Andrea Indini's Blog, page 63

December 16, 2020

Speranza vide il piano segreto: ecco le prove che inchiodano il ministro

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Una fonte del giornale.ti smonta tutta la memoria difensiva del governo. L'inchiesta esclusiva


Le domande si accavallano una sopra l’altra. Il “piano segreto” anti-Covid esisteva? Se sì, perché il governo l’ha tenuto riservato? Come mai non l’ha inviato alle Regioni? E perché dopo averlo sbandierato ai quattro venti sui giornali con un'intervista di Andrea Urbani, il ministero della Salute da tempo fa marcia indietro smentendo di averlo mai scritto, visto o avuto? Ancora: per quale motivo se un documento simile, realizzato in vista della seconda ondata, è stato caricato tranquillamente caricato online sul sito dell’Iss, l’esecutivo non fa un’operazione verità e divulga al grande pubblico anche quel misterioso dossier di febbraio?


Se siamo ancora qui a parlare del “piano segreto” anti-Covid lo si deve in larga parte proprio alla cortina di fumo alzata da Conte, Speranza e soci. Manca solo una settimana all’udienza al Tar del Lazio che dovrà decidere se “condannare” (o meno) il ministero della Salute a rendere noto il “piano”. Ma i contorni della vicenda sono ancora fumosi. Le prime notizie sull’esistenza del documento risalgono ad aprile, quando Urbani, direttore della Programmazione al ministero e membro del Cts, rilascia un’intervista al Corriere dove per smentire “vuoti decisionali” nella prima ondata rivela che “già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito”. Le rivelazioni, come noto, provocano un pandemonio. E sebbene quel dossier non abbia all’interno chissà quale segreto di Stato, sulla sua natura si stenderà una nebbia fittissima che ancora oggi fatica a diradarsi: il ministro Speranza lo derubrica a banale “studio”; il dicastero lo spaccia per l’analisi realizzata dal ricercatore Stefano Merler; e quasi nessuno ci capisce un fico secco. Chiamato di fronte al Tar, viale Lungotevere Ripa 1 assume una curiosa strategia difensiva: affermare che tutto sarebbe sorto da "erronee interpretazioni delle dichiarazioni rese" da Urbani, ribadire che il testo di cui tanto si parla è solo lo studio di Merler e assicurare che non esiste alcun “piano”.


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IlGiornale.it, grazie ad informazioni riservate, è in grado però di ricostruirne nel dettaglio la nascita, la crescita e l’inconsistente difesa del ministero della Salute. Partiamo dall'inizio. Il 22 gennaio Roberto Speranza annuncia la nascita di una task force ministeriale. Il virus è ancora solo una lontana malattia cinese. Alla riunione partecipano i vertici del ministero, i carabinieri del Nas, esponenti dello Spallanzani, l’Umsaf, l’Aifa, l’Agenas e pure un consigliere diplomatico. Durante i lavori della task force, dirà il ministero in una nota, emerge “la necessità di elaborare, a cura della direzione Programmazione del ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’INMI Spallanzani, uno studio sui possibili scenari dell’epidemia e dell’impatto sul Sistema sanitario nazionale, identificando una serie di eventuali azioni da attivare in relazione allo sviluppo degli scenari epidemici, al fine di contenerne gli effetti”. La prima versione di questa analisi, stando alla nota, viene presentata al Comitato tecnico scientifico il 12 febbraio per poi essere “successivamente aggiornata fino al 4 marzo”. Un “lavoro di studio” che avrebbe contribuito “alla definizione delle misure e dei provvedimenti adottati a partire dal 21 febbraio, dopo la scoperta dei primi focolai italiani”.


Le date coincidono. Come ricostruiro nel Libro nero del coronavirus (leggi qui), il 12 febbraio infatti Merler presenta al Cts le sue analisi contenute nel dossier dal titolo Scenari di diffusione di 2019-nCov in Italia e impatto sul sistema sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente. Lo stesso giorno, come si legge nei verbali, il Cts dà mandato a un gruppo di lavoro interno di “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov”. Questo dossier viene citato nei verbali altre volte: il 24 febbraio, il 2 marzo (quando viene adottato nella sua “versione finale”), il 4 e il 9 marzo. È lo stesso Cts a chiedere la massima riservatezza. Il ministero, come si legge nella memoria depositata al Tar, ritiene che il “piano secretato” citato da Urbani sia lo studio di Merler e che “detto documento non è un piano pandemico approvato con atto formale del ministero della Salute né un atto elaborato da una P.a., né è detenuto dal ministero”. Tanto che per mostrarsi diligente di fronte ai giudici riesce a farsi inviare dal Cts lo studio Merler e a depositarlo agli atti. Bella mossa.



Peccato che lo studio di Merler e il “piano segreto” siano due cose ben distinte. Una fonte accreditata del Giornale.it assicura che nella relazione di Merler del 12 febbraio non si parlava affatto di “piano” bensì di soli numeri, di casi di incidenza in base a diversi possibili Rt calcolati sulla base dei dati cinesi. Indici, indicatori e previsioni di impatto sulla popolazione. È insomma solo la parte “epidemiologica” di un lavoro ben più complesso. Quello realizzato dalla squadra del Cts (composta da una decina di persone) invece è un’altra cosa, visto che all’interno vi sono una serie di azioni da intraprendere in base ai vari scenari ipotizzati. In gergo si chiama “preparedness”. Si tratta di attività preventive, con un orizzonte temporale di un anno, pianificate a puntino nella (vana) convinzione che Covid-19 possa arrivare nell'arco di qualche mese. Così non è stato.


Il ministero può dire di non aver nulla a che fare con il “piano” realizzato dal Cts? Non proprio. Del gruppo infatti fanno parte tra gli altri anche l’Iss, Urbani con tutti i suoi collaboratori, il delegato delle Regioni Alberto Zoli e un esponente dello Spallanzani. È soprattutto grazie alle pressioni dei dirigenti del ministero se il gruppo di lavoro si mette all’opera e produce in breve tempo un dossier di circa 40 pagine. Non solo. Il 20 febbraio la prima bozza del “Piano” viene presentata, con tanto di slide, da Merler e Zoli direttamente al ministro Speranza. Che dunque dovrebbe conoscere bene, almeno nel titolo, la differenza tra lo studio del ricercatore e il piano presentatogli quel giorno.


