Andrea Indini's Blog, page 59

April 6, 2021

Stesso numero di malati pre stretta. La verità sui contagi in classe

Andrea Indini

La chiusura delle classi non ha influito positivamente sulla curva dei contagi. Bassetti: "Il problema non è lì". Ecco cosa dicono i numeri

A guardare il grafico appare subito chiaro che il numero dei contagiati e il rapporto con i tamponi giornalieri non si sono scostati di una virgola. Siamo sempre lì a oscillare tra i 15 e i 20mila casi con un'incidenza che non si discosta mai tanto dal 6-7%. Eppure da domani torneranno in presenza in tutta Italia - anche nelle regioni in zona rossa - gli alunni delle scuole fino alla prima media. Il che non può che vuol dire che non è la didattica a distanza la soluzione giusta che il governo sta cercando per frenare i contagi. Come dimostrato dallo studio A cross-sectional and prospective cohort study of the role of schools in the SARS-CoV-2 second wave in Italy recentemente pubblicato sulla rivista Lancet, la curva monitorata dall'Istituto superiore di sanità non viene infatti spinta all'insù dalle lezioni in presenza ma da atteggiamenti non appropriati tenuti in altri luoghi. "Il problema non è la scuola - conferma al Giornale.it Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria - il problema sono il pre e il dopo scuola, a partire dai trasporti che portano gli studenti in classe".

La situazione pre stretta

"La situazione non mi sembra diversa rispetto a quando è stata disposta la misura", ammette a Repubblica Luca Mezzaroma, referente Covid-19 del liceo Kennedy di Roma. Certo, come spiega a Sky Tg24 giustamente Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi (Anp), "rispetto a quando si è chiuso, è cresciuto il numero dei vaccinati, soprattutto tra il personale scolastico". Un punto, quest'ultimo, che mette sicuramente al riparo gli insegnanti da un eventuale contagio tra i banchi ma che non andrà certo a blindare i più piccoli anche perché, come fa notare lo stesso Giannelli, "su screening degli studenti e trasporti non si sono registrati particolari passi avanti". E quindi? Quindi, delle due l'una: o il problema è stato ingigantito un mese fa, quando si è deciso di chiudere ogni classe di ogni ordine e grado, oppure non c'è alcuna correlazione (come dimostrato dagli studi scientifici) tra l'aumento dei malati e la didattica in presenza. In entrambi i casi si può azzardare a dire, a distanza di un mese, che si è trattato di un passo falso. Per argomentare partiamo dai numeri che molto spesso sono più esaustivi delle parole. Andiamo alla settimana in cui l'esecutivo ha deciso di blindare gli studenti in casa. Il primo marzo si contavano poco più di 13mila contagi su 170.633 tamponi effettuati. Un'incidenza del 7,9%. Ma era lunedì e, si sa, il lunedì si contano sempre meno tamponi. L'indomani, infatti, su 335.983 test i malati di Covid-19 erano oltre 17mila (5,08%), mentre Il 3 aprile si arrivava a superare la soglia dei 20mila infetti su 358.884 (5,82%). Il 4 marzo, quando i positivi salivano a 22.865 su 339.635 tamponi (6,73%), il premier Mario Draghi aveva riunito d'urgenza l'esecutivo a Palazzo Chigi per affrontare l'emergenza sanitaria. "L'attenzione è massima, stiamo prendendo delle decisioni che incidono sullo stile di vita degli italiani e siamo ancora in una situazione di allarme, secondo i dati scientifici - aveva motivato l'ex Bce - il contagio potrebbe anche estendersi, non sappiamo quando raggiungeremo il picco". Al termine dell'incontro avevano, quindi, deciso di chiudere tutte le scuole. Il primo giorno di lockdown scolastico si contavano oltre 24mila nuovi contagiati su 378.463 tamponi (6,35%).

