quattro libri, che è di buon auspicio... e no, nessuno di questi deriva da un regalo di Natale, come mi ero raccomandato.

Più riguardo a Xeelee Il primo libro letto quest'anno in realtà non è un libro intero, ma solo la prima parte di un omnibus. Dal volume Xeelee: An Omnibus , ho letto il primo dei quattro romanzi, Raft . Della saga degli Xeelee di Stephen Baxter parlerò più ampiamente in seguito. Per ora basta sapere che è una complessa "storia futura", ma anche passata, una space opera grandiosa che abbraccia gran parte della storia dell'universo. Raft in particolare però è una storia a sé, che si svolge in un miniuniverso in cui un gruppo di umani è naufragato. La caratteristica di base di questo posto è che la gravità è di numerosi ordini di grandezza più forte di quella che conosciamo, al punto che anche un semplice corpo umano esercita attrazione gravitazionale. La storia segue Rees, un giovane minatore del nucleo ferroso di una stella che, incuriosito dal mondo che vede intorno a sé, si batte per cercare di capirlo meglio e cambiare qualcosa nel destino di questo ristretto gruppo di umani, costretto a una prematura estinzione man mano che l'universo si spegne con estrema rapidità. In un certo senso si tratta del classico romanzo di formazione, con il protagonista che attraversa diverse fasi, supera alcune crisi e infine trova la soluzione che lo riscatta agli occhi di chi lo considerava un traditore. Una storia semplice nella struttura, ma intensa nelle idee e nelle speculazioni scientifiche. Voto: 7.5/10

Secondo libro letto è un breve e-book di Davide Mana, collega blogger e autore self-publisher. Avevo acquistato Tyrannosaurus Tex, lo ammetto, solo per il titolo: l'idea di un western con i dinosauri, vista la mia passione per entrambi gli argomenti, mi ha catturato subito. E la breve storia (scritta in inglese) soddisfa in parte le aspettative, nel senso che la trama western è presente, ed è quella più classica che ci si possa aspettare (che non vuol dire "scontata": un western deve seguire un certo percorso). Purtroppo mi è mancato qualcosa di più incisivo riguardo la natura dinosauriana del villain della storia, il T-Tex del titolo. Insomma, se invece di un teropode fosse stato un umano (o anche un cane, per dire) in realtà non sarebbe cambiato molto. La storia si legge velocemente e piacevolmente, ma gli manca appunto quel guizzo che l'avrebbe resa una chicca. Voto: 6.5/10


Più riguardo a La morte è un'opzione accettabile Passo poi a un altro libro della Factory Editoriale, il terzo che ha accompagnato me e Valentina Morelli nell'esordio della casa editrice. Stavolta siamo nel campod el thriller, che non è forse il genere a me più congeniale. Gabriella Grieco racconta una storia di vendetta e/o giustizia, che inizia quando una donna prende in ostaggio tre agenti di polizia all'interno della loro sede, e li usa come merce di scambio per essere ascoltata. Non posso dire altro senza finire nello spoiler, ma La morte è un'opzione accetabile risulta a posteriori una storia avvincente, che riesce a catturare e far montare la voglia di proseguire, per scoprire cosa c'è sotto e come si svilupperà la trama. Per la verità mi è sembrato che la rivelazione delle motivazioni della donna arrivasse fin troppo presto, ma in effetti era forse appropriato svelare il mistero, visto che solo dopo aver scoperto le carte si poteva procedere. Mi sono trovato spiazzato qualche volta dai repentini cambi di pov della narrazione, ma la lettura è comunque gradevole e trascintante. Voto: 7/10


Più riguardo a Vacuum Diagrams E torno a parlare degli Xeelee di Stephen Baxter, perché iniziando il tomo di cui sopra ho scoperto che in realtà mi mancava una parte consistente della storia non inclusa nell'omnibus. Mi sono informato velocemente e ho scoperto che avrei ottenuto la parte mancante con il volume Vacuum Diagrams , una serie di una ventina di racconti che si svolgono lungo tutta la storia futura dell'umanità, a partire dall'epoca dell'espansione nel Sistema Solare, all'occupazione della Terra da parte di alcune specie aliene, dalla guerra contro gli Xeelee (la più antica, avanzata, potente e imperscrutabile specie intelligente dell'universo) al destino degli ultimi umani sopravvissuti al conflitto. I racconti sono tutti autonomi, anche se c'è una storia di fondo, un contesto che si dipana e abbraccia tutto l'ampissimo arco temporale (da 13 miliardi di anni fa a 10 milioni di anni nel futuro) che vede la vita barionica (specifico, perché c'è anche un altro tipo di vita...) muoversi freneticamente per comprendere gli Xeelee e i loro obiettivi. Ogni racconto ha un nucleo scientifico forte, che coinvolge quasi sempre un preciso principio matematico, legge fisica o argomento di speculazione. È una fantascienza davvero hard, ma non per questo fredda, anzi alcuni personaggi risultano molto intensi, anche per l'immensa portata delle azioni dei personagi in gioco. Alla fine se ne emerge con una prospettiva quasi rinnovata, si percepisce l'uomo come una specie determinata ma miope, grandiosa ma fragile, mentre gli Xeelee, che fin da quando entrano in gioco (in modo molto marginale, per la verità, visto che sono quasi irraggiungibili e totalmente disinteressati alle azioni altrui) appaiono come i principali antagonisti, alla fine dei conti si dimostrano previdenti e misericordiosi. Questi racconti costituiscono una delle migliori raccolte che abbia letto negli ultimi anni, e insieme alle storie dell'omnibus offrono una storia grandiosa e stimolante. Voto: 9/10
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Published on February 11, 2014 00:00