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Dopo che cosa succede? Come detto, il Cts cita il "piano" nei verbali il 24 febbraio, scrivendo che deve essere “ancora completato”. Ormai è tardi: il contagio ha già raggiunto la Lombardia e Dpi, respiratori e stock vari mancano come l’aria. Si può fare poco, nonostante il “piano” appena redatto: quello prevede la risposta a focolai divampati nel corso del tempo, non una moltiplicazione dei casi di tipo pandemico (come accade a febbraio). Il plico comunque il 1 marzo plana sulle scrivanie degli esperti in busta chiusa con la bollinatura della Presidenza del Consiglio dei ministri. Chiunque lo abbia tenuto in mano, sia come bozza che nella verisione finale, è chiamato a rispettare un patto di riservatezza. Perché? Secondo alcuni, i numeri contenuti all’interno avrebbero fatto trasalire chi si aspettava di cavarsela con un quadro molto più modesto di quello previsto. Ricordate il “siamo prontissimi” di Conte e Speranza? Bene. Comunque, nessuno degli esperti viola l’accordo, tranne Urbani che il 21 aprile si azzarda a parlarne con i cronisti. Provocando una frittata.


Intanto Speranza ripete più volte che un “piano secretato” non sia mai esistito, e lo derubrica a banale studio. Ai cronisti che lo domandano, il ministero - proprio come farà con i ricorrenti di FdI, Bignami e Gemmato - risponde picche e li dirotta sulla Protezione Civile che a sua volta invia solo l’analisi di Merler. Perché? È difficile che la Salute possa dire di non sapere nulla del “piano operativo” se ha partecipato con i suoi uomini materialmente alla stesura, no? Se nel gruppo di lavoro c’era anche Urbani, come può il ministero affermare di non averne almeno una copia? Come avrebbe fatto a parlarne Urbani se non era coinvolto?


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Qui occorre fare una precisazione. Urbani nella sua intervista afferma che il “piano secretato” era pronto dal 20 gennaio, motivo per cui l’avvocatura dello Stato si trincera dietro lo studio Merler, assicurando che a quello il direttore generale della Programmazione faceva riferimento. Qualcuno, anche nel Cts, ritiene tuttavia si sia trattato di un errore di datazione: proprio perché l’analisi di Merler era solo un insieme di scenari, non sarebbe quello il documento che - diceva Urbani - “abbiamo seguito” per contenere il contagio. A battere un sentiero nei primi giorni di infezione sarebbe stato invece il “Piano” presentato il 20 febbraio (non gennaio) a Speranza e poi approvato dal Cts. Anche perché appare difficile immaginare che questo "piano secretato" possa essere nato due giorni prima (20 gennaio) della nascita della task force ministeriale (22 gennaio).


Quel che è certo è che per chiudere la vicenda basterebbe poco. Sarebbe sufficiente pubblicare sul sito del ministero quel plico che i membri del Cts ancora conservano nella busta chiusa. Anche la procura di Bergamo ha indagato sulla questione, sebbene oggi i pm siano più interessati ai risvolti penali dei presunti ritardi sull'aggiornamento del “piano pandemico influenzale”, che però è un’altra storia (leggi qui). Per dipanare la matassa “piano segreto” basterebbe infatti un po’ di chiarezza. In fondo hanno fatto tutto da soli: prima lo tengono riservato, poi rivelano l’esistenza, infine fanno di tutto per chiuderlo nel cassetto. Perché, dopo aver lanciato il sasso, il ministero e il Cts sollevano così tanto fumo per nascondere la mano? Perché spacciarlo per lo studio Merler? Perché non renderlo pubblico? In vista della seconda ondata, peraltro, gli esperti hanno redatto un dossier simile al “piano segreto”: è il famoso documento che contiene i 21 indicatori che oggi colorano le regioni di rosso, arancione e giallo. Se questo è pubblico, perché non alzare il velo pure sul “piano” di febbraio?





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Published on December 16, 2020 03:21

December 14, 2020

Un terremoto ora investe l'Oms. l'uomo del Cts rischia di saltare

Andrea Indini



Il piano pandemico non aggiornato e il report sull'Italia fatto sparire. C'è un'inchiesta in corso ma l'Oms silenzia i ricercatori. E ora vuole pure far saltare l'incarico a Guerra


Adesso che i riflettori puntano dritti sull'Organizzazione mondiale della sanità, qualche testa rischia di saltare. I fatti ormai sono tristemente noti. E non riguardano solo il mancato aggiornamento del Piano pandemico, fattore che ha sicuramente contribuito ad affrontare in modo caotico la pandemia lo scorso marzo e ha portato a livelli di mortalità impressionanti, ma anche (e soprattutto) il rapporto che la divisione europea dell'ente ha redatto sulla risposta dell'italia alla pandemia. Risposta che Francesco Zambon, coordinatore degli autori del documento pubblicato l'11 maggio e fatto sparire nel giro di poche ore, definisce "caotica" e "improvvisata". Cosa è successo in quelle settimane? Nessuno lo vuole dire. Le versioni sono tante e non combaciano. E, quando i pm di Bergamo hanno provato a vederci chiaro, ecco che l'Oms ha silenziato la verità obbligando i ricercatori a usare l'immunità. Non solo. Nelle ultime ore, secondo quanto apprende l'agenzia LaPresse da fonti vicine al dossier, il responsabile europeo, Hans Henri Klug, sarebbe in pronto a ritirare le deleghe all'attuale vice presidente della sezione europea, Ranieri Guerra.


Il giallo del report sparito

Sin dall'inizio, come ricostruito nel Libro nero del coronavirus (clicca qui), l'Organizzazione mondiale della sanità non ha fatto altro che fare passi falsi nella gestione del coronavirus. C'è il tweet del 14 gennaio in cui nega la trasmissione del virus da uomo a uomo. Ci sono le inesattezze contenute nel report redatto dopo aver mandato i propri delegati a Wuhan per capire contro quale nemico avevamo iniziato a combattere. Ci sono pacchi di documenti sull'uso delle mascherine che non hanno fatto altro che creare malintesi e imbarazzi. E poi ci sono le ombre che, come già anticipato nei giorni scorsi dal Giornale.it, hanno portato i nomi dei vertici di Ginevra a finire non solo sul tavolo dei magistrati bergamaschi, ma anche su quello di altre procure del Belpaese. Nel mirino degli inquirenti ci sarebbe il rapporto intitolato Una sfida senza precedenti: la prima risposta al Covid-19. A incuriosire inizialmente era stata la frettolosa cancellazione dal sito dell'Oms dopo essere stato messo online solo poche ore prima. Il perché di questo passo indietro potrebbe essere spiegato da alcuni passaggi scottanti. Tra questi il mancato aggiornamento del "piano pandemico". Nonostante le normative europee ed internazionali, l'Italia si è trovata ad affrontare la pandemia con linee guida vecchie che risalivano a quattordici anni fa.