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La riapertura delle scuole

Un mese dopo ci prepariamo a riaprire le scuole. Non tutte, per carità. Solo fino alla prima media. La nuova mappa delle presenze elaborata dall'agenzia LaPresse sarà la seguente: 3,2 milioni di studenti continueranno la dad (erano 6,9 milioni nei giorni scorsi) e 5,3 milioni nelle aule (erano solo 1,6 milioni). "La chiusura delle scuole - spiega al Giornale.it Bassetti - non ha influenzato l'andamento dei contagi che hanno continuato a mantenersi stabili e che, in alcune situazioni, sono addirittura cresciuti". I numeri di oggi, infatti, non sono poi tanto dissimili da quelli rilevati a inizio marzo. Ieri è stata rilevata una percentuale monstre pari al 10,39% (10.680 positivi su 102.795 tamponi) ma accantoniamola perché, come tutti i lunedì, risente dei pochi test effettuati. Domenica abbiamo, infatti, avuto 18.025 contagiati su 250.933 tamponi (7,18%) e, se prendiamo i giorni prima delle festività di Pasqua, i numeri sono anche peggiori: andando a ritroso, sono stati rilevati il 3 aprile 21.261 malati su 359.214 tamponi (5,92%), il 2 aprile 21.932 malati su 331.154 tamponi (6,62%) e il primo aprile 23.649 malati su 356.085 (6,64%). "Siamo in una fase di plateau", argomenta Bassetti. "Dopo una fase di picco ci auguriamo, tra una o due settimane, di iniziare una fase di discesa anche abbastanza rapida". Per capirlo, però, bisognerà vedere i dati dei prossimi giorni che potrebbero iniziare a beneficiare dello sprint che Draghi ha imposto alla campagna vaccinale.

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I controlli sugli studenti

Visti anche questi numeri, secondo Bassetti, è necessario avviare "una profonda riflessione". "Le scuole non sono in sé e per sé un problema - ci spiega - nessuna scuola lo è, né le scuole elementari, né le scuole medie né le scuole superiori. Quando si intraprendono misure del genere - continua - bisognerebbe piuttosto andare a guardare quali sono i benefici e quali sono invece i rischi. Io credo che i rischi che abbiamo preso, chiudendo le scuole da un anno a questa parte, siano enormi per una generazione che ha praticamente perso due anni di studi, ha perso socialità, ha perso cultura... adesso sarà difficile riuscire a recuperarla". Il suo auspicio, condiviso da milioni di genitori in Italia, è che "ora le scuole riaprano per non richiudere più". I fari, a detta di Bassetti, andrebbero accesi sul pre e il dopo scuola. "I ragazzi finiscono per assembrarsi lo stesso - ci spiega - quindi è meglio avere una scuola al cui interno sappiamo che le persone vengono controllate piuttosto che lasciare in giro gli studenti, liberi di fare qualunque cosa senza alcun controllo".

Tag:  Covid-19 didattica a distanza scuola Speciale:  Coronavirus focus Persone:  Mario Draghi
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Published on April 06, 2021 02:49

March 28, 2021

Tutti i rischi del #metoo

Anni di abusi e soprusi, poi lo scandalo Weinstein e l'esplosione del movimento #metoo che sta radicalmente cambiando la società americana, non senza dismisure
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Published on March 28, 2021 07:59

Ecco tutti i rischi del #metoo

Andrea Indini

Anni di abusi e soprusi, poi lo scandalo Weinstein e l'esplosione del movimento #metoo che sta radicalmente cambiando la società americana, non senza dismisure

Quando nel 1998 Gwyneth Paltrow, durante il Late Show di David Letterman, disse che Harvey Weinstein "può obbligarvi a fare una o due cose", nessuno avrebbe mai immaginato lo tsunami che si sarebbe abbattuto di lì a una ventina di anni su Hollywood, sugli Stati Uniti e via via sul mondo interno. Al tempo era del tutto inimmaginabile che una giuria di New York avrebbe potuto condannarlo a 23 anni di carcere dopo averlo ritenuto colpevole di "stupro di terzo grado e atti sessuali criminali di primo grado". Alla fine a inchiodarlo fu la denuncia di una sola attrice, Jessica Mann, ma, da quando nell'ottobre del 2017 il New York Times e il New Yorker diedero voce a una dozzina di donne che a vario titolo lo accusavano di molestie, aggressioni e violenza, il numero delle vittime è lievitato di giorno in giorno arrivando, secondo Claire Tervé dell'Huffington Post, a una novantina abbondante.

