Roberto Saviano's Blog, page 16

September 29, 2015

Perché Scattone deve stare in cattedra

scattone_615x340Leggere la cronaca quotidiana deve fornire spunti per ragionare su ciò che siamo e su cosa vogliamo diventare. Come individui, naturalmente, e come parte di un sistema che ci vede attori fondamentali. Non è possibile sottrarsi, anche se non si ha un ruolo pubblico. Anche se non si è giornalisti o scrittori. E dovremmo imparare a riconoscere ciò che davvero conta. È nel dibattito di questi giorni la necessità e l’utilità – che secondo me è inutilità – degli aumenti delle pene carcerarie, laddove le carceri non sono affatto, nella stragrande maggioranza dei casi, luoghi di rieducazione.


Posto poi, anche per responsabilità dei media, a caccia di click facili e lettori arrabbiati, che assecondano la politica e i suoi continui spot, che ormai la rieducazione del detenuto non è più nemmeno vista come l’effetto prioritario della detenzione. Il senso della carcerazione sembra essere la detenzione in sé, l’allontanamento di chi ha sbagliato, la sua reclusione senza altro fine. Mettere dentro qualcuno e dimenticare le chiavi. Qualunque sia la pena, non c’è differenza. Qui ci siamo noi, persone per bene, e lì ci sono loro, pattume di cui liberarci.


Ovviamente questa visione manichea è fallace e pericolosa. Fallace perché i motivi per i quali si commettono reati sono tanti quanti gli individui che li commettono e pensare che non ci possa essere riabilitazione, per nessuno, è abominevole. E pericolosa perché porta il legislatore a ritenere che, per assecondare un dibattito di tipo “securitario”, le uniche leggi su cui valga la pena ragionare siano quelle che prevedano un aumento della pena carceraria e non un miglioramento delle condizioni delle carceri.


Quindi da un lato c’è la consapevolezza che aumentare la pena carceraria in un paese in cui il sistema di detenzione è allo sfascio, vuol dire peggiorare la situazione, dall’altro esistono dati che mostrano chiaramente come all’inasprimento delle pene non segua necessariamente una diminuzione dei reati. E se è vero quanto ha affermato il ministro dell’Interno nella conferenza stampa di ferragosto, ovvero che i delitti in Italia sono diminuiti del 13% (soprattutto rapine e furti), non si spiega la necessità dell’aumento delle pene, se non con la volontà di assecondare un’ondata di populismo, che non ha alcuna base e che dovrebbe piuttosto essere bloccata.


Tra le altre cose, a noi resta la consapevolezza che in carcere il meglio che possa accadere è che l’individuo non subisca cambiamenti di sorta, ma la cosa più probabile è che trovi protezione e diventi manovalanza per le organizzazioni criminali che, oggi come sempre, presidiano i luoghi di disagio, per sostituirsi al grande assente: lo Stato.


Ed ecco la cosa più abominevole, lo Stato crea dei luoghi di detenzione per poi dimenticarli, per poi privarli dei fondi necessari (tanto sono popolati da reietti, i rei e chi di loro si occupa: in Italia non si suicidano solo detenuti, ma anche guardie carcerarie) che possano renderli luoghi di rieducazione. Se osservate da questa prospettiva, le polemiche sull’incarico scolastico a Giovanni Scattone, condannato per l’omicidio di Marta Russo, assumono una veste ancora più grottesca. Scattone ha rinunciato all’incarico dicendo che per insegnare bisogna avere la serenità che per lui è venuta a mancare; qualche tempo fa toccò ad Adriano Sofri rinunciare a un incarico come consulente per le carceri pressappoco per lo stesso motivo. Come è possibile che Scattone possa insegnare, ci si è chiesto. Ci sono tanti insegnanti in attesa di una chiamata e lui, proprio lui, avrà un incarico?


