Andrea Indini's Blog, page 70

September 11, 2020

Santori si toglie dalla naftalina (e aizza la gente contro il centrodestra)

Andrea Indini



A gennaio risollevarono le sorti di Bonaccini. Ora rispuntano in occasione delle regionali. Così le sardine (senza metterci la faccia in lista) catalizzano il popolo rosso contro il nemico comune: la destra


Mattia Santori, l'"eterno ragazzo che crede di poter cambiare il mondo", è tornato ad essere il prezzemolino della sinistra. Fresco di beatificazione in un melenso ritrattone postato sulla pagina Facebook "6000 sardine", eccolo ricomparire (guarda un po'!) proprio in occasione delle imminenti elezioni regionali, dove la sinistra rischia un'altra scoppola, e sferzare il popolo dem arringandolo contro il pericolo delle destre. A inizio anno era stato un toccasana per Stefano Bonaccini che fino all'ultimo rischiava di farsi scippare l'Emilia Romagna da Lucia Borgonzoni. La leghista aveva quasi sfiorato il colpaccio ma alla fine il feudo rosso non ha avuto il coraggio di voltar pagina. La stessa chance è ora nelle mani di un'altra leghista, Susanna Ceccardi. A questo giro, però, si trova a dover affrontare un candidato ben più debole di Bonaccini, Eugenio Giani. Così, non appena i sondaggi hanno ipotizzato il testa a testa, il capo sardina è corso in aiuto dei compagni.


Su Facebook le altre sardine lo descrivo così: "Un sognatore, un vulcano di idee ed emozioni, di visioni, di prospettive". E ancora: "Una persona estremamente sensibile e coriacea al tempo stesso, che empatizza le sofferenze altrui ma che si batte fino allo stremo per una giusta causa". Di più, di più: "Un trascinatore che ama coinvolgere ed essere coinvolto, un eterno ragazzo che crede di poter cambiare il mondo partendo da un cambiamento interiore". Insomma, Santori santo subito. I toni sono più o meno quelli. Bonaccini, che l'anno scorsa l'ha scampata brutta, guarda alla nuova tornata elettorale con preoccupazione (Il Pd rischia di perdere 7-0) e rende omaggio al capo di un movimento che da mesi sta facendo da stampella al Partito democratico. "Le Sardine hanno riempito le piazze perché la sinistra non ha più chiamato nessuno in piazza", ammette il governatore che degli otto punti di scarto, con cui ha vinto le amministrative, sa bene che almeno tre li hanno spostati Santori & Co che in Elly Schlein hanno visto il loro "riferimento politico". Non a caso, alla tornata elettorale dello scorso gennaio, l'ex eurodeputata piddì, oggi vice di Bonaccini, sbancò le urne facendo il record di preferenze (oltre 22mila).


Adesso Giani spera che le sardine possano compiere lo stesso "miracolo". E così eccole di nuovo nuotare nella politica sferrando colpi bassi a tutti per accalappiare un po' di consenso in più. L'aggressione della congolese in piazza, che come una forsennata gli ha strappato camicia e rosario? Matteo Salvini, sotto sotto se l'è cercata. "Dal momento che una certa politica insegue il consenso, vive di questo e per questo, abusando di un linguaggio verbale e non verbale violento - ha sentenziato in una intervista all'AdnKronos - davanti alla provocazione continua, non è inverosimile né improbabile, imbattersi in comportamenti di risposta violenti". E che dire del Pd? "Gli serve nuova linfa, serve un partito che dia voce alla sua base", ha poi pontificato facendo a Zingaretti la ramanzina per il suo "sì" al referendum e promettendo di riunire "il fronte del No" domenica prossima a Roma. Uno strappo? Magari in futuro. Intanto, polemizzando apertamente con la leadership piddina, solletica chi nell'elettorato dem non è affatto entusiasta del taglio dei parlamentari. Una presa di posizione che potrebbe anche ritorcersi contro gli stessi candidati del centrosinistra.


Per mesi, quando l'Italia si confrontava con l'emergenza coronavirus, Santori si è rintanato in casa. Adesso è tornato ad arringare il "suo" popolo criticando anche i compagni piddini ma tirandogli poi la volata nelle urne. Non si è capito cosa voglia fare da grande. Al contrario la Ceccardi, che ha la stessa età del capo sardina, ha deciso di metterci la faccia da tempo: prima come sindaco di Cascina, ora come candidata del centrodestra alle regionali in Toscana. Sa che può perdere, l'ha messo in conto. Ma sa anche che la partita è aperta. Una scomessa che, almeno per il momento, Santori non si sente di fare: così, pur continuando ad essere bravo a riempire le piazze catalizzando l'odio della sinistra contro la destra, si tiene alla larga dal confronto elettorale. Non si sa se per paura dell'esito o che altro.





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Published on September 11, 2020 02:18

September 8, 2020

Così il governo sabotò le regioni. La verità sul piano Covid-19

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Il Piano pronto a febbraio. Ma non arrivò mai alle regioni, nemmeno in Lombardia dove il Covid stava iniziando a mietere morti. Ecco tutta la verità


La nebbia inizia a diradarsi. E si affaccia un po’ di chiarezza sul piano anti Covid realizzato dagli esperti per conto del governo. All’interno erano previsti scenari e indicazioni di reazione in caso l’epidemia colpisse l’Italia, ma non è stato condiviso con le regioni. Neppure con la Lombardia. “Un piano di emergenza sanitaria sicuramente non lo abbiamo ricevuto”, dice Vittorio Demicheli, membro della task force lombarda. La rivelazione, che ilGiornale.it può anticipare in esclusiva, è contenuta nel “Libro nero del Coronavirus. Retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia”, edito da Historica Edizioni e in uscita a inizio ottobre.


