Andrea Indini's Blog, page 96

May 1, 2019

I No Tav attaccano i poliziotti. E i Cinque Stelle li difendono

Andrea Indini




A Torino scontri tra antagonisti e polizia. Il M5s prende le parti dei No Tav: "Caricati a freddo". L'ira di Salvini: "Se la prendano con la polizia anziché con i violenti"


E c'è chi, come al solito, si schiera dalla parte dei violenti. A infiammare le polemiche sono state le dichiarazioni dei Cinque Stelle che, dopo le tensioni e gli scontri al corteo per il Primo maggio, hanno preso le difese dei facinorosi manifestanti No Tav che a Torino hanno attaccato la polizia. "Grazie alle forze dell'ordine che tutti i giorni lavorano per garantire la sicurezza dei cittadini perbene - ha commentato il ministro dell'Interno, Matteo Salvini - è grave che alcuni politici locali se la prendano con la polizia anziché con i violenti".


Ieri mattina, a Torino, insieme all'Anpi e alle autorità (dal sindaco Chiara Appendino ai candidati governatore alle Regionali di maggio), hanno sfilato circa 35mila persone. Tra questi c'erano anche duemila esponenti dei centri sociali e dei No Tav (guarda il video). I primi scontri sono iniziati in piazza Vittorio Veneto dove la polizia è dovuta intervenire con agenti in tenuta anti-sommossa per impedire, come ha spiegato la Questura, "che i più facinorosi si infiltrassero nel corteo" e raggiungessero la testa del corteo. Ci sono stati spintoni e cariche di alleggerimento, mentre i No Tav gridavano slogan come "Fuori gli sbirri dal corteo" (guarda la gallery). Poi, sotto i portici di via Po, a pochi passi dalla Mole Antonelliana, i No Tav hanno attaccato una delegazioni del Pd urlando frasi come "Fascisti", "Andate via dal corteo" e "Siete come Salvini". I gruppi sono venuti in contatto e alcuni manifestanti sostengono di essere stati feriti a cinghiate dal servizio d'ordine del Partito democratico. La polizia è intervenuta per separarli. In via Roma poi, mentre era in corso l'intervento conclusivo dei sindacati, gli antagonisti hanno tentato di forzare il cordone di sicurezza lanciando contro gli agenti bottiglie, aste di bandiera e altri oggetti (guarda il video). Diverse persone sono state ferite, non in modo grave, tra loro un agente e due donne No Tav, che sono stati medicati in ospedale. Nessuno è stato fermato.


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Luigi Di Maio ha subito preso le distanze da quanto accaduto condannando "ogni forma di violenza" e ricordando ai cittadini che bisogna sempre "manifestare le proprie idee e le proprie opinioni in forma pacifica attraverso il dialogo". Peccato che a livello locale i grillini si siano schierati apertamente con i violenti. Il Pd ha, infatti, denunciato che alcuni consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle erano tra gli aggressori e, come riporta Repubblica, la deputata dem Silvia Fregolent ha già chiesto alla Appendino, al prefetto e a Salvini di "individuare immediatamente tutti i responsabili e di intervenire per far dimettere i rappresentanti istituzionali del M5S coinvolti". Anche nelle dichiarazioni i pentastellati hanno preso le parti dei No Tav. "Il corteo è stato partecipato e pacifico ma inspiegabilmente rovinato da una carica a freddo della polizia a 50 metri da piazza San Carlo - ha accusato la capogruppo grillina Valentina Sganga - ultimamente a Torino non riusciamo ad andare oltre ad una gestione dell'ordine pubblico che parrebbe più finalizzata ad alzare il livello di conflittualità che a calmierarlo".


