Andrea Indini's Blog, page 67

October 19, 2020

"Ha nascosto i verbali all'Ue?". Ora Conte è messo alle corde

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Foto da governo.it, licenza: CC-BY-NC-SA 3.0 ITL'interrogazione all'Ue di Silvia Sardone

Dopo il ricorso in tribunale, la gestione della prima ondata di coronavirus e il 'Piano secretato' arrivano a Bruxelles. La Sardone: "L'Europa sapeva?"


Il “Piano segreto” anti-Covid approda a Bruxelles. Dopo le rivelazioni contenute nel “Libro nero del coronavirus” (clicca qui) e il ricorso al Tar contro il ministero della Salute, ora la Commissione Ue viene investita della questione e dovrà rispondere sull’esistenza (e sul contenuto) di quel documento “mai reso pubblico”.


A presentare l’interrogazione prioritaria è Silvia Sardone, eurodeputata leghista e consigliera comunale a Milano. L’obiettivo è quello di “far luce sul documento segreto su cui il governo si è basato per guidare le sue scelte durante i mesi più difficili della pandemia”.Tutto nasce dall’intervista rilasciata in aprile da Andrea Urbani, dirigente del ministero della Salute e membro del Cts, in cui evocava l’esistenza di un “piano secretato” che avrebbe guidato le scelte degli esperti e dei politici nei drammatici giorni di febbraio e marzo. Un documento tenuto “riservato”, e mai presentato ufficialmente né ai cittadini né al Parlamento, in cui erano contenuti numeri sui contagi da far paura.


Dopo le dichiarazioni di Urbani, la politica e i media si scatenano. I governatori si dicono sconcertati dal fatto che l’esecutivo abbia agito alle loro spalle. Le opposizioni chiedono al governo di spiegare. E i giornali fanno di tutto per provare a ottenere il documento. Possibile che il governo sapesse dei rischi che correva l’Italia e non lo abbia comunicato a nessuno? Roberto Speranza, chiamato dal Copasir a chiarire la questione, inizia allora a derubricarlo a “studio di previsione”. Nessun “Piano” con cui contrastare il contagio, dunque: solo una analisi.



La posizione di Speranza è frutto di un carteggio col Cts. Prima di presentarsi di fronte al Copasir, infatti, il ministro invia un’istanza al Comitato per informarsi sulla “classificazione dei verbali” e del “documento relativo alla risposta ad un’eventuale emergenza pandemica”. Il Cts risponde che “nei verbali e nelle parti ad essi allegati non è presente alcun documento di studio sulla risposta ad eventuali emergenze pandemiche”, derubricando il “Piano” ad uno “studio che ipotizza possibili differenti scenari della diffusione epidemia di Sars-CoV-2”.


La cosa sembra finita lì. Ma qualche settimana dopo accade qualcosa di inspiegabile. Alcuni cronisti, infatti, domandano al ministero della Salute quel famoso “Piano” citato da Urbani con un banale accesso agli atti. Da viale Lungotevere Ripa I, però, fanno trapelare solo uno “studio” firmato da Stefano Merler, matematico della Fondazione Kessler. Per alcuni giorni i due documenti si confondono, cala la nebbia più assoluta. E molti sembrano convinti dell’inesistenza del “Piano”. I due dossier però non possono essere la stessa cosa. Merler infatti, come ricostruito nel “Libro nero del Coronavirus” (clicca qui), viene invitato al Cts a presentare il suo “studio” il 12 febbraio, il giorno stesso in cui il Comitato dà mandato a un gruppo di lavoro di preparare un “Piano nazionale sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19”. Il “Piano” verrà realizzato e approvato nella sua “versione finale” il 2 marzo dal Cts, ovvero 10 giorni dopo la presentazione del rapporto Merler. Perché allora non inviarlo ai cronisti?


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A dire il vero, una versione del “Piano” verrà poi pubblicata dal Corriere. Tuttavia non è mai stato consegnato a governatori, parlamentari o diffuso ufficialmente. Nonostante le numerose richieste. Ad agosto i deputati di FdI, Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato, attraverso un accesso civico hanno provato ad ottenerne una copia. Senza successo. Per questo hanno “trascinato il governo” di fronte al Tar, nella speranza che i giudici costringano il ministero della Salute a rendere noto il Piano. L'udienza è stata notificata, ma l’avvocatura dello Stato si è già costituita in giudizio per “resistere al ricorso”. Si preannuncia una battaglia legale.


Intanto però la vicenda vola verso Bruxelles. Nell’interrogazione, la Sardone scrive: “Nel ‘Libro nero del Coronavirus’ si parla della strana decisione del Governo di tenere nascosto il ‘piano’ ai governatori delle regioni e allo stesso tempo delle manovre per non divulgarlo alla stampa e al Parlamento italiano”. E visto che “non informare gli italiani è una scelta che alimenta dubbi sulla gestione dell'epidemia”, la leghista domanda all’Ue se Conte ha mai condiviso con Bruxelles il documento e le previsioni drammatiche che conteneva. “L'Europa sapeva? - dice Sardone al Giornale.it - Il governo Conte si è confrontato con Bruxelles? Perché non possiamo vedere i verbali del Comitato tecnico scientifico? Se ci hanno voluto nascondere qualcosa è molto grave, perché con quei documenti sono state prese decisioni fondamentali che hanno inciso sulla vita degli italiani e sull'economia del Paese. Credo che in uno Stato di diritto sia doveroso informare la popolazione dei provvedimenti adottati, specie in un contesto così particolare come quello della pandemia”.





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Published on October 19, 2020 22:46

October 18, 2020

Coronavirus, Nicolai Lilin: "Così hanno generato il terrore nel popolo"

Andrea Indini



La libertà, la democrazia e la famiglia: ecco cosa deve essere difeso oggi. Nicolai Lilin spiega la differenza tra paura e terrore e lancia un'accusa all'attuale gestione dell'emergenza Covid


Un canto della criminalità russa suona più o meno così. "Siamo tutti figli della stessa strada. Forse - continua - troppo presto abbiamo imparato a stare in piedi ed essere uomini. Se sei uno come noi, sei sempre il benvenuto - è l'avvertimento - ma se sei qui per dettare le tue regole, non ti offendere, ti faremo male". Nicolai Lilin lo riporta all'inizio del suo libro, Putin - L'ultimo zar (Piemme). E il senso di quei versi pervadono anche la sua visione (dura) di questo ultimo anno che ha stravolto le nostre vite. "Quando una situazione esce fuori dai propri binari, dilaga e invade altri binari, è molto difficile capirne il senso. Così è successo con il coronavirus". Sopra di lui, nel suo studio, tra i sui disegni per i tatuaggi c'è un'incona dorata: raffigura una Madonna che impugna due pistole. Il suo sguardo è severo e guarda i fedeli con fermezza.


Ci stiamo preparando ad affrontare la seconda ondata. Come è cambiata la nostra società?