February 8, 2014

Coppi Night 02/02/2014 - American Hustle

Dicono che ultimamente stanno uscendo parecchi bei film, in cui note star di Hollywood riescono a essere convincenti in ruoli piuttosto complessi, che li portano a interpretare personaggi insoliti e renderli quasi irriconoscibili. È il caso di The Wolf of Wall Street, e di Dallas Buyers Club, e a quanto pare anche di questo American Hustle. Qui i nomi in gioco sono Christian Bale (di cui nessuno ha mai messo in dubbio le capacità, vedi The Machinist o The Prestige ), Bradley Cooper, che per una volta smette i panni del farfallone e fa qualcosa di serio, Amy Adams e pure Robert De Niro, il quale ormai ci ha abituati a questi cameo di quattro minuti nei film in cui c'è bisogno di un gangster usa e getta.
La storia del film è una variante del tipico tema della grande truffa, con i protagonisti che cercano di incastrare qualcuno che a sua volta cerca di incastrare loro, con in palio un bel malloppo di dollaroni. Cooper è un agente federale che dopo aver incastrato la coppia di truffatori li ricatta affinché mettano in scena per lui una nuova truffa che gli consenta di mettere le mani su certi "pesci grossi", come il rispettatissimo sindaco della città. Il piano procede nonostante il gruppo si sfaldi, con Bale che stringe una sincera amicizia col sindaco, la coppia di truffatori che si separa, la Adams che finisce tra le braccia di Cooper, e De Niro che sa parlare l'arabo. Niente di estremamente originale, ma nella buona parte dei casi questo tipo di storie è sempre brillante, ritmato e avvincente, e ci si aspetta sempre qualche plot twist da un momento all'altro. In effetti questo arriva anche in American Hustle, ma il problema è che nel mezzo ci sono fin troppe divagazione sulle relazioni interpersonali dei personaggi: Bale e sua moglie, Bale e Adams, Cooper e Adams, Cooper e il suo capo, Bale e il sindaco, il sindaco e De Niro, De Niro e Cooper e Bradley, la moglie di Bale e l'amico del sindaco... ci si perde quasi nell'intreccio di amanti, amici, tradimenti, sfuriate, minacce. E così quando si arriva alla fine quasi ci si era dimenticati che c'era un piano a lungo termine che i protagonisti stavano seguendo, e si rimane confusi e spiazzati. Anche perché la soluzione, alla fine, è forse anche troppo banale, un trucco che abbiamo visto un centinaio di volte in Lupin.
Quindi, pur non potendo dire che sia un film mal realizzato, mi resta comunque qualche dubbio sulla validità della storia nel suo complesso. Per questo nonostante le eccellenti interpretazioni (Bale su tutti, ma anche Cooper), tirando le somme mi è sembrato un film volutamente "gonfiato", con una serie quasi interminabile di sequenze di poco conto nell'economia della trama. Riducendo tutte queste, si rimane con una storia di venti minuti, ma a quel punto, come dicevo, tanto vale guardarsi una puntata di Lupin.
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Published on February 08, 2014 09:33