[[nodo 1887668]] Breve riassunto. Di questo fantomatico piano si parla ormai da aprile. Lo rivelò il dg Andrea Urbani, membro del Cts, assicurando che il governo vi si era attenuto per affrontare l’emergenza. Disse però che conteneva scenari troppo gravi per mostrarli a tutti e che dunque venne tenuto segreto. Poi Repubblica ne pubblicò alcuni stralci, il governatore Fontana chiese lumi e il ministero, convocato dal Copasir, iniziò a derubricarlo a “studio di previsione” sui “possibili scenari dell’epidemia”. Niente di più. Posizione ribadita pochi giorni fa, quando Speranza lo ha definito uno “studio in itinere” con “valutazioni ipotetiche, aleatorie”. Eppure il “Piano”, così si chiama, esiste. È stato realizzato da Iss, ministero della Salute, ospedale Spallanzani e infine validato dal Cts. Contiene sì scenari e livelli di rischio, ma anche fasi operative e indicazioni pratiche. Ieri ne è stato finalmente pubblicato il testo.


Resta il mistero per cui, ai cronisti che avevano fatto un accesso agli atti, il ministero della Salute non lo abbia fornito e la Protezione Civile abbia invece inviato lo studio realizzato da Stefano Merler della Fondazione Kessler. I due testi infatti sembrano diversi. Forse uno ispira l’altro. Di certo, come emerge dai verbali del Cts, il 2 marzo il “Piano” viene approvato nella “versione finale” e presentato al governo. Su queste certezze ne è nata una bagarre politica. Salvini è andato all’attacco, accusando Conte di non aver condiviso “ufficialmente le informazioni nemmeno con i presidenti di Regione”. Speranza gli ha risposto per le rime, affermando che “lo studio a me è stato presentato dal delegato delle Regioni. La persona che me l’ha presentato è stato un esponente della Lombardia”. Come a dire: poteva essere lui a dirlo a Fontana.


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La persona cui fa riferimento il ministro si chiama Alberto Zoli, 65anni, direttore generale dell’Areu lombarda e soprattutto delegato di tutte le regioni al Cts (non solo la Lombardia). In realtà non ha colpe. Dopo aver letto il lavoro di Merler, il Cts forma un gruppo di studio col compito di stilare il “piano operativo” entro una settimana. Il 19 si tiene una riunione. Nasce la prima bozza. E, stando a quanto riporta il Corriere, il 20 febbraio Zolli viene scelto insieme a Merler per presentare il dossier al ministro. “Io sono semplicemente stato uno degli speaker”, si sarebbe sfogato Zoli con i suoi. La versione definitiva la riceve il 1° marzo “in busta chiusa” e con il vincolo di riservatezza cui sono costretti tutti i membri del Cts. Quindi se ne sta zitto nonostante abbia un ruolo pure nella task force del Pirellone. “Mai mi sarei sognato di violare il segreto per riferire al governatore Fontana”, avrebbe affermato. “Il documento non l’ho mai nominato né consegnato. Ma i presenti alle riunioni lombarde sanno che ho messo il mio sapere a disposizione di tutti. La gravità della situazione e dei numeri non l’ho mai nascosta”. Il giorno dopo, il 2 marzo, il “Piano” viene approvato nella sua “versione finale” dal Cts che decide di presentarlo, via Angelo Borrelli, al ministro Speranza. Il governo assicura di non averlo secretato, e che la riservatezza fu decisa dal Cts, eppure non lo condivide con le regioni.


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“Quello di cui avevamo consapevolezza erano scenari, non ‘piani’ - dice Demicheli nel libro, intervistato a fine aprile - Un ‘piano’ intende una successione di cose da fare sulla base di ipotesi di comportamento del virus”. Quello che il Pirellone riceve, invece, sono solo “scenari previsionali costruiti dall’Iss e da Stefano Merler” (il matematico non collabora solo con il Cts, ma anche con l’Unità di crisi lombarda): “Sono cose arrivate dopo il 20 febbraio - afferma - e man mano che mandavamo i dati a Merler, lui li adattava alla nostra situazione facendo vedere che se non si interveniva in fretta le dimensioni (del contagio, ndr) sarebbero diventate impressionanti”. “L’unica cosa che ricordo - insiste - è che questi scenari ipotizzavano diffusioni ampie ma con velocità decisamente inferiori". Il virus lombardo, infatti, ha avuto "una velocità di diffusione sueriore a quella che ha avuto in Cina", ma "i modellisti nelle loro previsioni infilavano i parametri di riproducibilità e di intervallo seriale di Wuhan". Quindi non si sono rivelati precisi. "Questi scenari spaventavano per i numeri, e ahimè si sono rivelati veri, ma tranquillizzano dal punto di vista dei tempi. Perché sembrava ci sarebbe stato un po’ più di tempo, che i focolai crescessero più lentamente. Poi è diventato chiaro che non era così: ogni 3 giorni raddoppiava il numero dei malati, quindi quella velocità lì non era realistica”.


[[nodo 1888381]] Scenari a parte, comunque Demicheli è certo: “Io di piani non ne ho visti”. Ad aprile l’epidemiologo dubitava addirittura che ne esistesse uno. "Si fanno i piani pandemici dell’influenza perché è più o meno si sa cosa fanno quei virus", con Sars-CoV-2 invece è diverso. Eppure il governo un “Piano”, per quanto ipotetico, lo aveva. E conteneva alcune indicazioni su come reagire ad un eventuale contagio: fare scorta di mascherine, aumentare le terapie intensive, incrementare i posti letto in ospedale. Se non divulgarlo al pubblico per ragion di Stato può pure avere una logica, perché però non condividerlo con i governatori?





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Published on September 08, 2020 23:04

Migranti a bordo della Diciotti? Toh, c'erano dietro i trafficanti

Andrea Indini



Scoperta banda di trafficanti di esseri umani: organizzavano gli sbarchi in Italia. Tra questi anche quello che fece poi scoppiare il caso Diciotti. Salvini: "Orgoglioso di andare a processo"


Il tempo, a volte, sa essere galantuomo. E così, come era poi venuto fuori che tre dei migranti soccorsi dalla capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete, erano in realtà dei torturatori (e per questo infame reato sono stati condannati a vent'anni di carcere), adesso si scopre che la banda di trafficanti di esseri umani, fatta arrestare questa mattina all'alba dalla procura di Palermo, avrebbe organizzato anche la traversata dei 190 clandestini poi caricati sulla nave Diciotti della Guardia costiera il 16 agosto del 2018. Sbarco che all'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini costò l'iscrizione nel registro degli indagati.