"Io, da cittadino, non riesco a capire il senso dell'azione del governo...".


Cioè?


"Per me è complicato comprendere le misure del governo. Sono uno che paga le tasse e non capisco come vengano impiegate le risorse del nostro Paese per affrontare questa emergenza."


C'è il governo sul banco degli imputati?


"Lo critico per la mancata azione, il mancato approfondimento e soprattutto il mancato aiuto alla cittadinanza. Ho uno zio armatore che possiede un'azienda di trasporti marittimi a New York e che dallo Stato americano riceve un'enorme quantità di denaro. Denaro che poi va anche ai suoi dipendenti. In Italia non vengono fatti interventi di questo tipo. E questo mi preoccupa. Anche perché non paghiamo poche tasse..."


Dando molto, si aspetta molto... è corretto?


"Questa emergenza va affrontata aiutando economicamente le persone più penalizzate. Poi, se c'è la necessità di chiudere tutto, il governo deve far capire ai cittadini quali sono i pericoli e perché intende farlo."


Oltre all'aumento dei contagi, c'è un problema sanitario: non bastano i posti letto in terapia intensiva. Che altro di potrebbe fare?


"Diversi anni fa, a margine di una trasmissione di Michele Santoro durante la quale si parlava dell'acquisto degli F35, un politico di sinistra mi aveva confidato che aveva promosso la riduzione dei fondi al sistema sanitario perché lo reputava obsoleto, inutile e dannoso. Si era addirittura vantato di aver tolto al sistema sanitario nazionale una grande quantità di soldi. Oggi paghiamo gli effetti di una politica del genere. Ed è su questo che governo dovrebbe concentrarsi anziché varare restrizioni liberticide."


Perché lo fanno?


"Per loro è molto più facile privare le persone della libertà dicendo 'chiudiamo tutti in casa'. Così si pulsicono la coscienza. Ma non è così che si costruisce una società libera."


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Il coronavirus ci ha fatto ricordare cos'è la paura?


"Lei mi parla di paura... io ho visto cinque conflitti..."


Cosa le fa paura?


"Ho paura solo per le mie figlie e per le persone che amo. Fisicamente non ho paura di niente... solo per le mie figlie."


Torniamo al coronavirus...


"È arrivato in un momento cui la società occidentale non vive più alcun tipo di esperienza estrema. Non ci sono più guerre. L'ultima genereazione che ne ha fatta una è quella dei vostri nonni. Non avete memorie così gravi."


In Russia è diverso?


"Ricordo bene quando la gente si ammazzava per strada. E ricordo quando a dodici anni sfilavo le armi dai cadaveri o bruciavo i carriarmati... queste cose le facevo durante la guerra civile del 1942. E non sono l'unico. È per questo che molte persone che arrivano dall'Est guardano diversamernte a certi eventi."


Il coronavirus non vi spaventa?


"Al limite si finisce in ospedale... e se ti va proprio male muori. Sicuramente non siamo persone che si agitano e vanno nel panico. Per questo mi è difficile capire certe affermazioni di politici che dipingono la situazione come apocalittica. Il problema oggi non è proprio la paura."


La paura?


"La paura è un meccanismo normale del nostro corpo, della nostra psiche, della nostra coscienza. Serve per difenderci dai pericoli del mondo esterno. Adesso, però, la paura è stata abilmente sfruttata e trasformata in terrore da chi vuole condizionarci.


Che differenza c'è?


"A differenza della paura il terrore è pericoloso perché è cieco. Il terrore è sempre affamato ed è distruttivo: non ti fa ragionare e non ti lascia spazio perché ti brucia l'animo. Oggi siamo terrorizzati dalle notizie e dalle azioni del nostro governo."


In situazioni normali il corpo di un morto viene tumulato. È anche una questione di rispetto. Cosa che la tradizione ordossa sente molto. Quando però ci siamo ritrovati in lockdown, i cadaveri hanno iniziati ad essere cremati. È cambiato qualcosa nel nostro rapporto con la morte?


"È cambiato il nostro rapporto con tutto proprio a causa del terrore che ci hanno fatto provare dinnazi a questa emergenza."


In che senso?


"L'emergenza è stata gestita in modo sbagliato soprattutto dal punto di vista etico. Non ricordo altre situazioni in cui il terrore sia stato diffuso in modo così ampio. In tv vediamo politici esprimersi in modo sguaiato contro gli stessi cittadini che li mantengono. In una democrazia non dovrebbero pronunciare parole che generano panico e che offendono. In una situazione del genere come fai ad osservare la normalità di certi processi? È impossibile: tutto diventa selvaggio, tutto è permesso. È normale chiudere le persone nelle case ed è normale fare le multe. Un governo serio avrebbe piuttosto azzerato le tasse. No, loro fanno le multe... e tutto questo è giocare sul terrore."


Ha mai visto il terrore in faccia?


"Quando ho fatto il servizio militare nelle squadre di sabotaggio e catturavo i terroristi islamici, adottavamo una pratica di preparazione agli interrogatori che mi ha sempre turbato."


Cosa gli facevate?


"Prima di tutto gli toglievamo i pantaloni e le mutande. Poi con le sue calze faceva una sorta di tappo chee gli infilavamo in bocca."


Perché lo facevate?


"All'inizio non riuscivo a capirne il senso. Poi lo ho chiesto al nostro capitano."


Cosa le ha detto?


"Mi ha spiegato che questa pratica era stato studiata da alcuni psicologi e che serviva a privare il prigioniero della propria dignità e, quindi, azzerarlo. Così, quando lo portavamo davanti a chi lo avrebbe interrogato, il terrorista si metteva subito a parlare. Non bisognava più far tanta fatica a cavargli fuori le informazioni. Certe tecniche usate oggi da alcuni governi occidentali, mi ricordano proprio quella dinamica lì: azzeramento dell'umano, privazione della nostra parte più intima. Con questo ultimo decreto hanno addirittura deciso dome dobbiamo comportarci in casa nostra..."


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Questo perché il focolare domestico è stato dipinto come un pericoloso focolaio e i famigliari come untori, cioè i portatori del male. Così non si rischia di scardinare il luogo sicuro per antonomasia: la famiglia?


"La famiglia è sotto l'attacco di un certo sistema che vuole costruire la società sull'individualismo. Con tutto il rispetto per gli altri grandi nuclei, che compongono la società moderna, la famiglia rimane l'unica base dove l'umano nasce, cresce ed entra a far parte della società. Per questo, quando la famiglia viene colpita, si arreca un danno a tutta la società. In questo momento, anziché dividerci, dovremmo unirci e farci forza."




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Published on October 18, 2020 23:07

October 17, 2020

Continuate ad avere paura...