Lo scontro con la procura

Per vederci chiaro lo scorso 5 novembre ha convocato Guerra per una audizione. Il direttore aggiunto dell'Oms si è presentato davanti ai pm, ma "a titolo personale". Questa presa di posizione ha probabilmente iniziato a far sgretolare il muro di silenzi che si è costruito attorno al palazzo di Ginevra. Tra le accuse che gli vengono mosse c'è anche quella di aver fatto pressioni per cancellare il rapporto. A inchiodarlo ci sarebbero anche delle mail che Report ha reso pubbliche e su cui ora balla una querela. "Se anche Oms si mette in veste critica non concordata con la sensibilità politica del ministro che è certo superiore alla mia non credo che facciamo un buon servizio al Paese", avrebbe scritto. "Ricordati che hanno appena dato 10 milioni di contributo volontario sulla fiducia e come segno di riconoscenza per quanto fatto finora, dopo sei anni di zero". Cosa c'è davvero dietro al rapporto censurato? Cosa ha spinto l'Oms a spubblicarlo in fretta e furia? Il ministro della Salute Roberto Speranza ne era davvero a conoscenza? Ma soprattutto: perché non è mai stato aggiornato il piano pandemico? Se lo avessero fatto si sarebbe evitata l'ecatombe dello scorso marzo? Molto probabilmente sono queste le domande che i pm di Bergamo avrebbero voluto fare agli undici ricercatori dell'European Office for Investment for Health and Development di Venezia per vederci chiaro. Ma nei giorni scorsi i vertici di Ginevra hanno invocato l'immunità diplomatica, impedendo loro di presentarsi di fronte ai magistrati guidati dal procuratore Antonio Chiappani.



Il terremoto nell'Oms

"Ho ricevuto pressioni e minacce di licenziamento affinché modificassi il rapporto e scrivessi che il Piano pandemico risale al 2016 e non al 2006, come invece è". Zambon, che coordina la sede veneziana che ha redatto il documento, non si fa troppi problemi a dirlo. E probabilmente lo avrebbe anche detto davanti ai pm di Bergamo che lo hanno già convocato almeno tre volte (l'ultima il 10 dicembre). Il problema è che i vertici dell'Oms non glielo lasciano fare. Nelle scorse ore è intervenuta anche la Farnesina. Sabato scorso, secondo quanto anticipato da Massimo Giletti a Non è l'Arena, infatti, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio avrebbe chiesto all'Organizzazione mondiale della sanità di "considerare la possibilità di permettere a funzionari ed esperti di acconsentire alla richiesta del procuratore di essere sentiti come persone informate sui fatti". A Ginevra, però, la procedura non ha sortito grandi effetti. E se da una parte l'Oms ha assicurato che il documento è stato rimosso dopo che "sono state riscontrate inesattezze fattuali" e che l'obiettivo era di "di correggere gli errori e ripubblicarlo", dall'altra ha già preso i primi provvedimenti facendo saltare l'incarico a Guerra che, oltre a lavorare per l'organizzazione, fa anche parte del Comitato tecnico scientifico ed è, quindi, a stretto contatto con il ministero della Salute.





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Published on December 14, 2020 04:24

December 9, 2020

"Dentro c'erano degli scenari...". Il pm rivela il "piano segreto" anti Covid

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



La procura di Bergamo indaga. Il pm Chiappani rompe il silenzio: "Eravamo impreparati". Ipotesi indagini da trasferire a Roma


Le indagini sono in corso. Per ora si conosce solo il contorno di questa inchiesta incardinata alla procura di Bergamo. Si sa che nei mesi scorsi sono stati ascoltati il governatore lombardo Attilio Fontana, il suo assessore Giulio Gallera, il premier Giuseppe Conte e altri ministri di peso del governo. Si sa che di fronte ai pm sono andati anche Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell'Oms e membro del Cts, e Stefano Merler, autore di uno dei primi studi sul possibile impatto del coronavirus in Italia quando ancora tutto sembrava solo un lontano problema "cinese". E' ormai chiaro che preme per andarci pure Francesco Zambon, coordinatore del gruppo di studiosi dell'Oms che ha redatto il report critico sulla gestione italiana del contagio e che un paio di cosette le avrebbe da dire. Nessuno di loro, ovviamente, per ora ha fatto emergere molto di quanto detto di fronte ai magistrati: l'inchiesta resta segreta, come giusto che sia. A sopresa, invece, in modo un po' irrituale a parlare dei lavori in corso è il procuratore che si sta occupando di questa delicata indagine: Antonio Chiappani. E le sue rivelazioni sono importanti.


Le indagini, Ranieri Gierra e il piano influenzale

[[nodo 1897529]] Al centro dell'attenzione in questi giorni è la grana "piano pandemico". O forse bisognerebbe dire "piani pandemici": uno, quello "che riguarda l'influenza"; e l'altro, quello ormai definito "piano segreto" anti-Covid. Per quanto riguarda il primo, il procuratore conferma quanto scritto in questi giorni e già rivelato nel Libro nero del coronavirus (clicca qui). L'Italia aveva sì un piano "datato 2017 che riguarda l'influenza", peccato fosse la copia della versione precedente, del 2006, come confermato nel rapporto dell'Oms (secondo cui il documento sarebbe stato solo "riconfermato" a fine 2016). "Effettivamente molte parti sono identiche - dice Chiappani - Ci sono delle irregolarità, stiamo ancora verificando". I pm stanno controllando se il mancato aggiornamento possa configurarsi come un’omissione in atti di ufficio. Di chi è la colpa? Chi ne deve rispondere? Certo non esponenti lombardi: l'aggiornamento spetta al ministero della Salute. Se vi fossero irregolarità, dunque, la procura di Bergamo dovrebbe alzare bandiera bianca e inviare tutte le carte ai colleghi di Roma, competenti territorialmente a indagare su viale Lungotevere Ripa 1. "Stabiliremo chi doveva predisporlo e perché non è stato fatto -spiega Chiappani - Se riterremo che le indagini vadano svolte a Roma saranno quei magistrati a decidere come procedere". Certo è che se le accuse dovessero ricadere su Guerra, all'epoca direttore della Prevenzione al ministero, un problema per i giudici potrebbe esserci: "Il professor Ranieri Guerra, proprio perché membro dell’Oms, gode dell’immunità diplomatica". Dunque potrebbe non essere perseguibile.


Cosa era il "piano segreto"?

[[nodo 1899762]] Arriviamo ora al capitolo "piano segreto", di cui ha parlato diffusamente ilGiornale.it (leggi qui). Per Chiappani il "piano pandemico" del 2017, aggiornato o meno, in quanto dedicato alle epidemie influenzali "non contemplava quanto accaduto con il Covid-19". Chiaro. "Solo in seguito, dopo la comunicazione dei casi in Cina, l’Istituto superiore di sanità ha presentato un piano strategico che ha però deciso di secretare". Nell'attesa che il governo risponda alla decina di interrogazioni presentate da FdI, chiarisca perché quel documento non venne fornito neppure alle Regioni e magari lo renda pure pubblico, Chiappani sostiene che non fosse un vero e proprio "piano di intervento" ma "rappresentava possibili scenari". Cosa significa? Il pm sta dando ragione al ministro Speranza&Co., che da tempo derubricano quel documento a semplice "studio"? Perché a onor del vero nel verbale della riunione del cts del 12 febbraio, il Comitato decise di dare “mandato ad un gruppo di lavoro interno al Cts di produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov". Le parole sono importanti. Certo si parlava di "deversi scenari" su un "possibile sviluppo" del morbo, ma è anche vero che ad essere richiesto era di un “Piano operativo”, dunque con azioni e misure da mettere in atto, e non una banale analisi. A leggere una delle versioni del documento trapelate ai media, infatti, quel dossier si accosta più a un "piano" che a un lavoro accademico: lo scopo infatti era quello di "garantire un’adeguata gestione dell’infezione in ambito territoriale e ospedaliero senza compromettere la continuità assistenziale, razionalizzando l’accesso alle cure, per garantire l’uso ottimale delle risorse". Tant'è che, come rivelato dal Giornale.it, su quel plico il livello di segretezza imposto ai membri del Cts era "doppio" e "rinforzato".



