Roberto Saviano's Blog, page 12

November 27, 2015

La marijuana illegale è quella che fa più male


La marijuana illegale è anche la marijuana che fa più male. Perché è tagliata, dopata, alterata con sostanze che nessuno mai vorrebbe ingerire. Polvere di vetro, acido delle batterie.


Questo serve alle organizzazioni criminali a guadagnare di più, perché gonfia le sostanze da spacciare e talvolta crea maggiore dipendenza.


Le politiche repressive hanno fallito. È ora che questo governo affronti un dibattito serio, per avviare una strategia della legalizzazione che sia soprattutto una strategia contro la criminalità.


 




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Published on November 27, 2015 05:35

November 25, 2015

DROGA E RICICLAGGIO SOSTENGONO DAESH

captagon_pills_1_615x340Il “New York Times” di fronte alle questioni più imperative apre la Room for Debate dove chiede il parere di esperti su argomenti di attualità. La scorsa settimana mi è stato chiesto di rispondere a questa domanda: È possibile minare l’Is attaccando il suo segmento economico? Sembra una domanda lineare, eppure la risposta non lo è affatto.


Prima di tutto bisognerebbe individuare il segmento economico da colpire, quello che realmente potrebbe portare a un indebolimento dell’organizzazione. Poi bisognerebbe comprendere l’inutilità degli attacchi aerei contro Daesh in Siria se, come accade, i canali attraverso cui raggiunge il resto del mondo sono pressoché liberi, non presidiati e spesso anche non riconosciuti come tali.


Come ogni organizzazione strutturata, Daesh è cresciuta proprio perché è riuscita a differenziare i canali di ingresso dei capitali. Droga, petrolio, finanziamenti da privati, contrabbando di reperti archeologici: bloccare le fonti che irrorano le casse di Daesh significherebbe ripensare la nostra economia.


La Francia ha tristemente pagato – come è accaduto agli Stati Uniti – un prezzo altissimo per non aver contrastato la presenza di una economia nazionale parallela, floridissima, che si basa essenzialmente sul traffico di droga e sul riciclaggio di denaro. Combattere e sconfiggere Daesh significa combattere un nemico che è vicinissimo e si annida nelle nostre economie nazionali, non andare a combattere altrove l’ennesima guerra che avrà come conseguenza il rafforzamento di gruppi estremisti.


Come indebolire Daesh economicamente è stato chiesto anche al giornalista siriano Hassan Hassan che, da una prospettiva diversa dalla mia, ha aggiunto un dato complementare. In Siria vige un’economia di guerra e con i bombardamenti nella zona Est del paese, quella sotto il dominio di Daesh, non si distruggono solo i convogli di petrolio dello Stato Islamico, ma anche il lavoro di molte famiglie che con il contrabbando di petrolio guadagnano non solo da vivere, ma mantengono la loro libertà di resistere all’Is.


Stiamo parlando di regole differenti da quelle che vigono nel nostro Occidente, stiamo parlando di una economia dove il contrabbando può essere vita. Hassan Hassan dice una cosa semplice: gli attacchi aerei non colpiscono solo Daesh ma distruggono anche le attività di tutte quelle persone che provano a resistere a Daesh. Tutti quelle comunità che, piegate dagli attacchi e ridotte senza mezzi, sono spesso costrette a cedere figli all’esercito dello Stato Islamico per poter sopravvivere.


Basta dare uno sguardo ai numeri. Da quando Palmira è stata sottratta alle forze del regime si sono arruolati più di mille uomini, spesso giovanissimi (tra i 15 e i 40 anni) provenienti da famiglie senza speranza ai quali l’Is ha dato prospettive di sopravvivenza. Quello che mi colpisce è quanto in comune abbiano le organizzazioni criminali e i gruppi terroristici, somiglianze che vanno oltre il “credere” nei giovani e dare loro speranza di miglioramento e, aggiungerei, certezza di morte.