"Per qualcuno doveva costarmi l’ennesimo processo...". Salvini legge con orgoglio la notizia dell'operazione "Glauco 4", prosecuzione delle indagini condotte tra il 2013 ed il 2017 che hanno consentito di "individuare e identificare numerosi trafficanti di esseri umani" che operano lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Tra questi c'è anche Ghermay Ermias Alem Ermias, già destinatario di diverse misure cautelari ma ancora latitante. Stando dietro le tracce di quello che è considerato il re degli sbarchi, gli inquirenti sono riusciti far luce su una organizzazione criminale che almeno dal 2017 supporta il trasferimento dei clandestini sia sul continente africano (anche quando questi si trovano all'interno dei campi di prigionia libici) sia in Sicilia dove organizza le fughe dai centri di accoglienza e i nascondigli in luoghi di fortuna e rifornisce vitto, alloggio, titoli di viaggio e (ovviamente) documenti falsi. È sempre la stessa banda a curare anche le partenze degli immigrati verso le principali città del centro e nord Italia.


I capi di questa banda di criminali sono tutti eritrei. Tekliyes Solomon era a capo della cellula che opera principalmente nel territorio di Udine, mentre Ghirmay Mussie e Andemiclael Musie controllavano il territorio di Milano. È a loro che gli inquirenti riconducono numerosi sbarchi importanti che, rientrati nell'ambito delle operazioni search and rescue, hanno suscitato parecchio clamore politico nel nostro Paese. Tra questi, anche gli sbarchi del 14 luglio 2017, che hanno fatto arrivare 1.422 immigrati nel porto di Catania, del 27 novembre 2017, che sempre a Catania ha permesso l'arrivo di 416 immigrati a bordo della nave "Acquarius", del 16 dicembre 2017, che ha contato 407 nuovi arrivi nel porto di Augusta, e, soprattutto, del 16 ottobre 2018 che ha scatenato il braccio di ferro tra Salvini e la nave della Marina Militare "U. Diciotti" ed è terminato con il trasbordo di 190 stranieri nel porto di Lampedusa. È quest'ultimo caso a dover far riflettere maggiormente visto che la procura di Agrigento avrebbe voluto mandare in galera il leader leghista accusandolo di "sequestro di persona, arresto illegale e abuso d'ufficio". Il solo pensiero di vedere il Capitano in carcere aveva mandato in visibilio la sinistra che, al momento di decidere sull'autorizzazione a procedere, aveva votato a favore. Fortunatamente il 20 marzo 2019 non avevano ancora i numeri per portare avanti un'operazione tanto dissennata e così la richiesta dei pm di Agrigento si era infranta contro il muro di Palazzo Madama.


Ci sono invece riusciti lo scorso 30 luglio. Grazie anche ai Cinque Stelle, che l'anno scorso si erano opposti al caso Diciotti, i dem sono riusciti a far passare l'autorizzazione a procedere per il caso Open Arms. Nonostante il trappolone politico, Salvini non si è mai pentito di quanto fatto quando sedeva al Viminale e, anche a fronte degli arresti di oggi, ha ribadito il proprio "orgoglio" ad "andare in tribunale a ribadire che difendere l'Italia e i suoi confini non è un reato ma un dovere". L'operazione di oggi è, infatti, la riprova del fatto che dietro i viaggi della speranza ci sono spietati trafficanti di esseri umani che vanno fermati e non certo aiutati. Ce lo avevano già dimostrato anche le condanne che hanno portato dietro le sbarre Mohamed Condè (22enne della Guinea conosciuto anche come Suarez), Hameda Ahmed (26enne egiziano) e Mahmoud Ashuia (24enne egiziano) per le torture inflitte agli immigrati nei centri di detenzione libici. Nel nostro Paese erano arrivati a bordo della Sea Watch che la Rackete fece entrare a forza nel porto di Lampedusa speronando una motovedetta della Guardia di Finanza. A riconoscerli erano stati alcuni clandestini sbarcati dalla "Alex" dell'ong Mediterranea Saving Humans. Adesso dovranno passare una ventina d'anni nelle patrie galere.





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Published on September 08, 2020 01:25

September 7, 2020

Giuseppi fa le promesse ma poi si tiene i soldi... ​Ecco il grande imbroglio

bonus bici




Andrea Indini



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ma poi si tiene i soldi...
Ecco il grande imbroglio


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Published on September 07, 2020 03:22

September 6, 2020

L'illusione di un tempo che non esiste

Andrea Indini



L'uomo si attacca al tempo e fatica a capirne l'inesistenza. Con i suoi film Christopher Nolan ci mette davanti a questa vertigine e ai nostri limiti


Alla base di tutto c'è l'algoritmo. Impalpabile, dunque. Ma non per Christopher Nolan che riesce a pensare anche una formula fisica. Chi l'ha realizzata, l'ha anche resa materiale affinché non possa essere duplicata e copiata. Si tratta di una scatola nera con una sola funzione: l'inversione del mondo come lo conosciamo attraverso l'inversione del tempo. Il tempo, appunto. È il chiodo fisso del regista inglese che nel suo ultimo film Tenet, nelle sale cinematografiche in questi giorni, cerca ancora una volta di sondare e, ancora una volta, ci dimostra quanto sia vacuo. Perché, come scrisse Albert Einstein dopo la morte di Michele Besso, "le persone che credono nella fisica sanno che la distinzione fra passato, presente e futuro non è altro una persistente cocciuta illusione".


L'illusione dello scorrere del tempo

Con questa "cocciuta illusione" Nolan continua a farci i conti. Lo fa sin da quando ha iniziato a mettersi dietro a una telecamera. Prima, quando nel 2000 è uscito Memento, ha fissato l'immobilità del tempo rendendolo sempre simile a se stesso, bruciato da una memoria che non funziona. Poi, nel 2010 con Inception, lo ha dilatato all'inverosimile attraverso "sogni condivisi" in cui si possono innestare ricordi finti o cancellarne di veri ma si deve anche fare i conti col fatto che i secondi e i minuti si dilatano interi anni. Fantascienza? Mica tanto. Fin qui si era limitato a una disamina del tempo nel rapporto con la mente. Ma, quando nel 2014 esce Interstellar, eccolo fare i conti con l'universo.