Cosa avrà provato, quando gli si sono chiuse definitivamente addosso le porte del carcere, un uomo come Harvey Weinstein, che fino a un attimo prima teneva il mondo stretto nel palmo delle proprie mani? Non è dato saperlo. Chissà se nel momento in cui il giudice ha emesso la sentenza ha colto la portata dell'effetto domino che la sua condanna avrebbe scatenato. Secondo Emma Cline, che qualche anno fa ha già avuto modo di farsi notare sollevando non poche polemiche col libro (Le ragazze, edito in Italia da Einaudi) sulle giovanissime che bazzicavano la comune di Charles Manson e che si sono macchiate del massacro nella villa di Sharon Tate a Los Angeles, fino all'ultimo Weinstein era convinto di potercela fare. "Non c'erano alternative", scrive nel suo ultimo romanzo, Harvey (Einaudi), in cui immagina l'ultimo giorno di libertà prima della sentenza. "L'avrebbero prosciolto. Come poteva essere diversamente? Era l'America, quella. Forse c'era stato un momento, un giorno, due, in cui tutto era cominciato, in cui aveva creduto che fosse arrivata, eccola lì, la fine della strada". Certo, c'era il precedente di Jeffrey Epstein, morto in cella l'anno prima in circostanze che non sono state ancora del tutto chiarite. Ma quella era una storiaccia di abusi sessuali su minorenni date in pasto a politici. Nulla a che fare con lui, eppure... Eppure, come scrive la Cline, "capiva Epstein che si era impiccato in cella, perché come sarebbe stata la vita, dopo? Niente più cene, niente più rispetto, niente più paura e ammirazione a fare da respingenti tenendoti in una specie di piacevole trance, il mondo che si sagomava intorno a te. Avere avuto tutto questo e poi perderlo era impensabile, intollerabile".

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Un campanello d'allarme, nella testa di Weinstein, avrebbe potuto anche accendersi nel 2015 quando la polizia lo aveva interrogato dopo che una modella 22enne, Ambra Gutierretz, lo aveva accusato di palpeggiamenti. L'accusa finì presto in niente. Almeno finché nel 2017 il New York Times e il New Yorker non l'hanno inchiodato intervistando altre vittime. A quel punto non è più riuscito ad arginare il maremoto che gli si è riversato contro. Se il caso Epstein ha solo lambito alcuni politici, che probabilmente hanno gradito le ragazzine fornite dall'imprenditore newyorchese sulla sua isola privata di Little Saint James o nella sua villa di Miami, lo scandalo Weinstein ha scatenato un movimento contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne che ancora oggi sta profondamente modificando la società statunitense. Il #metoo è esploso in tutta la sua potenza il 15 ottobre del 2017 quando, riprendendo un'espressione dell'attivista Tarana Burke, Alyssa Milano ha invitato su Twitter tutte le donne a "dare alle persone un'idea della grandezza del problema". "Alla fine della giornata - si legge su Wikipedia - (l'hashtag, ndr) era stato già rilanciato 200mila volte e 500mila volte dopo due giorni. Su Facebook è stato usato da più di 4,7 milioni di persone in 12 milioni di post nelle prime 24 ore".