Vedremo come procederanno le indagini. Quel che appare chiaro anche a Chiappani è che "eravamo impreparati". "Finora abbiamo rilevato purtroppo che c’è stata tanta improvvisazione", sentenzia. Questo significa che ci sono i presupposti per formalizzare accuse di rilievo penale? La mancata esistenza di un piano di intervento specifico per il Covid potrebbe "assolvere" dirigenti, manager e soprattutto decisori politici? "I piani per combattere una normale influenza già prevedono la sanificazione dei reparti, l’evacuazione di alcune sale, percorsi differenziati per i malati - è il ragionamento del pm - Noi stiamo verificando se queste misure siano state prese, dobbiamo scoprire come sia stato possibile che in questa zona ci sia stato il numero più alto di contagiati, malati, vittime". A lavorare sul dossier è Andrea Crisanti, padre del Metodo Vo' e microbiologo ormai di fama. Il suo scopo è quello di capire se effettivamente le decisioni prese (o non prese) in Lombardia e in tutta Italia abbiano "inciso in maniera determinante sulla diffusione del virus", così da "accertare eventuali responsabilità rispetto ai reati di epidemia colposa, omicidio colposo e falso". Nel mirino c'è ovviamente la chisura e riapertura immediata dell'ospedale di Alzano Lombardo. Ma anche la mancata zona rossa in Val Seriana. Non resta che attendere gli sviluppi.





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Published on December 09, 2020 02:39

December 8, 2020

Dalla parità di genere al green ecco tutte le follie del Recovery Fund

Andrea Indini



Quasi 50 miliardi per digitalizzare il Paese e altri 74 per renderlo più verde. Solo briciole per infrastrutture, istruzione e sanità. Così il governo spreca un'occasione


Sedetevi a un tavolo e provate a sviscerare le soluzioni migliori per rilanciare un'economia depressa da anni e resa ancor più stagnante dall'emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia. Sapendo di avere a disposizione un gruzzolo di miliardi che l'Unione europea è disposta a prestarvi (non a regalarvi!), probabilmente vi verrà in mente una sfilza di misure volte a far ripartire l'intero sistema. Tagliando drasticamente la pressione fiscale, per esempio, in modo da rilanciare i consumi non appena il Paese si sarà messo alle spalle il lockdown. Bruxelles, però, non vuole. Preferisce progetti infrastrutturali. E quindi servono misure a sostegno delle piccole e medie imprese e del comparto industriale affinché possano investire, allargarsi ed evitare la raffica di licenziamenti che si teme inizieranno a fioccare non appena a marzo il governo toglierà il blocco. Come sostenerle, però? Servono le grandi opere per colmare immediatamente il vuoto infrastrutturale, che vincola troppi imprenditori, e la digitalizzazione per metterci alla pari con il resto del mondo. E poi sarebbe importante investire nel turismo, nella ricerca, nella tecnologia. Insomma, costruire il futuro. Facile, no? Non per il governo.


Quando il premier Giuseppe Conte e il resto del governo si sono trovati per spartire la "torta" da oltre 196 miliardi non è stato affatto facile mettere d'accordo le litigiose anime che affollano la maggioranza. E così, nelle 125 pagine di direzioni e progetti che spiegano all'Unione europea come il governo ha intenzione di spendere i soldi del Recovery Fund, si sono addensate nebbie paludari. Per il presidente del Consiglio è un libro dei sogni, una visione "chiara, condivisa e coraggiosa per il futuro del Paese"; per gli italiani, invece, sarà un libro degli incubi. La bozza del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) è stata presentata in una delle giornata più convulse dell'esecutivo, iniziata con le fibrillazioni renziane e grilline e conclusasi con il tampone positivo del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese e la sospensione del Consiglio dei ministri.


Va subito detto che la quadra politica non c'è. Non l'hanno ancora trovata e, se dovessero andare avanti così, rischiano di non trovarla affatto. Il testo, però, c'è. E nero su bianco ci sono pure gli obiettivi e le riforme su cui i giallorossi vogliono puntare per rilanciare l'economia del Paese. Le linee guida sono quattro e così si spartiscono la "torta". La fetta più ingorda va alla svolta green: 74,3 miliardi di euro per "la rivoluzione verde e la transizione ecologica". Altri 48,7 miliardi andranno, invece, alla digitalizzazione e all'innovazione. Poi le briciole: solo 27,7 miliardi per le infrastrutture e 19,2 miliardi per l'istruzione e la ricerca. Cifre irrisorie se si pensa che 17,1 miliardi di euro andranno alla parità di genere. E la Sanità? Appena 9 miliardi di euro. "Mi auguro sia un errore", ha commentato il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, ospite di Coffee Break su La7. "In questi anni - ha ricordato - sono stati tagliati 38 miliardi su posti letto e personale sanitario: è evidente che quelle risorse non saranno sufficienti". Il dubbio di molti è che la cifra sia volutamente bassa perché al governo hanno già deciso di accedere ai soldi stanziati dal Fondo salva Stati per la sanità. A L'aria che tira su La7 il ministro per le Politiche agricole, Teresa Bellanova, ha subito messo le mani avanti: "Ci sono 36 miliardi dell'Unione europea per intervenire sul sistema sanitario e vedo che c'è ancora chi discute sul non prenderli". Lo schema del Pnrr fa, invece, pensare l'esatto contrario. "Il piano del Recovery fund svela il nuovo inganno", ha commentato il senatore di Fratelli d'Italia, Adolfo Urso. "È già tutto deciso, solo i grillini fanno finta di non sapere".