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"Un tempo, per la meraviglia, alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento - dice Cooper - ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango". Ebbene, ci accorgiamo che il tempo non esiste. Come spiega molto bene Carlo Rovelli in L'ordine del tempo (Adeplhi), con l'aumentare delle nostre conoscenze si è presto capito che tutti gli aspetti caratteristici del tempo sono "approssimazioni, abbagli alla prossimazione", esattamente come il moto del Sole o la piattezza della Terra. "Il crescere del nostro sapere ha portato a un lento sfaldarsi della nozione di tempo - scrive il fisico che all'università di Aix-Marseille dirige un gruppo di ricerca in gravità quantistica - quello che chiamiamo 'tempo' è una complessa collezione di strutture, di strati".


Il tempo non esiste

In Interstellar Nolan fa a pezzi tutti questi "strati" non solo inventandosi un cunicolo spazio-temporale, ma portandoci all'interno di un buco nero, di una singolarità dove passato, presente e futuro collassano su loro stessi. Una vertigine inimmaginabile per la mente umana che a fatica riesce ad afferrare questo limite. Un limite che ci fa storcere il naso non appena ci troviamo a dover accettare che il tempo passa più lentamente in basso e più velocemente in alto.


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È il classico esempio del gemello che abita in montagna e invecchia più velocemente rispetto a quello che trascorre tutta la vita in città. Una stranezza. Ma, se prendiamo un pianeta o una stella molto più concentrati, ecco che faremmo tantissima fatica a comprendere (o comunque anche solo ad accettare per postulato) che lì dentro, in quel buco nero, il tempo smette del tutto di scorrere. Se potessimo anche solo avvicinarci al bordo di questa singolarità, vedremmo passare pochi secondo mentre nel resto dell'universo si brucerrebbero milioni di anni in un solo soffio. Una verità che Einstein è riuscito ad afferrare ancor prima che venissero effettivamente scoperti i buchi neri e che ovviamente Nolan posse costruirci attorno un capolavoro. A quel "cuore di tenebra" il regista dà un nome, Gargantua, e lo varca.


L'inversione del tempo


Se il tempo esiste solo nella mente degli umani, allora si può frantumare e finanche invertire. È questo il presupposto di Tenet in cui Nolan immagina una guerra ancor più devastante dell'olocausto nucleare dove l'entropia degli oggetti e delle persone va al contrario. Una sorta di guerra fredda temporale dove i positroni vengono concepiti come elettroni che si muovono indietro nel tempo. Fantascienza? Anche qui: mica tanto. Per rendere la sceneggiatura verosimile, il regista l'ha fatta rileggere al fisico Kip Thorne, uno dei massimi esperti di relatività generale, e ha scomodato Richard Feynman e John Archibald Wheeler, i due fisici che nel 1940 hanno elaborato la teoria dell'azione a distanza, secondo cui le soluzioni delle equazioni del campo elettromagnetico non variano se sottoposte a un'inversione temporale. Senza una direzione preferenziale del tempo non ci può essere nemmeno una distinzione tra il passato e il futuro. E così, dal futuro, ecco arrivare nel passato un'arma talmente potente (l'algoritmo, appunto), da essere "spacchettata" in nove parti e nascosta in nove differenti siti nucleari. Messe insieme, l'inversione può essere totale: a mano a mano che si inverte l'entropia di un numero maggiore, le direzioni del tempo si fanno sempre più intrecciate sino a collassare e a creare un'altra realtà. Un'altra realtà comunque schiava di questa variabile che la fisica quantistica non concepisce più come essenziale per descrivere quanto accade.





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Published on September 06, 2020 03:21

September 5, 2020

Così brucia la società occidentale

Matteo Carnieletto
Andrea Indini



Il virus dell'odio, ma anche il conformismo e il politicamente corretto. Ecco i mali della società americana che ancora oggi si scopre vittima di divisioni che non ha mai saputo superare


Lo scontro, negli Stati Uniti, è razziale, non è politico. O meglio: è uno scontro atavico, tanto antico da essere intriso nelle viscere di ogni cittadino, da condizionare la politica e a tracimare nello scontro tra repubblicani e democratici. In Questa strana e incontenibile stagione (Sur), scritto e pubblicato in piena pandemia, Zadie Smith centra appieno il problema puntando il dito contro il virus che sta appestando gli Stati Uniti, ovvero quello del disprezzo che spinge "chi guarda la siepe del proprio giardino" a vedere "un popolo di appestati: appestati dalla povertà, prima e più di ogni altra cosa". Un virus che "si annida saldamente sia nei cuori dei repubblicani che dei democratici". La differenza è che questi ultimi stanno usando politicamente questo problema per avvelenare la campagna elettorale per le presidenziali di novembre. "Se il virus e le disuguaglianze che crea dovessero mai lasciarci, negli Stati Uniti certi eccessi si attenuerebbero - spiega la scrittrice inglese - non scomparirebbe del tutto (nessun paese sulla faccia della terra può sostenere di non averne) ma certe cose non verrebbero più considerate normali".


Un male che nasce da lontano

"I cant't breath". L'urlo strozzato in gola, gli occhi fuori dalle orbite e quelle immagine rimandate in loop come un disco incantato. È morto così George Floyd, all'incrocio tra la 38ª e la Chicago Avenue a Minneapolis. È morto soffocato, sotto il peso di un poliziotto. "Non riesco a respirare, per favore - urlava - il ginocchio al collo, non riesco a respirare". Era il 25 maggio e il presidente Donald Trump si trovava invischiato nella peggiore emergenza sanitaria dell'ultimo secolo. Non poteva sapere che da lì a poco avrebbe dovuto gestire un'altra emergenza, ben più lacerante. Non appena l'Hennepin County Medical Center, l'ospedale dove l'afroamericano venne trasportato d'urgenza dopo aver perso conoscenza, ne decretò il decesso e le immagini dell'arresto iniziarono a essere condivise sui social e a fare il giro del mondo, proteste e tumulti dilagarono in tutto il Paese. Adesso è una guerra fratricida. In strada i militanti dei Black lives matter e degli Antifa si confondono tra i manifestanti anti Trump così come la destra più estrema e radicale rimpolpa i cortei a sostegno del tycoon. E il sangue non smette di scorrere. Lo scorso 29 luglio, a Portland, un supporter del presidente, il 39enne Aaron J. Danielson, è stato ammazzato con un colpo sparato a bruciapelo.