February 6, 2014

Lost in Lost #15 - Ep. 3x21-3x23

Nelle precedenti occasioni ho dedicato un post al solo finale di stagione, ma per la terza stagione ritengo appropriato accorpare il doppio episodio finale Through the Looking Glass con quello precedente, Greatest Hits, incentrato su Charlie. Questo perché mi pare che l'escalation di eventi che porta all'epica conclusione di questa stagione inizia già da qui, con l'avviso dell'imminente attacco degli Altri, la partenza del gruppo per la torre radio, il piano per l'imboscata agli invasori, l'immersione verso la stazione Specchio per disattivare il jamming delle trasmissioni.
La trama di questi tre episodi (uno regolare + il doppio finale) si riassume seguendo i diversi gruppi in cui si sono divisi i naufraghi: Charlie e Desmond nella stazione subacquea, il gruppo principale verso la torre radio (dove incontra Ben), i tre cecchini rimasti alla spiaggia, Juliet e Sawyer (che qui per la prima volta collaborano) che si separano dal gruppo per tornare indietro. La catena di eventi sull'isola è frenetica e inscindibile, e nonostante siano separati i diversi contingenti confluiscono tutti verso un unico risultato finale: la chiamata verso la nave di Noemi, e la promessa di essere prelevati. In tutto questo trovano spazio numerosi dettagli che hanno reso questo finale di stagione indimenticabile, e coinvolgente sia dal punto di vista dell'azione che emotivo.
Per molti spettatori, la terza stagione è stata la migliore di tutta la serie, e questo finale ne è stato efficacemente il culmine. In effetti bisogna ammettere che la fine di Through the Looking Glass ha la facoltà di cambiare completamente le regole in gioco, non soltanto a livello di trama, ma anche sul piano metanarrativo, con la prima apparizione di un flashforward, capace di rinnovare interamente l'equilibrio della serie. Molto spesso infatti nelle recensioni precedenti, già a partire dalla metà della seconda stagione, ho lamentato che i flashback dei personaggi apparivano piuttosto vacui. L'inconveniente veniva via via risolto con l'introduzione di nuovi personaggi, e quindi con storie fresche da raccontare, ma continuava a presentarsi ed era via via più irritante. È possibile che anche la produzione avesse notato l'insofferenza degli spettatori, e nel tentativo di risollevare la serie prima che precipitasse, sono ricorsi all'introduzione del flashforward, che dà tutta una nuova prospettiva alla narrazione.
Venendo all'analisi degli episodi operata dalla mia cavia, la top 5 dei momenti migliori della vita di Charlie è risultata leggermente stucchevole, ma nell'ambito di una preparazione alla sua imminente morte si può sopportare. Il sacrificio stesso di Charlie è sembrato non del tutto necessario, visto che avrebbe potuto agevolmente uscire dalla stanza e chiudere la porta dall'esterno... ma questo non toglie nulla all'intensità del momento (probabilmente, a posteriori, uno dei migliori di tutto Lost). Abbastanza prevedibili, a suo dire, l'esito della battaglia contro gli Altri alla spiaggia, ed era possibile anche intuire il maggiore twist dell'ultima puntata, ovvero la natura di flashforward delle scene di Jack suicida-depressivo. Meno facile da capire il senso di quel "We have to go back!" che è rimasto nella storia della tv. E quasi comica la comparsa di Walt parecchio cresciuto rispetto a come si ricordava...
Forse a questo punto è ancora più difficile riuscire a intuire come si svilupperà la quarta stagione. Sappiamo per certo che i naufraghi hanno lasciato l'isola, ma lo hanno fatto davvero tramite la nave di Noemi, nonostante grazie a Charlie sappiamo che non si tratta di chi dicono di essere? Gli avvertimenti minacciosi di Ben sono solo un altro tentativo di manipolazione? E in questo caso, perché Jack dovrebbe voler "tornare indietro"? È chiaro che nella quarta stagione avremo un confronto con l'equipaggio della nave, lo sbarco di qualcun altro e possibilmente il salvataggio. Forse una guerra tra questi nuovi intrusi e gli Altri, in cui i naufraghi dell'815 dovranno decidere da che parte schierarsi? Sarà interessante vedere cosa succederà quando Desmond riporterà il messaggio di Charlie, e la speranza di essere salvati vacillerà di nuovo... ma poi, a pensarci bene, i protagonisti vogliono davvero essere "salvati"?
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Published on February 06, 2014 23:50

February 3, 2014

Riepilogo pubblicazioni 2013



Ok, questa cosa piace meno a me che a voi, ma è doveroso. Come a inizio 2013 ho buttato giù una lista delle pubblicazioni dell'anno precedente, anche quest'anno mi pare il caso di fare lo stesso. Perché lo so che siete pigri, e che nella pagina dedicata proprio alle pubblicazioni non ci andate se proprio non ve lo dico io.
E allora proviamo così, citando in ordine retrocronologico tutte le mie comparizioni in qualunque forma di pubblicazione:


Il magazzino dei mondi 2 (Delos Books) con il racconto Spam Galaxies 26 (rivista francese di fantascienza ) con il racconto La Recrue, traduzione di La reclutaN.A.S.F. 9 (Nuovi Autori) con il racconto Il guardiano del faro 365 Racconti di Natale (Delos Books) con il racconto Natale nella Nube di OortSpore (I Sognatori Factory Editoriale) con nove racconti alcuni dei quali ineditiPerché nulla vada perduto e altri racconti (Wild Boar) con il racconto La conquista/Pace e morteMytholofiction (ebook autoprodotto) con sei raccontiSteampunk vs Dieselpunk (ST Books) con il racconto Piombo contro acciaio a Elderberry Field Il segreto dell'universo (Edizioni Scudo) con il racconto La staffetta Skan Magazine nn. 7-17, con la rubrica "Being Piscu" che ospita ogni mese un mio racconto
La lista forse non è molto corposa, ma contiene un paio di titoli notevli, primo tra tutti Spore, la mia prima raccolta personale, un altro piazzamento nell'ambito del Trofeo RiLL, il mio secondo ebook... insomma, a posteriori posso ritenermi soddisfatto del lavoro svolto nell'anno 2013.
Anche perché, dei tre obiettivi che mi ero fissato proprio in quel post analogo di inizio anno, ne ho soddisfatti due: mi sono dedicato ancora agli ebook e sono riuscito a scrivere Retcon. Che poi questa storia veda mai la luce è un altro discorso, ma intanto il romanzo esiste. Ho mancato l'obiettivo di tradurre in inglese qualche mio lavoro, e francamente non so se nel corso del 2014 ci vorrà ancora provare, perché attualmente voglio concentrare le risorse in altre direzioni.
Quali sono quindi gli obiettivi di scrittura per il 2014? Due credo di poterli fissare: voglio pubblicare altri ebook (e uno è già uscito a inizio anno) e tentare di scrivere un altro romanzo, che forse potrebbe essere l'estensione di Sinfonia per theremin e merli o forse qualcosa di diverso. Inoltre ho deciso di approcciarmi in modo diverso a concorsi e selezioni: sarò molto più choosy, e da quest'anno lascerò perdere i concorsi che hanno come unico premio per i finalisti la pubblicazione in una raccolta con X racconti di X autori. Questo perché, obiettivamente, dopo alcuni anni di carriera e un buon numero di pubblicazioni sulle spalle, non credo di aver niente da guadagnare in "visibilità" da un'ennesima raccolta di questo tipo. Non si tratta di un problema di presunzione, ma di razionalizzazione delle risorse. Mi focalizzerò quindi su concorsi che prevedano premi più concreti ($€£!!!) o pubblicazioni di maggior prestigio, e lascerò perdere tutta quella fiumana di concorsini che nascono e muoiono nel giro di qualche mese. Il che non vuol dire che non parteciperò anche a progetti più "amatoriali", perché ci sono alcuni a cui sono affezionato, come N.A.S.F. e Skan Magazine. Ma dubito che mi troverete ancora nelle varie "365 racconti" e similari. 

Detto questo, spero che continuerete a seguirmi se già lo facevate, che inizierete a seguirmi se ancora non eravate dei miei, o che facciate indigestione di prugne se non vi interessa niente delle mie attività letterarie.
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Published on February 03, 2014 23:30

February 2, 2014

Massimo Lopez, e la considerazione del doppiaggio in Italia

Ammetto che questo mio post potrà sembrare superficiale, qualunquista, scritto senza una reale comprensione dei meccanismi che regolano il settore di cui sto per parlare. Lo premetto fin da subito, e accetterò con umiltà chiarimenti e segnalazioni. Tuttavia quello che vado a illustrare è anche il punto di vista che rimane a un "fruitore finale", quindi qualcosa di vero c'è comunque, se la regola del cliente che ha sempre ragione vale sempre.
Questa riflessione scaturisce da due fattori principali. Uno è la notizia (già vecchia di qualche mese) che dopo la morte di Tonino Accolla, storica voce italiana di Homer Simpson (e di Jim Carrey ed Eddie Murphy, per esempio), al suo posto è stato presso Massimo Lopez, che ha convinto la produzione con queste sue interpretazioni:

Il secondo fattore, che è poi il vero casus belli, è che ieri sera sono andato a vedere al cinema Dragonball Z: Battle of Gods . Non è questa la sede per parlare del film in sé*, e delle ragioni che mi hanno portato a spendere 8,50 € per vederlo. Il fatto è che, andando dopo tanti anni a vedere una nuova storia di uno dei cartoni (sì, vabbene, anime) con cui sono cresciuto, mi aspettavo di reimmergermi nella stessa atmosfera, ritrovando personaggi e situazioni familiari. Per questo mi sono sentito un po' spaesato, e parecchio deluso, quando ho sentito le voci dei protagonisti: tutte diverse. Tutte.
Chiarisco innanzitutto che la mia non è una critita al lavoro dei doppiatori in sé*, quanto piuttosto al sistema con cui il doppiaggio viene gestito. Capisco che esistano esigenze di produzione e circostanze di forza maggiore per le quali non è sempre possibile portare gli stessi doppiatori a dare la voce agli stessi personaggi. Il caso di Tonino Accolla ne è l'esempio principale: è ovvio che qualcun altro deve poter dare la voce ad Homer Simpson anche adesso. Ma possibile che la distribuzione italiana non riesca a trovar il modo di mantenere fedeli le voci e gli adattamenti dei dialoghi?
Il problema infatti non si presenta solo nelle voci, ma anche nelle traduzioni e nel modo in cui parole e nomi sono trasposti. In questo Battle of Gods, il nome Saiyan di Goku è "Kakarot" invece del "Kaarot" che fin dall'inizio di Dragonball Z era stato usato dagli altri Saiyan. Lo stesso vale per altri personaggi (Piccolo, che abbiamo sempre conosciuto come Junior), e anche per alcune singola parole: "Saiyan" viene pronunciato "Sàian", invece del "Saiàn" che era sempre stato proposto al pubblico.
Faccio degli altri esempi nell'ambito di Futurama , che conosco molto meglio, ma nel quale si verificano episodi simili. A parte il cambio delle voci di alcuni personaggi anche principali (come il Professore) a partire dalla stagione 6, ci sono altri personaggi il cui nome italiano varia da un episodio all'altro: è l'esempio di Lrrr, che in episodi successivi viene chiamato anche Goffredo (wtf!?). Senza considerare che Turanga Leela a volte viene chiamata Sora Leela... forse con l'intento di montare una gag citando Sora Lella?
C'è anche un'altra questione: se anche si rende necessario cambiare doppiatore, perché questo dovrebbe significare cambiare anche la voce del personaggio? Possibile che i doppiatori non siano in grado di riprodurre una voce diversa dalla loro? In fondo è il loro mestiere, entro certi limiti qualunque professionista dovrebbe riuscire a riprodurre la voce storica di Homer Simpson. Sempre citando Futurama, che mi è più familiare, nel commento audio di un qualche episodio, a cui spesso partecipano diversi dei doppiatori, tre di questi hanno proposto un gioco agli spettatori: tutti e tre avrebbero parlato con la voce di Zoidberg, e gli ascoltatori avrebbero dovuto capire chi era l'originale (che sarebbe Billy West, che fa le voci di Fry, Prof, Zoidberg, Brannigan...). Le tre voci che si sentono, in effetti, sono perfettamente identiche, ed è impossibile distinguerle. Perché questa stessa capacità non è richiesta ai doppiatori in Italia? Perché Lopez è stato scritturato nonostante la sua voce sia una parodia alquanto irritante di quella di Accolla?
Il discorso, in ultima analisi, si risolve con un'unica constatazione: la distribuzione italiana non si cura di questi particolari. Per chi cura la produzione e l'adattamento delle versioni straniere, non è importante che la voce sia diversa o meno. Non fa differenza, secondo loro, che Goku cambi nome e non abbia più la voce che lo caratterizza, non conta che, per un prodotto di animazione, buona parte della caratterizzazione del personaggio sta proprio nella voce e nelle espressioni vocali con cui si esprime. Forse alla radice di tutto c'è il discorso "è solo un cartone", ma al di là di questo, si tratta di una fatale mancanza di rispetto nei confronti degli spettatori. E anche di buon senso: perché io non riesco a credere che tra tutte le persone coinvolte nel doppiaggio di Battle of Gods non ce ne fosse una-dico-una che sapesse che Goku si è sempre chiamato Kaarot e i Saiyan sono "Saiàn", non "Sàian". Con che criterio queste parole sono state cambiate, dissipando tutto quel senso di nostalgia che è il movente principale che ha portato la gente a vedere questo film?
Purtroppo il punto di arrivo è sempre quello, ed è triste imbattersi così di frequente in questi esempi di cenciate in faccia allo spettatore, che, teoricamente, dovrebbe sempre avere ragione.




*Fa cagare, nda.**Tranne quello di Goten, probabilmente il nipote del direttore del doppiaggio che ha imparato a leggere da poco
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Published on February 02, 2014 02:48