Al netto delle polemiche sul Mes, la fragilità del Pnrr sta tutta nella spartizione delle risorse. Come mai in un Paese come l'Italia, che ha intere regioni che si reggono unicamente sul turismo, ha deciso di stanziare appena 3,1 miliardi su questo campo? Perché si è voluto investire così tanto per la rivoluzione verde e appena 23,6 miliardi per l'alta velocità e la manutenzione delle strade? Perché si è deciso di non investire nel futuro dei nostri figli? Al potenziamento della didattica andranno poco più di 10 miliardi, alla ricerca appena 9,1. Perché all'interno della macro-area "Parità di genere, coesione sociale e territoriale" per le politiche del lavoro sono stati stanziati appena 3,2 miliardi mentre per la parità di genere 4,2? E la pressione fiscale? Anche qui briciole: il Pnrr punta, infatti, a intervenire solo a favore dei lavoratori (dipendenti e autonomi) che guadagnano tra i 40 e i 60mila euro l'anno. Poca roba, e persino dubbia dal momento che, in più di un'occasione, il Commissario europeo all'Economia Paolo Gentiloni ha messo in chiaro che i fondi del Recovery Fund non devono essere usati per "una generica riduzione delle tasse".


A pesare maggioramente sul futuro del Pnrr, ancor prima della suddivisione delle risorse, è la struttura che dovrebbe deciderne la spartizione. Il Comitato esecutivo sarà composto dal premier, dal ministro dell'Economia (Roberto Gualtieri) e dal ministro dello Sviluppo economico (Stefano Patuanelli). Al trio si affiancheranno il minsitro degli Affari europei (Enzo Amendola) e il ministro degli Esteri (Luigi Di Maio) che dovranno interfacciarsi con la Commissione europea. Sotto di loro un esercito di trecento tecnici, una task force non richiesta dall'Unione europea ("La scelta su come organizzarsi è solo nelle mani del governo italiano", ha spiegato la portavoce Marta Wieczorek) che rischia di diventare ancora più potente del governo stesso. "Non sono soldi che appartengono al governo Conte", ha detto Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera, intervenendo a Omnibus su La7. "Sono soldi degli italiani e come tali devono vedere una verifica e anche un coinvolgimento in termini di proposte da parte di tutto il Parlamento, non solo della maggioranza ma anche dell'opposizione".





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Published on December 08, 2020 05:57

December 2, 2020

Fermato "l'esproprio rosso": c'è lo stop alla patrimoniale

Andrea Indini



L'emendamento Fratoianni è stato fermato: manca la copertura. Ma gli ultrà delle tasse sono pronti a tornare alla carica: ecco come


Il partito delle tasse è tornato ad affilare le armi. Negli ultimi giorni si è drammaticamente tornati a parlare di patrimoniale. Non avremmo mai voluto sentirla nominare nuovamente - figuriamoci in un periodo tanto sciagurato come quello che stiamo vivendo! - eppure eccoci di nuovo qui alle prese con la sinistra di governo che con un emendamento si appresta a mettere le mani nei risparmi (esigui) del ceto medio per sperperare altro denaro che ha già dimostrato di non saper amministrare. Fortunatamente la proposta è stata dichiarata inammissibile oggi "per carenza o inidoneità di compensazione". Pericolo scampato, per il momento. Ma presto o tardi torneranno all'assalto.


L'assalto degli ultrà delle tasse

"Adesso non si può applicare", ha ammesso pure Romano Prodi. "C'è questa opinione pubblica...". In futuro, però, ci riproveranno. È una certezza. "Qualche strumento che preveda il fatto che in un momento di sacrificio chi ha di più contribuisca in favore dei più deboli - ha promesso il Professore - deve essere pensato". È solo questione di tempo, dunque. A questo giro i pasdaran delle tasse portano i nomi di Matteo Orfini (Partito democratico) e Nicola Fratoianni (Liberi e uguali). Fino all'ultimo hanno provato a portare a casa il risultato. Non tutti all'interno della maggioranza erano d'accordo con loro. In molti gli si sono rivoltati contro, ma i più radicali hanno subito fatto sentire il proprio sostegno. E così i due firmatari erano pronti a presentare la proposta alla riunione di maggioranza che si terrà domani. "Va affermato il principio che si possa discutere, in una fase di crisi come questa, del fatto che chi ha di più, debba dare qualcosa di più". Gli ultrà delle tasse hanno cercato di imporsi facendo passare il messaggio (falso) secondo cui con la patrimoniale si sarebbe addirittura andati incontro a una riduzione della pressione fiscale. "Con questo emendamento chi non raggiunge i 500mila euro di patrimonio pagherà meno tasse di quante ne paga oggi - ha provato a garantire Orfini - perché con l'emendamento ne cancelliamo diverse: Imu, imposte di bollo sui conti correnti bancari e sui conti di deposito titoli". La realtà, però, è un'altra.


Redditi tassati due volte

Per capire la strategia dell'emendamento dobbiamo fare piazza pulita di uno slogan per nulla veritiero. Non è affatto vero che l'imposta sarebbe andata a colpire i paperoni d'Italia. O meglio: non solo. Il salasso sarebbe, infatti, partito da patrimoni di 500mila euro. Una cifra enorme, per carità, ma che in grandi città come Milano e Roma si supera tranquillamente con la proprietà di un appartamento acquistato dopo anni di sacrifici e mutuo a fine mese. Non solo. A far due calcoli su quanto questa imposta avrebbe effettivamente pesato sulle tasche dei contribuenti ci ha pensato l'Istituto Bruno Leoni contestandone la brutale ideologia vessatoria con cui è stata concepita. Con la patrimoniale, infatti, i redditi sarebbero stati tassati due volte. "Una prima volta - ci spiegano - attraverso le tante sostitutive di cui è disseminato il nostro sistema fiscale ed una seconda per via dell'imposta Fratoianni". Ma andiamo con ordine. Se licenziato come presentato, l'emendamento Fratoianni avrebbe portato nelle casse dello Stato un gettito non lontano da quello che oggi incassa con l'Imu sulla seconda casa che sarrebbe stata appunto abolita. L'abolizione, però sarebbe stata solo fumo negli occhi. Non solo avrebbero colpito anche le prime case, su cui oggi non si paga l'Imu, ma l'intero patrimonio. "Di conseguenza, quei redditi sarebbero tassati due volte - spiegano ancora - una prima volta attraverso le tante sostitutive di cui è disseminato il nostro sistema fiscale ed una seconda per via dell'imposta Fratoianni". Ma quanto avrebbe pesato? Secondo l'attento studio redatto ieri dall'Istituto Bruno Leoni, "una aliquota che va dallo 0,2% al 2% sulla ricchezza netta delle famiglie corrisponde - a spanne - ad una aliquota che passa dal 5%-10% al 50% e più (anche al 100%!) sul rendimento di quella ricchezza". Aliquote che gli economisti non faticano a bollare come "prossime ad essere espropriative".