Scattone ha scontato i 5 anni e quattro mesi di condanna per omicidio colposo, due anni e mezzo in carcere e poi parte agli arresti domiciliari e parte ai servizi sociali. Questo vuol dire riabilitazione: condanna – invito su questo punto alla lettura di un articolo scritto da Giuseppe D’Avanzo il 12 febbraio 1999, sul “Corriere della Sera”, dal titolo eloquente “Un’inchiesta troppo poliziesca condotta con metodi da inquisizione”, e sottotitolo: “La superteste interrogata tredici volte finché non ha indicato i due assistenti” – detenzione e riabilitazione.


Se chi commette reato sconta la condanna, la riabilitazione e il reinserimento devono avvenire senza che si possa metterli in discussione. Negarli significa minare alle basi l’ordinamento democratico. Perché riabilitarmi se poi la società non mi accetta? Ci rendiamo conto di quanto sia pericoloso se davvero si iniziasse a ragionare così? E ci rendiamo conto dell’importanza del nostro ruolo?




L'articolo Perché Scattone deve stare in cattedra sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 29, 2015 00:45

September 25, 2015

Quando un libro ha successo, il miglior modo per colpirlo è screditarne l’autore

zerozerozero_2_615x340Accade sempre così, prima con ” Gomorra” e ora accade con ” ZeroZeroZero“: quando un libro ha molto successo, quando supera il muro dell’indifferenza, quando le storie che veicola iniziano a creare dibattito, è quello il momento giusto per fermare il racconto. Per bloccarlo. E come sempre il miglior metodo è gettare discredito sul suo autore. Come se fosse possibile smontare davvero un libro di oltre 400 pagine con un articolo di qualche migliaio di battute. Ma forse questo è lo scopo di una recensione a ZeroZeroZero uscita sul Daily Beast , che non si è accontentata di essere una stroncatura (è normale, no?, che un libro ne riceva), ma che vorrebbe essere altro. Che cosa, esattamente, lo lascia intendere l’autore, che si sofferma forse un po’ troppo sulla mia figura, sul fatto di essere ormai percepito come un personaggio politico e non solo come uno scrittore. Non è evidente, allora, che i miei libri, tutti, finiscano per scontare questa paternità troppo ingombrante?


Così, quando non si può dire che ciò che racconto è falso, si dice che l’ho ripreso altrove. Ma il mio lavoro è esattamente questo: raccontare ciò che è accaduto, nel mio stile, nella mia interpretazione. Mi accusano di aver ripreso parole altrui: come se si potesse copiare la descrizione di un documentario. Se la protagonista è donna, è madre, ha 19 anni, si chiama ” Little One” e ha un numero tatuato in faccia, non so quanti modi ci possano essere per raccontarlo.


Di più. Per rendere i brani simili, il mio critico taglia il testo che avrei preso a riferimento, come fa per esempio nel caso di un passaggio del Los Angeles Times . Scrive il giornale americano, secondo il Daily Beast : “… there are 15,000 gang members in El Salvador; 14,000 in Guatemala; 35,000 in Honduras; and 5,000 in Mexico. The biggest population of gang members still resides in the U. S., with an estimated 70,000 living there…”. E questo sarebbe il brano che io avrei ripreso in ZeroZeroZero : “… about 15,000 members in El Salvador, 14,000 in Guatemala, 35,000 in Honduras, 5,000 in Mexico. The highest concentration is in the United States, with 70,000 members”. E certo che i due passaggi si somigliano. E sapete perché? Perché per fare il suo gioco il Daily Beast ha omesso dall’articolo del Los Angeles Times un passaggio significativo. “Speaking at the Mexico City premiere of La Vida Loca last month, Poveda said officials estimate there are 15,000 gang members in El Salvador; 14,000 in Guatemala; 35,000 in Honduras; and 5,000 in Mexico. The biggest population of gang members still resides in the U. S., with an estimated 70,000 living there, he said”. La frase completa spiega insomma che quei numeri li ha dati Poveda stesso alla premiere messicana del film nel 2009. Ed è difficile dare questa informazione in maniera diversa, soprattutto se è Poveda stesso ad averne parlato.


