Andrea Indini's Blog, page 69
September 21, 2020
Referendum ed elezioni regionali 2020: ecco chi ha vinto

Zaia a valanga in Veneto. Toti vince e si tiene la Liguria. Acquaroli strappa le Marche alla sinistra. Trionfo di De Luca in Campania. Toscana e Puglia restano rosse. Il M5s esulta per il referendum ma alle regionali è una disfatta
Una situazione di parità. Tre regioni a testa. Il centrodestra incassa vittorie (schiaccianti) in Veneto e Liguria e strappa le Marche, fortino rosso da ventincinque anni. Il centrosinistra gioca, invece, in difesa e alla fine riesce a confermarsi in Campania, Toscana e Puglia. A uscirne completamente sconfitto è, come in tutte le elezioni amministrative, il Movimento 5 Stelle: non solo non conquista alcuna Regione, ma non riesce neppure ad essere della partita. Si deve accontentare del referendum costituzionale dove il "sì" passa con quasi il 70% delle preferenze. Un risultato che, però, corre a intestarsi anche il Partito democratico, dimenticandosi che alle prime tre votazioni aveva votato contro, e che, pur blindandola, prelude nuove tensioni nella maggioranza giallorossa.
La sfida alle elezioni regionali
A guardare la cartina dell'Italia ormai appare tutta azzurra. Sono quindici le Regioni governate dal centrodestra che alle elezioni di oggi ne ha strappate altre due alla sinistra. La vittoria più schiacciante è quella di Luca Zaia. Il Doge si conferma per la terza volta alla guida della Regione Veneto con un risultato plebiscitario: il 76% delle preferenze, la maggior parte delle quali vanno alla sua lista "Zaia presidente". Percentuali che riaccendono la sfida tutta interna alla Lega per la leadership, nonostante Matteo Salvini abbia più volte spiegato che i due hanno ruoli e obiettivi diversi. "Il nostro obiettivo era superare il 50 per cento tra le due liste", conferma Lorenzo Fontana, segretario della Liga Veneta vicinissimo al Capitano. "La lista Zaia non è soggetto politico, sono voti dei veneti per il Veneto. Competizione con Salvini ce n'è zero", aggiunge lo stesso Doge, "Non ho ambizioni nazionali tantomeno che partitiche, la mia storia lo dimostra, a me la vita ha dedicato questo ruolo, che è quello di amministrare".
Il centrodestra si conferma anche in Liguria con Giovanni Toti che, sbaragliando l'assalto del piddì Ferruccio Sansa sostenuto anche dai Cinque Stelle, resta governatore della Liguria con il 56%. Storica, poi, la vittoria di Francesco Acquaroli (Fratelli d'Italia) che con il 49% strappa le Marche dalle mani della sinistra. Capitola così un'altra roccaforte rossa dopo il trionfo di Donatella Tesei in Umbria lo scorso ottobre. "Sono molto contenta dei risultati di Fdi", esulta Giorgia Meloni, "Se i dati venissero confermati potremmo dire con grande orgoglio che FdI è l'unico partito che cresce su tutto il territorio nazionale"
Il centrodestra non può, però, cantare del tutto vittoria. Il centrosinistra riesce, infatti, a conservare la Campania, la Toscana e la Puglia. Vincenzo De Luca incassa il 68% sconfiggendo così Stefano Caldoro. Eugenio Giani sventa, invece, l'assalto della leghista Susanna Ceccardi che fino all'ultimo è stata in partita sperando (sondaggi alla mano) in una vittoria che, se agguantata, sarebbe stata storica. Un'altra sfida giocata fino all'ultimo è quella tra Raffaele Fitto e Michele Emiliano: l'ex governatore piddì riesce a conservare la poltrona incassando il 47% delle preferenze.
Il flop del Movimento 5 Stelle
Partecipare senza mai essere in partita. Basta guardare le percentuali del Movimento 5 Stelle per comprendere il flop di Vito Crimi e compagni. Niente di nuovo sotto il sole, per carità. Ma a questo giro nessuno dei candidati grillini è riuscito a fare la differenza: in Toscana Irene Galletti incassa appena il 6%, in Puglia Antonella Laricchia va di poco oltre il 10%, in Veneto Enrico Cappelletti si deve accontentare del 4%. E ancora: in Liguria Aristide Massardo incassa appena il 3,5%, nelle Marche Gian Mario Mercorelli supera appena il 10% così come Valeria Ciarambino. Una disfatta. Eppure, mentre lo spoglio è ancora in corso, ecco Luigi Di Maio affrettarsi ad appuntarsi sul petto "un risultato storico". "È la politica che dà un segnale ai cittadini - ha scritto su Facebook - senza di noi tutto questo non sarebbe mai successo". Non una parola, ovviamente, sul flop alle regionali. Un flop in linea con le sconfitte incassate negli ultimi tre anni alle Amministrative. Dopo il boom di Virginia Raggi e Chiara Appendino, il declino è stato pressoché inesorabile.
Le difficoltà della maggioranza
Al netto del risultato delle elezioni regionali, la vittoria del "Sì" blinda i giallorossi. Almeno fino alla prossima primavera. Servono, infatti, due mesi per ridefinire i collegi sulla scorta del nuovo assetto del parlamento. Dopo inizieranno i dolori: la sessione di Bilancio e a gennaio la Commissione Ue faranno scannare la maggioranza chiamata a decidere dove allocare i soldi del Recovery Fund. La prima finestra elettorale si aprirà soltanto tra febbraio e fine luglio, quando scatterà il semestre bianco, periodo in cui non si possono sciogliere le Camere. Per il momento, però, i big che sostengono il premier Giuseppe Conte assicurano non solo di voler tirar dritto ma addirittura di voler aprire una stagione di riforme. Una boutade che rischia soltanto di creare ulteriori divisioni. Pensare che riescano a trovare un accordo sulla legge elettorale è fantasia. Il ritorno delle preferenze e le soglie di sbarramento sono solo alcuni dei nodi da sciogliere. E poi c'è la proposta di superare il bicameralismo paritario. Insomma, più che una stagione di riforme li aspetta una stagione di litigi continui.
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Le Ong sfidano le autorità italiane: ora pretendono pure l'impunità

Porti e hotspot al collasso: nella notte oltre 400 sbarcati. E le ong tuonano contro il fermo della Sea Watch 4: non rispettano le leggi e vogliono pure farla franca
Non che ce ne fosse bisogno per comprendere le loro intenzioni, ma la Sea Watch ha finalmente gettato la maschera. Quello che l'ong tedesca, come tutte le altre sigle che operano nel Mar Mediterraneo centrale, pretende dall'Italia è l'impunità: poter calpestare le nostre leggi, scaricandoci centinaia di immigrati, e poi ripartire come se nulla fosse per andare a recuperarne altri in acque libiche. "Per undici ore gli ispettori hanno cercato l'ago in un pagliaio e ancora una volta hanno trovato ragioni assurde per trattenerci", si sono lamentati su Twitter, accusando apertamente la Guardia costiera di mettere "deliberatamente a rischio vite umane" applicando un "fermo arbitrario". Dichiarazioni che oltre a delegittimare i militari che, controllando le navi che trasportano clandestini, fanno semplicemente il proprio lavoro, sfidano apertamente l'autorità italiana e appunto le sue leggi.