Non esiste gruppo militare che non si sia finanziato attraverso il traffico di droga (e il Captagon è altro petrolio per Daesh). Non esiste gruppo militare che non sia in contatto con organizzazioni criminali. Non esiste gruppo militare che non condivida con le organizzazioni criminali rotte testate e rese sicure per il narcotraffico e attraverso cui possono passare armi, soldati e denaro.


Lo dicono decine di inchieste in tutto il mondo e lo dice da anni l’ex Presidente di Unocd Antonio Maria Costa: «Guardate i talebani in Afghanistan, i gruppi terroristici in Kosovo, le Farc in Colombia, l’Ira in Irlanda o Sendero Luminoso in Perù… tutti questi gruppi sono stati finanziati da organizzazioni dedite al commercio di droga. Anche le bombe dell’11 marzo 2004 a Madrid sono state finanziate dal narcotraffico in Spagna».


Fino a quando non capiremo che le strade che il terrorismo percorre per colpire al cuore le nostre democrazie non sono presidiate e che coincidono con quelle utilizzate dalle organizzazioni criminali, il cui contrasto non è mai considerato una priorità, fino a che non capiremo che le organizzazioni criminali in cambio di droga e soldi offrono armi e logistica ai gruppi terroristici, saremo esposti. Mortalmente esposti. Combattere Daesh significa cambiare le nostre regole interne, semplice a dirsi, impossibile da mettere in pratica.


Fonte: L’Antitaliano.




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Published on November 25, 2015 05:54

November 24, 2015

L’UNIONE DEVE ESSERE LA NOSTRA FORZA, MA NON QUELLA DELLE ARMI

valeria_solesin_2_615x340Esequie civili, alla presenza dei massimi rappresentanti delle tre religioni monoteiste: il patriarca, l’imam e il rabbino. Presenze volute dai genitori della ragazza, vittima della strage al Bataclan, per opporre unità a chi ha ucciso per dividere.


“Valeria non è stata uccisa in nome della nostra religione, né del nostro Dio né di alcun Dio” ha detto l’imam di Venezia, mentre il patriarca si è rivolto direttamente ai terroristi “La vostra cultura ci fa inorridire, ma non ci intimorisce”. Guarda al futuro anche il rabbino capo di Venezia: “Pensiamo che i giusti non moriranno mai. Il mondo è stato creato per persone come te che vogliono condividere il bene ricevuto”.


I genitori di Valeria chiedono che la figlia sia ricordata come esempio per tutti i giovani che non mollano.


Valeria credeva in se stessa e negli altri, credeva nella cultura, nell’impegno, nello studio, nel volontariato. Per ricordarla, oggi, hanno suonato anche le note dell’Inno alla Gioia. Un inno nato per unire.



L’Unione faccia la forza ma non delle armi, bensì di una strategia di intelligence condivisa, perché Daesh smetta di colpire al cuore le nostre democrazie.




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Published on November 24, 2015 09:58

November 23, 2015

LA SCUOLA NEGA LA DIGNITÀ A UN BIMBO DISABILE

disabile_roma_1_615x340Il protagonista di questa foto è un bambino di 8 anni, è disabile dalla nascita e ha diritto per legge a frequentare la scuola con l’assistenza necessaria. La sua scuola romana, invece, si è trasformata in un carcere. Lo hanno abbandonato in uno stanzino, con poca luce e oggetti sparsi. È fermo sulla sua sedia a rotelle, senza che una maestra di sostegno si prenda cura di lui.


Garantire una vita dignitosa ai bimbi disabili dovrebbe essere una priorità: la Costituzione afferma che nessuno deve essere discriminato per le sue condizioni di salute, a tutti i cittadini è garantita pari dignità sociale. Invece, fotografie e storie come questa ci raccontano di un’Italia in cui qualcuno è costretto a sentirsi cittadino di serie B, talvolta addirittura “non-cittadino”.


La denuncia sui social di una mamma disperata smuove qualche migliaio di coscienze e finalmente anche le istituzioni, ma non basta ancora a raccogliere ed organizzare i fondi necessari a un sistema efficiente di assistenza.