January 30, 2014

Coppi Night 26/01/2014 - Confessioni di una mente pericolosa

E gira e rigira sono riuscito a far vedere al Coppi Club un altro film scritto da Charlie Kaufman! Di questo autore ho già parlato altre volte, e nel corso degli anni (anche prima della documentazione su questo blog), sono riuscito a far proiettare la domenica sera quasi tutti i suoi film: Human Nature , Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee... gli unici che mi mancano sono Eternal Sunshine of the Spotless Mind (che forse non propongo perché ho visto troppe-troppe-troppe volte) e Synecdoche, New York , che non è mai stato doppiato in italiano. Confessioni di una mente pericolosa è per certi versi un film anomalo, perché si tratta di una biografia romanzata di Chuck Barris, storico autore televisivo americano, ed è trallaltro il primo film diretto da George Clooney. Si potrebbe pensare che questi elementi combinati producano un film mediocre, invece bisogna ricredersi.
Le ragioni per cui il film risulta comunque di buon livello sono principalmente due: l'eccezionale interpretazione di Sam Rockwell (attore a mio parere estremamente sottovalutato) nel ruolo di protagonista, e l'approccio scelto per narrare la storia. Infatti, la vita professionale e personale di Barris non sono meramente riferite in quanto "personaggio pubblico", ma riusciamo a conoscerlo in quanto persona. Non è facile, per un film biografico riuscire a essere appasionante, quando il protagonista non è noto al pubblico (perché in Italia ovviamente non lo conosce nessuno, anche se è l'inventore del format del programma "La Corrida" [no, non l'ha inventata Corrado...]). Capita infatti di vedere film dedicati a personaggi "locali" che sono in sostanza la cronaca delle loro imprese, e per chi non ha seguito la loro carriera il tutto risulta piuttosto vuoto. Questo film invece non è così: il fatto che il protagonista sia Chuck Barris, piuttosto che un qualunque altro giovanotto con idee strampalate, non incide sulla storia (se non in senso positivo per chi già lo conosce), perché quello che viene mostrato è un percorso perfettamente comprensibile per lo spettatore.
Ad arricchire la storia c'è poi la presunta doppia vita di Barris, che si dice essere stato anche un agente della CIA, così il film si colloca a metà tra biografia e spy story, e i due filoni si alternano, con Rockwell che manifesta la sua istrioneria in entrambi. Alla fine ci si trova ad aver visto un film di difficile collocazione, ma assolutamente interessante, imprevedibile, e a suo modo istruttivo. Tocca quindi ammettere che George Clooney non se la cava male alla regia... o forse anche qui dipende dal tocco di Kaufman?
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Published on January 30, 2014 23:50

January 29, 2014

Ultimi acquisti - Dicembre 2013 (parte 3)

Terza e ultima parte del resoconto degli acquisti musicali effettuati a dicembre. Dopo gli album e le raccolte, passiamo alle compilation vere e proprie.

La prima è City Sound Berlin 2013 , la quarta raccolta di una serie annuale che propone in un doppio cd i pezzi più significativa del BerMuDa (Berlin Music Days). Si tratta di techno o electro sempre di buon livello, e infatti in questo caso troviamo nomi come Fritz Kalkbrenner, Oliver Koletzki, Ruede Hagelstein, Ellen Allien, Daniel Stefanik, Pan-Pot, e in pratica tutti gli autori coinvolti, con i loro pezzi o remix. Da notare anche la presenza della traccia It's Only di Herbert, nel remix di Dj Koze, che è considerata da alcuni il miglior pezzo techno di tutto il 2013.


La Get Physical è un'etichetta che si distingue da tempo nell'ambito tech-house (e ha in catalogo artisti del calibro di Booka Shade e Damian Lazarus), e ha da poco compiuto dieci anni. Per festeggiare ha rilasciato un doppio cd, con due set mixati da M.A.N.D.Y. e Dj T . In Ten Years Get Physical si trovano quindi pezzi passati e presenti di Catz'n'Dogz, Raz Ohara, Adultnaper, Siopis, Chelonis R. Jones. Il sound è piacevolmente house, e riesce a definire i confini dell'etichetta che spazia in un genere leggero e quasi sempre arricchito di lyrics. Se c'è da muovere un appunto è il fatto che i passaggi da un pezzo all'altro sono spesso fin troppo repentini, e il piacere del mix è meno marcato di come ci si aspetterebbe da due professionisti di questo livello.

Ma la Get Physical di solito si produce con un'altra serie di compilation, Body Language , arrivata ora al volume 13. In questo caso a compilare e mixare sono Azari & III, e a differenza da come siamo abituati lo fanno proprio con la "&" in mezzo: la prima metà del cd è mixata da Dinamo Azari, la seconda da Alixander III. Ci si trova così con un regolare cd di 80 minuti che contiene 29 tracce, alcune delle quali durano infatti un minuto o poco più. Bisogna senz'altro riconoscere l'abilità di riuscire a mixare le tracce in un tempo così ristretto. L'operazione risulta quindi interessante e innovativa rispetto ad altri cd della stessa serie, e va notato anche l'inclusione di alcuni pezzi non propriamente nuovi, come quelli di Planetary Assault Systems e Plastikman. Nel complesso però funziona tutto, e Body Langage si conferma un ottimo punto di riferimento per il genere techno/house.