La posizione dei Cinque Stelle a sostegno dei No Tav violenti ha fatto esplodere la polemica. Salvini ha subito rinnovato la propria gratitudine a tutte le forze dell'ordine che "tutti i giorni lavorano per garantire la sicurezza dei cittadini perbene". "È grave che alcuni politici locali se la prendano con la polizia anziché con i violenti", ha poi denunciato. Anche Forza Italia si è schierata contro i Cinque Stelle. "Le critiche della Sganga sono un'autentica vergogna - ha tuonato Osvaldo Napoli - la città è da troppi anni vittima di un manipolo di violenti che con la Tav c'entrano come i cavoli a merenda. Sono violenti per professione, per convinzione ideologica, più spesso per imbecillità personale". Durissimo anche il segretario piddì di Torino, Mimmo Carretta, che durante il corteo si è presi un po' di pugni e di calci. "E i Cinque Stelle che governano Torino difendono questi delinquenti e attaccano la polizia? Complimenti".





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Published on May 01, 2019 23:41

April 30, 2019

Nuova sfida ai porti chiusi: ong salpa e porta in tribunale Salvini

Andrea Indini




La Mare Jonio torna in mare e fa rotta verso la Libia per recuperare altri immigrati. E l'armatore denuncia Salvini in Tribunale


L'ong dei centri sociali torna a sfidare Matteo Salvini. E lo fa sia in mare sia nei tribunali. Dopo il dissequestro da parte della procura di Agrigento e le indagini per favoreggiamento, la nave Mare Jonio è salpata da Marsala (Trapani) per una nuova missione al largo della Libia che potrebbe finire con un altro blitz nei porti italiani. Nel frattempo l'armatore Alessandro Metz ha denunciato il vice premier leghista per "diffamazione e calunnia aggravata". Il motivo? La direttiva ai vertici militari che metteva fuori legge la Mare Jonio e li invita a "prevenire" tale "attività illecita".


La "Mediterranea Saving Humans", la ong aperta da Luca Casarini e altri esponenti dei centri sociali e dell'associazionismo rosso per mettere in mare la nave Mare Jonio, non aspettava altro. Al primo sos raccolto da Alarm Phone, si sono fiondati in mare per tornare a sfidare Salvini e la direttiva sui porti chiusi. A bordo del barcone, che ieri ha lanciato l'allarme al largo delle coste libiche, vi sono una ventina di persone. Nell'area è presente una nave commerciale italiana che sta pattugliando la zona. "Ma occorre - ha spiegato Alessandra Sciurba, del team legale della ong - pattugliare e cercare, poichè è già successo che le persone in mare riescano a sopravvivere per diverso tempo". Per questo la Mare Jonio sta ora facendo rotta verso di loro. "La navigazione verso la zona Sar al largo della Libia - ha spiegato via Skype in capo missione Giuseppe Caccia - durerà circa una ventina di ore". La mossa è prettamente politica. Lo dimostra il teatrino messo in piedi in conferenza stampa dai vertici dell'ong e dalla denuncia contro Salvini depositata in tribunale in queste ore.


In conferenza stampa a Montecitorio, questa mattina, si sono presentati Metz e compagni sciorinando contro Salvini tutto l'armamentario buonista. "Il governo italiano - ha denunciato Sciurba - sta portando avanti un'assurda guerra contro le navi della società civile che nel Mediterraneo salvano vite: abbiamo ricevuto una diffida dal salvataggio delle vite in mare e credo che questo resterà un atto storico". Ma nemmeno davanti alla direttiva del Viminale l'ong "Mediterranea Saving Humans" è disposta a fare un passo indietro. Anzi, rilancia e passa al contrattacco rimettendo in mare la Mare Jonio. "La nave non si ferma, ogni volta che si riparte è una soddisfazione enorme nonostante i tentativi di fermarci, le direttive ministeriali, le diffide", ha fatto eco lo stesso Metz che questa mattina ho presentato alla procura di Roma una querela contro la direttiva di Salvini. "Alcune affermazioni - ha spiegato - rappresentano gravità incredibili dal punto di vista della calunnia".





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Published on April 30, 2019 04:40

Linea dura di Salvini sull'islam: controlli a tappeto nelle moschee

Andrea Indini




La miniaccia islamista preoccupa il Viminale. Salvini avverte i prefetti: "Monitorare tutti i luoghi di incontro per musulmani"


Adesso l'allerta è massima. E la stretta non può che essere commisurata al livello di pericolo che il Paese sta correndo. E così, per prevenire qualsiasi attacco di matrice jihadista, Matteo Salvini ha firmato una circolare che impone ai prefetti di aumentare i controlli e il livello di attenzione su tutti i luoghi di aggregazione di cittadini musulmani. La stretta riguarderà, dunque, sia i centri islamici sia le moschee. Ma non solo. Il vice premier leghista ha, infatti, raccomandato di "riservare una cura particolare alle dimensioni di elezione del proselitismo", anche ovviamente il web.