La coperta dei contributi statali è sempre più corta: lo Stato prevede l’erogazione di 30 milioni di euro alle province e alle città metropolitane nell’anno 2015 “per le esigenze relative all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali”, ma non bastano a coprire le spese delle province italiane. Così all’avvio dell’anno scolastico, nella maggior parte delle scuole, gli insegnanti di sostegno non ci sono.


I genitori del bimbo nella fotografia sono rientrati in Italia dopo aver vissuto all’estero. Si sono pentiti di essere tornati perché il nostro paese, difficile per tutti, per loro diventa impossibile. Bimbi come il loro, dicono, “All’estero sono i primi della fila. Qui sono dimenticati  e maltrattati. Questo non è un paese per disabili”.




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Published on November 23, 2015 08:10

November 22, 2015

One way to defeat ISIS: draining its coffers

nyt_isis_615x340Is it possible to weaken ISIS by attacking the financial structure, through which it trains its recruits and acquires weapons? No, not without a significant change in how the world polices its economy. Because like many structured criminal organizations, ISIS has grown and succeeded by exploiting the channels through which capital enters: drugs, oil, private funding, smuggled artifacts. Blocking the assets that fill ISIS’ coffers would mean rethinking the world’s economy. France – like the United States before it – is paying a very high price for its sin of inattention.


Governments worldwide must stop tolerating criminal organizations, drug trafficking and money laundering. Fighting ISIS and defeating it means fighting an enemy that is close to home, nesting in our national economies. It doesn’t mean going to fight the umpteenth war somewhere else, which only results in strengthening extremist and radical groups. Fighting ISIS means changing our internal rules.


As far as I can tell, there is no such thing as a terrorist group that is not financed through drug trafficking. There is no such thing as a terrorist group whose routes for moving weapons, soldiers and money are not shared with criminal organizations that have already secured those routes for drug trafficking. Antonio Maria Costa, former head of the United Nations Office on Drugs and Crime, has been saying this for years.


According to Wikileaks, the F.B.I. has acknowledged “opportunistic interaction” between Italian organized crime groups and Islamic extremists. And there is evidence supporting these claims in many police investigations worldwide.


What’s more, since the capture of Aleppo in January 2014, jihadists have come into possession of a pharmaceutical plant that can produce Captagon, an amphetamine pill that helps fuel jihadist zeal. Captagon is also cash. Over the last 12 months, Saudi police have confiscated tons of hashish and millions of amphetamine pills. And last month, Lebanese airport officials seized two tons of Captagon pills that were being loaded onto the private plane of a Saudi prince. These shipments were destined for sale on street corners all over the world.


If we really want to find a way to attack ISIS, let’s stop and observe what is happening in the world’s economy. Governments worldwide must stop tolerating criminal organizations, drug trafficking and money laundering.




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Published on November 22, 2015 05:54

November 19, 2015

UNA GENERAZIONE IN CORTOCIRCUITO

paris_attacks_4_615x340Roberto Bolaño chiuse “Amuleto” con questa frase: «E anche se il canto che ascoltavo parlava della guerra, delle imprese eroiche di un’intera generazione di giovani latinoamericani sacrificati, io capii che al di là di tutto parlava del coraggio […]. E quel canto è il nostro amuleto». Quando colpiscono la vita con atti di forza, quando la storia ci presenta il conto e non capiamo cosa stiamo pagando, penso che abbiamo bisogno di canti e ancor di più di amuleti. E ne abbiamo bisogno perché stiamo vivendo un cortocircuito. Venerdì scorso per i fatti di Parigi, qualche settimana fa per l’aereo russo precipitato nel Sinai e per l’attacco kamikaze a Beirut, ad aprile per il massacro nel campus di Garissa e per quello a gennaio alla redazione di “Charlie Hebdo”, reperivamo informazioni in tempo reale sui social. Venerdì scorso sapeva più l’adolescente con un account Twitter che il giornalista che provava a contattare colleghi a Parigi per poter dare informazioni attendibili.