Matteo Carnieletto
Andrea Indini



Nel 1968 usciva La notte dei morti viventi, un film controcorrente che dopo 50 anni è ancora un cult. Oggi Romero e Kraus firmano il capitolo conclusivo di quell'incubo


"John Doe si sta muovendo. Sono passate quasi quattro ore e mezza dall'ora della morte. Gli organi vitali sono stati estratti. Ma lui si muove: Ripeto: John Doe si sta muovendo". Inizia tutto così. Su un lettino dell'obitorio. Il cadavere, che Luis Acocella e la sua diener Charlene Rutkowski stanno vivisezionando, torna in vita. O meglio: si rialza e si mette in moto, pur non avendo più il cuore in corpo e il sangue che pompa nelle vene. Cammina a fatica ma punta i due medici legali per morderli e solo un colpo in testa lo farà nuovamente a terra. Esanime. A distanza di oltre cinquant'anni dal film culto La notte dei morti viventi (1968), George Romero ci fa ripiombare nel terrore con un libro, scritto a quattro mani con Daniel Kraus e edito in Italia da La Nave di Teseo. I morti viventi è un tomo di quasi settecento pagine che gettano il lettore in un incubo senza fine.


Romero aveva lavorato a questo romanzo per molti anni. La considerava una sorte di "espansione contemporanea" dell'universo horror che aveva creato nei suoi film. La morte, però, gli impedì di completare l'opera e portare a termine il proprio sogno. Sono stati i suoi eredi a consegnare il manoscritto a Kraus, autore di best seller come La forma dell'acqua e Trollhunters e grandissimo estimatore del regista americano, affinché lo concludesse. Lo ha fatto seguendo quello uno slogan che probabilmente era lo stesso sposato da Romero. "Continuate ad avere paura!". "A me piace pensare che George, il capellone radicale degli anni Sessanta, i cui ideali erano troppo inflessibili per gli schemi di Hollywood, usasse lo slogan come un sottile invito a evitare la compiacenza". Perché solo continuando a provare paura non ci lasceremo indurire il cuore. Quando il primo ottobre 1968 uscì nelle sale cinematografiche La notte dei morti viventi, un film costato poco più di 100mila dollari che ne fece incassare più di 5 milioni, è subito apparso chiaro che sarebbe diventata una pellicola di culto, sebbene facesse coraggiosamente a pezzi il mito americano in un momento in cui non era benché lontanamente pensabile farlo. Allora Hoollywood era un sistema ben oliato che, oltre a far soldi, serviva a creare consenso. Non che adesso sia diverso, ma era difficile trovare qualcuno che usciva da quei binari.


Romero lo ha fatto. E per questo le sue pellicole sono diventati immortali. Ai fan e anche ai neofiti non resta quindi che abbandonarsi nel romanzo pubblicato dalla Nave di Teseo per tuffarsi in un mondo di tenebre che non lascia respiro. Tutto inizia con un solo corpo a San Diego. John Doe, appunto. Un nome che nei documenti ufficiali indica un uomo di cui si ignora l'identità. Corrisponde all'italiano N.N. Non si sa cosa gli renda gli occhi vitrei e lo faccia tornare a muoversi. Ma non è l'unico. In un villaggio di case mobili, nel Missouri, un'adolescente cerca di difendersi da amici e parenti che la aggrediscono dopo essere tornati in vita. In uno studio televisivo l'unico giornalista sopravvissuto continua ad andare in onda senza sapere che là fuori c'è ancora qualcuno che lo sta ad ascoltare. Dovunque le persone sono in pericolo. E il pericolo ha il volto dei non-morti. Chi siano e cosa li abbia portati ad essere così nessuno lo sa.


Kraus incontrò Romero solo una volta. Era il 2006 e il regista era già molto malato. Lo accompagnò a comprare un pacchetto di sigarette prima di un appuntamento con i suoi fan. "Nello scrivere questo libro, quando ho rotto la nebbia e ho sentito di nuovo la meraviglia, la responsabilità e la gratitudine - racconta Kraus - mi è sembrato che fosse ancora il marzo del 2006 e che George, stanco ma deciso, percorresse faticosamente l'atrio, simile a una delle sue creature, diretto all'evento finale della giornata, e io fossi ancora lì ad accompagnarlo, a fargli da guardia del corpo. Sono ancora deciso ad aiutarlo ad arrivare - conclude - solo che stavolta non ci fermeremo per le sigarette". Per capire quanta strada hanno fatto insieme, non vi resta che leggere I morti viventi. Ghoul.





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Published on October 17, 2020 22:36

October 15, 2020

"Ha disorientato gli italiani". ​Un sondaggio affonda Conte

Andrea Indini



L'analisi di Spin Factor evidenzia tutti gli errori del governo: "Non comunica in maniera chiara". Gli stessi pasticci della fase 1


Qualche giorno fa, parlando con i suoi, Giuseppe Conte non ha nascosto il proprio fastidio nei confronti di Roberto Speranza. "Non era necessario né utile né fattibile". A urtarlo tanto erano state le dichiarazioni rilasciate dal ministro della Salute che, a Che tempo che fa, aveva ipotizzato di avvalersi delle "segnalazioni" dei vicini di casa per stanare chi, andando contro le disposizioni del governo, avrebbe organizzato cene con più di sei persone. "Più allunghiamo i tempi della discussione - aveva lamentato - più si rischia di complicare le scelte...". Un film già visto durante la "fase 1". Strafalcioni, fughe in avanti e dietrofront, scivoloni e gaffe a cui è d'obbligo mettere una pezza. Anche con l'ultimo Dpcm il governo è finito per incasinarsi con le sue stesse mani. E a disorientare gli italiani, come rilevato da Spin Factor, società leader nella consulenza istituzionale, politica e aziendale che per ilGiornale.it ha realizzato in esclusiva un'analisi sul sentiment degli italiani sulle nuove restrizioni.


Restrizioni e libertà individuali

Alla fine Conte è riuscito a contenere lo strappo di Speranza. Il divieto di trovarsi in più di sei persone attorno al tavolo di casa è stato addolcito in "una forte raccomandazione sull'uso delle mascherine all'interno delle abitazioni private, in presenze di persone non conviventi". "Non riteniamo di introdurre una norma vincolante - ha spiegato il premier - ma vogliamo dare il messaggio che se si ricevono persone non conviventi anche in casa bisogna usare la mascherina". Il danno, però, era ormai stato fatto. Anche perché le dichiarazioni rilasciate a Fabio Fazio sono state amplificate il giorno dopo dall'ennesima anticipazione non autorizzata. Si parlava di un articolo della bozza che conferiva agli "incaricati dalla pubblica autorità" il potere di entrare in casa "in qualsiasi momento" e "procedere alla identificazione dei soggetti presenti nell'immobile". Nemmeno questa misura, alla fine, ha visto la luce. Eppure gli errori comunicativi del governo hanno spinto gli italiani a usare con maggiore frequenza la parola "restrizioni" e non è un caso se, tra le 25 parole più frequenti usate su social e web, compaia anche "libertà". Il 27,59% dei post e dei commenti è contrario a queste restrizioni e teme pesanti conseguenze sull'economia. Il 48,19% ha, invece, posizioni neutre, cioè non espressamente schierate o ambigue.