Lo stop all'emendamento

Questa mattina l'emendamento alla legge di Bilancio 2021 è stato dichiarato inammissibile "per carenza o inidoneità di compensazione", ovvero problemi di copertura finanziaria. I due firmatari hanno subito fatto sapere che presenteranno ricorso. "Ci aspettiamo una spiegazione, numeri alla mano, del perché questo sia accaduto", hanno commentato annunciando che ripresenteranno l'emendamento in Senato tenendo conto delle obiezioni che sono state mosse a Montecitorio. "È bene non illudersi", hanno fatto sapere (con acuta preveggenza) dall'Istituto Bruno Leoni prima che arrivasse lo stop. "Rimarrà sullo sfondo perché quando i soldi serviranno davvero - ed è un momento che prima o poi arriverà - quella politica non saprà pensare ad altro". Questo perché la genialata partorita da Fratoianni e da Orfini è "l'espressione di una politica che - avendo perso la partita della crescita senza mai combatterla - altro non può e non sa fare se non redistribuire quel poco che ormai rimane".





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Nicola Fratoianni
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Published on December 02, 2020 02:28

December 1, 2020

Report sparito, mail segrete, errori: cosa cercano i pm nelle carte dell'Oms

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Il mistero del documento sull'Italia poi ritirato e il ruolo di Ranieri Guerra. In procura esposti sulle falle dell'Oms


Il rapporto sulla gestione italiana del virus che non c'è più. L'Oms che non permette ai suoi ricercatori di presentarsi di fronte ai pm di Bergamo, avanzando l'immunità diplomatica. E le ombre sull'operato dell'Organizzazione mondiale della Sanità dall'inizio di questa pandemia sino ad oggi. Nubi nere si addensano sopra i vertici di Ginevra. Nubi che minacciano tempesta: secondo quanto risulta al Giornale.it, la vicenda-Oms non è solo sul tavolo dei magistrati bergamaschi, ma anche su quello di diverse procure della Repubblica cui è stato chiesto di accertare se gli effetti drammatici della pandemia siano riconducibili o meno ad azioni od imissioni dell'Oms.


Le mail segrete di Guerra

Partiamo dal capitolo italiano. La questione che sta facendo discutere in queste ore è il rapporto intitolato "Una sfida senza precedenti: la prima risposta al Covid-19", inizialmente pubblicato sul sito dell'Oms e poi misteriosamente fatto sparire. All'interno vi è una cronistoria della fase primaverile dell'epidemia italiana, con alcuni passaggi piuttosto critici nei confronti del Belpaese e del suo governo. A titolo di esempio: si cita l'ormai famoso "piano pandemico" del 2006, mai aggiornato dall'Italia ma solo "riconfermato" nel 2017 nonostante le normative europee ed internazionali. La procura di Bergamo il 5 novembre ha convocato per un'audizione il direttore aggiunto dell'Oms, Ranieri Guerra, che tra le altre cose è stato a capo della Prevenzione sanitaria al ministero ed oggi è anche membro del Cts. È lui ad essere nel mirino di chi crede che il report sia stato eliminato dal web perché metteva in cattiva luce la gestione anti-Covid di Conte e Speranza: una mail, mostrata da Report, confermerebbe le pressioni di Guerra sui ricercatori dell'Oms per "correggere" le note critiche del documento. "Uno degli atout di Speranza - avrebbe scritto Guerra - è stato sempre il poter riferirsi a Oms come consapevole figlia (sic!) di fico per certe decisioni impopolari e criticate da vari soggetti. Questa è stata materia di discussione e di accordo con Tedros, anche attraverso chi ti scrive e la Missione a Ginevra". E ancora: "Se anche Oms si mette in veste critica non concordata con la sensibilità politica del ministro che è certo superiore alla mia non credo che facciamo un buon servizio al Paese. Ricordati che hanno appena dato 10 milioni di contributo volontario sulla fiducia e come segno di riconoscenza per quanto fatto finora, dopo sei anni di zero". Possibile che l'Oms abbia fatto da "scudo" alle decisioni del governo? Guerra, dal canto suo, ha già annunciato querele contro la trasmissione di Rai3.


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Lo scontro tra pm e Oms

La procura avrebbe voluto sentire anche i ricercatori autori del documento ritirato. La domanda di fondo è: con un piano pandemico aggiornato si sarebbe evitata l'ecatombe di marzo? Ma l'Oms ha invocato l'immunità diplomatica, impedendo loro di fatto di presentarsi di fronte ai pm. Secondo quanto ricostruito da Report, l'Organizzazione avrebbe inviato due note al ministero degli Esteri e a quello della Salute affinché adottassero "ogni misura necessaria per assicurare che l'immunità dell'Oms e dei suoi ufficiali sia pienamente rispettata". L'Ufficio regionale per l'Europa, con sede a Copenaghen, si è anche lamentano di non aver ricevuto "alcuna comunicazione attraverso canali ufficiali appropriati che coinvolgono il ministro degli Affari Esteri". Insomma: una gatta da pelare internazionale. La procura, secondo quanto riporta l'Agi, avrebbe chiesto al dicastero presieduto da Di Maio di chiarire se effettivamente i membri dell'Oms godono di questo speciale status. Possono davvero rifiutarsi di testimoniare? E l'eventuale divieto vale solo per i funzionari o anche per chi lavora a contratto? Inoltre, il silenzio vale su ogni cosa o solo su determinate attività dell'Organizzazione? Una guerra diplomatica. Con il Covid, e il governo, sullo sfondo.


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I ritardi e gli errori dell'Oms

Ma le gatte da pelare per l'Oms e il governo sono più d'una. L'avvocato Giancarlo Cipolla, infatti, ha depositato una serie di esposti a diverse procure italiane allo scopo di smuovere i magistrati a valutare se l'Oms, "nella persona del direttore generale Tedros Adhanom Ghebryesus, avrebbe dovuto fornire informazioni accurate, tempestive ed indipendenti" sulla pandemia esplosa in Cina "per consentire agli altri Stati, nel caso di specie all'Italia, di prendere le più corrette decisioni a tutela della salute pubblica". L'esposto è una cronistoria di quanto successo da dicembre del 2019 fino all'esplosione del contagio a Codogno. Si evidenzia come la Cina abbia aspettato "ben due settimane, dal 27 dicembre al 10 gennaio, per dare al mondo la sequenza del genoma" del coronavirus. Di come il direttore dell'Oms abbia ignorato "il ritardo nella comunicazione", complimentandosi addirittura "per la rapidità con cui la Cina ha scoperto il focolaio, ha isolato il virus, ha sequenziato il genoma, e condiviso con l'Oms e con il mondo". Si parla dei medici cinesi che lanciano l'allarme e poi scompaiono o muoiono. E di altre decine di errori dell'Organizzazione. Il più eclatante, molto probabilmente, è un tweet del 14 gennaio. Recita così: "Le prime indagini condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove certe della trasmissione da persona a persona del coronavirus". Una vera e propria assurdità visto che, già da alcuni giorni, si trattava il nuovo virus come un'infezione respiratoria e, quindi, trasmissibile da uomo a uomo. Dietro quel post, secondo una ricostruzione del Guardian, ci sono ragioni prettamente politiche: si sarebbe voluto controbilanciare la conferenza tenuta due giorni prima da un'immunologa statunitense, Maria Van Kerkhove. In quell'occasione la responsabile per l'Oms alla risposta al coronavirus aveva messo in guardia il mondo intero dalla rapidità di diffusione del morbo.