È stato un fine settimana di sbarchi continui. Uno dopo l'altro. Solo nella serata di ieri a Lampedusa, dove nell'hotspot sono state superate le mille presenze a fronte di una capienza di 192 posti, si sono contati una ventina di sbarchi. Sono almeno 400 gli immigrati arrivati nelle ultime dodici ore. E non sono gli unici: la "Alan Kurdi" aspetta il via libera per entrare nel porto della più grande delle Pelagie e scaricare altri 133 disperati. "Queste persone sono particolarmente vulnerabili", hanno scritto sui social i volontari dell'ong tedesca Sea Eye. Non è solo Lampedusa a soffrire. La maggior parte dei porti del Sud Italia subisce la stessa pressione. Sabato il governo ha autorizzato lo sbarco dei 140 naufraghi, che si trovavano a bordo della nave della Open Arms, a Palermo dove faranno la quarantena sulla Gnv Allegra. Il via libera è arrivato solo dopo un estenuante braccio di ferro, vinto infine dall'ong spagnola grazie all'ultimo trucchetto: un manipoli di disperati che si getta in acqua e raggiunge a nuoto la riva. "L'Occidente non può fare finta di niente. Il prezzo lo pagano la Sicilia e il resto d'Italia", tuona il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, denunciando "una strafottenza senza precedenti, una volgare strumentalizzazione che capovolge la realtà: quelli che difendono i diritti umani sono accusati di razzismo; quelli che se ne fregano della salute degli ultimi, sono pronti per la canonizzazione".
Quando, infatti, si cerca di far rispettare la legge, le organizzazioni tuonano contro il governo (qualunque sia il suo colore) e infangano la Guardia costiera. Esattamente come hanno fatto nelle ultime ore sia la Sea Watch sia Medici senza frontiere. "Le autorità italiane - hanno scritto su Twitter - utilizzano strumentalmente questi controlli tecnici per bloccare le navi umanitarie impegnate nel soccorso in mare". Il fermo è arrivato dopo undici ore di controlli. Solo negli ultimi cinque mesi la Sea Watch 4 è la quinta nave "umanitaria" che, infischiandosene delle nostre leggi, ci ha riversato centinaia di clandestini nei nostri porti e che per questo è bloccata. Ma per gli ultrà dell'accoglienza si tratta solo di "tecnicismi" che venhono "usati come pretesto per impedire di salvare vite in mare". La verità, ovviamente, è un'altra: le ong, come sintetizza Maurizio Gasparri, "aiutano i trafficanti di uomini e scaricano la disperazione del mondo sull'Italia, con i nostri contribuenti che pagano per accogliere su navi di lusso i clandestini che arrivano in Italia a causa delle attività illegali di questi tassisti del mare". E come se non bastasse, come denuncia la deputata di Fratelli d'Italia Ylenja Lucaselli, pretendono persino "l'immunità rispetto a ogni legge e regola". Questa è la cruda realtà. Il governo, che finge di non vederla, non fa altro che prestare il fianco a questi fan dell'immigrazione che continueranno a fare la spola dalle coste libiche ai porti italiani. Finché l'intero sistema non sarà al collasso. E poco ci manca.
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September 20, 2020
Decessi, contagi e letalità. Parla l'infettivologo Matteo Bassetti
Andrea Indini

Intervista al prof. Bassetti: "La letalità è dello 0.5%, i contagi sono molti di più. Dobbiamo uscire dal tunnel della paura"
Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, è uno che il Covid-19 l'ha visto da vicino e, soprattutto, lo ha combattuto, senza però cedere mai alla paura. Negli ultimi mesi, infatti, è apparso in televisione per parlare dei rischi di questa malattia, senza terrorizzare mai nessuno. Lo hanno definito (a torto) negazionista, ma lui (giustamente) non ci sta, come la professoressa Maria Rita Gismondo, che abbiamo intervistato ieri. "Sono mesi che mi sono preso delle botte di negazionista e di eretico. Sono schifato di questo mondo di gente che parla e che non ha mai visto il Covid. E che si permette di dare a me, che ho passato quattro mesi a curare la gente giorno e notte, del negazionista", ci ha detto il prof. Bassetti. Lo abbiamo intervistato.
Partiamo dai numeri. Non si riesce ancora a fare chiarezza: ad oggi quanti italiani hanno davvero contratto il virus? Senza questo numero, i decessi, che potrebbero anche essere di più, rischiano di fuorviare il nostro immaginario...
I numeri sono molto più alti. Ci sono diversi studi che hanno analizzato gli esami sierologici: uno è quello del ministero della Salute - che però è parziale perché sono stati presi in esame solo 70mila test contro i 150mila prospettati - e dice che il 2.5% della popolazione italiana è entrato a contatto con il virus. È chiaro che se prendiamo in considerazione questi numeri arriviamo intorno al milione e mezzo di persone entrate a contatto con il virus. Io credo che questo studio sia evidentemnte sottostimato perché gli 80mila che mancano creano un bias fondamentale. Chi non ha partecipato? Chi era in alcune aree? È come fare un sondaggio con dati incompleti. Noi abbiamo fatto uno studio sierologico, prendendo cioè gli esami sierologici di chi era andato nei laboratori privati della Liguria e della Lombardia, ed escludendo le province ad alta epidemia (Bergamo, Brescia, Piacenza e Cremona). Abbiamo trovato una prevalenza dell'11%: vuol dire che l'11% di chi ha fatto il test aveva avuto un esito positivo.
Quindi la percentuale di morte deve essere ridotta?
Cambiano tutte le statistiche così. Se noi abbiamo cinque/sei milioni di contagi, la mortalità non è più del 12/15% come sembra oggi, ma dello 0.5%, che è decisamente più in linea con una malattia bruttissima, molto contagiosa e di cui avremmo volentieri fatto a meno, ma che non è così devastante come quando era stata disegnata a marzo o aprile. È una malattia che nel 99.5% dei casi non uccide, come molte altre malattie infettive. Anzi, magari tutte le malattie infettive avessero solo lo 0.5 o l'1% di letalità.
Se i numeri sono questi, come mai tutto il mondo pare essere "impazzito" di fronte alla pandemia?
Perché è arrivata un'infezione inaspettata che ha colto buona parte del mondo di sorpresa e che ha fatto un'escalation improvvisa: in due settimane ci siamo trovati gli ospedali pieni con molte persone che morivano. Tornare indietro ora non è facile: bisogna ricostruire le coscienze delle persone e spiegare loro che questa non è un'infezione come è stata disegnata all'inizio. La percezione è: ho preso il coronavirus e quindi sono morto. Oggi dobbiamo spiegare che non è così. Innanzitutto bisogna cercare di non prenderlo - usando le mascherine, il distanziamento, stando a casa se ho la febbre e vaccinandomi -, ma se per caso sono così sfortunato da prendere il virus, sono in un Paese in cui l'infezione è gestibile e ha una letalità che va dallo 0.5 allo 0.7%. Dobbiamo ricostruire le coscienze degli italiani e del resto del mondo, dicendo che, grazie a tutti i sacrifici che abbiamo fatto, l'infezione è decisamente più che in linea rispetto a quanto fosse sei mesi fa. La chiamerei "operazione costruzione coscienza".
Ma così non ha paura di passare per negazionista?