Concludiamo la carrellata con un classico: The Sound of the 14th Season è la quattordicesima compilation selezionata e mixata da Sven Vath con tutte le migliori tracce emerse dalla stagione estiva. Il 2013 di Sven è un anno incentrato sulla techno più pura, come si ricava dai pezzi scelti di Villalobos, Daniel Stefanik, Matt John, Roman Fluge, Waff, Len Faki & Johannes Heil. Diverse tracce sono tratte direttamente dalla raccolta Cocoon 100 (e non ci si deve sorprendere) e dalla Cocoon Compilation M, come avviene ogni anno. Come sempre selezione ottima, valida come riepilogo dell'annata appena trascorsa.
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Published on January 29, 2014 01:00

January 27, 2014

Scheda video al forno: the oven trick

Sabato pomeriggio, proprio quando mi accingevo a mettermi al lavoro su blog e vari altri progetti che di solito aspetto il weekend per poter esaminare, la tragedia: il pc non si accende più. O meglio, il processore entra in funzione, le ventole girano e le lucine sulla tastiera si accendono, ma il monitor rimane oscurato, coperto di colori diafani e con una banda completamente nera al centro.
Tralascio qui la parte delle bestemmie indirizzate alle divinità maggiori del pantheon giudaico-cristiano, e riferisco quali tentativi ho fatto per cercare di identificare il problema, con il più classico procedimento trial and error: spegni e riaccendi; spegni, aspetta, e riaccendi; premi tasti a caso; cerca di entrare nel bios premendo la combinazione di tasti (che non conoscevo) all'avvio; fai avviare il sistema dal disco di ripristino; collega il pc a una tv tramite cavo hdmi. Nessuno di questi ha dato un esito di alcun tipo, tuttavia la dinamica del problema mi portava a credere che si trattasse di un malfunzionamento del monitor lcd o della scheda video. Escludevo danni al processore o fail del sistema operativo, un po' perché altrimenti avrei dovuto avere qualche esito dai test fatti prima, un po' anche perché generalmente mantengo il sistema abbastanza pulito.
Appena ho avuto l'occasione di accedere a un altro computer, ho fatto una ricerca. A quanto pare il mio modello di laptop (Acer Aspire 5920G) monta una scheda video riconosciuta come difettosa. L'intera produzione ha saldature instabili che con il tempo possono far perdere i contatti tra le componenti della scheda. È quindi un difetto abbastanza comune (e anzi avrebbe dovuto manifestarsi molto prima), e per risolvero basta fare un reflow della scheda video.
Ovvero, mettere la scheda video in forno.
Sulle prime quando l'ho letto non ci credevo. O meglio, mi è parsa una di quelle tante mistificazioni del mondo geek che richiedono in realtà una competenza approfondita e una cura estrema per ogni particolare, come il procedimento per trasformare un cuscino in un telecomando o usare i rotoli della carta igienica come amplificatori. Cose che sì, si possono fare, ma che per un bischero qualsiasi (quale sono io) significano solo danni assicurati. Tuttavia, il problema descritto era proprio il mio, e se la scheda video era già danneggiata non avevo niente da perdere a provarci. Così ho aperto il pc, ho estratto la scheda video, e l'ho cotta per 10 minuti in forno a 200 gradi, come si vede qui (ignorate gli errori ortografici...):


Ho rimontato il tutto e, anche se non ci avevo mai creduto, adesso funziona tutto normalmente.

La cosa mi ha impressionato molto. Sono uno che ha una moderata manualità anche con le componenti hardware di un pc (non saprei montarne uno alla cieca, ma so installare una bacchetta di ram, per capirsi), e non mi spaventa sporcarmi le mani in questo senso. Ma constatare come un oggetto la cui meccanica è così complessa può essere trattato con semplici strumenti casalinghi è in un certo modo confortante.
Confortante perché, al di là dei soldi risparmiati (per la consulenza di uno "specialista", o l'acquisto di una nuova scheda, o addirittura di un nuovo computer), la percezione di avere a che fare con macchine "fisiche", che vengono influenzate dai normali processi quotidiani, aiuta a sentirsi più padroni del mondo che ci circonda. Perché a pensarci, i computer (o i cellulari, i tablet, gli smartpone) hanno un'aura quasi mistica che li avvolge, che porta a pensare che, una volta guastati, sia impossibile metterci le mani e ripararli. Mentre ad esempio su un'automobile, per quanto anch'essa complessa, si può sempre intervenire identificando e sostituendo un singolo pezzo, è raro che un laptop venga aggiustato. "Ti conviene ricomprarlo nuovo", ti dicono.
Ma in realtà non è sempre così. Le macchine che costruiamo sono sempre delle macchine, e per definizione possiamo controllarle. A volte può bastare un calcio ben assestato per farle funzionare (come mi succedeva con la lavatrice), altre volte invece, un forno.
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Published on January 27, 2014 06:21