L’essere connessi e quindi idealmente vicinissimi, rende ancora più stridenti le diversità che vivono identiche generazioni di paesi separati da poche ore di volo. E fa capire come l’umanità, oggi più che mai, si divida innanzitutto tra chi riconosce e chi non riconosce colpi di proiettile. L’umanità che sa riconoscere colpi di pistola, colpi di mitra, colpi di artiglieria, la differenza tra una granata e una bombola del gas che esplode, generazioni e generazioni di giovani in Libia, Egitto, Israele, Libano, Turchia, Palestina, Kosovo nati e cresciuti con questa conoscenza che i loro coetanei europei, vicinissimi, non hanno. Quando parlo di Napoli come di territorio in guerra, è esattamente a questo che mi riferisco. A Napoli un colpo di pistola lo riconoscono anche i bambini; invece al Bataclan, venerdì scorso, ci sono testimoni che riferiscono di aver sentito colpi di arma da fuoco ma di averli creduti effetti speciali. Di averli creduti rumori innocui.


Ecco il cortocircuito: siamo una generazione che sta vivendo guerre su molti fronti, eppure siamo nati per essere incapaci di imbracciare un fucile, di saperlo caricare, incapaci di riconoscere un bossolo o di mettere la sicura a un’arma. Siamo la speranza partorita dalla Seconda guerra mondiale, una speranza non solo abortita, ma anche in larga parte incapace di leggere il presente che del passato è la logica conseguenza.


Questa superficialità ci ha portati a non essere nemmeno capaci di leggere l’inutilità e persino la pericolosità di certe decisioni in politica estera, come ad esempio l’invasione decisa da Bush e Blair dell’Iraq a guerra già vinta, contro Saddam Hussein già sconfitto, con l’unico effetto di creare proselitismo e un sentimento antioccidentale ancora più diffuso. Siamo in balia di interessi che a volte non comprendiamo, e a volte siamo proprio noi i destinatari di certe azioni. Noi che abbiamo bisogno che ci si dica che non si sta a braccia conserte, inattivi, mentre aspettiamo che la prossima bomba ci cada in testa o che la prossima raffica di mitra pieghi le nostre già deboli volontà. Del resto a Garissa, come in Francia, si è voluto colpire esattamente ciò per cui sono iniziate le primavere arabe: ovvero l’affermazione della sacrosanta volontà di poter scegliere come vivere.


Gli attentati di Parigi non hanno preso di mira ambasciate o parlamenti, non sono più questi i loro nemici, ma i luoghi della nostra felicità quotidiana. Hanno colpito prima un aereo di turisti di ritorno da una vacanza, poi a Beirut hanno ammazzato 47 persone che si trovavano per strada. E in Francia un teatro, poi un ristorante, lo stadio.


Capiscono ciò per cui vale la pena vivere: la libertà di scegliere dove andare in vacanza, a che ora uscire per fare la spesa, che musica ascoltare, che persona amare, dove andare a mangiare, come poter passare insieme il tempo. Ecco cosa hanno voluto attaccare.


Ecco perchè nessuna vacanza, nessun concerto e nessuna uscita possono essere date per scontate: perché ci sono persone, a poca distanza da noi, con cui ci capita di dialogare sui social, che questa libertà non ce l’hanno da molto tempo o non l’hanno mai avuta. Persone che decidono di lasciare i loro paesi e chiedono asilo a noi proprio perché dove sono nati non possono vivere, figuriamoci se possono scegliere. Un concerto, una cena, una partita di calcio sono la costituzione della libertà, una libertà che non appartiene solo a noi. Sono il segno della possibilità di scegliere. Ricordiamolo ogni volta che siamo lì, semplicemente e superficialmente a vivere.


Fonte: L’Antitaliano.