Sono mesi che mi sono preso delle botte di negazionista e di eretico. Sono schifato di questa gente che parla e che non ha mai visto il Covid. E che si permette di dare a me, che ho passato quattro mesi a curare la gente giorno e notte, del negazionista. Ho pubblicato 22 articoli sulle più prestigiose riviste del mondo, ho un gruppo di ricerca eccezionale e qualcuno mi dà del negazionista solo perché non avallo una linea di pensiero che non potrò mai appoggiare. Non posso condividere la linea di pensiero del terrorismo che dice alla gente che morirà di Covid e che siamo tutti finiti se non ci chiudiamo in casa.
Ad oggi pare che ci sia una una "infatuazione" della paura...
Certo, ma la paura fa male. Fa male non solo all'economia, ma anche alla medicina. Vedo gente che arriva terrorizzata e chi è terrorizzato è anche incontrollato. Non ascolta più perché la paura non ti fa ascoltare. Non ti ascoltano più quando dici di venire in ospedale solo se hai dei sintomi compatibili con insufficienza respiratoria. Questo è uno sforzo che io e pochi altri abbiamo cercato di fare in mezzo al mainstream del terrore. Non sarebbe stato forse più comodo che Bassetti si fosse in qualche modo adeguato al pensiero unico? Non è che lo sto facendo perché voglio fare il diverso, ma solo perché mi sono reso conto che questa è un'infezione da cui si può guarire. Un buon medico è quello che è in grado di instillare fiducia nel malato che ha davanti. Fa parte del giuramento di Ippocrate. I miei colleghi che fanno catastrofismo non aiutano nemmeno i loro pazienti. Credo si ottengano risultati migliori con toni pacati ed evitando il muro contro muro. Alla fine diciamo tutti le stesse cose, ma in maniera diversa...
Certo, è un po' andare in battaglia con dei comandanti che, anziché parlarti dei rischi, ti dicono già che sei spacciato. Ma è così che poi si perdono le battaglie.
Esatto, ma a me questo modo di fare non è mai piaciuto. Io sono stato orgoglioso di essere il capitano della mia brigata, che ha curato mille persone al San Martino. E neanche per un momento ho detto ai miei che i nostri pazienti sarebbero morti tutti. Anche se per un attimo ci ho anche pensato perché le cose non andavano benissimo. Ma non ho mai pensato di dire ai miei di dire che avremmo combattuto una battaglia che avremmo perso. Sembra però che a volte si goda ad esser pessimisti.
Torniamo per un attimo allo scorso marzo: cosa è andato storto? Il governo ha reagito troppo tardi o è stato eccessivo chiudere l'intero Paese?
Secondo me la reazione al problema è stata gestita molto bene. Le regioni, che poi sono quelle che hanno affrontato il problema, hanno reagito bene. Il governo ha dato delle linee di indirizzo più o meno giuste, ma poi sono stati i medici e il sistema sanitario nazionale, che è gestito dalle regioni, a reagire. E questo anche nelle tanto criticate regioni. Anche la Lombardia ha fatto un lavoro eccezionale perché ha aumentato i posti di terapia intensiva. Probabilmente qualcosa non ha funzionato - si è portata dietro il fardello di alcune scelte passate e forse è troppo votata all'eccellenza e a lavorare sul programmato - ma ha reagito bene. Sul lockdown i miei colleghi si sono già espressi e anche io, condividendo il pensiero del Cts: le scuole non andavano chiuse, almeno su tutto il territorio nazionale. Si potevano ottenere gli stessi risultati con lockdown più selettivi. Sono state chiuse regioni che non hanno avuto casi per mesi, come la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e la Puglia. Un lockdown serrato di tutte le attività, col senno del poi, credo che non sarebbe più da fare. Non è una critica politica. È una critica costruttiva: a marzo l'abbiamo accettato e lo abbiamo fatto. Ma mettiamo il caso che nei prossimi mesi dovessero aumentare i contagi e le persone in terapia intensiva: cosa dobbiamo fare? Certamente non un lockdown totale. Dovremo chiudere delle aree, ma mantendo le attività produttive, magari anche chiedendo agli anziani e alle persone fragili di restare in casa.
La Svezia, però, ha deciso un'altra strada: niente lockdown. All'inizio erano in molti a dar contro al governo svedese ora sembra che lo stiano rivalutando...
La Svezia non ha chiuso nulla e, alla fine, se si guardano i morti ogni centomila abitanti, ha ottenuto ottimi risultati. Poi, ovvio, la Svezia ha una densità di popolazione molto più bassa rispetto a quella italiana. È quindi forse più facile distanziarsi, quindi non può esser presa a modello. La Germania, più simile a noi, non ha chiuso le attività produttive. Ha chiuso alcune attività, ma noi abbiamo fatto un lockdown in cui abbiamo spento l'Italia. Oggi dovremmo ragionare in modo diverso, mettendo sulla bilancia rischi e benefici. Quali sono i rischi di un lockdown troppo duro? L'economia che va a rotoli e migliaia di malati di altre malattie di cui nessuno si occupa. Non ce lo possiamo più permettere.
Capire gli errori dei mesi passati potrebbe aiutarci a fare bene in autunno. Cosa dobbiamo aspettarci? Ci sarà una seconda ondata?
Io non la chiamerei seconda ondata, ma continuazione della prima perché a zero contagi non siamo mai arrivati. C'è sempre stato un po' di movimento e adesso c'è una ripresa. Abbiamo tanti casi di positivi asintomatici e pochissimi malati. in Italia oggi abbiamo all'incirca 50mila persone positive e 2mila ricoverati. Una percentuale intorno al 4%, molto meno rispetto a quanto succedeva a marzo e ad aprile, e 250 persone in terapia intensiva, quindi lo 0.5%. I numeri sono decisamente diversi. Cosa ci aspetta il prossimo autunno? Se noi avremmo l'attenzione di tracciare i nuovi focolai, e ne avremo tantissimi, dovremo enuclearli, magari inasprire alcune misure, e controllarli. Questo è quello che ci aspetta. Ma guardiamo anche quello che è successo in Australia, inverno 2020: casi di influenza zero e nessuna seconda ondata di Covid. Probabilmente, se usiamo bene le misure (mascherine, distanziamento etc...), avremo un autunno/inverno tranquillo. Certamente avremo dei ricoveri, ma abbiamo mai dato il bollettino per i ricoveri di influenze, polmoniti pneumococciche? Diventa anche una conta ferale. "È andato in terapia intensiva" non vuol dire nulla. Ci vanno perché hanno la polmonite? Perché hanno la febbre? Oppure per altre patologie? La gente non sa neanche cosa voglia dire "andare in terapia intensiva". Si parla del Covid come se si parlasse di un calcio d'angolo. Siamo arrivati a questo punto. Abbiamo dato in pasto alla gente delle espressioni che non comprendono. Dovremmo tornare a fare un tipo di comunicazione una volta alla settimana per spiegare come vanno le cose e, se c'è un problema, lo si spiega. Altrimenti sono dati da e per i medici. Abbiamo mai dato i dati di quanta gente ha un infarto in un giorno? Abbiamo avuto un momento terrificante e ora dobbiamo fare il possibile per uscirne. Anche parlandone meno.
Cosa ci dicono i numeri in Spagna, Francia e Regno Unito?