January 23, 2014

Coppi Night 19/01/2014 - La grande bellezza

E così alla fine ci sono cascato anch'io. Lo dico come se fosse una sconfitta per me, e lo è nel senso che in altre circostanze non avrei mai rivolto attenzione a un film di questo genere. Ma visto che se ne sta parlando tanto, per il fatto di aver vinto un premio internazionale ed essere candidato ad altri, alla fine ho pensato che sì, potevo concedere due ore del mio tempo a Sorrentino.
Dico che non avrei guardato il film in altre circostanze perché in effetti il cinema italiano non rientra nelle mie preferenze. Sarà un mio pregiudizio, ma ritengo che essenzialmente la produzione di film italiana si divida in due parti: le commedie e i film "d'autore". Entrambe le tipologie mi lasciano abbastanza indifferente, anzi, insofferente, e se un filmetto leggero ogni tanto mi capita di vederlo (diversi si possono trovare nello storico del Coppi Club), quei film pretenziosi, intesi a lanciare un forte messaggio sociale, cerco proprio di evitarli, perché mi irritano, con la loro aspirazione a essere "arte" pur senza avere nulla da dire.
Con queste terribili premesse, è sorprendente se arrivo a dire che La grande bellezza è un bel film... anche se questo non implica necessariamente che mi sia piaciuto. Si tratta di due cose distinte: ne riconosco il valore come opera, ma non sono sicuro di essere riuscito ad apprezzarla. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio.
Da un punto di vista tecnico il film è impeccabile. Ogni inquadratura, ogni immagine, ogni stacco sono perfetti. La luce è usata con grande abilità, così come la musica* e perfino i suoni ambientali. Anche se non mi intendo né di fotografia né di regia, la cura con cui il film è stato realizzato è evidente ed encomiabile. In questo senso non si può contestare niente a Sorrentino e alla sua equipe. Anche le interpretazioni degli attori sono di buon livello, a partire dal protagonista, passando per Carlo Verdone (nel suo ruolo tipico di impresario apprensivo schiavizzato da una bella e algida attrice) e tutti gli altri comprimari che fanno in genere una buona impressione.
I miei dubbi sono più a livello di contenuto. Il problema è che alla domanda "Di che cosa parla questo film?" non saprei cosa rispondere. E non è solo un problema di trama, mi rendo conto che la frammentazione della storia, e l'assenza di un preciso percorso di eventi, è voluta (non lo approvo, ma lo riconosco), ma anche di sensazioni. Il punto è che questo film, in ultima analisi, mi sembra dire tutto e niente. Per ogni tesi portata avanti in una scena, c'è un'antitesi in quella dopo; per ogni "significato" che pare emergere dalle sequenze o dai dialoghi, ci sono altri particolari che lo contraddicono; ogni tema di fondo viene in qualche modo svuotato del suo significato. Faccio degli esempi: in una delle prime scene il protagonista intervista una supposta artista squalificando completamente la sua performance e le sue capacità, ma in seguito scopriamo che lui stesso è uno scrittore famoso per un unico libro che lui stesso definisce un romanzo vuoto e inutile; in una scena una donna che si proclama un'attivista impegnata socialmente, politicamente e familiarmente viene sbugiardata sempre da lui, ma più avanti i due si ritrovano e ballano insieme; la santa in visita a Roma, mostrata come un virtuoso esempio di povertà e umiltà, viene poi usata per fare le selfie con i delegati che l'hanno accolta; il vedovo dell'amore adolescenziale dello scrittore, distrutto dalla perdita della moglie, ma che poi si scopre avere già un'altra compagna. E ci sono anche altri particolari, non interni al film ma metatestuali, come la critica alla vita mondana e alla pochezza dei suoi personaggi, salvo poi scritturare Sabrina Ferilli per uno dei ruoli principali (perché non mi verrete a dire che è una brava attrice, dai); o ancora l'evocazione di grandi quesiti morali e poi l'inserimento di alcune scene al limite della commedia. Quasi ogni elemento del film subisce questo tipo di contrasto, pertanto la cosa non può essere casuale. Si può anzi pensare che proprio questo sia il vero tema di fondo, l'assenza di un qualunque sistema di riferimento, o di valore a cui aggrapparsi. Ma, ecco... non è troppo comodo? Un film il cui messaggio finale è che nulla significa nulla, non lascia fin troppo all'interpretazione dello spettatore, al punto da non potersi considerare un'opera comlpeta?
Ecco perché non posso dire che La grande bellezza mi sia piaciuto. Non mi ha lasciato insensibile, questo no, anzi riconosco che alcune sequenze sono davvero intense. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di un coinvolgimento dovuto più all'equilibrio pressoché perfetto di immagini, suoni e parole. Si tratta di un film bello, ma anche di un film furbo, che forse punta proprio a non dire niente in modo troppo evidente, in modo che ognuno possa trarne quello che preferisce. O forse, semplicemente, sono io che non l'ho capito, vai a sapere. Sia come sia, sono contento che sia questo il film che attualmente ci rappresenta nel mondo, perché quando la qualità c'è, è un piacere che venga riconosciuta. E una volta ogni tanto tocca anche a noi, fortunatamente.



*È stata una sorpresa sentire in sottofondo, nella scena in cui viene presentata per la prima volta la Ferilli, Take My Breath Away di Gui Boratto!
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Published on January 23, 2014 23:30

Unknown to Millions

Andrea Viscusi
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