Io cerco sempre di essere il più rigoroso possibile sui dati, riportandoli come sono forniti. E il caso di Christian Poveda è esemplare dal momento che a lui e al suo omicidio ho dedicato un intero capitolo di ZeroZeroZero : quindi l’ho citato, eccome se l’ho fatto! Del resto è sempre un azzardo utilizzare i puntini sospensivi indicando omissioni: in questo caso, per esempio, si stravolge sia quanto riportato in ZeroZeroZero sia quanto scritto sul Los Angeles Times , cambiando la posizione di dati e parole. Costruendo artatamente una somiglianza che non c’era, o che poteva essere ricondotta al pressbook diffuso quando il documentario di Poveda uscì.


Ma poi sarebbe davvero plagio riferire la trama di un documentario? Cioè, se io scrivo la descrizione del Padrino sto plagiando la quarta di copertina? Ridicolo. Conosco moltissimi giornalisti, tra cui i maggiori giornalisti sudamericani, che incontro periodicamente e con cui scambio ogni tipo di informazione: loro mi mandano i loro scritti e io mando a loro i miei perché condividere informazioni, e soprattutto analisi, è la cosa che tutti noi consideriamo più preziosa. Sì, analisi: perché le informazioni sono di dominio pubblico. Attenzione a questo passaggio: le informazioni sono di dominio pubblico e non appartengono a nessun giornale perché sono fatti. Le analisi appartengono a chi le elabora e quelle vanno citate, sempre.


Ma naturalmente, anche stavolta, sul Daily Beast , tutto prende le mosse dalla causa per plagio avvenuta in Italia: causa anche interessante da raccontare, visto che oltre a me, a processo, è finito un genere letterario, un genere che non è giornalismo, non è saggio e non è invenzione, ma qualcosa di diverso. Secondo me qualcosa di più – e i numeri di Gomorra lo hanno dimostrato.


Nella sentenza di primo grado della causa in cui due quotidiani locali campani mi accusavano di aver ripreso articoli, il giudice afferma che ciò che può essere oggetto di plagio sono opere che hanno carattere di ” originalità e creatività”, ergo la cronaca non ha né l’uno né l’altro requisito, essendo niente altro che ” fatti”. C’è solo un modo per dire come è avvenuto un arresto e come un imputato era vestito in tribunale per l’udienza di convalida dell’arresto. C’è solo un modo per descrivere un documentario. E spessissimo la fonte comune per notizie che riguardano arresti o indagini sono generalmente le conferenze stampa delle forze dell’ordine. Immaginiamo i vari quotidiani farsi causa per aver utilizzato parole uguali per descrivere uno stesso avvenimento?


Proprio sulla base di questo, il giudice di primo grado ha rigettato tutte le accuse. E non è stato neppure difficile smontarle: ai miei legali è bastato produrre in tribunale le decine di articoli identici a quelli di chi mi faceva causa, che descrivevano gli stessi avvenimenti. Anzi. Durante la riproduzione degli articoli da portare in udienza, ci siamo accorti che i quotidiani che mi avevano citato per plagio avevano pubblicato a mia insaputa (non ero ancora noto al tempo) alcuni miei articoli per intero: senza citare né autore né fonte. Non fatti simili né qualche parola uguale: ma due interi articoli. Per questo sono stati condannati: l’unica parte in cui le sentenze dei tre gradi di processo coincidono.