In Francia c'è un importante numero di contagi. Ma lì fanno anche un milione di tamponi alla settimana, molto più di noi. Devono guardare a casa loro, dove ci sono i problemi. Se guarda i ricoveri e i decessi, però, non mi pare che la situazione sia preoccupante. La Spagna ha un aumento di ricoveri. Ma perché noi italiani non guardiamo dove le cose vanno bene, ma solo dove vanno male? In Germania le cose non vanno male, come in Svizzera, in Austria o in Slovenia. E sono Paesi molto vicini a noi. In Olanda le scuole sono aperte da un mese e non è successo nulla. Guardiamo a questi Paesi e anche a noi, dove le cose vanno bene. Abbiamo il 2% di tamponi positivi. Io credo che si sia pensato che se si terrorizza la gente si ottiene più facilmente l'applicazione delle misure. Balle.
Il Covid-19 è davvero mutato? È giusto dire che è più buono?
Non so. In una certa fase, certamente sì. Sono state dimostrate anche mutazioni del virus in bene. Ma minor aggressività e letalità sono dovute al fatto che siamo diventati più bravi e che curiamo meglio. Oggi la malattia, sia perché è cambiata sia perché noi siamo più bravi, è molto meno letale.
Quali saranno le pandemie di domani?
Noi avremo sicuramente altre pandemie. Solo chi ignora la materia può pensare che non ci saranno. Abbiamo avuto in passato problemi con la febbre del Nilo e con la Zika. Ne avremo altri, ma dobbiamo imparare a tenere sempre un sistema organizzato. Avevamo probabilmente disinvestito troppi soldi nella sanità, non avevamo un piano pandemico e i risultati si sono visti. La colpa non è del governo, ma di chi ha continuato a tagliare e a non investire nella prevenzione delle malattie infettive. E così ci siamo trovati nella condizione di non avere un piano pandemico. Dobbiamo in futuro non commettere più gli stessi errori. Quando passerà questo problema, ci si dovrà sedere attorno a un tavolo per pensare gli ospedali del futuro.
Un nostro lettore, riprendendo un articolo del New York Times sull'ipersensibilità dei tamponi, vorrebbe sapere "perché si continua a non tenere conto di ciò e a fare screening di massa su asintomatici che producono ogni giorno un numero di cosiddetti 'casi', che andrebbero invece verificati clinicamente uno ad uno".
Il problema è che, purtroppo, anche chi non trasmette il virus potrebbe avere un tampone positivo. Abbiamo tamponi in cui le persone hanno il tampone che viene considerato positivo senza che siano in grado di trasmettere il virus. Positivo, non misurando la carica virale, non ci dice se è contagioso o meno.
Un altro lettore chiede: "Considerato che il vaccino antinfluenzale è formato con le possibili influenze incontrate negli anni precedenti e non copre tutte le influenze, e, quindi, come già successo ci si può ammalare comunque, vale la pena di vaccinarsi solo perché come è stato detto, così si distingue il Covid? E conviene che un immunodepresso si vaccini? e qual è il periodo migliore per vaccinarsi, visto che gli anticorpi prodotti dal vaccino tendo a scomparire nel giro di uno due mesi?".
Il prima possibile, appena arriveranno i vaccini, dopo il 5 di ottobre. E questo per due ragioni: circola meno virus influenzale e, in questo modo, si aiutano i medici a capire se si tratta di Covid oppure no. E poi perché non sappiamo cosa potrebbero rischiare i nostri pazienti nel caso in cui dovessero essere colpiti nello stesso momento da influenza e Covid. Il rischio è di una miscela devastante.
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"Se mi ammalo, come si fa?". E Conte voltò le spalle ai lombardi

Perché durante l'epidemia il premier si è tenuto lontano dal Nord Italia? Spunta una chiacchierata con il governatore Fontana
Perché Giuseppe Conte non si è mai degnato di far sentire la propria vicinanza alla Lombardia, la grande malata d'Italia che ha affrontato l'epidemia sopportando le sofferenze e i lutti senza che da Roma Palazzo Chigi facesse sentire la propria vicinanza? Perché la prima visita a quelle città martoriate dal Covid-19 risale soltanto il 27 aprile, oltre due mesi dopo l'inizio della pandemia? Cosa lo ha tenuto lontano? Secondo un retroscena di Francesco Verderami, pubblicato ieri sul Corriere della Sera, la paura. Niente di più. La paura di ammalarsi, di prendersi anche lui quel virus maledetto che in quei giorni stava congestionando le terapie intensive di tutti gli ospedali del Nord Italia e portando tanti malati al campo santo.
Non è la prima volta che da ambienti governativi viene fuori la ferma volontà di Conte di tenersi lontano dalla Lombardia. Già ne L'ora zero, l'inchiesta coordinata da Carlo Bonini e pubblicata a fine maggio da Repubblica, aveva portato alla luce un aneddoto delle prime ore. È la notte tra il 20 e il 21 febbraio. Il premier si trova a Bruxelles per discutere al Consiglio europei il bilancio del 2021-2027. Una telefonata di Rocco Casalino lo coglie di sorpresa. "Abbiamo un problema", gli dice. A Codogno un ragazzo di 38 anni ricoverato in terapia intensiva per una brutta polmonite è, infatti, risultato positivo al nuovo coronavirus che sta mettendo in ginocchio la Cina. Col passare delle ore le notizie non migliorano. Non c'è solo il focolaio nel Lodigiano. A Vo' Euganeo, paesino in provincia di Vicenza, sono stati trovati altri due contagiati. Il vertice europeo non fa passi avanti e così, intorno alle cinque del pomeriggio, il presidente del Consiglio decide di far rientro in Italia. "Credo che dovremmo partire, e in fretta", dice ai suoi. "Potremmo volare direttamente in Lombardia", aggiunge. Due ore dopo atterra a Roma e va direttamente alla Protezione Civile.
Cosa ha fatto cambiare idea a Conte in quelle ore cruciali? Nella ricostruzione di Repubblica non vengono avanzate ipotesi ma viene comunque fatto notare che "non lasciare Roma per nessun motivo", lavorando quindi in remoto da Palazzo Chigi o dalla Protezione civile, è "la linea che seguirà nei due mesi successivi". Eppure, a più riprese, i governatori del Nord faranno pressioni sul premier per farsi vedere nelle regioni travolte dal virus. Una lontananza che ora possiamo dire dettata dalla paura di ammalarsi a sua volta. Come lui stesso ha ammesso in un confronto con il presidente lombardo Attilio Fontana che gli chiedeva di farsi vedere da quelle parti. "Vediamo... Sai, se poi mi ammalo, come si fa?", gli avrebbe risposto il presidente del Consiglio. L'aneddoto è stato raccontato a Verderami da fonti governative e ventiquattr'ore dopo la pubblicazione non è stato ancora smentito. Quindi possiamo prenderlo per buono.
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In Lombardia Conte si è fatto vedere soltanto mesi dopo, quando l'epidemia era ormai sotto controllo. Una visita che il bergamasco Roberto Calderoli ha definito "fuori tempo massimo". "Una passerella non solo inutile, ma quasi offensiva... quando la Lombardia contava oltre 500 morti al giorno e non bastavano i letti negli ospedali non si è fatto vedere". Che poi quella visita i lombardi se la ricordano ancora oggi: a Bergamo si era presentato dopo le undici di sera, mentre a Brescia era arrivato alle due di notte. A chi gli chiedeva conto di tutti quei morti rispondeva brusco: "Ho già parlato a Milano...". E, quando una cronista di Tpi ha provato a strappargli di bocca una parola in più, l'ha liquidata con stizza: "Guardi, se lei un domani avrà la responsabilità di governo, scriverà tutti i decreti ed assumerà tutte quante le decisioni". Parole che in quel momento hanno fatto male a tutti i lombardi.