Non che prima fossero mancati i campanelli d'allarme. Ma negli ultimi mesi si sono fatti più pressanti. Tanto da alzare il livello d'attenzione. Tanto per citarne alcuni: i due lupi solitari che stavano progettando "un'azione aclatante a bordo di un camion", il senegalese che urlando "Allah Akbar" aveva pestato due poliziotti con una sbarra di ferro; il marocchino che aveva tentato di sgozzare un passante "perché portava un crocifisso al collo". E poi l'instabilità della Libia e la preoccupazione che sui barconi possano imbarcarsi quei foreign fighter che, persa la guerra in Libia, vogliono tornare a combattere il jihad in Europa. Non da ultimo il terribile attacco ai cristiani in Sri Lanka e il ritorno in video del califfo Abu Bakr al Baghdadi. È la minaccia di un incubo che torna in continuazione. Una minaccia che non è possibile mai sconfiggere del tutto, ma che si può tentare di prevnire con misure più stringenti come quelle che Salvini sta cercando di applicare in Italia. Oggi il numero uno del Viminale ha, infatti, pubblicato la direttiva che aveva già annunciato nei giorni scorsi. "In considerazione del profilo della minaccia (del terrorismo internazionale, ndr), incarnata anche da singoli radicalizzati istigati dal messaggio propagandistico - si legge nella circolare - occorre riservare una cura particolare alle dimensioni di elezione del proselitismo".


Gli occhi non dovranno essere unicamente puntati sulle moschee. Nei luoghi che Salvini ha chiesto ai prefetti di tenere sotto controllo rientra anche tutta quella "variegata realtà dei centri di aggregazione e delle associazioni culturali asseritamente ispirate alla fede musulmana". Strutture distribuite su tutto il territorio nazionale ma che si concentrano, in modo particolare, in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Sicilia e Toscana. Una presenza che, secondo i dati del Viminale, è "in aumento" ed è contraddistinta "da differenti ideologie" che, in certi casi, sono orientate a "una strumentale interpretazione radicale e intransigente dell'islam". I numeri sono impressionanti. Le associazioni culturali islamiche censite dal ministero dell'Interno nel nostro Paese sono 1.382. La stragrande maggiorza di queste (ben 1.068) vengono usate dai musulmani anche come luoghi di preghiera. Ed è qui che dilaga il radicalismo islamico.


A ingrossare le fila degli estremisti è ancora una volta l'immigrazione di massa che ha assunto "dimensioni significative". Come si legge nella circolare, "trafficanti senza scrupoli, organizzazioni e reti criminali" alimentano i canali alle infiltrazioni terroristiche. Proprio per questo l'allerta non può più essere circoscritta ai centri islamici. A preoccupare sono anche i "circuiti parentali e relazionali" che, però, "risultano di difficile penetrazione". Tanto che, a fronte del dilagare del proselitismo, divente sempre più importante "riuscire a intercettare il bacino potenzialmente esteso ed insidioso dei radicalizzati in casa" per anticipare "possibili progettualità ostili".





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Published on April 30, 2019 03:42

April 25, 2019

La guerra civile del 25 aprile per abbttere il nemico di turno

L'antifascismo è tenuto in piedi unicamente con uno scopo politico: attaccare il nemico del momento. Prima era Berlusconi, oggi è Salvini






Anpi
fascismo




Andrea Indini




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per abbattere i nemici di turno


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Published on April 25, 2019 10:02

April 23, 2019

La sinistra censura l'odio islamico

Andrea Indini




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Published on April 23, 2019 10:57

"Questi non sono i valori del M5S". Di Maio a valanga contro Salvini

Andrea Indini




Dalle posizioni su aborto e 25 aprile alla proposta sulla leva obbligatoria, il leader grillino si smarca dall'alleato e lo attacca duramente