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È l'odio di un popolo che sembra non conoscere requie e che, con l'effetto ciclico di un'onda, si trova ad esserne nuovamente invischiato. È lo stesso odio di cui parla, per esempio, James Ellroy nel suo ultimo, bellissimo romanzo, Questa tempesta (Einaudi). Forte della convizione che, come ebbe a dire Benito Mussolini, "solo il sangue muove le ruote della storia" (parole riportate dall'autore stesso in testa al libro), l'opera, che dopo Perfidia (Einaudi) è il secondo capitolo della nuova tetralogia di Los Angeles, getta il lettore in un girone buio quando, all'indomani dell'attacco a Pearl Harbor, gli Stati Uniti si sono scoperti più deboli e hanno dato il via ai violentissimi rastrellamenti contro i cittadini giapponesi (da lì alla fine del conflitto ne verranno arrestati ben 100mila). Sono settimane incandescenti dove l'odio dilaga nelle strade e colpisce qualsiasi etnia. È una guerra per bande che non risparmia nessuno. Ellroy è bravissimo a descriverle, senza fare sconti a nessuno, una giungla d'odio e violenza in cui si muovo sanguinari simpatizzanti del führer, incendiari comunisti che sognano il trionfo di Stalin, sinarquisti messicani che brigano contro il presidente Roosvelt. E ancora: il rancore dei bianchi contro gli afro, gli scontri tra la comunità cinese e quella giapponese, il traffico dei clandestini dal Centro America. Con sfumature molto diverse, certe scene raccontate dall'autore di American Tabloid e LA Confidential riecheggiano le violenze che vediamo sui media in questi mesi.


Un'America profondamente divisa

In una intervista rilasciata a Vice nel 2010, quando aveva appena dato alle stampe Caccia alle donne (Bompiani), Ellroy aveva fatto un'analisi disincantata di se stesso e di quello che, visto nello specchio del politicamente corretto, non deve esistere. "Sono un americano religioso, eterosessuale di destra, sembra quasi che sia nato in un'altra epoca. (...) Sono un cristiano nazionalista, militarista e capitalista", ha ammesso sapendo che tutto questo gli ha spesso creato problemi. "La gente pensa che queste mie posizioni siano choccanti - ha tagliato corto - non sento il bisogno di giustificare le mie opinioni". Non per tutti è così. Perché se da una parte, come sottolineato da Zadie Smith, l'America è dilaniata dal virus del disprezzo, dall'altra rischia di essere fagocitata da un altro virus: quello della censura imposta dal politically correct. E qui veniamo a un altro romanzo Tanti piccoli fuochi di Celeste Ng (Bollati Boringhieri). Pubblicato nel 2017 torna ora negli scaffali delle librerie grazie alla fortunata serie televisiva interpretata dalle bravissime Reese Witherspoon e Kerry Washington e distribuita dai primi di giugno da Amazon.


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Facciamo un salto alla fine degli anni Novanta, quando il mito dell'America riplende ancora (a torto o a ragione) in tutto il mondo. Siamo alle porte di Cleveland. Shaker Heights è un quartiere chiuso dove vive l'upper class democratica. Famiglie da cartolina, buoniste, impegnate nel sociale, devote alle regole che si sono date per mandare avanti la propria comunità e proteggerla dai propri mali. Elena Richardson ne è l'emblema: bianca, ricca, redattrice del quotidiano locale, moglie di uno stimato avvocato, madre di quattro figli (due maschi e due femmine, of course) e vittima nonché artefice di quelle stesse diaboliche correzioni stigmatizzate da Jonathan Franzen vent'anni fa. Sull'altro lato della strada c'è la sua antitesi: Mia Warren è una madre single, nera, artista a tempo perso che si mantiene facendo lavori saltuari e soprattutto senza fissa dimora. Quando i due mondi si incontrano, la Richardson non può che dimostrarsi caritatevole perché lei, da giovane, ha "marciato con il dottor King" e ha difeso i diritti delle donne. Così, prima le offre un contratto d'affitto stracciato, poi le dà un lavoro. Ed è qui che si infrange il conformismo dem facendo divampare tanti piccoli fuochi che finiranno per dare alle fiamme l'intera dimora dei Richardson.


Il rischio americano

Shaker Heights è un topos. Il paradigma di un'America dilaniata che continua a lottare contro se stessa. Gli effetti sono "drogati" da una visione di parte: una lettura buonista che non fa sconti alla borghesia bianca ma che la condanna a prescindere. Così, sebbene Mia Worren abbia cresciuto la figlia per strada, Pearl è l'unica responsabile e fa impallidire i quattro figli di Elena. Allo stesso modo gli errori di Mia vengono, in un certo qual modo, scusati dalle circostanze mentre quelli di Elena costantemente condannati. Non che quest'ultima non sia da biasimare (in primis l'incapacità di accogliere le scelte della quarta figlia). Eppure... per tutto il romanzo si fa portatrice di alcuni valori che la società occidentale dovrebbe continuare a difendere e che, invece, i sensi di colpa dei democratici continuano a cedere in uno scontro che, anno dopo anno, non sta portando da nessuna parte se non a indebolire tutti quanti. Per la Smith, per esempio, la domanda che gli Stati Uniti dovrebbero porsi è la seguente: "Esiste un desiderio abbastanza forte di un'America diversa?". Perché questo avvenga, a suo dire, la classe dirigente deve prendere coscienza del fatto che "il virus non infetta solo gli individui di intere strutture di potere", ma piega "tutte le persone economicamente sfruttate, a prescindere dalla razza".