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September 19, 2020
La Silicon Valley, il sogno americano e l'ipocrisia degli ultras liberal
Andrea Indini

Nella patria della tecnologia dove basta un'app per fare i miliardi, si scatenano tutte le contraddizioni della sinistra americana che vuole far fuori Trump a tutti i costi
"È strano - scriveva Orson Welles - tutti quelli che si perdono prima o poi si ritrovano a San Francisco. Dev'essere una città deliziosa, e possedere tutte le attrattive del Nuovo Mondo". San Francisco, dunque. Terra dell'abbondanza, ma anche della contraddizione. Polo marcatamente liberal - a tal punto da aver intasato i lettini degli psicoanalisti quando Donald Trump ha vinto le elezioni quattro anni fa - ma al tempo stesso centro nevralgico del capitalismo più sfrenato, quello che fa impazzire (all'insù) l'indice Nasdaq e che scommette su app, bitcoin e blockchain. È il sogno americano declinato all'ennesima potenza: bastano una buona idea (ora si chiama start up) e un venture capitalist per diventare miliardari. O quantomeno: sognare di diventarlo. È il futuro ora, con tutti i suoi difetti: il controllo spasmodico dell'intelligenza artificiale sull'uomo, il divario sociale sempre più marcato, il tasso di natalità a zero, i rapporti tra persone gestiti dai computer.
Le due Americhe
A raccontare tutte queste contraddizioni, in un libro affascinante, è Michele Masneri, giornalista e scrittore che dopo aver vissuto un po' a San Francisco ha dato alle stampe con Adelphi l'interessantissimo Steve Jobs non abita qui. Si tratta di una sorta di reportage che esalta e al tempo stesso fa a pezzi il mito della Silicon Valley. Dipende con che spirito viene letto. L'importante è capire, prima di cimentarsi, che quella che viene raccontata non è l'America. O meglio: è solo una piccola parte della prima potenza mondiale. Ma, sebbene qui si fatturino cifre che valgono più di interi pil statali, bisogna essere consci del fatto che fuori da lì è tutta un'altra musica. Persino Los Angeles, che da San Francisco dista appena un'ora e venti d'aereo, ha un altro dna. "Ci sono due Americhe - spiega Masneri - una tecnologica e avanzata dove si guadagna bene e si spende tanto, e sta soprattutto qui a San Francisco, a Seattle, a New York, o in qualche altro posto della bolla liberal sulle due coste; e poi c'è la seconda America, che è rimasta indietro, fatta di tante zone del Midwest, quei fly-over dove non si fa scalo".
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La terra delle contraddizioni
Alle presidenziali del 2016 Hillary Clinton stravinse in California incassando il 66.5% dei voti contro il 33.2% ottenuto da Trump. Un dato che non stupisce nessuno, ma che la dice lunga sulla fede di uno Stato che porta la sua fede ultra liberal agli eccessi proprio a San Francisco. Qui il trionfo dell'ex segretario di Stato è stato pressoché totalizzante: il 85.3% delle preferenze contro il 9.9% del tycoon. E pensare che molti la consideravano addirittura troppo "fascistona" per i loro gusti. Ma come si concilia con il credo dei fan di Ayn Rand una città in cui "chi guadagna meno di centomila, i famigerati six figures, le sei cifre, è visto come pezzente"? Qui, come spiega Masneri, "il prezzo medio al metro quadro è di undicimila dollari, l'appartamento medio viene 1,65 milioni: l'affitto quattromilacinquecento al mese". Il risultato? Nessuno fa più figli. Chi li fa è considerato un super eroe. "Un bambino, bio o in provetta, è del resto lo status symbol definitivo - continua - è più caro di una Tesla e, a parte i metri quadri che occupa, di asilo vale almeno trentamila dollari l'anno". Da anni, infatti, a San Francisco ci sono più cani che pargoli e chi decide di procrearne uno migra verso i "suburbi boscosi".
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Da San Francisco il peregrinare di Masneri ci porta nella Silicon Valley. Uno dopo l'altro si toccano con mano il quartier generale di Google, la Spaceship voluta da Steve Jobs, l'università di Stanford, la casa di David Kelley (il papà del mouse Apple) disegnata da Ettore Sottsass, un Criptocastello dove si fanno i miliardi con i bitcoin e così via. È dove si fanno i miliardi veri, dove gli startupper di tutto il mondo fanno carte false per arrivare e per farsi notare. Alcuni di questi nerd, "rifiutandosi di fare i pendolari" da San Francisco, finiscono per vivere nei camper. Ce ne sono a decine, per esempio, lungo la Space Park Way, lo stradone che a Mountain View costeggia il Google Campus.
L'ipocrisia dei democratici
In questi "non luoghi", dove lo stipendio medio è di 160mila dollari l'anno, vengono prodotte tutte quelle app che, a detta dei democratici statunitensi, hanno fatto vincere Trump alle elezioni riempiendo gli americani di fake news. Da queste accuse, e altre ben più toste (vedi quella di fomentare su Facebook odio e razzismo), Mark Zuckerberg deve continuamente farsi scudo. "In fondo - fa notare Masneri - nasce qui l'idea che uno vale uno: Uber si basa sul concetto che il tassista non vale niente, ti porto io con la mia macchina; Airbnb significa che la mia casa è meglio dell'albergo professionale; e così via". Stride l'ipocrisia che serpeggia negli ambienti democratici dove si ostenta una superiorità morale che non c'è. Un po' come Netflix che scodella, a pochi mesi dalle presidenziali, il documentario The social dilemma per criticare l'uso dei big data e denunciare il plagio delle menti attraverso i social network. È un cortocircuito da cui la Silicon Valley fatica a cavarsi fuori. Ma poco le importa finché i loro prodotti continuano a funzionare. Ma cosa ci aspettiamo da una città dove tutto è radical chic, financo il cibo ("diete demenziali" e digiumi intermittenti convivono con "la ricerca di prelibatezze sempre più squisite e a chilometro zero", mentre le mense aziendali fanno a gara per accaparrarsi i migliori chef italiani del Paese); dove al Gay Pride la Disney sfila con un pulmino a due piani e lo slogan "Same sex offered since 1995"; dove la pillola per prevenire l'Hiv è gratis (a patto che il paziente venga costantemente e morbosamente schedato) mentre l'insulina costa un occhio della testa?
Mai come a San Francisco il detto "parla come mangi" calza a pennello. È, infatti, nei ristoranti, dove i food actvist fanno la guerra ad hamburger e patatine fritte con menù più salutari, che esplode l'elitarismo di questa terra. Qui il menù diventa propaganda politica. Secondo il critico Worren Belasco, è stata la controcultura, che negli anni Sessanta ha travolto l'università di Berkley, a generare la cucina bio. "Tutto ciò che era bianco (la Casa Bianca, i colletti bianchi, lo zucchero bianco) all'improvviso non andava più bene - spiega in Appetite for change. How the counterculture took on the food industry - e sono arrivati lo zucchero scuro, i diritti dei neri, il cavolo nero". Ma non fatevi illusioni: anche in questo caso, sono i soldi a far girare il sistema. Tanto che tre anni fa Jeff Bezos ha messo le mani su Whole Foods facendo passare la più grande catena di supermercati bio, dove tutto è organic e il consumo etico, "al lato oscuro della forza" dove il commercio è "elettronico e robotico".