Adesso tutti i nodi vengono al pettine. Perché le distanze, di per sé abissali sin dall'inizio, sono state nascoste sotto al tappeto fino a qualche settimana fa ed ora che nessuno degli alleati è più disposto a fare un passo indietro esplodono con una veemenza inaudita. Da giorni grillini e leghisti si bastonano a distanza su qualsiasi discussione all'ordine del giorno, ma oggi l'attacco a tutto tondo di Luigi Di Maio dà l'idea che la misura è davvero colma. "Questi non sono i valori del Movimento 5 Stelle", ha sancito il vicepremier grillino smarcandosi dalle posizioni di Matteo Salvini su 25 aprile, aborto e leva obbligatoria. Distanze che si fanno ancor più siderali se vanno, poi, a toccare temi come il "Salva Roma", la riduzione delle tasse e, più in generale, l'agenda economica.


Che qualcosa non andasse bene lo si era capito quando , qualche giorno fa, Di Maio aveva sconfinato mettendo becco sul dossier immigrazione criticando la chiusura dei porti. Un attacco frontale a quello che per Salvini è il più grande successo incassato da quando siede al Viminale. Oggi, in tarda mattinata, il leader grillino è tornato pungolarlo accusandolo di non fare abbastanza per garantire la sicurezza in Italia. "Le circolari del Viminale non bastano", ha scritto in una lettera inviata al premier Giuseppe Conte per chiedergli una riunione urgente per accelerare i rimpatri dei clandestini. "Se gli amici dei 5Stelle hanno voglia, tempo e idee - ha replicato il titolare del Viminale - portino delle idee". Ai Cinque Stelle, però, non interessa portare idee. La polemica sulla sicurezza, esplosa dopo l'aggressione di un marocchino a un passante che portava al collo un crocifisso, è solo l'ennesima occasione per andare contro la Lega. La resa dei conti è ormai in atto e travolge qualsiasi tematica i due si trovino ad affrontare. Sullo sfondo c'è il braccio di ferro sul "Salva Roma", ma a farli litigare ormai è davvero tutto. Dalla proposta di far tornare la leva obbligatoria alla partecipazione (o meno) alle manifestazioni del 25 aprile, passando per i temi etici come l'aborto.


Per Di Maio è "curioso" che quelli che "oggi negano il 25 aprile" sono gli stessi che hanno aderito al Congresso delle Famiglie di Verona, "passeggiando mano per la mano con gli antiabortisti". Senza mai nominarlo, Di Maio punta il dito contro Salvini che giovedì prossimo andrà a Corleone a inaugurare la nuova sede del commissariato di polizia perché "la vera liberazione è dalla mafia". "Ognuno la vede come vuole, ma io, sia chiaro, voglio un'Italia libera di guardare avanti", scandisce su Facebook. E, poi, affonda: "Il ripristino della leva obbligatoria, la contestazione della 194 (la legge sull'aborto, ndr), gli attacchi alle donne, il ritorno al Medioevo non fanno parte dei valori del Movimento 5 Stelle". Sta di fatto che mentre i ministri leghisti diserteranno i cortei del 25 aprile, quelli pentastellati saranno in piazza con la comunità ebraica di Roma che, anche quest'anno, sfilerà divisa dai partigiani.


L'assalto di Di Maio non scalfisce Salvini. Che fa spallucce e tira dritto per la sua strada: "Le polemiche le lascio volentieri agli altri". Lo scontro sul 25 aprile è, tuttavia, l'occasione "buona" per i grillini per provare mostrare i muscoli e vedere chi dei due è più forte. L'orizzonte è sempre il voto di maggio. Con la Lega che si presenta alle europee forte dei sondaggi che la danno al 37%, mentre i Cinque Stelle arretrano sempre di più arrivando al 22,3%. Nelle prossime settimane lo scontro crescerà in continuazione, a discapito del confronto interno alla maggioranza. Davanti ai gialloverdi c'è, infatti, un percorso a ostacoli che difficilmente riusciranno a superare senza far danni.