In realtà, quello che manca agli Stati Uniti (e di riflesso a Shaker Heights) è la capacità di unire i cittadini, indipendentemente dal colore della pelle, in vista di un obiettivo comune e condiviso. È quello che hanno fatto tutti gli imperi, da quello romano a quello britannico, e che ha ben descritto Rutilio Namaziano nel suo Ritorno: "Desti una patria ai popoli / dispersi in cento luoghi: / furon ventura ai barbari / le tue vittorie e i gioghi: / ché del tuo dritto ai sudditi / mentre il consorzio appresti, / di tutto il mondo una città facesti". Questo vulnus, questa ferita, si riaffaccia non appena appaiono nuove difficoltà. Le strade distrutte ed incendiate degli ultimi mesi lo rappresentano plasticamente. Tanti piccoli fuochi, che da decenni bruciano un impero dimezzato.





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Published on September 05, 2020 22:42

September 1, 2020

"Ora Lamorgese si dimetta". Gli italiani inchiodano Conte

Andrea Indini



Lo stato di emergenza, la crisi economica, il flop alle regionali: Conte è in alto mare. Ma è sull'immigrazione che rischia di più


Una sfilza di grafici, numeri, percentuali e segni meno. Si stanno impilando, uno sopra l'altro, sulla scrivania del premier Giuseppe Conte. Non promettono nulla di buono. Da una parte ci sono quelli che incrociano i nuovi contagiati, l'R0 delle diverse regioni e i morti, dall'altra le previsioni (drammatiche) di un'economia al collasso che deve fare i conti con il crollo del pil e dell'occupazione e con le promesse di aiuti (per ora lontani) dell'Unione europea. Poi c'è una proiezione altamente confidenziale che dà il centrodestra vincitore in sei Regioni su sette. E non solo nelle Marche, dove la sinistra rischia una rovinosa caduta dopo un'egemonia durata un quarto di secolo, ma addirittura in Toscana dove la leghista Susanna Ceccardi è a un passo dal candidato dem Eugenio Giani. Un terremoto politico che non farebbe male soltanto al Partito democratico, che si vedrebbe portar via due roccaforti storiche, ma andrebbe a colpire anche i Cinque Stelle che a questo giro rischiano di finire sotto il 10 per cento finendo per indebolire ulteriormente l'esecutivo.


Come se tutto questo non fosse abbastanza a mettere in crisi la poltrona di Conte, oggi pomeriggio Affaritaliani ha pubblicato un altro sondaggio che riguarda un altro nervo scoperto di Conte, l'immigrazione, e che seppellisce definitivamente l'operato dell'intero governo. Le percentuali emerse dal lavoro di Roberto Baldassari, direttore generale di Lab2101 e docente di Strategie delle ricerche di opinione e di mercato all’università degli studi RomaTre, delinenano una "bocciatura netta, chiara e senza appello" della gestione strampalata degli sbarchi e, soprattutto, della quarantena dei clandestini appena sbarcati. Non solo il 57% degli intervistati non condivide le misure adottate dall'esecutivo, ma quasi il 55%, considerando soprattutto la situazione drammatica che è venuta a crearsi nei porti e negli hotspot siciliani, vuole la testa del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. "Deve dimettersi", hanno sentenziato senza mezzi termini gli italiani. È la pancia del Paese che, a fronte dei sacrifici affrontati negli ultimi mesi, assiste quotidianamente al lassismo dei giallorossi nei confronti degli immigrati. "La curva del contagio è arrivata al punto più basso - si è giustamente chiesto Vittorio Sgarbi nelle scorse ore - ma, se la posizione dello Stato è quella dell'emergenza, perché continuare a far arrivare i migranti?".


Conte sa molto bene quello che rischia. Tanto più a fronte del risultato imbarazzante che può uscire dalla cabina elettorale la sera del 21 settembre. È per questo che nelle scorse ore ha cercato di allontare dal dibattito politico l'abolizione dei decreti Sicurezza. Mentre la Lamorgese continua a ribadirgli di prendere una posizione netta sull'immigrazione, il presidente del Consiglio tergiversa, non risponde ai messaggi della ministra e si tiene lontano dal dossier. Per quanto abbia preso un impegno con i democratici per ribaltare le misure approvate quando a sostenerlo c'era la Lega, sa bene che gli italiani non sono con lui. A confermare questo presentimento ci ha pensato il sondaggio di Affaritaliani che gli ha messo sotto il naso un dato che non può essere frainteso. "Il 65,1% degli intervistati - si legge - pensa che l'Italia fosse più sicura quando alla guida del ministero dell'Interno c'era Salvini".


Sembra di essere ripiombati indietro di tre o quattro anni, quando a Palazzo Chigi hanno fatto la staffetta Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Stesso copione, stesso risultato: i porti costantemente aperti e centinaia di barconi stracarichi di immigrati attraccati ai porti siciliani. Ora, però, il governo deve fare i conti con l'emergenza sanitaria legata al coronavirus e lo spettro della seconda ondata e con una crisi economica che in autunno rischia di esplodere con una potenza senza precedenti. Ecco perché i dati del sondaggio di Affaritaliani dovrebbero spaventar Conte e tutto l'esecutivo ancor più della batosta (annunciata) che prenderanno alle elezioni regionali.





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Published on September 01, 2020 08:09

August 31, 2020

Quegli ultrà dell'immigrazione che calpestano le leggi italiane

Andrea Indini



Dietro la maschera del buonismo, le ong nascondono la natura antifascista della propria crociata che mira a "cambiamenti politici radicali". Anche ribaltando le leggi nazionali


Pia Klemp, la capitana della "Louise Michel", la nave dello street artist Banksy che ha lanciato un sos dopo aver preso a bordo 219 clandestini, ha subito gettato la maschera. "Il salvataggio in mare non è azione umanitaria - ha ammesso al Guardian - ma parte della lotta antifascista". A differenza di tanti suoi predecessori, anche loro ultrà dell'immigrazione senza controlli, ha avuto l'onestà intellettuale di dire le cose come stanno. E cioè che i disperati, che ogni giorno tentano la sorte salpando dalle coste libiche, non sono vite in pericolo da salvare dalle onde del Mar Mediterraneo o da strappare dalle grinfie di trafficanti senza scrupoli, ma uno strumento per raggiungiere la propria battaglia ideologica contro la difesa dei confini. Anche a costo di calplestare le leggi del nostro Paese.