Sì, nella sentenza di secondo grado, per esempio, vengono accolte tre su dieci delle loro richieste: corrispondenti a meno di 2 pagine su 331, lo 0,6% del libro! Ma proprio su queste vale la pena soffermarsi ancora un attimo. Sono stato condannato per aver scritto “su un giornale locale” invece che “sul Corriere di Caserta “. E per aver riportato per intero un articolo virgolettato. Sapete quale? Quello che declamava le arti amatorie del boss Nunzio De Falco, mandante dell’assassinio di Don Peppe Diana. Il titolo dell’articolo era: “Nunzio De Falco, re degli sciupafemmine”. Questo tecnicamente non sarebbe neppure plagio, e nemmeno appropriazione indebita, dal momento che non avevo nessuna voglia di attribuirmi la paternità di quell’articolo. L’autore, del resto, era sconosciuto. E sapete perché. Perché si trattava dell’esaltazione di un boss di camorra. Ed era proprio questo ciò che io volevo mostrare: quanto quei quotidiani peccassero di apologia verso i capi che avevano ucciso Don Peppe – quanto certa stampa locale fosse compiacente. Se li avessi propriamente citati, invece che dire “su un giornale locale”, mi avrebbero fatto causa per diffamazione!


E gli altri due articoli? Uno riguarda la struttura del clan, l’altro il percorso fatto dalle auto dei carabinieri dopo la cattura del boss Paolo Di Lauro: ed entrambi veicolavano informazioni diffuse direttamente dalle forze dell’ordine. Allora vivevo a Napoli, assistevo alle conferenze stampa di carabinieri e polizia, e avevo come fonti gli organi investigativi: come tutti. Del resto chiunque vivesse a Napoli in quegli anni, e facesse il mio lavoro, trascorreva più tempo a parlare con gli inquirenti che sulle scrivanie. Era tempo di guerra di camorra (c’era almeno un morto al giorno) e tutti volevamo capire che cosa stava succedendo, come il nostro si stava trasformando in un vero e proprio territorio in guerra.


Per inciso: la sentenza di terzo grado ha sancito definitivamente il carattere autonomo e originale di Gomorra, come aveva stabilito la sentenza di primo grado, rimandando al Tribunale circa la quantificazione del danno. Ma andrebbe ricordato che questo processo ha un antefatto. Importante. La citazione in giudizio da parte della società che pubblica Cronache di Napoli e Corriere di Caserta (oggi Cronache di Caserta) non nasce in seguito alla pubblicazione di Gomorra (2006), ma solo due anni dopo: quando cioè ospite del Festivaletteratura di Mantova (settembre 2008) criticai duramente quelle testate locali che considero contigue alle organizzazioni criminali, che fungono da loro ” uffici stampa” e che sono organo di propagazione dei messaggi tra clan. A Mantova mostro ritagli di giornale e la platea resta attonita. Il giorno successivo, di Cronache di Napoli e Corriere di Caserta parlavano tutti i maggiori quotidiani italiani. Continuo a lavorare su questo per lo Speciale Che Tempo Che Fa del 25 marzo 2009 (19% dello share della serata e 4 milioni e mezzo di telespettatori, è la trasmissione televisiva più vista quella sera). Mostro anche la prima pagina del Corriere di Caserta con il titolo a caratteri cubitali: “Don Peppe Diana era un camorrista”. Ecco, dopo averne parlato in televisione sullo stesso argomento scrivo un libro per Einaudi. Tra la presenza televisiva e il libro arriva dunque la citazione in giudizio per plagio da parte delle testate locali. Anche qui, occhio: non per diffamazione ma per plagio. E non nel 2006, anno in cui Gomorra viene pubblicato, non nel 2007, ma dopo. Dopo che di loro parlo in televisione.


Aggiungo due notizie sulla società che mi ha fatto causa. Maurizio Clemente, ex editore occulto delle due testate, è stato condannato a sette anni di carcere per estorsione a mezzo stampa: si faceva pagare per non diffondere informazioni su imprenditori e politici. E un processo con sentenza dello scorso febbraio ha dimostrato come un giornalista, Enzo Palmesano, che scriveva su un quotidiano del gruppo, sia stato licenziato su ordine del sanguinario boss di camorra Vincenzo Lubrano, che ha partecipato all’omicidio del giudice Imposimato. Ecco chi mi ha fatto causa. Ecco a chi i giudici di secondo grado hanno dato parzialmente ragione.