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Published on April 23, 2019 06:36

April 22, 2019

Un pm aveva appena liberato l'immigrato che ha attaccato gli agenti a Torino

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini




Ndiaye Migui, il senegalese che ha aggredito due poliziotti con una sbarra di ferro, aveva due provvedimenti di espulsione e aveva già attaccato gli agenti. Ma era stato subito scarcerato


Non era certo la prima volta che Ndiaye Migui si avventava contro i poliziotti con tutta quella violenza. Il 29 marzo ne aveva già aggrediti altri, ma non si era tenuto alcun processo perché il pm ne aveva disposto telefonicamente la liberazione. E così ieri il 26enne senegalese se ne andava in giro per Torino e, quando si imbattuto in due agenti, gli ha urlato in faccia "Allah Akbar" per poi colpirli ripetutamente con una sbarra di ferro. Una violenza inaudita che, forse, si sarebbe potuta evitare. Anche perché l'immigrato africano aveva già a suo carico ben due provvedimenti di espulsione.


Dopo che Ndiaye Migui ha attaccato i due poliziotti, ferendone uno alla testa e l'altro alla mano, il sindaco di Torino Chiara Appendino ha subito espresso la vicinanza della Città augurando loro "una pronta guarigione". Lo stesso ha fatto la sinistra. Ma l'emergenza sicurezza che nel capoluogo piemontese è all'ordine del giorno è il frutto di politiche sbagliate operate proprio dalla sinistra e dai Cinque Stelle. Non è un caso, infatti, se ieri sempre a Torino hanno trovato una ragazza italiana che, dopo essere stata rinchiusa in uno scantinato da una donna di origini marocchine, è stata obbligata ad avere rapporti sessuali con due uomini e, poi, è stata usata come merce di scambio per la droga. Ecco: solo qualche ora dopo Ndiaye Migui ha dato di matto in via Cuneo, all'altezza di alcuni capannoni usati da una nota catena di supermercati come deposito. Ha urlato "Allah Akbar", l'esclamazione usata dai terroristi islamici prima di compiere un attentato; poi, brandendo una sbarra di ferro, si è fiondato contro due poliziotti, che si trovavano in zona, e li ha attaccati.


Ndiaye Migui non è nuovo alle forze dell'ordine. Viveva in una baracca che si era costruito in Barriera di Milano, non lontano dal posto dove ha attaccato i due agenti. Sino stati proprio alcuni dipendenti del supermercato a chiederne l'intervento quando si sono accorti del giaciglio di fortuna. A fine marzo l'immigrato aveva già aggredito altri poliziotti. In quell'occasione, come si legge nel verbale, il pm lo aveva subito liberato "pur non essendo riusciti a risalire all'identità e alla posizione giuridica del soggetto in questione". E lo aveva fatto con una semplice telefonata. Una decisione osteggiata anche dagli agenti che nel redigere il verbale avevano messo nero su bianco che riferivano quanto accaduto "per doverosa conoscenza". La decisione del magistrato di rimettere in libertà un soggetto come Ndiaye Migui ha così portato a un'altra giornata di violenze che avrebbero potuto essere evitate.


"Nelle ultime settimane c’è un crescendo di violenze che deve preoccupare tutti", lamenta il segretario nazionale del Siap, Pietro Di Lorenzo. "Non è accettabile in alcun modo che si conceda accoglienza e tutele a chi potrebbe uccidere un comune cittadino o un poliziotto - continua - e che si continui a permettere la permanenza in Italia a chi non ha titolo". Una volta che il senegalese è stato portato in Questura, è infatti venuto anche fuori che ha a suo carico due provvedimenti di espulsione, uno del questore di Cuneo e uno del questore di Torino. "Adesso - fanno sapere dal Viminale - è anche accusato di tentato omicidio".


"Il fatto - fa notare Di Lorenzo - è indice di una assoluta mancanza di timore e rispetto verso le forze di polizia". Anche durante i controlli in Questura, l'immigrato ha infatti provato ad attaccare il personale, che lo aveva in custodia, gridando, tra le altre cose, insulti contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dell'Interno Matteo Salvini. "Non ci sarà alcuna tolleranza per balordi e violenti che attaccano le forze dell’ordine", ha assicurato il ministro dell'Interno confermando il pugno duro per riportare la sicurezza e l'ordine nel Paese.