Tutti i nodi da sciogliere

Nel Libro nero del coronavirus, edito da Giubilei Regnani ed arrivato già alla prima ristampa, è riportato per intero l'incredibile rapporto scritto dai delegati dell'Oms dopo essere stati in Cina a metà febbraio 2020. Per nove giorni l'Organizzazione raccoglie un’infinità di dati sguinzagliando due team nel Guangdong e nel Sichuan per vederci chiaro su quanto sta realmente accadendo. Purtroppo, quando il 24 febbraio la squadra capitanata da Bruce Aylward e Waniang Liang pubblica il Report of the Who–China joint mission on coronavirus disease 2019 (Covid-19), il risultato è di un'opacità tale da lasciare senza parole e da destare più di un sospetto. Sospetti che Cipolla richiama nei suoi esposti: come la rapidità con cui Tedros a gennaio rassicura sulla inesistente "trasmissione tra gli umani", i suoi incontri con Xi Jinping, gli elogi a Pechino, il ritardo nel dichiarare la pandemia globale, le linee guida sui casi sospetti da tamponare, la posizione sugli asintomatici che non infettano (poi smentita dall'evidenza), le giravolte sui test di massa, il consiglio a non indossare mascherine se non si hanno sintomi e via dicendo. "L'iniziativa volta all’accertamento di eventuali responsabilità penali da parte dei vertici dell’Oms - dice l'avvocato - va nella direzione della salvaguardia degli interessi generali dell’Italia e, indirettamente, di tutti i Paesi del Mondo che hanno sofferto la pandemia". Nel chiedere di cercare la verità su quanto successo, Cipolla è convinto che presto contro l'Oms fioccheranno azioni di risarcimento. "Da cittadino, prima ancora che da avvocato, devo aspettarmi analoghe iniziative da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, sin dall’insediamento autoproclamatosi 'l'Avvocato del Popolo'".


Preliminary investigations conducted by the Chinese authorities have found no clear evidence of human-to-human transmission of the novel #coronavirus (2019-nCoV) identified in #Wuhan, #China. pic.twitter.com/Fnl5P877VG


— World Health Organization (WHO) (@WHO) January 14, 2020





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Published on December 01, 2020 02:44

November 29, 2020

Uccisi, perseguitati e stuprate: fermiamo la barbarie sui cristiani

Hook: Aiutiamo chi soffre: ecco come potete donare

Siria, Nigeria e Pakistan: sono questi i tre Paesi in cui si registrano più violenze sui cristiani. Abbiamo deciso di aiutare chi soffre


Matteo Carnieletto
Andrea Indini



Url redirect: https://it.insideover.com/societa/ucc..., perseguitati e stuprate
Stop alla barbarie sui cristiani
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Published on November 29, 2020 22:36

November 28, 2020

Città invisibili e cimiteri viventi: ecco i 48 luoghi ancora inesplorati

Andrea Indini



Stati senza territorio, luoghi perduti, isole artificiali: Alastair Bonnett porta il lettore a spasso nel mondo in un viaggio fantastico in luoghi inesplorati


Ci sono persone pronte ad armarsi di doppietta e a far fuoco non appena un volto sconosciuto prova a farsi avanti. Difendono la proprietà privata. E sono disposte a tutto per farlo. Anche a far scorrere il sangue. E di sangue il terreno si è intriso spesso perché, per difendere interi Stati, liberare nazioni segregate o conquistare anche piccoli lembi di terra c'è sempre una guerra pronta a scoppiare. La Storia è segnata da continui conflitti che hanno ridisegnato i confini degli Stati modellando le cartine geografiche e i mappamondi. Ma a curiosare bene, un po' sopra l'Equatore, ci sono duemila chilometri quadrati di deserto roccioso tra il Sudan e l'Egitto che non solo non interessano a nessuno ma che addirittura hanno scatenato conflitti per non occuparli. Si tratta del Bir Tawil, un'area trapezioidale diventata, nel corso degli ultimi due secoli, strategicamente importante non averla per gettare invece le proprie mire su "una zona molto più vasta e utile, i quasi ventunomila chilometri quadrati del Triangolo di Hala'ib, affacciato sul Mar Rosso".


"Osservando il mappamondo - spiega Alastair Bonnett - il Bir Tawil viene di norma sottovalutato e considerato una bizzarria, un'area di confusione senza importanza dove le certezze geopolitiche si sono frammentate in una serie di linee tratteggiate". Eppure, come ci fa notare il 56enne professore di Geografia Sociale dell'Università di Newcastle, la sua storia riveste "un'importanza universale" perché "si tratta di uno dei rari luoghi del pianeta dove osservare dal vivo uno dei paradossi della creazione delle frontiere. Indicare una frontiera significa rivendicare un territorio, ma nel momento stesso in cui ne disegni una, ti stai limitando". Tra frontiera e territorio si crea sempre un rapporto complesso che possiamo osare definire conflittuale. In sé racchiude "pretese e dinieghi" capaci di scatenare dispute diplomatiche e finanche conflitti armati. Sin da quando era piccolo Bonnet era più interessato al suo piccolo paese natale, Epping, che all'immensa Londra. Le città metropolitane, sconfinate e onnivare, le viveva come una vera e propria minaccia. Epping, dal canto suono, rischiava di essere fagocitata dall'avanzare della capitale inglese e questo ne metteva a rischio l'indipendenza e l'incanto. "Quando prendevo la Central Line o percorrevo il raccordo anulare di Londra per tornarci - racconta lui stesso - spesso mi sentivo come se stessi viaggiando da nessuna parte a un'altra". È stata forse questa tensione che lo ha spinto, già da adolescente, a studiare il difficile rapporto tra l'individio e lo spazio. D'altra parte, come riteneva Strabone, "la scienza della Geografia è, tanto quanto le altre scienze, di competenza del filosofo". È dopo un'instancabile ricerca che Bonnett ha dato alla luce Fuori dalle mappe, un atlante non convenzionale che Blackie Edizioni porta in Italia facendo scoprire anche al nostro pubblico un lavoro interessante e affascinante.