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silicon valley
Gismondo: "Il virus? Ora è meno aggressivo"
Andrea Indini

Intervista alla professoressa Maria Rita Gismondo, direttore responsabile di Microbiologia Clinica Virologia e Diagnostica dell'ospedale Luigi Sacco di Milano
Abbiamo imparato a conoscere Maria Rita Gismondo nei giorni in cui il virus cominciava a muoversi in Italia, ai primi di febbraio. Il direttore responsabile di Microbiologia Clinica Virologia e Diagnostica dell'ospedale Luigi Sacco di Milano, infatti, è sempre stata in prima linea nel cercare di comprendere la vera natura di questa malattia che, in pochi giorni, ha messo in ginocchio il nostro sistema sanitario e ci ha costretti nelle nostre case. La abbiamo intervistata.
Professoressa, durante i primi giorni di lockdown, in molti, soprattutto sui social, hanno rilanciato le sue dichiarazioni sull'epidemia ("è poco più di un"influenza", etc…) a mo' di sfottò. Crede di aver sottovalutato il problema?
Credo che la questione sia stata ampiamente superata. In quel momento ero in buona compagnia ed ho riferito solamente quanto dichiarato da istituzioni, quali il Cnr. Tutti abbiamo sbagliato le previsioni, ma abbiamo la scusante concreta che in quei giorni avevamo solo due pazienti e ci rifacevamo all'esperienza della Sars. Il dopo ci ha smentiti.
Cosa è andato storto a Bergamo? Non tanto in termini politici quanto sul piano virologico: un contagio velocissimo e una percentuale di morti oltre la media nazionale. Perché? Ci sono casi analoghi e tanto localizzati nel mondo?
Da dati pubblicati si è constatato che in alcune aree ci sono stati focolai esplosi per la presenza di high spread, cioè pazienti con un altro potenziale di infettività. Questo può essere una delle cause. L'altra possibile causa pare essere l'inquinamento. In questi casi non è quasi mai una sola responsabilità, ma concause.
L'Oms non si è dimostrata all'altezza della situazione: le pressioni politiche hanno ritardato la presa di coscienza dell'emergenza. Sarebbe cambiato qualcosa se non avessero taciuto quanto stava avvenendo in Cina?
Le pressioni politiche non competono alla scienza . L'Oms è stato spesso poco chiaro. Avremmo avuto bisogno di un'istituzione più chiara e coerente. Questo sì.
Rispetto a marzo, cosa sappiamo in più del virus? È realmente mutato?
Ci sono dei lavori che hanno dimostrato la presenza di una mutazione a noi utile, cioè che rende meno aggressivo il virus. È inverosimile che questa nuova popolazione virale "più buona" abbia totalmente sostituito la precedente. Quello che possiamo affermare è che siamo tutti più bravi, medici e pazienti. Conosciamo le cure possibili ed i pazienti i primi sintomi.
Come è cambiata la cura dei pazienti affetti da Covid-19?
Non esiste una cura, ma più cure in base al paziente e alla fase della malattia. I clinici utilizzano l'antivirale, l'eparina leggera, gli antinfiammatori, perché questa non è una patologia univoca. Ha diverse manifestazioni, spesso variabili da un paziente all'altro.
Sin dall’inizio virologi, infettivologi e scienziati si sono divisi e in alcuni casi accapigliati. È un bene o un male? Contribuisce al dibattito o disorienta le persone e i politici?
La scienza ha bisogno di un confronto sereno e di ricercatori che hanno la modestia di poter cambiare opinione. Chi ha usato la scena con insulti si è, di fatto, autoescluso dal dialogo scientifico.
Ha senso affidare l’emergenza ai tecnici? Il governo non pecca di mancato decisionismo?
L'emergenza è fatta di scelte politiche fondate sui consigli dei tecnici. Gli uni e gli altri sono essenziali, ma devono rimanere confinati nei loro ruoli.
Come mai ha chiesto di accorciare il periodo di quarantena a quattro giorni?
C'è evidenza scientifica che dieci giorni di quarantena siano sufficienti. Lo ha affermato anche l'Oms.
Ci sarà una seconda ondata?
Siamo tutti abbastanza d'accordo che questa pandemia non abbia ondate ma sia un'unica ondata con qualche movimento temporaneo in alto o in basso.
Ora che hanno riaperto le scuole, quali sono realmente i rischi per i nostri figli? Ha qualche consiglio da dare ai genitori?
Non credo che i bambini corrano più rischi che stare a casa e giocare in cortile con altri coetanei. Peraltro la scuola è una necessità inderogabile. Forse i rischi potrebbero correrlo i nonni che dai bambini possono ricevere il virus ed ammalarsi con conseguenze più gravi. Ma ripeto, la scuola non è di per sé un rischio.
Davanti al virus, c'è chi ha minimizzato e chi, invece, ne ha amplificato i rischi. Come bisogna porsi di fronte a questa sfida?
Non è mai utile essere minimizzatori ma neanche catastrofisti. È ovvio che la visione di qualsiasi cosa è sempre filtrata dal nostro modo di essere. Ci sono pessimisti ed ottimisti. Bisogna cercare di non cedere ed essere obiettivi.
Che speranze abbiamo col vaccino? Lo avremo realmente entro pochi mesi o è un'utopia?
Ho più volte detto e lo ripeto. I vaccini hanno salvato il mondo da molte malattie infettive. L'attesa di un vaccino non deve, però, farci perdere di vista che un vaccino è un farmaco. Prima di essere utilizzato, deve essere sottoposto a tutte le fasi di studio, senza saltare nessuna prova.
Nel suo ultimo libro, non parla solamente di Covid-19, ma anche di ciò che accadrà in futuo. Ci saranno altri virus in agguato?
Sempre. Su questa terra la convivenza tra uomo e microbo non è sempre indolore. Sappiamo che la storia è stata in gran parte scritta dalle grandi epidemie. Covid 19 non è la prima e non sarà l'ultima.
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Maria Rita Gismondo
September 18, 2020
Tutte le domande sul Covid-19 a cui nessuno vuole rispondere
Andrea Indini

Cosa è successo realmente lo scorso marzo? Cosa succederà nei prossimi mesi? Portiamo le domande dei lettori de ilGiornale.it ai virologi che sono in prima linea ad affrontare la pandemia
Cosa è successo realmente lo scorso marzo? Perché tanti decessi concentrati in una sola regione del Paese? E le restrizioni volute da Conte&Co sono davvero servite? Si sarebbe potuto fare diversamente? E ancora. La seconda ondata: è solo fantasia o dobbiamo temerla davvero? Stiamo uscendo o no dal tunnel di una pandemia che, nel giro di pochi mesi, ha messo in ginocchio il mondo intero a livello sanitario, economico e sociale? Molte di queste domande attanagliano probabilmente la maggior parte degli italiani e dei nostri lettori. È per questo che abbiamo sentito l'esigenza di porre tutte questi quesiti ad alcuni virologi, affinché ci aiutino a capire cosa è successo e può succedere nei prossimi mesi.