Il disorientamento degli italiani

"Il nuovo quadro di emergenza sanitaria - ha spiegato al Giornale.it Tiberio Brunetti, fondatore e amministratore di Spin Factor - coincide con una serie di nuove restrizioni che non sono state spiegate subito in maniera chiara e questo ha disorientato molto gli italiani". Nella wordcloud, che mostra le sessanta parole più usate sul web, il monitoraggio fa anche emergere la preoccupazione per l'"emergenza" e per un eventuale "lockdown". Secondo Brunetti gli italiani sono tornati ad essere molto preoccupati. "La percezione sulla pandemia è tornata ai livelli del primo lockdown, quando le parole più utilizzate erano quelle legate alla salute - ha fatto notare il fondatore di Spin Factor - successivamente, in coincidenza con il calo dei contagi, a tenere banco era stata la richiesta di sicurezza economica". Ora, a pesare sulla percezione che si ha della situazione sono i continui passi falsi dell'esecutivo. Gli stessi che aveva compiuto durante "fase 1", come rivelato nel Libro nero del coronavirus (clicca qui). A differenza di allora ci troviamo oggi in "un quadro più complicato sia perché ripiombare in un clima che si sperava superato provoca frustrazione, sia perché non c'è alcuna prospettiva concreta al momento di superamento definitivo dell'emergenza". Questo comportamento non farà altro che aumentare la preoccupazione degli italiani. Preoccupazione che, già nei prossimi giorni, sarà accompagnata da un'altra ondata di malcontento generato dall'emergenza economica.


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Gli errori del governo

Se facciamo un salto indietro e guardiamo a quanto successo a cavallo tra febbraio e marzo ci accorgiamo che il governo non è stato all'altezza a gestire l'emergenza. Prendiamo il dramma vissuto in Val Seriana: l'ospedale di Alzano Lombardo è stato subito additato come il grande incubatore del virus. Le morti a cavallo tra il 22 e il 25 febbraio, il caos al pronto soccorso, il personale contagiato che ha veicolato il Covid-19 in altri reparti e così via. Eppure, scartabellando le denunce che sono state depositate alla procura di Bergamo dai parenti delle vittime del coronavirus e analizzando con attenzione le innumerevoli carte firmate dall'esecutivo, emerge un'altra verità. "Qui, dalle nostre parti, hanno fatto i tamponi solamente ai ricoverati", ha denunciato un medico di Nembro nel Libro nero del coronavirus. "C'è tutta una platea di ammalati che non sono mai stati sottoposti al test". Nei giorni in cui si discuteva su chi fare i tamponi, chi doveva indossare la mascherina o chi poteva essere considerato un "contatto stretto" e chi no, ha perso almeno una quindicina di pazienti. E poi la verità sulla mancata "zona rossa" è ancora tutta da scrivere. Ci stanno lavorando i magistrati.


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I dubbi sollevati a Bergamo possono essere estesi a tutta Italia: ritardi, misure pasticciate, fughe di notizie che hanno gettato il Paese nel panico e mancati interventi a sostegno del sistema economico. Gli stessi errori che, come svelato dall'analisi di Spin Factor, gli italiani lamentano in questo inizio di seconda ondata. Un appuntamento che il governo avrebbe dovuto segnarsi sul calendario da tempo, ma a cui non ha fatto nulla per farsi trovare preparato. Perché non ha fatto scorte del vaccino anti influenzale? Perché non ha potenziato il tracciamento nonostante i virologi avessero avvertito che saremmo andati incontro a un exploit di richieste? Perché non ha preparato un piano serio sulla mobilità per evitare il congestionamento dei mezzi pubblici? Perché non ha fatto seguito all'esigenza di potenziare le terapie intensive in tutte le regioni d'Italia? Come già nella "fase 1", la sola risposta che Conte ha saputo dare è stata mettere dei limiti agli italiani. In vista del prossimo lockdown.


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Giuseppe Conte
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Published on October 15, 2020 23:06

October 13, 2020

Il governo ci casca ancora: quanti scivoloni per un Dpcm

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Le feste private a casa, la didattica a distanza, l'attività motoria e quella sportiva. Con l'ultimo decreto torna l'ombra del caos di marzo


Vi è mai capitato di rivedere un film per la seconda volta. Anche se non lo ricordate bene, e magari avete dimenticato il finale, ogni dettaglio vi torna alla memoria una scena dietro l’altra. La crisi coronavirus l’Italia la sta vivendo più o meno così. Durante la prima ondata un po’ di caos era anche comprensibile (non del tutto, a dire il vero). Ma in occasione del ritorno dei contagi, otto mesi dopo, errori e incertezze non sono più giustificabili. Non solo, o non tanto, a livello di indecisione nelle misure da prendere, nei ritardi su scuola, test, drive-in e creazione delle nuove terapie intensive. La catena di errori di marzo e aprile, rivelata anche nel Libro nero del coronavirus (clicca qui), si sta ripetendo quasi allo stesso modo. E lascia di stucco.


Pensate alle ultime frasi del ministro della Salute. Roberto Speranza in diretta tv ha rivelato il desiderio vietare le riunioni tra amici a casa invitando a coltivare lo spirito delatorio tra vicini. Con tanto di controlli di polizia tra le mura domestiche. Molto peggio delle scene di questa estate, con gli agenti armati di drone a dare la caccia ai bagnanti sulle spiagge italiane o le multe assurde distribuite a pioggia. La norma non è entrata nell’ultimo Dpcm (è prevista solo una "forte raccomandazione"), ma intanto ha scatenato polemiche, putiferi e - soprattutto - incertezze. Il Cts, infatti, nell'analizzare la bozza del decreto ha messo a verbale che sia la limitazione a 30 persone per le cerimonie che i 6 inviti massimo a casa non hanno "evidenza scientifica", dunque si è limitato a "prendere atto" delle misure adottate. La stesso confusione successe a maggio in vista della agognata fase 2 post lockdown. Ricordate? Il Dpcm aprì alle visite tra “congiunti”, senza precisare fino a quale grado di parentela ci si dovesse considerare “congiunti”. Identico caos provocato dalle incomprensibili differenze tra la corsetta e la camminata, tra la passeggiata col cane e quella con i bambini. E oggi tra “attività motoria” e “sportiva di base”. Senza dimenticare le infinite autocertificazioni, che gli italiani sono stati costretti a cambiare più di un paio di calzini. A inizio epidemia, così come oggi, a mettere un po’ d’ordine fu il Viminale con circolari e risposte alle domande pubblicate sul proprio sito. Diventato nel frattempo la scialuppa di salvataggio della Repubblica delle Faq.