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Per capire cosa è diventato oggi il #metoo bisogna leggere Questo è il piacere (Einaudi). Una nuovantina di pagine in tutto, poco più di un racconto, eppure l'ultimo lavoro di Mary Gaitskill rende molto bene l'idea di un fenomeno i cui confini non sono sempre definiti. "Mi rendo conto che il modo in cui mi sono sempre comportato nel mondo non è sempre stato piacevole per chi mi stava intorno". A parlare è Quinn, un editor in gamba e di successo travolto da uno scandalo che non solo gli porterà via il lavoro ma che lo farà anche diventare un paria all'interno del proprio ristretto, esclusivo circolo. "Appartengo a una generazione che colloca libertà e schiettezza al di sopra delle buone maniere - ammette lui - stesso e ho agito in base a questi principi, tavolta provocando, magari addirittura sbeffeggiando. Talvolta forse mi sono spinto troppo in là, sono stato troppo curioso, troppo socievole, magari un tantino troppo arrogante. Ma...". Ma lui alle donne non ha mai fatto del male. Certo, ha valicato (anche se di poco) quel limite che un uomo sposato o un capo corretto non dovrebbero mai e poi mai superare, ma non ci troviamo ad avere a che fare con un predatore. Tanto che la mogli glielo rinfaccia: "Non sei manco un predatore. Sei un buffone. Un gretto, strisciante, subdolo buffone. È questa la cosa insopportabile". La domanda è semplice: basta a condannarlo? Secondo la sua migliore amica, no. Anche perché tra chi sottoscrive l'appello per bandirlo dal mondo dell'editoria ci sono una scrittrice che Quinn ha scoperto ed aiutato a pubblicare il primo romanzo e un'ex collega che lui stesso ha aiutato a crescere professionalmente. "È così terribile, così assurdo - ammette lui stesso - assurdo che io abbia fatto certe cose, sì. Assurdo anche che Caitlin occupi una posizione che l'ho aiutata io a raggiungere e che, da quella posizione, mi accusi di cose di cui si è resa complice. Più assurdo ancora che la definiscano coraggiosa".

Molte delle donne che accusano Quinn non lo frequentavano solo in ufficio. Ci andavano fuori a pranzo, venivano costantemente invitate ai party esclusivi che era solito organizzare a casa, conoscevano piuttosto bene la moglie e solo di rado avevano esternato il proprio fastidio nei suoi confronti. È in questo modo che la Gaitskill mette il lettore davanti a certi eccessi generati dal #metoo e lo obbliga a chiedersi se una lotta sacrosanta non possa finire a creare dei mostri. Lo stesso Quinn, ripensando a quando il #metoo non esisteva ancora, si chiede come avrebbero reagito le ragazze di allora: "Se quelle ragazze fossero ragazze di oggi, mi chiedo, si definirebbero 'aggredite' se qualcuno mettesse loro la mano sul ginocchio? Direbbero che erano troppo 'impietrite' dalla costernazione per fermarlo? Com'era diversa la storia che raccontavamo di noi, allora. Quanto eravamo consapevoli che era una storia".

Persone:  Harvey Weinstein Jeffrey Epstein
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Published on March 28, 2021 07:59

March 24, 2021

Ecco la fine del "ditino alzato" Così muore il moralismo rosso

I casi di Scanzi e della Boldrini, come già in passato i passi falsi dei Cinque Stelle, smontano i moralismi di facciata della sinistra
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Published on March 24, 2021 05:50

La fine del "ditino alzato": così muore il moralismo rosso

Andrea Indini

I casi di Scanzi e della Boldrini, come già in passato i passi falsi dei Cinque Stelle, smontano i moralismi di facciata della sinistra

Chissà quale tweet canzonatorio, moralizzatore e velenoso sarebbe uscito dalla tastiera di Andrea Scanzi per pungolare un politico, un imprenditore o un giornalista che, pescato da una fantomatica lista di "riservisti" della Asl di riferimento, avesse "salvato" una fiala, che a fine giornata sarebbe finita nel pattume, saltando bellamente la fila in una Regione che ha vaccinato sì e no il 5% degli over 80. Chissà come lo avrebbe rimbrottato qualora, finito in un'ovvia bufera mediatica, il "riservista" fresco di buco nel braccio avesse rilanciato dicendo agli italiani che "avrebbero dovuto ringraziarlo" e si fosse spacciato come caregiver usando gli anziani genitori in difficoltà che, però, non sono stati ancora vaccinati. Di certo non gliel'avrebbe fatta passare liscia. E tanto più il nome era noto e tendendete a destra, tanto più avrebbe pestato duro arringando i propri follower e gettando contro il malcapitato parole violentissime.