 




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Published on November 19, 2015 07:41

November 18, 2015

IL TERRORISMO E QUELLE FALSE PISTE CHE CI RENDONO PIÙ FRAGILI

Foto @Ali Alrawi

@Ali Alrawi


Che cosa ne è del passaporto siriano, uno dei primi e più importanti indizi raccolti durante le stragi di Parigi? Quel passaporto lo ricordiamo tutti.


Sin da subito è sembrato assurdo che un attentatore avesse addosso il passaporto, sin da subito è sembrata un’esca, ma quanto pericolosa lo racconta Helena Janeczek su Nazione Indiana.



Questa è esattamente la traccia che gli organizzatori degli attacchi parigini intendevano farci scoprire. Per la riuscita del loro piano era importante ci fosse un terrorista arrivato con i barconi, per dirla con Salvini. Ne bastava uno, uno solo. Gli altri quattro sinora identificati, il quinto in fuga e anche l’organizzatore, sono cittadini francesi e belgi. Ragazzi convertiti al jihadismo e radicalizzati da un soggiorno d’addestramento e indottrinamento in Siria; presenze interne alle nostre società, come gli attentatori di Charlie Hebdo, nemici che non potremo mai sconfiggere chiudendo le frontiere.



 


Leggete l’articolo integrale. Non ci sono parole migliori per metterci in guardia da questa e dalle trappole che verranno. Trappole che ci renderanno paralizzati e irragionevoli.
 




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Published on November 18, 2015 09:04

November 17, 2015

Khaled al-Asaad vive tra i giusti

Khaled_al_Asaad_1_615x340Ignorare il passato significa rimanere bambini“. La frase è di Khaled al-Asaad, il custode di Palmira. Chi meglio di lui poteva sapere che si cresce solo tenendo saldamente immerse le radici nella storia.


È questa coscienza che lo ha spinto ad opporsi, fino al sacrificio della sua stessa vita, alla distruzione delle vestigia dell’antica città siriana. Palmira era un simbolo di opulenza. Non solo di ricchezza commerciale. La città romana lungo la Via delle Spezie era ricca di cultura. Un crocevia di gente, di idee, di tradizioni, di religioni. Non completamente orientale e non ancora del tutto occidentale.


Una città simbolo di convivenza. Anche di convivenza tra dèi. I due principali templi della città distrutti dai miliziani dello Stato Islamico, erano dedicati l’uno a Bel, dio neobabilonese, e l’altro a Baalshamin, divinità semitica, entrambi assimilabili allo Zeus dell’antica Grecia.


Khaled al-Asaad ha legato il proprio destino a quello della città alla quale aveva dedicato tutta la sua vita di archeologo perchè Palmira era un simbolo dell’umanità. Con la città si è uccisa l’umanità e il sacrificio di Khaled al-Asaad le rappresenta entrambe.


Per questo il nome dello studioso siriano entrerà nel Giardino dei Giusti di Milano, accanto ai nomi di chi si è battuto con indipendenza di pensiero all’oppressione dei diritti umani, all’umiliazione della dignità. Con la forza di un individuale coraggio civile.


Dal primo Giardino dei Giusti sorto a Gerusalemme nel 1960 per volontà di Moshe Bejski, salvato da Oscar Schindler, altri ne sono sorti in diverse nazioni. Accolgono alberi e iscrizioni dedicati ai giusti di tutto il mondo, perchè il seme della loro giustizia continui ad essere fertile.


Il Giardino dei Giusti del Monte Stella a Milano è nato nel 2003 per volontà di Gabriele Nissim presidente del Comitato Foresta dei Giusti-Gariwo. Dal 18 novembre il Giardino dei Giusti accoglie anche la memoria di Khaled al-Asaad dedicandogli un’intera giornata di eventi.