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Torino
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Published on April 22, 2019 04:08

April 18, 2019

L’assalto alla Lega

Andrea Indini




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Published on April 18, 2019 23:19

April 17, 2019

L'addio di Le Pen al Parlamento Ue: "I nostri posteri vi malediranno"

Andrea Indini




Il padre della destra francese sferza l'Europa: "Siete rimasti ciechi, sordi e muti". Poi la accusa: "Paralizzate le reazioni nazionali"


Quando lo scorso gennaio aveva rilasciato un'intervista all'agenzia Afp, Jean-Marie Le Pen aveva confidato che gli sarebbe piaciuto correre ancora per un altro mandato. A novant'anni, dopo aver fondato il Fronte nazionale e averlo guidato per quarant'anni prima di cedere lo scettro alla figlia Marine, si immaginava proprio come il drammaturgo Molière "che volle morire sul palcoscenico". Ieri, dopo 35 lunghi anni seduto dietro quegli scranni, ha dato l'estremo saluto all'Europarlamento. Lo ha fatto pronunciando quello che, per i contenuti e la veemenza con cui l'ha tenuto, ha risuonato più come un epitaffio che come un semplice addio. "Deputati, siete rimasti ciechi, sordi e muti - a sentenziato con estrema durezza - i posteri vi malediranno".


La sua carriera da eurodeputato finirà il primo luglio, ma ieri sera Jean Marie Le Pen ha preso la parola per codividere col resto dell'assemblea alcuni punti che lui reputa fondamentali per il futuro dell'Unione europea e, in modo particolare, per gli Stati che ne fanno parte. "Spero di potermi prendere al massimo uno o due minuti per spiegare ai miei colleghi cosa penso di questa istituzione at least a minute or two, il modo in cui è evoluta e della sua rovina programmata", ha detto ripensando alla prima volta che, nel 1984, è stato eletto al Parlamento europeo. La prima di sette vittorie che lo hanno visto rimanere in pianta stabile (fanno eccezione i due anni, dal 1986 al 1988, in cui fu deputato nel parlamento francese) nel palazzo del potere europeo. Proprio lui che non ha mai smesso di essere euroscettico. Tanto che ieri sera, perfettamente in linea con le battaglie che ha sempre combattuto, il padre della destra francese, espulso dal Fronte Nazionale (oggi Ressemblement National) nel 2015 per le sue dichiarazioni sull'Olocausto, ha pronunciato quello che potrebbe essere l'ultimo discorso sullo stato dell'Unione europea (guarda il video).


Non ha usato mezzi termini. Né ha fatto sconti ad alcuno. Jean Marie Le Pen ha affrontato i mali del Vecchio Continente partendo dal "gigantesco fenomeno migratorio" davanti al quale le massime cariche europee sono rimaste inermi. Non se l'è presa solo con i leader, ma ha puntato il proprio dito contro tutti i deputati. Li ha accusati di essere stati "ciechi, sordi e muti" e ha assicurato loro la maledizione dei posteri. Pur senza tacere l'emergenza del "deficit demografico", in cui è sprofondata l'Europa, ha cercato di far aprire a tutti gli occhi davanti a questa invasione che "minaccia di travolgere il continente boreale di cui l'Europa fa parte". "Di fronte a queste angoscianti prospettive, l'Europa si sta dimostrando impotente - ha continuato - peggio ancora, paralizza le reazioni nazionali che dovrebbero mobilitare i popoli che lo costituiscono". Un atto d'accusa che riecheggia, pensante, sulla compagna elettorale per rinnovare proprio quell'Europarlamento che, a detta del fondatore del Fronte Nazionale, ha fallito nel suo intento.