Ora, dopo questa lunga ricostruzione, è chiaro o no perché mi si attacca? Perché sono un simbolo da distruggere. Perché le parole, quando restano relegate alla cronaca, sono invisibili: ma quando diventano letteratura, quelle stesse parole, quelle stesse storie, diventano visibili, eccome. Ma si può fare un processo a un genere letterario?


Il metodo è la cronaca, il fine è la letteratura. Il lettore legge un romanzo in cui tutto ciò che incontra è accaduto. Si chiama non-fiction novel: ed è, credo, l’unico modo davvero efficace per portare all’attenzione di un pubblico più vasto, e in genere poco interessato, questioni difficili da comprendere. Perché in un libro che non è un saggio, ma appunto un romanzo non-fiction, non si devono riportare tutti coloro che ne hanno scritto: soprattutto quando le fonti sono aperte, come nel caso citato di un documento dell’Fbi, quindi fonti comuni, o come i documenti governativi sulle organizzazioni criminali in Guatemala, nel caso dei kaibiles – tutti esempi su cui si è esercitato il mio critico americano. Se, per ipotesi, descrivessi il crollo delle Torri gemelle, come faccio a citare tutti coloro che ne hanno fatto in quel giorno la cronaca? Allo stesso modo, siccome descriverò il crollo delle Torri gemelle, utilizzerò parole simili perché le fonti sono identiche e soprattutto perché la fonte comune è la realtà: l’attacco terroristico è avvenuto, è una notizia, e non ci sono molti modi per raccontare una notizia. Le interpretazioni, quelle sì, possono essere infinite, e a quelle va attribuita paternità: sempre.


I fatti accaduti, con buona pace dei miei detrattori, non appartengono a nessuno. O meglio appartengono a chi li racconta e poi a chi li legge. Ma nell’articolo americano su ZeroZeroZero c’è di più. Non ci si limita a dire che avrei riportato agenzie giornalistiche non citandole, ma che ho inventato personaggi – nonostante io abbia detto direttamente al mio critico, interpellato via email, che nessun personaggio è inventato. Lui insiste: “Sono troppo perfetti per essere veri”. Ma è esattamente quello che ripeto da anni: la realtà è molto più incredibile della finzione. E quando ho deciso che forma dare a ZeroZeroZero , con tutto il materiale che avevo raccolto, non avevo dubbi: non potevo inventare. Quello che avevo, doveva essere raccontato così com’era. L’ho fatto, con il mio libro, in Italia e nel mondo: dove ZeroZeroZero – che ora compare negli Usa – è uscito ormai da due anni.


Insomma: prima mi si accusa di riportare notizie che esistono, ma prese da altri. Poi di aver inventato, perché ciò che scrivo è troppo perfetto. E a voi tutto questo non sembra l’ennesimo, furbo (ma poi nemmeno tanto) modo per delegittimarmi? Quando nell’articolo vengo definito “una specie di celebrità globale”, “una rockstar letteraria”, “il Rushdie di Roma”, ho capito che ancora una volta ho fatto centro: il livore arriva quando c’è visibilità, quando il dibattito diventa centrale e catalizza l’attenzione. Ma mi dispiace per i miei critici, anche per quelli americani. Fiero dell’odio e della diffamazione, degli attacchi che ricevo quotidianamente, difenderò sempre il mio stile letterario: sia che lo usi per scrivere libri o articoli, sia che lo usi in teatro o per una serie tv. Così come l’omertà di alcuni sindaci non fermerà le riprese di Gomorra 2 , così il cachinno contro di me non fermerà la mia letteratura. Rassegnatevi: continuerò a indagare il reale, con il mio stile. Sarà di questo che avrà avuto paura anche la famiglia di Pasquale Locatelli, il broker di coca ora agli arresti. Anche di lui parlo in ZeroZeroZero e quando, nel 2013, il libro è uscito in Italia, anche lui ne ha chiesto il ritiro immediato. La richiesta è stata respinta.