Il suo nome va ad affiancare quello di persone molto note, come Nelson Mandela, ma anche di figure di una grandezza morale superiore alla loro notorietà: Ahmed Merabet, il poliziotto francese di origine algerina ucciso a Parigi durante l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo, Antonia Locatelli, la volontaria italiana uccisa per aver denunciato i massacri in Rwanda, Dragan Andric, intellettuale serbo che si oppose al genocidio in Bosnia Erzegovina, la Guardia Costiera italiana per il suo operato quotidiano nel drammatico esodo di migranti attraverso il Mediterraneo, o ancora Rocco Chinnici, il magistrato palermitano che per primo creò un pool antimafia e fu ucciso da Cosa Nostra.




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Published on November 17, 2015 07:30

November 16, 2015

Parigi, sospetto di antisemitismo dietro gli attentati

Le-Bataclan_615x340Sarebbe davvero molto triste se, come alcuni ipotizzano, l’antisemitismo avesse pesato nella scelta degli obiettivi da colpire. I proprietari del teatro Bataclan sono ebrei e nel 2008 giovani con la kefiah tirata fin sopra il volto minacciarono i responsabili del teatro perché stavano organizzando il gala annuale del Magav (la polizia di frontiera israeliana, che tra l’altro è composta in larga parte da non ebrei). Il Bataclan, intimorito, annullò l’evento.


Il gruppo rock Eagles of Death Metal, dopo aver deciso di fare tournée in Israele l’anno scorso, ha subito una campagna di boicottaggio.


Come scrive Vasilij Grossman in Vita e destino:



“L’antisemitismo si manifesta in modi diversi: nell’indulgenza beffarda e schizzinosa come negli stermini dei pogrom. […] l’antisemitismo può essere ideologico, interiore, latente, storico, quotidiano, fisiologico. Diverse le sue forme: individuale, sociale, di Stato. L’antisemitismo lo trovi al mercato e alle riunioni della presidenza dell’Accademia delle Scienze, in fondo al cuore di un vecchio o fra i bambini che giocano in cortile. (…) L’antisemitismo non è mai lo scopo, è sempre e soltanto il mezzo, la misura di contraddizioni senza via d’uscita. L’antisemitismo è lo specchio dei difetti del singolo, della società civile e del sistema statale. Dimmi di che cosa accusi gli ebrei, e ti dirò che colpe hai”.





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Published on November 16, 2015 09:30

November 15, 2015

HANNO COLPITO LA LIBERTA’ DI SCEGLIERE

pace-eiffel


Gli attentati di Parigi non hanno preso di mira ambasciate o parlamenti, ma i luoghi della nostra felicita’ quotidiana.


Trovo le parole incapaci di misurare anche a tentoni ciò che sta accadendo. Qualcuno vuole (finge di invocare) la guerra santa, altri l’abbraccio universale. Salto come tutti da un sito all’altro, chiamo amici giornalisti inviati a Parigi per capire meglio. Poi vedo il video di persone che scappano dal concerto, ci sono ragazzi che trascinano dei corpi, probabilmente già cadaveri, sono i loro amici.
Ecco la versione integrale del video:



Hanno colpito non ambasciate, non parlamenti, non sono più questi i loro nemici. Hanno colpito prima un aereo di turisti di ritorno da una vacanza, poi a Beirut hanno ammazzato 47 persone che si trovavano per strada. E in Francia un giornale, ora un teatro, poi un ristorante, lo stadio. Capiscono ciò per cui vale la pena vivere: la libertà di scegliere. Scegliere dove andare in vacanza, a che ora uscire per fare la spesa, che musica ascoltare, che persona amare, dove andare a mangiare, come poter passare insieme il tempo. Ecco cosa hanno voluto attaccare. Vogliono che nessuna vacanza, nessun concerto e nessuna uscita possano essere date per scontate, nella loro routinaria normalità . Ma dobbiamo ricordare sempre il valore di questa libertà, di cui uomini e donne, senza volerlo, ci hanno mostrato il peso specifico. Un concerto, una cena, una partita di calcio sono la costituzione della nostra libertà. Il segno della possibilità di scegliere. Ricordiamolo ogni volta che siamo lì, semplicemente a vivere.




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Published on November 15, 2015 01:46

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