[[video 1681164]]





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Published on April 17, 2019 07:07

April 16, 2019

Sbarchi, Di Maio attacca ancora Salvini: "Non li fermi con una direttiva"

Andrea Indini




Gli alleati di governo sono ai ferri corti. La tentazione dei Cinque Stelle di cambiare linea sull'immigrazione. L'ira di Salvini: "Ora esagerano"


Un colpo dopo l'altro, tutti assestati per far scricchiolare la maggioranza. A colpir duro è, giorno dopo giorno, Luigi Di Maio. Dall'altra parte Matteo Salvini incassa ma senza stare a guardare: rispende con fermezza e tira dritto per la sua strada. Il clima è da campagna elettorale e c'è il rischio che da qui alle elezioni europee del 26 maggio le tensioni continuino ad aumentare. Il fronte più caldo resta quello dell'immigrazione ma il risultato è un braccio di ferro costante che logora l'esecutivo gialloverde.


L'ultimo affondo è sulla direttiva varata oggi dal Viminale per bloccare anche le navi delle Ong che battono bandiera italiana. Nemmeno da Abu Dhabi, Di Maio si lascia scappare l'occasione per attaccare l'alleato di governo sventolando l'allarme lanciato ieri dal premier libico Fayez al Sarraj. "Se davvero ci sono 800mila profughi diretti dalla Libia verso l'Italia, di certo non li fermi con una carta che si chiama direttiva, che nessuno ha mai ascoltato". Poi la stangata: "Lo dico con tutta l'amicizia a Matteo Salvini, non si illuda che si possa portare la Libia in campagna elettorale per le europee". Dichiarazioni violentissime che fanno il paio con quelle rilasciate ieri contro la chiusura dei porti italiani. Il vicepremier grillino vorrebbe riaprirli. E non è l'unico a pensarla in questo modo all'interno del governo. Dalla sua ha certamente il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, ma non solo. Anche il ministro della Difesa Elisabetta Trenta si è messa in mezzo a rincarare la dose: "Il paradosso è che quelli che gridano alla guerra, dalla Lega a Fdi, sono gli stessi che fanno propaganda sui migranti. Non hanno capito che alzando i toni come fanno rischiano solo di destabilizzare ulteriormente la situazione".


Le continue provocazioni hanno scatenato l'irritazione del partito di via Bellerio. "Vogliono recuperare voti a sinistra ma così danneggiano il governo. Se vogliono una spaccatura se ne assumano la responsabilità", osserva un big del Carroccio. Del resto Salvini è netto: "Di ordine pubblico, sicurezza e difesa dei confini me ne occupo io e penso di averlo fatto bene in questi dieci mesi. Gli italiani ci chiedono porti chiusi. Punto. Se qualcuno dei miei colleghi non è d'accordo, lo dica...". Nelle ultime ore a chi gli chiede di una possibile crisi di governo, il leader leghista risponde con un laconico "Non lo so...". Secondo un retroscena pubblicato oggi dal Corriere della Sera, vuole vedere se i grillini sono disposti davvero a far saltare il banco: "Io non lo farò, ho preso un impegno per cinque anni". tuttavia, non gli sfugge che gli arrivano più attacchi dagli alleati di governo che dal Pd: "Stanno esagerando, hanno alzato troppo i toni". A farlo infuriare è stato anche quell'accostamento a Napoleone fatto dallo stesso Di Maio nel commentare l'indagine sulla Sea Watch.


Le distanze tra la Lega e i Cinque Stelle restano e si fanno sempre più profonde col passare del tempo. Tanto che, se sul caso Diciotti i grillini avevano fatto il proprio dovere votando contro la richiesta di autorizzazione a procedere, sulla nuova inchiesta il vento potrebbe anche cambiare. Anche perché, se il tribunale dei ministri dovesse tirare in ballo anche Di Maio per il caso della Sea Watch, nel M5s potrebbe passare la linea dettata in queste ore da Roberto Fico ("Se toccasse a me, mi farei processare"). In questo caso per il governo Conte si aprirebbe il baratro. Vero è che, senza nemmeno arrivare a un nuovo voto in Senato, Di Maio ce la sta mettendo tutta per far infuriare Salvini. "Eppure io non mi permetto di dargli lezioni sulle crisi aziendali che sono ferme sul suo tavolo - lamenta - chiedo altrettanto rispetto su problemi di difesa dei confini e gestione della sicurezza...".





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Published on April 16, 2019 08:46

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