Chissà quale comunicato perentorio, profondamente sindacalizzato e smaccatamente anti machista avrebbe diramato l'ufficio stampa di Laura Boldrini per additare un imprenditore (meglio se noto al grande pubblico e simpatizzante del centrodestra) che si fosse approfittato della propria colf straniera silurandola non appena questa avesse chiesto di lavorare meno ore e si fosse rifiutato di pagarle i pochi euro di liquidazione che le spettavano. O peggio: chissà quanto femminismo avrebbe trasudato il tweet dell'ex presidenta della Camera per rimbrottare il deputato di turno (meglio, ovviamente, se di destra) che avesse negato lo smart working alla propria collaboratrice parlamentare, madre di tre figli, che, costretta ad andare avanti e indietro da Lodi a Roma per 1.200/1.300 euro al mese, si fosse azzardata a chiedere, in piena pandemia Covid, il permesso di rimanere al fianco del figlio malato anziché tornare alla Camera non tanto per svolgere le proprie mansioni quanto per "andare a ritirare le giacche dal sarto, prenotare il parrucchiere" o portare la "gente a vedere l'appartamento" del capo quando questi voleva affittarlo. Di certo glie ne avrebbe dette quattro. Avrebbe sicuramente sfoderato anni di battaglie per l'emancipazione della donna e per la difesa dei diritti dei lavori, tanto più se questi sono extracomunitari, e avrebbe probabilmente chiesto una commissione speciale contro l'odio e il razzismo per far fronte al gravissimo problema.

Nell'ultima settimana si sono schiantate due stelle del moralismo rosso. I due casi sono ben diversi e bisogna fare dei distinguo. Il primo, quello di Scanzi, non ha lo stesso peso del secondo, quello della Boldrini. In linea di principio il giornalista del Fatto Quotidiano si è effettivamente limitato ad usare una dose che con buone probabilità sarebbe andata sprecata. In un momento come questo non possiamo permetterci di buttar via con leggerezza i vaccini. Certo, sarebbe stato meglio iniettarlo a un ottantenne o a uno dei tanti soggetti a rischio. Ma tant'è. Ha ragione Peter Gomez a dire che avrebbe fatto meglio a starsene zitto anziché andare sui social a sbandierare quanto fatto. Avrà avuto la coda di paglia. Chissà. Secondo il virologo Andrea Crisanti, non è possibile che "l'Italia sia sempre pronta a scatenarsi su stupidaggini come il destino di una dose residua di vaccino" mentre "non si batta ciglio sul fatto che non si è fatto abbastanza per evitare una seconda ondata con 50-70mila morti". In verità il punto è leggermente diverso. Come spiega Luca Zaia, il caso è diventato emblematico non tanto per quanto accaduto ma per il soggetto coinvolto. "Lui non ha commesso nulla di grave - fa notare a Cartabianca il governatore del Veneto - si è semplicemente messo in lista, ma ci insegna una cosa: se lo avessimo fatto io o Bonaccini sicuramente ci avrebbero scuoiato vivi". Ed è per questo che l'eco della notizia è stata smisurata: il moralizzatore è finito moralizzato. E tutte le pezze che ha provato ad appiccicare non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. "Bastava dire - commenta Selvaggia Lucarelli - avanzava un vaccino, ne ho approfittato e grazie a chi me lo ha permesso".

Diverso, invece, il caso della Boldrini. Alcune donne, che hanno lavorato con lei, hanno avuto molto da ridire sul modo in cui sono state trattate. Lei ora nega. Il Caf deciderà chi ha torto e chi ragione. L'articolo del Fatto Quotidiano, però, riporta ampi virgolettati delle dirette interessate. Ne emerge un quadro devastante per la parlamentare piddì che da sempre si è schierata al fianco delle donne, dei lavoratori e degli immigrati. Sono bastate una cinquantina di righe per spazzar via tutto. Anche qui: la moralizzatrice è stata moralizzata. Ne è nato un duro botta e risposta con Selvaggia Lucarelli, autrice dell'inchiesta, ma la maschera dell'ex presidenta di Montecitorio è ormai caduta. È successo lo stesso con i Cinque Stelle che da quando sono al potere sono riusciti a smontare il proprio credo basato sul vacuo slogan "onestà, onestà!". L'ultima polemica (almeno in ordine temporale) ha travolto Angelo Tofalo, accusato di non aver ancora liberato l'alloggio nel palazzo dell'Aeronautica a Roma che aveva ottenuto quando era sottosegretario alla Difesa. Da copione, il deputato grillino rigetta tutte le accuse. Anche qui: si vedrà. La polemica intanto divampa. E ancora una volta ci insegna che chi più grida allo scandalo, più rischia di finirci dentro, allo scandalo.