"Tutti abbiamo sbagliato le previsioni, ma abbiamo la scusante concreta che in quei giorni avevamo solo due pazienti e ci rifacevamo all'esperienza della Sars. Il dopo ci ha smentiti". A metterlo in chiaro, una volta per tutte, è Maria Rita Gismondo, direttore responsabile di Microbiologia Clinica Virologia e Diagnostica dell'ospedale Luigi Sacco di Milano. Abbiamo deciso di iniziare da lei questo ciclo di interviste. Non solo perché sin dall'inizio è in prima linea nella lotta al nuovo coronavirus, ma perché recentemente ha dato alle stampe un libro edito dalla Nave di Teseo, Ombre allo specchio. Bioterrorismo, infodemia e il futuro della crisi, che a nostro avviso ha fatto luce, in modo oggettivo, su quanto sta accadendo. Nelle scorse settimane, insieme a medici e studiosi, come Matteo Bassetti, Giuseppe De Donno, Massimo Clementi, Giulio Tarro e Alberto Zangrillo, è stata tacciata di negazionismo perché ha invitato la comunità scientifica e la politica ad analizzare i numeri per quello che sono. Potrebbero aiutarci a capire cosa ci aspetta nei prossimi mesi. "Siamo tutti abbastanza d'accordo che questa pandemia non abbia ondate ma sia un'unica ondata con qualche movimento temporaneo in alto o in basso", spiega nell'intervista che pubblicheremo domani mattina su ilGiornale.it. Tutto questo non deve farci abbassare la guardia. Anzi. Come pronosticato da David Quammen in Spillover. L'evoluzione delle pandemie (Adelphi), le epidemie sono cicliche e in futturo ce ne dobbiamo attendere anche di più violente. "Passato il Covid-19 comincerà l'inevitabile countdown verso la prossima epidemia", spiega la Gismondo. "Le condizioni globali, soprattutto l'allargamento dei centri urbani verso le foreste, fanno sì che aumentino i contatti tra l'uomo e gli animali selvatici di alcune aree, serbatoio di virus sconosciuti al nostro organismo. Inoltre - continua - l'aumento vertiginoso degli spostamenti della popolazione - da un lato graze ai viaggi aerei, dall'altro per colpa di esodi, guerre e siccità - giocherà un ruolo di acceleratore di possibili contagi".
Senza allarmarci troppo, facciamo un passo indietro e torniamo a concentrarci sul Covid-19. Non è stato ancora sconfitto e i prossimi mesi saranno cruciali per vincere questa battaglia. Per cercare di capire cosa ci attende, magari con uno sguardo agli errori fatti nei mesi passati, ci affideremo appunto a studiosi che metteranno il proprio sapere a disposizione dei nostri lettori. Per questo vi invitiamo a mandarci le vostre domande, inserendole nei commenti all'articolo: le più interessanti saranno rivolte ai virologi stessi. Nella speranza di aiutarvi a fare chiarezza sul virus che ha rivoluzionato (in peggio) le nostre vite.
Speciale:
Coronavirus focus
September 16, 2020
"Sono stati tutti requisiti". La verità (nascosta) sui vaccini antinfluenzali
Andrea Indini

L'autunno caldo del Covid. A due settimane della campagna anti-influenzale i vaccini sono introvabili in farmacia
“Non possiamo dire né quando arriva né se arriva”. “Ancora niente”. “Non ne sappiamo nulla”. “Mistero della fede”. A due settimane dall’inizio della campagna anti-influenzale, il grande assente è proprio il vaccino. Da ogni parte governo, ministri e esperti suggeriscono di proteggersi dalla classica influenza per evitare spiacevoli incastri col Covid-19. Ma nelle reti di vendita delle farmacie non è possibile ancora prenotarlo. “Dicevano di iniziare a ottobre, ma la produzione è stata tutta ritirata dalla parte pubblica e non ci hanno ancora mandato le dosi - sussurra un farmacista milanese - E questo non è l’anno giusto per arrivare in ritardo”.
Due giorni fa la Conferenza Stato-Regioni ha raggiunto un accordo per l’acquisto di 17 milioni di dosi contro i 10 milioni dell’anno scorso. L’obiettivo è quello di alleviare il sovraccarico negli ospedali e evitare i “sintomi confondenti”, impedendo così che milioni di persone chiedano un tampone per poi scoprire che la febbre è colpa della banale influenza. Il ministro Speranza lo disse a luglio: “Quest’anno sarà più importante rispetto agli altri” visto che “i sintomi del coronavirus sono simili”. Lo dimostra la cronaca dei tragici giorni di marzo. E la drammatica storia di Giovanni, ancora mai raccontata e contenuta nel “Libro nero del Coronavirus. Retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia” (edito da Historica Edizioni e in uscita a inizio ottobre). A metà febbraio, a Codogno, Giovanni inizia ad accusare i primi mal di testa. Due giorni dopo arriva la febbre e decide di farsi visitare dal medico di base. “Ho fatto l’anti influenzale”, gli fa notare. Ma il dottore gli spiega che anche altri pazienti si sono presentati in ambulatorio e che, pur avendo fatto il vaccino contro l’influenza, presentano gli stessi sintomi. Nessuno in quel momento pensa al Covid. Possibile che l’antidoto non abbia funzionato? Pochi giorni dopo Giovanni si aggrava. E muore.
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Oggi però le cose sono cambiate. I medici di base sanno che il Covid circola. Ecco perché vaccinarsi può diventare utile: se una persona che ha fatto l’anti influenzale si presenta con gli stessi sintomi, allora sarà più facile sospettare l’infezione da coronavirus. Per questo il ministero della Salute ha deciso di ampliare la platea di chi lo riceverà gratuitamente: tutti gli over 60 (e non 65, come in passato), persone con determinate patologie e lavoratori essenziali come medici e forze dell’ordine. Il problema è che la paura delle Regioni di restare senza vaccini per i soggetti fragili rischia di tagliare fuori i milioni di persone che non rientrano in queste categorie. Che ad oggi non solo non possono ottenere il vaccino gratis, ma non riescono nemmeno a comprarlo.
[[nodo 1888466]] Delle 17 milioni di dosi accaparrate dalle Regioni, infatti, solo 250mila (l’1,5%) sono state riservate alle farmacie e quindi saranno acquistabili dai privati. “Se fate i conti - ci dice una dottoressa - fanno si e no 13 fiale a farmacia”. Certo molto dipenderà dalle scelte delle singole Regioni, che potrebbero aumentare la quota per i privati. Ma siamo comunque lontani dai livelli del passato. “Noi solito ne ordinavamo 200 a inizio stagione - raccontano a Cernusco sul Naviglio - ma ora le regioni hanno preso tutte le fiale: è ridicolo”. Provare a prenotarle neppure a parlarne: nessuno può vendere merce che non ha in magazzino. Secondo i conti di Federico Gelli, presidente di Fondazione Italia in Salute, il fabbisogno “abituale di antinfluenzale acquistate dai cittadini in farmacia è di 800mila dosi”. Il triplo di quelle attualmente disponibili, anche se ti Federfarma, Fofi e Assofarm stimano la richiesta post-Covid addirittura tra 1,2 e 1,5 milioni. Il risultato sarà una battaglia all’ultimo sangue tra lavoratori, bambini, ragazzi. Le scuole chiedono ai genitori di vaccinare i figli. Pediatri e medici di famiglia consigliano lo stesso. E i lavoratori vorrebbero proteggersi per evitare la sovrapposizione diagnostica (e inutili quarantene). Ma come fare? “Lei provi a chiamare ogni giorno - suggeriscono le farmacie ai clienti - non possiamo garantire nulla, ma sa come funziona: chi prima arriva, meglio alloggia”. Gli effetti sono paradossali: nell’anno del Covid, infatti, non solo potrebbe non aumentare il numero di persone vaccinate (come auspicabile), ma ad oggi le farmacie non riuscirebbero neppure a soddisfare le richieste di chi normalmente si vaccina. “È incoerente sensibilizzare i cittadini verso una buona pratica e poi non consentire di seguirla", dice il presidente di Farmacieunite, Franco Gariboldi Muschietti. Come dargli torto?