"Percorrere paesaggi che forse un tempo avevano significato qualcosa, magari anche brutti alla vista, e che erano stati ridotti a meri spazi di raccordo dove tutto è temporaneo e chiunque si limita alla mera azione dell'attraversamento, produceva in me una sensazione di malessere e una voglia di vedere posti rilevanti". In Fuori dalle mappe ce ne sono addirittura quarantotto. Non pensate di ritrovarli su Google Maps. O meglio: anche se riusirete a googlarli, non li vedrete mai come ve li racconta Bonnett. "Non c'è bisogno di addentrarci troppo nelle nostre strade trafficate per renderci conto che, negli ultimi cent'anni, e in ogfni angolo del mondo, siamo diventati molto più bravi a distruggere i posti che a costruirli". Preparatevi, dunque, a qualcosa che non avete mai visto. Per oltre trecento pagine vi porterà a spasso per il mondo facendovi esplorare spazi perduti, come l'antica Mecca o il deserto di Aralkum, geografie nascoste, comele città sotterraneo della Cappadocia o il cimitero a nord di Manila. E ancora: preparatevi ad attraversare terre di nessuno (esattamente come il Bir Tawil), città morte, nazioni secessioniste, isole galleggianti e luoghi effimeri. Al termine di questo lungo viaggio ci scopriremo non solo stupiti ma anche tremendamente scossi. Perché, come spiega molto bene Salman Rushdie nella Terra sotto i tuoi piedi, "tra le grandi battaglie dell'uomo, bene/male, ragione/torto, eccetera, c'è anche questo tremendo conflitto tra la fantasia del Qui e quella dell'Altrove, tra il sogno delle radici e la fata morgana del viaggio".

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Published on November 28, 2020 23:13

November 27, 2020

November 26, 2020

E ora spunta un'altra bozza. Mistero sul piano pandemico

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Il piano nato nel 2006 è stato "riconfermato" nel 2017. E poi? Nel 2019 l'incontro per aggiornarlo. Ma è troppo tardi


L'unica cosa certa è il caos. Su quello che dovrebbe essere lo strumento fondamentale per combattere le epidemie, ovvero il "Piano pandemico" contro le influenze, aleggia ancora una sorta di nebuloso mistero. Lo ha detto Stefano Merler, che l'Italia ha pagato "un prezzo altissimo per non averlo aggiornato per dodici anni". Lo ha ammesso pure Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, che all'inizio della crisi non esisteva alcun Piano pandemico e che "questa è stata la grande debolezza del ministero della Salute". Nessuno stock di mascherine. Nessuna scorta. L'Italia "partiva da zero". E si è trovata schiantata. Perché?


Per capire, occorre ripartire dal 2006, quando il Belpaese vara il suo documento anti-pandemie. È da poco passata l'aviaria da virus A/H5N1 e l'Oms ha raccomandato a tutti i Paesi di mettere a punto una strategia e di aggiornarla "costantemente". Anche l'Italia ovviamente si adegua. "Il Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale - si legge sul sito del ministero - stilato secondo le indicazioni dell'Oms del 2005, aggiorna e sostituisce il precedente Piano italiano multifase per una pandemia influenzale, pubblicato nel 2002". E poi?


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L'ultimo aggiornamento della pagina web dedicata del ministero risale ad 15 dicembre del 2016. Dunque si presume sia quella la data della più recente revisione. Se fossero passati "solo" tre anni sarebbe già qualcosa. Ma non è così. Un rapporto dell'Oms sulla risposta italiana al Covid-19 spiega che in realtà il documento di fine 2016 è solo una "riconferma" di quello del 2006. Praticamente identico. "Addirittura - dice Luca Fusco, presidente del Comitato 'Noi denunceremo' - in una frase si scrive che si devono realizzare scorte di farmaci entro il 2006, anche se erano già passati 10 anni. Una barzelletta". E infatti, certifica l'Oms, in realtà "la pianificazione è rimasta più teorica che pratica". Forse non è un caso se il rapporto, pubblicato sul sito dell'Organizzazione, è poi stato misteriosamente ritirato. Ed è ormai introvabile.


I dubbi che emergono sono molteplici, come ricostruito nel Libro nero del coronavirus​ (clicca qui). Possibile che dal 2006 nessuno abbia pensato di scrivere un nuovo piano pandemico, in linea con le prescrizioni di Ue e Oms? Possibile che nessuno si sia accorto della sua mancanza? Forse sì. Ad aprile del 2019, infatti, alcuni gruppi di lavoro si riuniscono allo scopo di mettere a punto una "Revisione del piano nazionale di risposta ad una pandemia". Il documento, scovato dal Comitato 'Noi denunceremo', è una notizia bomba. "È la conferma - dice Fusco - che l'Italia è arrivata al 20 febbraio 2020 (data del paziente 1 di Codogno, ndr) senza uno straccio di piano pandemico".


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A preparare le slide di presentazione del lavoro di revisione sono due esponenti del ministero della Salute, tra cui anche Francesco Maraglino, direttore della "Prevenzione delle Malattie Trasmissibili e Profilassi Internazionale", che poi diventerà membro del Cts nella lotta al Covid. Nelle slide ci sono parole di buon senso. "La preparazione ad una pandemia - si legge - è un processo continuo di pianificazione, esercitazioni, revisioni e traduzioni di azioni" delle strategie. Per questo un piano dovrebbe essere "periodicamente rivisto e aggiornato". Certo per "periodicamente" non si intendono i 10 lunghi anni intercorsi tra il 2006 e il 2016. Sempre che esistano davvero due documenti separati. La cosa curiosa, infatti, è che nelle slide con cui si dà avvio alla revisione del Piano, non viene citato il documento del 2016. Bensì quello del 2006. Come a dire: da allora nessuno l'ha ripreso in mano. Quando lo hanno capito, nel 2019, certo non potevano sapere che di lì a pochi mesi sarebbe esploso il coronavirus. Ma è chiaro che fosse ormai troppo tardi.


Secondo quanto ricostruito dal Comitato "Noi denunceremo", dopo il meeting di aprile del 2019, i vari gruppi di lavoro sul Piano pandemico tornano a riunirsi il 18 febbraio del 2020. Cioè pochi giorni prima di Codogno, e mentre la task force di Speranza e il Cts stanno redigendo in fretta e furia il cosiddetto "piano segreto" anti Covid. Le revisione dei diversi capitoli del documento vengono affidate ora al ministero della Salute, ora all'Iss, alla Protezione civile o all'Aifa. A cosa portano? Una bozza del nuovo piano pandemico esiste già. Il Comitato l'ha resa pubblica ieri, in occasione di una conferenza stampa. Ma si tratta di una versione recente, sicuramente posteriore al 9 marzo, che fa già tesoro delle (pessime) esperienze dell'emergenza Covid-19.



Allora viene da chiedersi: ne esistono altre nel periodo tra l'11 aprile 2019 e il marzo del 2020? E perché il ministero ad aprile dell'anno scorso decise di rivedere il Piano pandemico? Era già stato fatto in precedenza? Se sì, perché non ha funzionato? E se invece, come sembra essere, era ancora fermo al 2006, chi avrebbe dovuto aggiornarlo? Sono solo alcune delle tante domande per ora senza risposta. Ma che possono dire molto sulla tragedia che stiamo vivendo.





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Roberto Speranza
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Published on November 26, 2020 22:52

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Andrea Indini
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