L'articolo Quando un libro ha successo, il miglior modo per colpirlo è screditarne l’autore sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 25, 2015 00:48

September 23, 2015

Ricordare l’omicidio Siani. Perché c’è ancora chi invita a tacere

To view this video please enable JavaScript, and consider upgrading to a web browser that supports HTML5 video








L'articolo Ricordare l’omicidio Siani. Perché c’è ancora chi invita a tacere sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 23, 2015 09:59

Giancarlo Siani, l’abusivo che fu ucciso due volte

Acquista su IBSA condannare a morte Giancarlo Siani era stato l’aver fatto bene il suo lavoro. A condannarlo a morte erano state le ricerche che stava conducendo sulla ricostruzione seguita al terremoto dell’‘80, le inchieste sul grande business degli appalti che aveva gonfiato le tasche di politici, imprenditori e soprattutto camorristi.


A condannarlo a morte furono quelle 4.000 battute pubblicate sul Mattino del 10 giugno 1985, in cui Siani avanzava l’ipotesi che l’arresto di Valentino Gionta fosse il prezzo pagato dai Nuvoletta per evitare una guerra con il clan di Bardellino.


Sarebbe bastato leggere quelle righe per capire perché Giancarlo era morto. E invece no. Si insinuarono dubbi sulla sua credibilità e sulla sua moralità. Perché delegittimare significa sottrarre responsabilità, significa sollevare tutti. Ci sono giornalisti che vengono messi a tacere con le armi, altri con la delegittimazione: a Giancarlo Siani toccarono entrambe le cose.


Ecco perché è necessario leggere i suoi scritti, ripubblicati per il trentennale dalla sua morte, in “Fatti di camorra. Dagli scritti giornalistici di Giancarlo Siani” (Iod).


Rileggendoli ci si accorge che il giornalismo di Siani era molto lontano dalla cronaca di oggi. Siani non mira al gossip, non riduce l’informazione a mero gioco dello scoop, non vuole punire né delegittimare, non accusa sulla base di pochi semplici indizi. E la sua bravura non deve essere giudicata con il rimpianto del ragazzo ucciso, non ha bisogno di essere soppesata dall’indulgenza.


Leggere questi articoli significa ridare al lavoro di Siani la dignità che troppo a lungo gli è stata tolta. Leggerli significa tenere in vita Giancarlo e il suo esempio, non solo il suo ricordo.


Acquista su IBS


fattidicamorra_siani_300x340




L'articolo Giancarlo Siani, l’abusivo che fu ucciso due volte sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 23, 2015 06:36

L’Abusivo indaga sui fatti e le ragioni della morte di Siani

franchini_abusivo_615x340Dopo l’omicidio di Giancarlo Siani, nessun quotidiano pensò di approfondire le ragioni di quella morte, nessuno sul piano nazionale si occupò della vicenda. Nessuno – tranne le persone a lui vicine – volle capire le cause di quell’omicidio.


Nonostante fosse la spiegazione più semplice e immediata, a nessuno quella morte sembrò legata alla camorra. Com’era possibile che le organizzazioni criminali avessero paura di un giovane “abusivo” che da pochissimo aveva messo piede alla sede centrale del Mattino? Era come se si provasse – secondo un meccanismo assurdo e perverso, ma purtroppo esistente – invidia di quella morte.


Anche questo accade a Napoli, anche questo accade in una terra dove realizzarsi è difficilissimo: ti invidiano pure la morte, se quella morte è stata causata da coraggio o talento che altri non avevano.


Di Giancarlo Siani parla Antonio Franchini nel libro “L’abusivo”. Una lettura necessaria.