Possibile che otto mesi non abbiano insegnato nulla? Possibile che Conte e i suoi ministri non abbiano capito che, forse, i provvedimenti sarebbe meglio prima firmarli e solo dopo diffonderli alla stampa? Pensate a quanto accadde quella tragica notte del 7 marzo, quando una massa di residenti in Lombardia presero d’assalto le stazioni milanesi per colpa di una mai spiegata fuga di notizie. Il film si sta ripetendo, identico.


Anche sugli stadi e sullo sport il governo procede a tentoni. Durante il lockdown il campionato Serie A si fermò. Poi ripartì con un protocollo condiviso. In vista della nuova stagione doveva essere tutto perfetto, tutto calcolato e controllato. Un po’ come la bolla dell’Nba americana. Invece niente. Una Asl più severa delle altre ha mandato gambe all’aria il piano approvato dal ministro Spadafora, nonostante i tanti mesi di tempo per redigere il protocollo. E che dire degli altri sport? Quando sarebbe servito bloccare tutto, Palazzo Chigi tenennò. Si pensi agli impianti sciistici lasciati aperti in Lombardia nel pieno della diffusione del contagio il primo marzo. Oppure alla partita Lecce-Atalanta, teoricamente vietata ai tifosi bergamaschi ma dove, per un pasticcio di date sulla pubblicazione del Dpcm, sono riusciti ad andare circa 200 supporters atalantini. Ora invece che i tempi sono cambiati, e la mente fresca dovrebbe permettere di trovare soluzioni che facciano coesistere contenimento del contagio e ripresa delle normali attività sportive, la confusione regna sovrana. Perché negli stadi possono entrare solo 1000 persone (200 nei palazzetti), ma vengono tutte concentrate in unico settore?


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Dagli errori non abbiamo imparato neppure in tema scolastico. Le classi sono rimaste vuote da metà marzo fino a settembre, con tre interi mesi estivi a contagi ridotti. Eppure i (poco utili) banchi singoli sono arrivati a singhiozzo e in ritardo rispetto alla prima campanella. Il protocollo per il contenimento delle infezioni, basato su test ai piccoli ad ogni sintomo di malanno, sta mandando in crisi le famiglie costrette a tenere in casa i figli per una settimana in attesa del tampone. E per i test antigenici rapidi, annunciati a fine settembre da Speranza, mancano ancora le linee guida dell’Iss. Un po’ come la didattica a distanza. Il ministro Azzolina preme per evitarla, ma il governo non ha investito a sufficienza nei mezzi pubblici per portare i ragazzi a scuola. I governatori sono in difficoltà e chiedono di lasciare a casa gli alunni più grandi così da decongestionare autobus e metro. Non ci si poteva pensare prima? Per mesi abbiamo parlato della necessità di dotare tutte le famiglie, e i docenti, degli strumenti per la didattica a distanza di emergenza: siamo pronti?


Nel frattempo, forse, bisognerebbe pure occuparsi di economia. Il Pil crolla del 9%. Prima o poi salterà il blocco ai licenziamenti. Le aziende faticano. E i tanto decantati fondi europei, i 200 e passa miliardi del Recovery Fund, per ora sono solo sulla carta. I leader Ue non trovano un accordo e l’orizzonte dell’iniezione di liquidità nell’economia italiana si allontana sempre più. Conte ci aveva sperato, ma ora teme di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano e poche idee per il rilancio del settore produttivo. Così si rischia un nuovo passo indietro. Che è un po’ come rimettere dall’inizio un brutto film. Ed essere costretti a rivederlo.





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Published on October 13, 2020 07:36

October 12, 2020

Saremo tutti in libertà vigilata

Andrea Indini



Il governo vuole limitare i contatti nelle case. Per farlo si affiderà alle segnalazioni. E le forze dell'ordine potranno fare irruzione "in qualsiasi momento"


L'occhio, appiccicato sullo spioncino, guarda sul pianerottolo. Conta in fretta quante persone entrano nella casa del dirimpettaio: una, due, tre, quattro e così via... Se le segna su un foglietto, con tanto di ora di ingresso. E magari pure quella di uscita. E, qualora dovesse riconoscere qualche volto, - perché no? - anche i nome e cognomi. Ecco pronta la segnalazione. Non si sa ancora a chi dovrebbe consegnarla per denunciare il vicino di aver violato le misure pensate dal governo per dare una stretta ai contatti in casa, ma è più o meno questo il succo dell'ultima "trovata" del ministro della Salute Roberto Speranza che, in queste ore, sta lavorando per dare alla luce il nuovo Dpcm.


Un esercito di "spioni": ecco cosa sogna Speranza. Da far venire i brividi. Eppure non è la prima volta che ci troviamo a dover fare i conti con strategie tanto balzane. Quando, nel 2018, fu votato il ddl anticorruzione, soprannominato dai giustizialisti pentastellati "Spazzacorrotti", venne introdotta nel sistema giuridico la figura dell'agente sotto copertura per i reati di corruzione. Il suo compito? Tentare il politico offrendogli una mazzetta. "Se il politico la prende - aveva spiegato ai tempi Alessandro Di Battista - va in galera". Dalla provocazione oggi si passa alla delazione. Ecco il piano del governo - o quantomeno di Speranza - per arrivare a controllare gli italiani sin dentro alle loro case. Il principio, per carità, è anche giusto: fare in modo che il coronavirus non torni più ad attaccare le fasce più deboli della popolazione, ovvero gli anziani. E, dato che i cluster maggiori scoppiano all'interno delle mura domestiche, si stanno preparando a vietare le feste private e più in generale gli assembramenti nelle abitazioni. Ma come controllare che questa regola venga seguita pedissequamente senza chiudere tutti in casa e tornare alle autocertifiazioni di chi viene pescato in giro?


"Quando c'è una norma, questa va rispettata - ha spiegato ieri Speranza a Che tempo che fa - gli italiani hanno dimostrato di non aver bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente". Ma è chiaro che il ministro è pronto ad aumentare i controlli. "Nei luoghi privati il titolare, sia che trattasi di abitazioni familiari o sedi associative, può consentire l'accesso a un massimo di dieci persone diverse dal proprio nucleo familiare risultante dall'anagrafe comunale - si legge in una bozza diffusa dall'agenzia Italpress - per assicurare il rispetto di tale prescrizione gli incaricati dalla pubblica autorità potranno in qualsiasi momento chiedere l'accesso e procedere alla identificazione dei soggetti presenti nell'immobile". Insomma, dobbiamo aspettarci i blitz delle forze dell'ordine nelle nostre case per verificare quante persone abbiamo invitato a cena. Ovviamente senza nemmeno avere in mano il mandato di un giudice. Eppure l'articolo 14 della Costituzione dice chiaramente che "il domicilio è inviolabile". Per decidere dove andare a guadare si affideranno alle denunce dei vicini di casa. "Ci saranno le segnalazioni", ha ammesso lo stesso ministro della Salute da Fabio Fazio. La delazione, dunque.