La "nuova" ultrà dei clandestini

La Klemp non è nuova a queste scorribande nel Mediterraneo centrale. Attivista per i diritti umani, è balzata agli onori delle cronache nazionali dopo essere finita in un'inchiesta per "favoreggiamento dell'immigrazione illegale". Una accusa, quella avanzata dalla magistratura italiana, che non deve aver fatto né caldo né freddo alla tedesca. Tanto che, non appena si è presentata l'occasione, eccola alla guida di un'altra nave in cerca di immigrati da portare in Europa. A questo giro si è messa al timone di una ex imbarcazione doganale francese lunga 31 metri, notevolmente più veloce delle solite navi delle organizzazioni non governative che operano nella zona. Un particolare non da poco quest'ultimo, che le permette di sfrecciare sulle onde e battere sul tempo la Guardia costiera libica. Al suo fianco, per portare avanti quella che per lei è in primis una "lotta antifascista", ci sono i dieci membri dell'equipaggio della "Louise Michel" che al Guardian hanno tenuto a definirsi tutti quanti "attivisti antirazzisti e antifascisti a favore di cambiamenti politici radicali". Altro che buonismo spicciolo, l'impianto ideologico di questi corsari terzomondisti mira a minare le fondamenta della società occidentale per indebolire i partiti di destra e piegare la legge al proprio volere. E, quando non ci riescono, la calpestano senza farsi troppi problemi.


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I capitani che sfidano l'Italia

La Klemp non è certo la prima a voler sfidare la legge per portare avanti "cambiamenti politici radicali". In Italia abbiamo già avuto a che fare con un'altra "capitana" pronta a tutto, anche a speronare una motovedetta, pur di entrare a forza in un porto senza alcuna autorizzazione. È il caso di Carola Rackete che, la notte tra il 28 e il 29 giugno dell'anno scorso, compì una monovra pirata per forzare il blocco della Guardia di finanza (guarda il video) che le è costato un avviso di garanzia. Lo scorso 12 febbraio la procura di Agrigento ha chiesto una proroga di altri sei mesi delle indagini iniziate l'indomani dello speronamento della motovedetta. "Non ho sbagliato ad entrare nelle acque territoriali italiane", ha detto in più di un'occasione. "Rifarei tutto quello che ho fatto, perché era il mio dovere". Nessun pentimento, dunque. Eppure sembra destinata a farla franca. Infatti, in modo ufficioso, dalla procura hanno lasciato intendere più volte che, finito il supplemento di indagini, si dovrebbe andare verso la richiesta di archiviazione. Lo stesso destino a cui sono andati incontro Luca Casarini e il capitano della Mare Jonio, Pietro Marrone. "Non siamo noi che violiamo i diritti ma chi ha fatto gli accordi con la Libia, chi riporta i migranti in Libia, chi ha permesso che la Libia avesse una zona Sar (search and rescue, ndr) pur non essendo riconosciuta come un porto sicuro", aveva spiegato a suo tempo la portavoce Alessandra Sciurba confermando la natura ideologica dell'ong dei centri sociali. Prima della Rackete a sfidare le autorità italiane ci ha pensato un altro capitano della Sea Watch 3, Arturo Centore. Poi c'è il caso del capomissione del veliero "Alex" dell'ong Mediterranea, Erasmo Palazzotto, interrogato nel luglio dell'anno scorso ad Agrigento. "Dell'indagine non si è saputo più nulla - ci fa sapere una fonte - il fascicolo, però, dovrebbe essere formalmente ancora aperto".


L'obiettivo politico delle ong

La lista dei capitani che calpestano le nostre leggi è davvero lunga ma le indagini della procura di Agrigento sono sempre andate verso un punto morto. Non solo nessuno di loro è mai stato condannato, ma nemmeno rinviato a giudizio. Fa eccezione solo l'ex comandante della Open Arms, Marc Reig Creus, per il quale è stato chiesto, nel luglio del 2019, il rinvio a giudizio dopo che è spuntato un video in cui prometteva apertamente ai migranti che li avrebbe portati in Italia (guarda il video). Alla fine, però, questo è l'obiettivo della maggior parte delle ong attive nel Mar Mediterraneo: dietro la maschera del buonismo, gli ultrà degli sbarchi nascondono la natura "antifascista" della propria crociata che mira appunto a "cambiamenti politici radicali". Anche ribaltando le leggi nazionali. Per questo diventa pericoloso l'assist che Pd e Cinque Stelle si preparano a offrir loro smantellando i decreti Sicurezza voluti da Matteo Salvini quando sedeva al Viminale. Una presa di posizione ideologica che ha di fatto moltiplicato le partenze dalle coste del Nord Africa. L'unica soluzione ai continui arrivi avanzata dall'esecutivo è di distribuire i calndestini qua e là in tutto il Paese. "Ma così - ha sottolineato il leader della Lega - il problema non si risolve. Noi al governo abbiamo dimostrato come si fa: si arrestano gli scafisti e si chiudono i porti". Una linea che non piace ai giallorossi e tantomeno ai capitani che vogliono scaricare sulle nostre coste altri clandestini.