Acquista libro


franchini_abusivo_300x340


 


 




L'articolo L’Abusivo indaga sui fatti e le ragioni della morte di Siani sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 23, 2015 06:21

30 anni fa, Giancarlo Siani fu ucciso in un agguato di camorra

To view this video please enable JavaScript, and consider upgrading to a web browser that supports HTML5 video








L'articolo 30 anni fa, Giancarlo Siani fu ucciso in un agguato di camorra sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 23, 2015 05:21

September 22, 2015

Grazie per gli auguri. E grazie per essere stati con me in questi anni.

saviano_birthday_retouched2_615x340Grazie, grazie per gli auguri. Siete tantissimi e io vorrei ringraziarvi, come ogni anno, tutti, uno a uno, personalmente per quello che fate per me. Non oggi. Voglio dire non solo oggi. Da quando ho pubblicato Gomorra sono trascorsi ormai quasi dieci anni, di cui la maggior parte li ho vissuti sotto protezione. È tempo di bilanci – lo è sempre – e devo dire che in questi anni mi è successo di tutto.


Di pubblicare un libro che grazie al passaparola è arrivato a moltissime persone. Di ricevere minacce. Di ricevere insulti. Di essere bersaglio di valanghe di fango, sapendo, che chi me lo gettava non lo faceva in maniera disinteressata. È falso dire non si può criticare Saviano altrimenti si viene accusati di collusioni con la camorra. Le critiche sono il sale della vita, sono ciò che fa andare avanti chiunque. Ma il fango fa male, perché colpisce chi è già debole, chi sembra un gigante ma ha i piedi di argilla.


Eppure in questi anni difficili voi ci siete sempre stati. Mi avete sempre difeso. Mi avete fatto sentire la vostra vicinanza, ma non una vicinanza da stadio, non una vicinanza acritica, no. Ho molto apprezzato i commenti di dissenso. Quelli in cui mi scrivevate le vostre ragioni, il perché non eravate (e non siete) d’accordo con me.


Questo vuol dire ragionare e crescere, insieme. Questo vuol dire non abbassare la guardia e non smettere di lottare perché questo suolo, che noi calpestiamo, che si chiami Italia o in qualunque altro modo, possa essere un luogo “giusto” in cui vivere.


Io vi ringrazio, perché quando non ho avuto accanto amici e famiglia, voi ci siete stati. A qualsiasi ora e in qualsiasi giorno. Non contano festività e notti. Un vostro commento di vicinanza vera lo trovo sempre.


P.s. Questa candelina la spengo con voi ed esprimo un desiderio. Lo stesso da nove anni… non lo dico perché spero si avveri.




L'articolo Grazie per gli auguri. E grazie per essere stati con me in questi anni. sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 22, 2015 10:35

A Giugliano i passanti difendono la baby gang, e la realtà finisce in prima pagina

giugliano_babygang_2_615x340Due giorni fa a Giugliano un gruppo di ragazzini viene fermato da agenti della polizia municipale fra via Roma e Corso Campano, nell’area ztl. I vigili vogliono fare dei controlli, ma i ragazzini si ribellano e aggrediscono gli agenti. Partono insulti, la pattuglia è accerchiata e aggredita. Una vigilessa finisce in ospedale.


Dalla parte della polizia municipale non c’è nessuno. Al contrario: i passanti che assistono alla scena ostacolano gli agenti per facilitare la fuga dei ragazzini.


Non è una ricostruzione cinematografica tratta da “Gomorra”, questi sono fatti, realtà. Gli stessi fatti che il sindaco di Giugliano vorrebbe nascondere sotto il tappeto negando l’autorizzazione alle riprese nel suo paese di “Gomorra 2 – La serie”, nel timore dell’immagine negativa che potrebbe diffondersi dalla narrazione cinematografica. E invece eccola qua, l’immagine negativa, direttamente in prima pagina tra le cronache.


In questo contesto le parole del Questore di Napoli Guido Marino sono l’ennesimo invito all’omertà:  “Certi programmi tv sono offensivi e per niente rappresentativi della realtà che vogliono rappresentare”.


Offensivi sono i clan, offensivo è accusare opere creative, invece che la corruzione e l’inefficienza della macchina statale.
 