Nel motivare la sua proposta, Speranza ha sostenuto che ci sono delle "cose essenziali ed altre no". La salute sicuramente lo è. Ma anche la proprietà privata. A meno che il governo non ci metta tutti quanti in libertà vigilata.




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Giuseppe Conte
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Published on October 12, 2020 02:54

Il documento che inguaia il governo: la verità sul contagio nelle Rsa

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Nel Libro nero del coronavirus il racconto inedito dei ritardi e delle retromarce di marzo che costarono la vita a migliaia di anziani


Pubblichiamo un estratto da Il libro nero del coronavirus (Historica Edizioni, 350 pagine, 20 euro), scritto da Giuseppe De Lorenzo e Andrea Indini.


Sfogliando le cronache di quei primi giorni di marzo, sembra quasi che nessuno avesse messo a fuoco che per evitare migliaia di decessi si dovesse agire con maggiore incisività nelle strutture per anziani. Se alle persone in strada si chiedeva di ridurre i contatti, forse sarebbe stato necessario vietare sin da subito le visite dei parenti nelle Rsa. Se negli ospedali si invitavano medici e infermieri a indossare le mascherine davanti a casi sospetti, forse sarebbe stato utile imporre l'uso del Dpi anche nei corridoi delle Rsa. E invece non è andata così.


La prima «rigorosa limitazione» all'accesso di visitatori nelle case di riposo viene inserita solo nel Dpcm del 1° marzo ed è riferita esclusivamente ad alcune regioni. L'indicazione generalizzata alle residenze di tutta Italia di limitare «l'accesso di parenti e visitatori» arriverà solo con il Dpcm del 4 marzo. Per quasi due settimane, dunque, i parenti continuano a fare avanti e indietro nelle strutture, rischiando di portare con loro il contagio. Non sarebbe stato meglio agire subito in tutto il Paese? Senza contare che il primo rapporto dell'Iss dedicato alla prevenzione e al controllo dell'infezione nelle Rsa arriverà addirittura il 16 marzo, due mesi dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. Non si poteva predisporre prima?



Le indicazioni dell'Iss meritano di essere citate non solo per la tempistica ma anche per il contenuto. Queste suggeriscono troppo genericamente di indossare «dispositivi di protezione individuale appropriati» in «relazione alla valutazione del rischio». Non si parla mai di indossare i Dpi per «prevenire» l'ingresso del morbo. Anzi. Anche per i pazienti le mascherine vengono suggerite solo «in presenza di sintomi di infezione respiratoria acuta». Il documento dell'Iss verrà rivisto il 17 aprile in una versione aggiornata e molto, molto più dettagliata. Perché non farla subito così? Quando ormai la strage nelle Rsa è il tema centrale del dibattito politico, infatti, l'Istituto rende più dure le indicazioni rivolte alle strutture sanitarie. Tra le regole non inserite nella prima versione viene per esempio scritto di «evitare per quanto possibile l'invio di residenti in ospedale per visite specialistiche ed esami strumentali» e viene chiesto a fornitori, manutentori e altri operatori di indossare la mascherina chirurgica. Peccato fosse ormai troppo tardi.


«Le prime indicazioni ci dicevano che la mascherina non andava messa», racconta un operatore sanitario di una Rsa emiliana. Nel primo rapporto indirizzato agli operatori sanitari (14 marzo) viene infatti spiegato che, vista la scarsa disponibilità di Dpi, è bene «ottimizzare il loro utilizzo» per «garantirne la maggiore disponibilità possibile agli operatori maggiormente esposti al rischio di contagio». Tradotto: ridurre al minimo l'uso delle mascherine se non si è impegnati a trattare un contagiato. Nelle aree di transito di un ospedale, in assenza di pazienti Covid, l'uso dei Dpi viene, quindi, ritenuto «non necessario».


Il rapporto verrà rivisto il 28 marzo. «In alcuni ambiti assistenziali sanitari - viene aggiunto - si valuti la possibilità di uso della mascherina chirurgica come presidio da utilizzare all'interno dell'ospedale tout court per tutti i sanitari». L'esempio calza a pennello per le Rsa. La domanda è: perché non suggerirlo sin da subito e scriverlo nelle istruzioni dedicate agli operatori delle strutture per anziani?




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Published on October 12, 2020 00:31

October 11, 2020

Gli "sbadati" delle mascherine che non danno il buon esempio

Andrea Indini



Un governo di sbadati: Di Maio allo spettacolo di Scanzi, Arcuri in giro a rilasciare le interviste e Conte al ristorante. Tutti senza mascherina. Eppure sono i primi a imporre sacrifici e multe


Piccole disattenzioni, nulla di più. Ci incappano tutti, anche chi dovrebbe maggiormente dare il buon esempio. L'ultimo caso è quello tirato fuori dal Tempo. Il premier Giuseppe Conte si è fatto immortalare al ristorante "Benito al Bosco" di Velletri, dove è andato a cenare insieme alla compagna Olivia Paladino: uno scatto senza mascherina e, ovviamente, senza il benché minimo "distanziamento sociale" con il titolare Benito Morelli e altre quattro persone che compaiono nella fotografia dello scandalo. Palazzo Chigi ha provato a cavillare sulla data dello scatto. Risalirebbe al 17 settembre e non a qualche giorno fa, come si era inizialmente supposto. Ma poco importa: perché, vero è che le restrizioni si sono fatte più dure solo negli ultimi giorni, ma sono mesi che è obbligatorio indossare la mascherina quando ci si alza da tavola.


Conte non è certo il primo che inciampa nelle sue stesse regole. Qualche giorno fa era toccato, nientepopodimeno, a mister Mascherina. Mentre in Italia veniva introdotto l'obbligo di indossare la mascherina anche all'aperto, a prescindere dagli assembramenti e dalla distanza interpersonale, il commissario straordinario per l'emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha trasgredito alle regole che lui stesso ha contribuito a stilare insieme a Conte. Parlando con alcuni giornalisti, a margine di un evento a Villasimius, in provincia di Cagliari, aveva la mascherina che non gli copriva il naso ma soltanto la bocca. Un errore che commettono in molti. Tanto che anche recentemente, quando si è trovato a dover decidere le regole di ingaggio per la riapertura delle scuole, il Comitato tecnico scientifico ha ribadito l'importanza di protegere "naso-bocca" durante tutti gli spostamenti, in particolar modo quando "potrebbe non essere garantito il distanziamento". Per chi dovesse ancora nutrire dubbi sulle modalità con cui va indossata, sul sito del dicastero della Salute l'Istituto superiore di sanità spiega che bisogna "posizionare correttamente la mascherina facendo aderire il ferretto superiore al naso e portandola sotto il mento". Un regola che, al di là degli iniziali strafalcioni degli stessi uffici diretti dal ministro Roberto Speranza, dovrebbe essere chiara ormai dalla scorsa primavera. Eppure in molti la infrangono. E si beccano multe salatissime(si arriva fino ai mille euro). Ovviamente, nessuno a Villasimius ha redarguito il supercommissario, ma i social non lo hanno perdonato e ne è scoppiata un'accesa polemica. "L'uomo che acquista le mascherine - hanno fatto notare in molti - non le sa mettere...".