Persone:  Andrea Scanzi Laura Boldrini
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Published on March 24, 2021 05:50

March 22, 2021

Ecco cosa c'è (davvero) dietro il "no" a Sputnik: gli strani ritardi della Ue

Perché la richiesta all'Ema è stata bloccata per un mese e mezzo? Perché l'Ue dice di non aver bisogno del siero russo? Che partita è in gioco?
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Published on March 22, 2021 23:49

Cosa c'è dietro il no della Ue a Sputnik?

Andrea Indini

Perché la richiesta all'Ema è stata bloccata per un mese e mezzo? Perché l'Ue dice di non aver bisogno del siero russo? Che partita è in gioco?

Fra tre settimane gli esperti dell'Agenzia europea per i medicinali (Ema) si recheranno in Russia. La data è stata fissata: il 10 aprile. È il primo passo per la procedura di autorizzazione dello Sputnik V. Una procedura che arriva piuttosto avanti nel tempo nonostante il vaccino prodotto dal Centro Gameleya sia stato il primo ad essere registrato.

Da allora (era l'agosto dello scorso anno) ha ricevuto il via libera da una cinquantina di Stati e in diciotto viene già somministrato. Non nell'Unione europea, però, dove trova resistenze sia negli uffici dell'Ema sia nelle altre sedi di Bruxelles. Giusto oggi il commissario europeo incaricato della campagna dei vaccini, Thierry Breton, parlando al tiggì della francese TF1, ha definitivamente chiuso le porte allo Sputnik V. "Non ne avremo assolutamente bisogno", ha sentenziato. "Daremo priorità ai vaccini fabbricati sul territorio europeo". Una chiusura che non sembra motivata da basi scientifiche. Secondo un nuovo studio su oltre 20mila volontari pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet, l'efficacia del ritrovato russo sarebbe infatti del 91,6%, in linea con gli altri vaccini già approvati dall'Ema.

I ritardi dell'Europa

Non più di una settimana fa il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva minacciato il blocco delle dosi prodotte nel Vecchio Continente. Non producendo abbastanza vaccini per soddisfare il fabbisogno degli Stati membri, Bruxelles non si può infatti permettere che ne escano più di quelli che entrano. Ad oggi sono in vigore accordi con quattro società farmaceutiche (Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Moderna e, da pochi giorni, Johnson & Johnson) ma, se si vuole arrivare a coprire il 70% dei cittadini europei entro l'estate, è necessario ampliare (e non poco) il raggio d'azione. Ad oggi l'Ema sta guardando ad altri tre preparati. Uno è Curevac, altro vaccino a Rna messaggero. "Speriamo di poter approvare intorno a giugno", ha spiegato a Che tempo che fa il responsabile della strategia per le minacce alla salute e i vaccini dell'Ema, Marco Cavaleri. Poi c'è Novavax che si basa sull'azione della proteina Spike e sul sistema che ne potenzia la risposta immunitaria. "Probabilmente slitterà a giugno o poco dopo - ha spiegato Cavaleri - c'è qualche problema con la produzione". Il terzo vaccino è il russo Sputnik V. Ha già iniziato la revisione a cicli e all'Ema stanno guardando tutti i dati per essere, dicono, "più veloci per autorizzarlo quando il dossier sarà completato". Il 10 aprile voleranno a Mosca per le prime ispezioni. "Poi - ha concluso Cavaleri - cercheremo di capire per quando avremo tutti i dati che saranno necessari per potere eventualmente approvare questo vaccino".

