Andrea Indini's Blog, page 61

February 11, 2021

Così un'apocalisse della tecnologia annienterà i "tossici digitali"

Andrea Indini

In un futuro che può essere già oggi Don DeLillo pensa il suo Il silenzio, un romanzo in cui un evento inatteso cancella tutta la tecnologia e mettendo l'uomo a nudo davanti alla sua dipendenza

Black out. Tutto spento. Prima il boato, poi tutto spento. Ogni singolo apparecchio tecnologico in modalità off. E non c'è telecomando che possa riattivarlo. Lo stesso vale per gli smartphone, i tablet e i pc. Nessuna connessione, niente più campo, gli schermi neri grafite non reagiscono. Le case non vengono più riscaldate e nel giro di breve il freddo che sferza New York ai primi di febbraio si fa strada ta le pareti. Qualcosa è successo, qualcosa si è rotto. Sì, ma cosa? A Don DeLillo poco importa dircelo. Gli basta farci piombare in un presente in cui la tecnologia è annientata e l’umanità si ritrova, all’improvviso, senza più certezze.

"Di qualunque cosa si tratti, quello che è successo ha messo fuori uso la nostra tecnologia. La parola stessa mi pare obsoleta, persa nello spazio". Jim e Tessa lo sanno bene. Erano in volo quando è successo. Stavano tornando da Parigi. Poi il boato. E l’atterraggio di emergenza. "Dov’è la fede nell’autorità dei nostri device sicuri, delle nostre capacità di criptaggio, dei nostri tweet, dei troll e dei bot. Ogni cosa nella data sfera è soggetta a distorsioni o furti? E a noi non resta che starcene seduti qui e piangere per il nostro destino?". Quale può essere il nostro destino senza più tecnologia. DeLillo se ne interroga nel suo ultimo libro, Il silenzio (Einaudi), da pochi giorni in libreria. Già trentacinque anni fa, con Rumore bianco (Einaudi), lo scrittore statunitense aveva indagato l'impatto di una catastrofe inaspettato sulla popolazione. Allora si trattava di una fuoriuscita di materiali chimici, che dopo un'evacuazione di massa aveva spinto il protagonista a fare i conti con la paura di morire. Oggi si è spinto oltre. "Ci è già capitato tante e tante volte di assistere a cose simili, in questo paese come altrove, forti temporali, incendi incontrollati, evacuazioni, tifoni, tornado, siccità, nebbia fitta, aria irrespirabile. Frane, tsunami, fiumi che scompaiono, case che crollano, interi edifici che si sgretolano, cieli oscurati dall'inquinamento". La natura che si ribella, insomma. E l’uomo che arranca per non soccombere. "Abbiamo ancora freschi nella nostra mente i ricordi del virus, della peste, delle code infinite nel terminal degli aeroporti, delle mascherine, delle vie cittadine completamente vuote". Questa volta, però, è diverso. "E se il mondo che conosciamo venisse sottoposto a un nuovo assetto davanti ai nostri occhi mentre siamo fermi a guardare, oppure mentre siamo seduti a parlare?".

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Come può la tecnologia collassare su se stessa e lasciare l’umanità in balia di se stessa. Ma soprattutto: quali sono le più immediate conseguenze? Un aereo atterrato in tutta fretta scampando la tragedia. La diretta interrotta del Super Bowl. Il caos per le strade dopo un primo momento di imbarazzante spaesamento. E i saccheggi, ovviamente. Ma, a lungo andare, che tipo di futuro potrebbe attenderci se non solo non ci è più possibile inviare una mail ma nemmeno i frigoriferi fanno più il proprio lavoro conservando il cibo? E i nostri soldi che non sono più carta ma una serie di numeri custoditi in un database? "Cosa ci resta da vedere, da sentire, da provare?", si chiedono in quello che appare come "un vuoto barcollante". "È sempre stato ai margini della nostra percezione. L’interruzione della corrente, la tecnologia che piano piano si dilegua". Prima non era così. Sul finire dell’Ottocento, per esempio, non si interrogavano sulla possibilità che l'era industriale collassasse su se stessa. Questa paura è iniziata con l'avvento del nucleare. Scenari post apocalittici, futuri distopici e l’umanità quasi azzerata. È l’ansia dell’Occidente di fare i conti col progresso. Oggi questi conti si fanno con la tecnologia, partendo dall’assunto che - forse - ci siamo spinti troppo in là. Ma siamo davvero, come ci definisce DeLillo, dei "tossicodipendenti digitali"? Chi ha fissato il limite d'azione? Si spezzerà l’elastico tirato in eccesso oppure si dimostrerà ancora più resiliente di quanto non crediamo?

Albert Einstein ha ammesso di non sapere "con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale", ma ha pronosticato che la Quarta verrà combattuta "con pietre e bastoni". Non resta che attendere.