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Nella stessa "svista" di Conte era incappato lo scorso agosto anche Luigi Di Maio. Anche lui era scivolato su una fotografia postata sui social network. "Una bella serata in compagnia di Andrea Scanzi e tanti altri amici a San Gavino in Sardegna - aveva scritto su Facebook - ho avuto il piacere di assistere al suo spettacolo come sempre geniale e diretto, ve lo consiglio. Buona serata a tutti". Né il ministro degli Esteri né il giornalista del Fatto Quotidiano né le altre quattro persone immortalate nello scatto postato avevano, però, la mascherina. In più i sei si abbracciavano amabilmente davanti all'obiettivo del cellulare. "Tutti senza mascherina - avevano commentato molti utenti - complimenti poi fate le multe a uno che la toglie per bere. Bravi!".


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Lo stesso tenore di commenti è piovuto addosso a Conte anche quando da Palazzo Chigi hanno cercato di spiegare che la foto-ricordo è stata scattata a metà settembre, giorni prima della più recente recrudescenza dei contagi. Ma poco importa. Perché dei sette in posa solo due signore erano con la mascherina. Tutti gli altri se ne erano bellamente infischiati delle regole. Esattamente come se ne era infischiato papa Francesco all'udienza generale di mercoledì scorso. In quell'occasione il Santo Padre aveva addirittura stretto e baciato mani di monsignori e fedeli che si trovavano nell'Aula Paolo VI. Insofferenza alle regole o semplice distrazione? Può essere di tutto. A chi non è capitato nemmeno una volta di uscire di corsa di casa e dimenticarsi di avere con sé la mascherina?


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Il punto è che la distrazione è sempre dietro l'angolo. Ed è giusto richiamare l'importanza di indossare la mascherina quando non si può garantire il distanziamento. Chi deve dare l'esempio per primo, però, deve ricordarsi di farlo sempre, anche quando non si trova a un evento istituzionale o lontano dai riflettori. Altrimenti c'è il rischio che passi il messaggio sbagliato. E non sarebbe la prima volta da parte di Conte & Co.





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Published on October 11, 2020 03:59

October 10, 2020

"Affrontare la massa di schiavi". Mishima e la guerra al mondo moderno

Matteo Carnieletto
Andrea Indini



Nel 1968, Mishima pubblica La difesa della cultura - ora disponibile per la prima volta ai lettori italiani grazie a Idrovolante edizioni - in cui si scaglia contro la debolezza del Giappone moderno


Visse poco, Yukio Mishima. Appena 45 anni: dal 1925 al 1970. In mezzo la Seconda guerra mondiale, una carneficina tremenda alla quale non partecipò. Un po' perché suo padre era un alto funzionario della corte dell'imperatore, un po' perché Kimitake Hiraoka (questo il suo vero nome) finse i sintomi di una tubercolosi e se ne stette a casa. Vide i suoi amici partire per il fronte e mai più ritornare. Lui, gracile e con gli occhiali, se ne stava ore e ore a studiare. Un topo di biblioteca in grado di alzare solamente la penna. Pallido e magro, dedicava le sue giornate alla lettura e a racimolare qualche notizia sul conflitto.


Come è noto, per il Giappone le cose andarono molto male. Sfidò il colosso americano nel Pacifico, ma non potè nulla. Gli aerei dei kamikaze si fiondavano sulle navi americane. Sotto di loro c'era solo l'oceano. Sopra, invece, il cielo sempre più bianco. In mezzo i velivoli con la bandiera del sol levante. È la guerra, ma per Mishima diventerà filosofia vissuta e arte. Che cos'è il coraggio se non guardare?, scriverà anni dopo ne La voce degli spiriti eroici.


Ma guardare a volte è impossibile. Nell'agosto del 1945 gli americani sganciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Negasaki. Un'azione non necessaria, volta più a impaurire la Russia sovietica che a piegare un Giappone già fiaccato da anni di guerra. Una tragedia umana infinita, alla quale ne seguirà una spirituale: l'imperatore venne costretto ad ammettere di essere un comune mortale. Non era più dio. Era solo un uomo. Per migliaia di giapponesi fu la fine di un'era. Nei palazzi imperiali gli uomini sguainarono le spade, si tastarono il ventre e poi affondarono la lama. Offrirono la loro vita all'impero che fu. Mishima visse tutto questo quando aveva solamente vent'anni. I suoi coetanei erano pochi e, quei pochi, erano visti con sospetto. Perché la loro vita era stata risparmiata? Perché non avevano versato il sangue per salvare la divinità dell'imperatore?


Dalle macerie, il Giappone si rialzò tutto sommato in fretta. Negli anni Sessanta si trovò - come il nostro Paese, altro grande sconfitto del conflitto - in pieno boom economico. Emerse una nuova figura all'interno della nazione, quella del lavoratore indefesso, inchiodato per dodici e più ore al proprio posto, per poi tornare a casa sfinito e magari, come riportano i video dei giorni nostri, distrutto dall'alcool. Una vita svuotata, da larve. Che, verrebbe da dire, non è vita. O almeno vita che val la pena vivere.


Nel 1968, Mishima pubblicoò La difesa della cultura - che ora esce per la prima volta in Italia grazie a Idrovolante edizioni - in cui si scagliò contro il "culturalismo", "quel borioso disvalore che costringe i popoli ad ostentare solo alcuni aspetti della propria cultura a scapito di altri quasi da 'rinnegare', 'nascondere', o 'disorcere' fino quasi all'autodistruzione", come scrive Daniele Dell'Orco nella sua prefazione al volume.


Non era un nostalgico, Mishima. Sapeva che un'epoca era ormai chiusa e che ne era iniziata un'altra. Ma lui, in questo nuovo Giappone, non poteva vivere. Forse perché, proprio come durante la guerra, era rimasto l'unico superstite. Solo, con un drappello di amici e commilitoni del Tate no kai, il suo esercito privato. Sapeva di essere minoranza: "Noi invece ci mettiamo dalla parte dei forti e partiamo come minoranza. La limpidezza, la franchezza, l'onestà, l'elevatezza morale dello spirito giapponese, sono cosa nostra".