Lo stop a Sputnik V

Nonostante le difficoltà incontrate negli ultimi mesi, l'Unione europea è ferma nello sbarrare la strada al vaccino di Vladimir Putin. Sebbene Breton abbia assicurato di non aver bisogno del siero russo, è più probabile che dietro alla scelta europea ci sia il timore che un eventuale accordo possa rafforzare economicamente e politicamente il leader del Cremlino. Non è stata, infatti, presa bene la decisione dell'Italia di rompere il fronte europeo e andare per la propria strada decidendo di produrre autonomamente il siero. Come riporta l'agenzia Agi, l'accordo, siglato la scorsa settimana dal fondo sovrano statale russo che detiene il brevetto, il Russian Direct Investment Fund (Rdif), e dall'azienda farmaceutica italo-svizzera Adienne Pharma&Biotech, "produrrà il vaccino in due stabilimenti, in Lombardia e nel Centro Italia", arrivando a "fornire 10 milioni di dosi tra luglio 2021 e gennaio 2022". Per allora l'Ema già avrà dato l'autorizzazione? Difficile pronosticarlo. Intanto, scrive il Moscow Times, Mosca avrebbe trovato l'intesa con aziende di altri Paesi Ue, come Francia, Spagna e Germania. Secondo i vertici dell'Rdif, dietro ai ritardi di Bruxelles ci sarebbero "pregiudizi politici". Altrimenti non si riuscirebbe a spiegare perché, pur avendo presentato all'Ema la domanda di registrazione il 21 gennaio, la decisione di iniziare la valutazione è arrivata soltanto il 4 marzo. Anche Putin è rimasto ovviamente perplesso dalle dichiarazioni di Breton. "Queste persone rappresentano e difendono gli interessi di chi? - si è chiesto - quelli di alcune aziende farmaceutiche o dei cittadini dei Paesi europei?".

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Il precedente di AstraZeneca

Sputnik V non è certo il primo vaccino su cui si scontrano i diversi interessi dell'Unione europea. Anche la sospensione di AstraZeneca ha gettato diverse ombre sul piano vaccinale di Bruxelles. Come ha fatto notare Gian Micalessin sul Giornale, all'indomani del blocco reso inevitabile dal blitz tedesco, che ha obbligato il resto d'Europa a fare altrettanto, sono iniziate le pressioni per sostituire l'azienda inglese a favore del tandem tedesco-americano di Pfizer-BioNTech, assicurando a Berlino un maggior numero di dosi. Nel giro di tre giorni l'Ema ha chiuso la pratica assicurando l'efficacia e la sicurezza del vaccino di Oxford. Capitolo chiuso, ma non troppo. La partita resta aperta e rischia di giocarsi sulla pelle delle persone.

[[video 1932241]]

Tag:  vaccino Sputnik Unione europea (Ue) Persone:  Vladimir Putin
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Published on March 22, 2021 23:49

March 18, 2021

"Chiesero l'ossigeno dei morti" Quell'orrore patito da Bergamo

La Val Seriana un anno dopo la carovana di bare. La corsa per trovare una bombola. E le salme lasciate in casa per giorni
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Published on March 18, 2021 06:29

"Chiedevamo l'ossigeno dei morti". Ecco l'orrore patito da Bergamo

Giuseppe De Lorenzo Andrea Indini

La Val Seriana un anno dopo la carovana di bare. La corsa per trovare una bombola. E le salme lasciate in casa per giorni

In occasione della Giornata per le vittime del Covid, per gentile concessione dell'editore Historica, pubblichiamo un estratto del Libro nero del coronavirus di Giuseppe De Lorenzo e Andrea Indini.

«I ragionamenti, chiaramente, si fanno sui dati ufficiali – ci racconta una insegnante della zona – ma la situazione, qui a Bergamo, è stata molto peggiore di quei numeri». A Nembro e ad Alzano Lombardo, come in tutti i paesi della Val Seriana, a parte gli ospedalizzati, moltissime famiglie si sono chiuse in casa a lottare per la vita. «Anche se non ci hanno colpiti direttamente, sentiamo il peso di tutti quei lutti e, purtroppo, ora che la situazione sta lentamente migliorando e la mente è più lucida, iniziano a emergere grandi domande su come è stata combattuta questa emergenza».