 




L'articolo A Giugliano i passanti difendono la baby gang, e la realtà finisce in prima pagina sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 22, 2015 09:42

September 21, 2015

Antonio Franchini, editor e scrittore, da Mondadori approda a Giunti

franchini_615x340


Conosco Antonio Franchini da molti anni. Con lui ho iniziato a pubblicare, ma gli devo molto anche come lettore.


I libri che ha scritto – Quando vi ucciderete maestro? (Marsilio 1996), Cronaca della fine (Marsilio 2003), Gladiatori (Mondadori 2005) e L’abusivo (Marsilio 2001) sono stati fondamentali nella mia formazione.


Il 23 settembre saranno trascorsi 30 anni dal brutale omicidio di Giancarlo Siani e L’abusivo resta un libro fondamentale per comprendere cosa accadde e come Napoli reagì a quell’omicidio di Camorra.


Siani fu dapprima allontanato come un corpo estraneo – era troppo doloroso guardarsi allo specchio e scoprire colpe e superficialità – per essere poi accolto come icona.


vaiallostorebutton


franchini_300x340


 




L'articolo Antonio Franchini, editor e scrittore, da Mondadori approda a Giunti sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 21, 2015 01:29

September 18, 2015

La camorra e l’ipocrisia del silenzio

gomorra_serie_backstage_615x340C’è sempre stata una forma di ostracismo nei confronti di Gomorra: dall’uscita del libro in poi. Tutti a dire: Napoli non è solo camorra, Saviano parla male di noi, la sua denuncia è giusta, ma non bisogna esagerare.


Ora si è arrivati al punto che è diventato difficile girare la seconda serie tv. Ci sono Comuni, come Giugliano, che si rifiutano di diventare set di se stessi. Impauriti di guardarsi nello specchio che il racconto tv gli metterebbe di fronte. Come se bastasse non vedere per cancellare il problema.


Mi dicono: “Roberto, i ragazzini della paranza criminale parlano come Jenny. Lo imitano, c’è un problema di emulazione”. Curioso rovesciamento della realtà: il gergo dei piccoli boss di Gomorra è preso (spesso letteralmente) da intercettazioni e atti giudiziari. I camorristi non parlano così perché l’hanno visto in tv: è il contrario. Parlano così in tv perché è il loro linguaggio vero.


Ora, Gomorra 2 è una serie tv, non un documentario: i set per girarla si troveranno, e della reazione del sindaco di Giugliano non meriterebbe parlare più di tanto. Preoccupa però il segnale, che non è isolato. Preoccupa l’idea che parlare della camorra possa far male all’Italia, e dunque meglio tacere.


Mi hanno stupito, e poi indignato, le reazioni alla frase – persino ovvia  – di Rosy Bindi su Napoli. “La camorra è un dato costitutivo della società napoletana “, ha detto, sostenuta dal procuratore nazionale Antimafia Roberti. Le hanno falsificato la dichiarazione (“La camorra è nel Dna dei napoletani “) per poterla distruggere.


Mi ha stupito, e poi rattristato, ascoltare Renzi affermare che “è macchiettistico parlare di intere Regioni in mano alla criminalità”. E infatti nessuno si è mai sognato di farlo. Macchiettistico è descrivere così chi racconta il potere delle cosche nel Paese. È una falsificazione che nasconde la pericolosa illusione che il silenzio possa aiutarci. Ma è all’ombra, e in silenzio, che cresce invece l’Italia criminale mentre siamo lì a dirci che bisogna parlar bene dell’Italia e degli italiani.




L'articolo La camorra e l’ipocrisia del silenzio sembra essere il primo su Roberto Saviano Online.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 18, 2015 06:43

Roberto Saviano's Blog

Roberto Saviano
Roberto Saviano isn't a Goodreads Author (yet), but they do have a blog, so here are some recent posts imported from their feed.
Follow Roberto Saviano's blog with rss.