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Carola Rackete
Pia Klemp
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Published on August 31, 2020 04:14

August 30, 2020

Atlante per un viaggio (coraggioso) contro la decadenza dell'Occidente

Matteo Carnieletto
Andrea Indini



Nel suo Atlante ideologico sentimentale (Gog) Stenio Solinas parla di un mondo che sembra sparito. Ma che esiste e resiste ancora


La nostra è la generazione dello zapping, quella che compulsa in maniera ossessiva qualsiasi canale - della televisione o della vita - per cercare qualcosa che la soddisfi. In questa attività, la velocità è tutto. 1, 2, 6, 7. E poi: 9, 5, 3. Amazon Prime, Netflix e Disney+. YouTube e Spotify. Il pollice sfreccia continuamente, come se avesse delle convulsioni. Si salta di piattaforma in piattaforma tra uno sbadiglio e l'altro. Muta l'ordine degli addendi, ma il risultato è sempre lo stesso: la noia. Una noia che forse non sarebbe tale se avessimo la pazienza - e la voglia - di andare più in profondità, di scavare un po' di più. E questo in tutti gli aspetti della vita. Nel cinema, nella lettura (ma sono sempre i giovani che leggono) e perfino negli affetti (ma sono sempre meno i giovani che amano). Si inizia, ma non si arriva mai a una fine. Eterni vagabondi di un fast food chiamato mondo.


A volte, però, capita di fermarsi e di tirare un po' il fiato. Recentemente ci è successo con l'Atlante ideologico sentimentale (Gog) di Stenio Solinas. Un libro che non si compulsa, ma con cui ci si confronta e attraverso il quale si creano strade da percorre con calma - quasi fossero sentieri di montagna - con disordinata disciplina. Diviso in cinque parti (Italia, Francia, Donne (fatali), Vite (esemplari), Orientalismi, Esotismi, Snobismi) lo abbiamo approcciato secondo le richieste dell'autore: abbiamo cercato e creato un percorso che fosse il nostro. Siamo partiti da Alexandre Dumas e dai suoi Tre moschettieri. Che poi erano quattro - Athos, Porthos, Aramis e D'Artagnan - ed erano veri almeno quanto noi e voi: "Il vero Athos, Armand de Silègue d'Athos d'Auteville, è sepolto nella chiesa di Saint Sulpice. Ebbe vita breve, meno di trent'anni, morì probabilmente in duello: il corpo venne ritrovato lì dove di solito si andava per incrociare le lame delle spade, il parigino Pré aux Clercs. Il vero Portos si chiamava Isaac de Portau: non è certo che fosse moschettiere, di sicuro militò nella compagnia des Essart, quella in cui Dumas fa debuttare D'Artagnan. La sua fine è ignota, a differenza di quella del vero Aramis, Henri d'Aramitz, che rimase moschettiere fino alla fine, si sposò, ebbe quattro figli, morì cinquantenne nel proprio letto". E il protagonista D'Artagnan? "Si chiamava Charles Ogier de Batz, da moschettiere prese il nome della madre, Françoise Montesquiou d'Artagnan, e vi aggiunse un titolo di conte che non gli appartenteva, vi percorse tutti i gradi sino al comando, fu uomo di fiducia di Luigi XIV e suo braccio armato, morì ceramente nell'assedio di Maastricht, non maresciallo di Francia, come lo promosse Dumas, ma più semplicemente maresciallo di campo. Dei tre moschettieri, il più moschettiere fu lui, il quarto appunto: più che fondersi negli altri fece da vaso di fusione". La storia, quella vera, aveva già pensato a tutto, dunque. Dumas si prese la briga di raccontarla in modo avvincente. Del resto, era stato lo stesso autore ad affermare che la storia era una bella donna da violentare "a patto di farle fare dei bei figli".


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Senso dell'onore, guasconeria, ricerca continua del beau gest: sono questi i tratti distintivi delle opere di Dumas. Che sono il nostro punto di partenza (e di passaggio) in questo viaggio attraverso l'Atlante ideologico sentimentale. "Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto", ha scritto Ariosto ne L'Orlando furioso. Audaci imprese e cavalieri. Ora è il momento delle donne.


"Madamina, il catalogo è questo": Bardot, Birkin, Coco (Chanel), Mata Hari, (Kate) Moss e (Edith) Piaf, solo per citarne alcuni nomi delle donne presenti nel libro di Solinas. Noi - lo abbiamo scritto più volte - siamo "bardolatri". Dovremmo dunque parlare di quella innocente malizia dell'eros che, negli anni Sessanta, compì la vera rivoluzione sessuale che anticipò il 68. Non questa volta. Oggi, BB può aspettare.


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Oggi parliamo di Kate Moss che, a suo modo, rappresentò un momento di rottura, proprio come la bella attrice francese: "Come top-model è bassa, sotto l'uno e settanta, e quando alla fine degli anni Ottanta cominciò la sua carriera andavano di moda super-modelle amazzoni, Cindy Crawford, Christy Turlington, Linda Evangelista, Claudia Schiffer, che l'avrebbero potuta sbranare in un boccone. Era smilza, aveva un modo di muoversi reticente e incurante, un volto di cui gli zigomi orientali accentuavano l'innocenza provocante, i denti un po' storti. Vent'anni dopo, non è cambiato niente, è sempre al top, è sempre la stessa, dentatura compresa". Kate Moss è dunque se stessa. Come BB. Come ce ne sono poche in giro, dato che tutte le ragazze (e le donne) sono impegnate a somigliare all'influencer di turno.


Le audaci imprese: Ernst Jünger. Visse oltre un secolo e oltre il secolo. Fece della trincea il suo mondo. A 18 anni si arruola nella Legione straniera e viene spedito in Algeria, nel campo di Sidi Bel Abbès. Ma ci resta poco. Insieme ad un compagno cerca di fuggire, ma viene dermato in Marocco. Congedato, viene spedito in Germania. Non ha nemmeno il tempo di tornare sui banchi di scuola che scoppia la Prima guerra mondiale.


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È il suo momento. La sua vocazione - essere un guerriero - fiorisce nel fango delle trincee. Nazionalista, non appoggiò mai Adolf Hitler e il nazionalismo ("Gli facemmo ponti d'oro che lui sempre si rifiutò di attaversare", scrisse Joseph Goebbels nei suoi Diari), ma si macchiò di antisemitismo. Amava il caos della battaglia e l'ordinata anarchia della guerra. Visse in un tempo che non era il suo "senza però pretendere il diritto di essere escluso di questo soffrire".

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Published on August 30, 2020 09:39

Quelle folli regole della sinistra. Censura per chi ancora pensa

Andrea Indini



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Censura per chi ancora pensa
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Published on August 30, 2020 00:26

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