Il 15 maggio, dieci giorni dopo l’inizio della «fase 2», i pazienti Covid nelle terapie intensive delle Asst Bergamo Est e Bergamo Ovest si sono azzerati. Il peggio sembra passato. Nei giorni di picco i malati ricoverati erano circa duecento. Nessuno, però, può accantonare il dolore. «Abbiamo vissuto giorni tremendi a contare i morti nei nostri quartieri – racconta ancora l’insegnante – a vedere ambulanze e a chiederci per chi dei nostri condomini fossero venute...». Chi ha patito l’orrore di quei giorni ci racconta di quanto fossero poche le bombole di ossigeno a disposizione: «Ad un certo punto questo ha portato alcune persone a telefonare alle famiglie dei defunti per sapere se per caso gli era avanzata mezza bombola». E chi ha visto morire il proprio caro in casa, a volte ha dovuto attendere anche fino a quattro giorni prima di veder arrivare qualcuno a ritirare la salma. «Tutta l’Italia è stata colta impreparata dal coronavirus – ci raccontano – ma Bergamo è stata una terra abbandonata a se stessa».

Molti, infatti, non riescono a «digerire» le campagne di certi politici che, a inizio epidemia, hanno invitato i concittadini a condurre una vita normale. O perché, dinanzi ai grafici in salita, gli impianti sciistici siano comunque rimasti aperti fino ai primi di marzo. Negli occhi dei bergamaschi sono ancora vivide quelle fotografie che immortalano le loro montagne, affollate di sciatori sotto il sole primaverile, nello stesso fine settimana in cui il governo dispone ulteriori restrizioni per evitare che il contagio dilaghi. Sono stati anche questi atteggiamenti sconsiderati a portare il virus nelle altre valli, la Val Brembana e la Val di Scalve? «Prima avevamo tutti paura, adesso abbiamo tanta rabbia – ci spiega l’insegnante – bisogna andare a fondo di questa vicenda: sicuramente non cambierà il nostro dolore né servirà a cercare un qualche responsabile da mettere in croce, ma abbiamo il diritto di sapere come è potuta accadere questa strage».

I numeri, appunto, sono quelli di una strage. Sul calare estivo dell’emergenza L’Eco di Bergamo conduce un’attenta indagine tra i Comuni bergamaschi per cercare di svelare il numero esatto delle persone morte nel solo mese di marzo. «Sono 5.700, di cui 4.800 riconducibili al coronavirus – si legge – quasi sei volte in più di un anno fa. I numeri ufficiali, invece, dicono che al 31 marzo erano 2.060 i decessi certificati positivi al Covid 19». Un’ecatombe, insomma.

Bergamo, Milano, Roma. È su questa direttrice che si gioca la drammatica partita bergamasca. «Ricordo quei momenti, ricordo una situazione comprensibilmente discussa. Maneggiavamo tutti delle incertezze: noi tecnici stavamo dando un consiglio che non avremmo mai voluto dare e chi ci governa doveva prendere decisioni che non avrebbe mai voluto prendere», racconta una fonte della task force di Regione Lombardia. Perché non è stata fatta alcuna zona rossa? Chi doveva agire, alla fine non si è mosso. «Se fossimo stati più convincenti, forse avremmo guadagnato anche solo tre o quattro giorni nella decisione del governo e avremmo limitato i danni».

Tag:  Covid-19 Speciale:  Coronavirus focus Luoghi:  Bergamo
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Published on March 18, 2021 06:29

March 17, 2021

"E ora cosa facciamo?" Il virus, le scuole chiuse e quel vuoto nei bambini

Il fallimento delle politiche contro il Covid ha portato a richiudere le scuole anche per i più piccoli. Eppure i dati dicono che i contagio è basso. Ecco le conseguenze di questa scelta
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Published on March 17, 2021 03:46

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Andrea Indini
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