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Intanto l’autunno si avvicina. Il ministero aveva chiesto di anticipare all'inizio di ottobre tutte le procedure. Ma il tempo stringe, sia per chi riceverà il vaccino gratis dalle Asl sia per tutti gli altri. Alcuni genitori, sentiti dal Giornale.it, assicurano di aver chiesto informazioni ai pediatri senza ricevere risposta. “Non li hanno dati neppure a loro e neanche loro sanno nulla”, spiegano nelle farmacie. “La situazione è allarmante. Siamo in un limbo e questo ci fa arrabbiare. In un anno particolare come questo, dovevano essere più rapidi”. Senza contare, peraltro, che la concentrazione delle dosi nella mani delle Asl rischia di rallentare i tempi. “Ci saranno code interminabili - dice una farmacista a Milano - Non sarebbe stato meglio sfruttare le 16mila farmacie sparse in tutta Italia?”. Il Lazio ci sta pensando, e ha chiesto al Cts se può far somministrare il vaccino direttamente dai farmacisti. Ma un po’ ovunque gli addetti ai lavori restano scettici: “Magari qualcosa cambierà, ma io ne dubito". Aspetta e spera.
Tag:
Covid-19
Speciale:
Coronavirus focus
Persone:
Roberto Speranza
September 15, 2020
Una pioggia di soldi per i rom: così otterranno casa e lavoro

Domani a Bruxelles si vota una proposta legislativa per dare più fondi ai rom e garantir loro un lavoro e "alloggi di qualità a prezzi accessibili". La Lega: "Assurdo in piena pandemia"
"Nel mezzo di una pandemia, mentre in Italia e nel mondo si combattono le conseguenze del virus e della crisi, a Bruxelles la priorità è finanziare i rom". Silvia Sardone ha in mano la proposta di risoluzione della Commissione europea che domani l'Europarlamento voterà in sessione plenaria. Su quei fogli, una sessantina di pagine in tutto, sono elencate le misure per aprire i rubinetti (comunitari e statali) e sovvenzionare l'integrazione del "popolo romanì" nei singoli Paesi membri. Non solo. All'ordine del giorno ci sono anche le proposte di far studiare la cultura romanì a scuola e creare una task force europea apposita per monitorare i processi di inclusione. "In un momento come questo - tuona l'europarlamentare del Carroccio - un'Europa seria e forte dovrebbe concentrarsi esclusivamente per rispondere in maniera concreta e tangibile a una crisi senza precedenti".
Le accuse agli Stati Ue
La relazione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni è stata diramata agli europarlamentari qualche giorno fa. Il relatore è il tedesco Romeo Franz e l'obiettivo è "combattere gli atteggiamenti negativi nei confronti delle persone di origine romanì in Europa" attuando strategia nazionali di integrazione. Strategie che, stando a quanto riportato dal documento (leggi qui), non sono mai state attuate per aiutare quella che è "la minoranza etnica più grande" dell'Unione europea e che comprende "persone di origine rom, kalè, manouches, lovara, rissende, boyash, domare, caldaras, romanichal e sinti". La proposta avanzata dai Verdi non è, infatti, solo un lungo elenco di misure da attuare ma anche un atto di accusa ai principali Stati del Vecchio Continente, colpevoli secondo un sondaggio del 2016 di non aver mai fatto abbastanza per proteggerli. "I romanì - si legge - continuano a essere vittime di livelli crescenti di incitamento all'odio, in particolare pubblico, nei media sociali e da parte di personalità pubbliche, politici e funzionari". E nel mirino ci finiscono - immancabilmente - anche i tutori della legge: mentre la polizia viene accusata di violenze come "punizioni collettive, profilazione razziale e segregazione residenziale e scolastica", ai governi viene rinfacciato "un livello insufficiente di protezione" e chieste "misure specifiche per combattere tale fenomeno". Alla base della proposta legislativa "una forma specifica di razzismo" contro i rom "porta ai più alti tassi di povertà ed esclusione sociale" e quindi anche "a violenze e uccisioni".
Le richieste della Commissione Ue
"La maggior presenza di popolazione romanì vive al di sotto della soglia di povertà", denuncia la Commissione europea sottolineando che "la povertà è sia conseguenza sia causa di esclusione per quanto riguarda l'istruzione, l'occupazione, la sanità e l'alloggio". Da qui la richiesta non solo di rafforzare "nell'ambito del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e del piano per la ripresa dell'Ue" tutti quegli strumenti che sostengano l'inclusione dei rom, ma anche di favorire economicamente le organizzazioni non governative e le associazioni locali che sostengono queste comunità. Questi fondi dovranno essere usati anche per garantire "alloggi di qualità a prezzi accessibili" a tutta la comunità rom. "Gli alloggi non sono una merce bensì una necessità, senza cui le persone non possono partecipare pienamete alla società e avere accesso ai diritti fondamentali", si legge nella proposta legislativa che invita i Paesi europei a intensificare "gli investimenti negli alloggi sociali ed economicamente accessibili per eliminare l'eccessiva onerosità dei costi abitativi". Al contrario tutte "le entità che mettono in atto pratiche discriminatorie" andranno incontro all'esclusione dei finanziamenti a carico del bilancio dell'Unione.
La proposta legislativa, che domani verrà quasi sicuramente approvata, non si limita esclusivamente al . Agli Stati membri viene, infatti, chiesto anche di promuovere la lingua, la cultura e la storia dei rom nelle scuole. "La cultura romanì fa parte della cultura e dei valori europei - si legge - i romanì hanno contribuito alla ricchezza culturale, alla diversità, all'economia e alla storia comune dell'Unione europea". A livello europeo, invece, si suggeriscee di istituire una task force che favorisca l'integrazione dei rom anche attraverso l'occupazione.
Le barricate della Lega
"Tutto questo è assurdo", contesta duramente la Sardone. "Mentre la crisi affonda tanti italiani in difficoltà e l'Europa è costretta ad affrontare i rischi di una seconda ondata - denuncia l'eurodeputata del Carroccio - al Parlamento europeo siamo costretti a votare per dare più fondi ai rom, una comunità che molto spesso, come vediamo in Italia, non ha alcuna intenzione di integrarsi". Agli "euroburocrati" la leghista suggerisce di farsi un giro nelle periferie delle principali città italiane dove i campi rom portano, troppo spesso, "degrado e delinquenza". Sempre a questi, che a suo dire si sono dimostrati per l'ennesima volta "lontani dalle esigenze dei cittadini", consiglia di ripensare le priorità: "Anziché perdersi in battaglie ideologiche e del tutto inutili, un’Europa seria e forte in questo momento dovrebbe concentrarsi esclusivamente per rispondere in maniera concreta e tangibile a una crisi senza precedenti".
Tag:
Unione europea (Ue)
rom
Persone:
Silvia Sardone
September 14, 2020
La lezione dei bambini a governo e tecnici
Andrea Indini's Blog
 