I nemici, per Kimitake Hiraoka, erano due: il comunismo e l'americanismo, che tolgono la dimensione verticale - quindi spirituale - dalla vita. Una battaglia culturale e, per ciò stessa, violenta: "La nostra controrivoluzione consiste nel respingere il nemico sul bagnasciuga, e il bagnasciuga non è quello del territorio giapponese, ma la diga dei frangiflutti dello spirito di noi giapponesi uno ad uno. Bisogna affrontare la massa degli schiavi rivoluzionari, con il gegato di chi va anvanti da solo anche se gli atlri fossero milioni. Non bisogna curarsi degli insulti e delle calunnie, dello scherno e delle provocazione della folla, ma bisogna affrontarla decisi fino alla morte, per riscegliare quello spirito giapponese che ha corrso. Noi siamo coloro che incarnano la tradizione di bellezza del Giappone".


Parole che divennero azione. Il 25 novembre, insieme a quattro uomini del Tate no Kai, Mishima entrò nell'ufficio del generale Mashita. Lo fece portar via e si affacciò dal balcone, di fronte a un migliaio di uomini. "Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo". Rientrò nell'edificio. Mishima replicò quanto fatto dai funzionari dell'imperatore al termine della seconda guerra mondiale: sguainò la spada, si tastò il ventre e poi affondò la lama. Offì la sua vita all'impero che fu.





Luoghi: 

Giappone
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Published on October 10, 2020 22:37

October 7, 2020

Dalla prima linea alle retrovie. ​Cosa succede dietro i Dpcm del governo

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Il nuovo decreto rinviato. Conte che non lo presenta. Il protagonismo di Speranza. Ecco cosa è cambiato nel governo


Roberto Speranza oggi si espone, fa pesare la sua posizione all'interno (e fuori) dal governo, entra a gamba testa su dossier, come il calcio, che fino a ieri lasciava ad altri. Insomma, dice la sua su tutto. Tanto che, nelle ultime ore, la gestione dell’emergenza coronavirus sembra essere ad appannaggio del dicastero della Salute. È cosa buona e giusta, penserete. Certo. Ma non è stato sempre così. Riavvolgendo il nastro della pandemia italiana, infatti, l'esponente di Leu appare e scompare dal palco più e più volte, così come il suo ministero. All'inizio in prima linea, poi oscurato dall'onnipresente Giuseppe Conte, infine nuovamente centrale. Una gestione a singhiozzo che ha finito per incidere sulla strategia adottata dall'esecutivo per combattere il morbo. E che continua ad influenzare decreti e Dpcm che in queste ore vengono varati.


Alla fine di gennaio, quando il coronavirus per gli italiani è solo un accidente lontano, il governo si preoccupa principalmente di andare recuperare i connazionali che vivono a Wuhan. L'obiettivo è arginare, ma senza crederci troppo. Al ministero della Salute viene sì elaborato un piano per bloccare i voli dalla Cina, ma a nessuno viene in mente che possa essere aggirato con uno scalo qualsiasi in un altro aeroporto non italiano. E, mentre tocca al suo vice Pierpaolo Sileri salire su un volo per andare in Cina, Speranza emana una raffica di circolari che, a distanza di pochi giorni, non dicono mai la stessa cosa e finiscono solo per generare confusione in chi le legge. È lui insomma a gestire la pratica. Anche quando a Roma vengono scovati due turisti cinesi positivi, il ministero gioca da protagonista e i primi decreti per Codogno e Vo’ portano tutti la firma di Speranza. Poi, però, qualcosa si inceppa.


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Speranza pian piano inizia a sparire. Quando il 31 gennaio viene dichiarato lo Stato di emergenza, Conte decide di nominare un commissario cui delegare poteri speciali e diretti. Come ricostruito nel Libro nero del Coronavirus: retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia (clicca qui), tutti si aspettano che il ruolo venga affidato al ministero della Salute o perlmeno ad un suo uomo. In fondo è lui ad aver gestito il dossier Wuhan, almeno fino a qualche giorno prima. Invece Palazzo Chigi fa ricadere la scelta (infelice) sul capo della Protezione civile, Angelo Borrelli: persona capace, ma inesperta in ambito medico e sanitario. Perché? "Credo che il ministro non abbia mai voluto fare il commissario - ammetterà Sileri con una punta di amarezza - non è nel suo carattere...".


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E infatti nella prima fase dell’epidemia, quando è ormai chiaro che il virus è sfuggito di mano, Speranza finisce sempre più nell'ombra. Quando i piddì Zingaretti, Gori e Sala premono per far “ripartire” il Paese e fanno aperitivi, col suo silenzio opta per un profilo prudenziale. Quando si incrinano i rapporti con le Regioni e l'esecutivo si scorna con il Pirellone e la Regione Marche, lui preferisce mantenere rapporti distesi con i governatori. Intanto però la sua influenza sulla strategia del governo si riduce notevolmente. Ad una riunione con i vertici lombardi, che chiedono la zona rossa ad Alzano e Nembro, Speranza si fa scappare una frase che, letta oggi, suona incredibile: "Appena rientro a Roma, provo…". Come a dire: non ho la forza politica per impormi in Consiglio dei ministri.


In quei giorni infatti il palcoscenico viene occupato dall’ingombrante Conte che gira tutte le tv per presentare Dpcm e provare a rassicurare gli italiani. Ottiene l'effetto contrario, come noto: basti pensare alla tragica notte del 7 marzo, quando la fuga delle bozze fa scappare verso le regioni del Sud migliaia di fuorisede che vivono in Lombardia. Nonostante i passi falsi, però, Palazzo Chigi dilaga. Un po’ di spazio lo conserva il rappresentante dell'Italia nel cda dell'Oms, Walter Ricciardi, nominato consigliere del ministero della Salute per l'emergenza Covid-19, che va in tv un giorno si e l'altro pure. Ma Speranza no: lui finisce nell'angolo.


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Il ministro torna a farsi vivo alcuni mesi dopo, con l'estate alle porte e il lockdwon alle spalle. Predica prudenza. Contesta le riaperture troppo eccessive. Quando ad agosto il ministero dei Trasporti autorizza i treni a viaggiare a piena capienza, lui s’infuria e pubblica un'ordinanza per ribadire l’obbligo al distanziamento. Insomma: si fa spazio gradualmente. Conte intanto abbandona pian piano il palcoscenico e libera un po’ di spazio mediatico: non presenta più i dpcm in diretta tv; scompare quasi dai radar; non va in Parlamento a presentare i decreti sull'emergenza. E così Speranza torna a trovarsi in pole position, influenzando le scelte politiche. E i nuovi provvedimenti.


È in questo scenario che nasce l’ultimo, caotico, atto governativo sull'obbligo di mascherine all’aperto. Il decreto è infatti il prodotto di questo misterioso andirivieni tra avamposti e retrovie, questo braccio di ferro tra ministeri che ha segnato il dietro le quinte della politica romana nell'era Covid. E che ancora infuenza le scelte del governo.





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Giueppe Conte
Roberto Speranza
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Published on October 07, 2020 07:41

Andrea Indini's Blog

Andrea Indini
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