Tag:  tecnologia Speciale:  Big Tech e libertà focus
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Published on February 11, 2021 03:26

February 10, 2021

I virologi sognano il governo. Quali sono i rischi per l'Italia

Giuseppe De Lorenzo Andrea Indini

Nel totoministri spuntano i nomi degli infettivologi sempre in tv. Ma col Covid hanno detto tutto e il contrario di tutto

Li hanno accostati tutti alla poltrona più importante di viale Lungotevere Ripa 1. Andrea Crisanti, Fabrizio Pregliasco, Massimo Galli, Ilaria Capua, Matteo Bassetti, Alessandra Viola e, chissà?, pure Pier Luigi Lopalco. I virologi “vip”, diventati star grazie alla pandemia, potrebbero diventare ministri della Salute. Lo dicono i media, e spesso sbagliano. Ma se ci hanno anche solo pensato vuol dire che non si tratta solo di un gioco. Magari a qualcuno potrebbe pure sembrare un’idea geniale, tuttavia c'è da sperare non si faccia lo stesso errore di chi, nell'ultimo anno, ha trasformato gli scienziati in oracoli della medicina.

Il fatto che siano virologi non ci assicura in fondo che sarebbero anche bravi ministri. La scienza medica non infonde mica capacità politica. E poi, se proprio dobbiamo dare un voto al loro operato, non sempre si sono rivelati precisi in consigli e previsioni. Anzi. Spesso alcuni di loro detto tutto e il contrario di tutto, si sono accapigliati a favor di telecamere, hanno sbattuto sulla pubblica piazza un dibattito scientifico che sarebbe dovuto rimanere confinato all'interno dei laboratori. Perché dovrebbero fare di meglio al dicastero della Salute?

Già nel Libro nero del coronavirus (Historica Edizioni), che dà uno spaccato degli errori commessi nella prima ondata, emerge chiaramente la mania di protagonismo di infettivologi, virologi, epidemiologi, luminari di fama internazionale e docenti universitari. Sin da subito sono loro i padroni indiscussi delle trasmissioni tv, nonostante le tante contraddizioni e le diverse prese di posizione. Pensate che quando il 24 febbraio, appena tre giorni dopo Codogno, Andrea Crisanti profetizza l’arrivo di “una nuova spagnola”, molti suoi illustri colleghi si fiondano a minimizzare l'impatto del virus, predicando calma assoluta. Interrogati dai cronisti, forniscono risposte a domande cui in realtà non possono ancora avere risposte certe. E così, invece di praticare l’antica virtù del silenzio, danno vita a un poco onorevole scontro: Maria Rita Gismondo critica chi scambia “un’infezione appena più seria per una epidemia letale”, Roberto Burioni le risponde per le rime bollando le esternazioni come “scemenze”. E persino il Comitato Nazionale per la Ricerca, mica l'ultimo arrivato, assicura che al di fuori di Codogno e Vo’ il cittadino può “continuare a condurre una vita assolutamente normale”. S’è visto.

Non appena il governo ridà un po’ di libertà' agli italiani, lo guerriglia si fa più ancor più dura. In breve tempo si formano due schieramenti contrapposti, che ancora oggi si sfidano a suon di dichiarazioni stampa. “Allarmisti” contro “negazionisti”. Ultras dei lockdown contro profeti delle riaperture. Chi vaccinerebbe prima gli anziani e chi i giovani. Per non parlare del caos mascherine, prima inutili poi fonte di vita eterna. Oppure la disfida sui medicinali (pro-clorochina vs anti-clorochina), la rissa sulla gestione dei pazienti (a casa o in ospedale?), il dibattito infuocato sul ruolo degli asintomatici (infettano oppure no?), il virus che “dal punto di vista clinico non esiste più”, la minore carica virale, la battaglia sull'uso dei test sierologici, gli schiaffoni Burioni-De Donno sull'efficacia del plasma iperimmune. E che dire, infine, delle liti alla corte di Zaia, dove Crisanti e la sanità veneta si sono fatti la guerra per rivendicare l’ideazione del Metodo Vo’?

Ecco perché immaginare i “cattivi maestri” sul trono del ministero della Salute provoca irritazioni. Per ora quasi tutti negano, ma forse qualcuno un pensierino ce lo sta facendo davvero. Crisanti ammette: “Chi non lo farebbe?”. Pregliasco non si pone il problema, e afferma che “la sanità deve essere in mano ai politici”, tanto da sperare nella continuità di Speranza. Antonella Viola non esclude nulla: non ha ricevuto telefonate, ma “se ci fosse da dare una mano potrei darla”. E Bassetti non si nasconde: "Non direi di no". Galli invece spera che Draghi non lo chiami mai visto che non si sente “particolarmente adatto” al ruolo: “Io so fare altre cose”. In fondo, dice, se si decide di affidare il dicastero a un tecnico e non a un politico sarebbe meglio scegliere “chi ha un profilo importante nel campo della sanità pubblica”. Sugli esponenti dell'attuale Cts le riserve sarebbero molte, visto i non indifferenti inciampi nella gestione della crisi. In un esecutivo di alto profilo, limitato nel tempo, e con lo scopo di superare la pandemia, potrebbe andare meglio un esperto di emergenze. Magari uno alla Guido Bertolaso, il cui nome sarebbe stato suggerito al premier incaricato sia da Silvio Berlusconi sia da Matteo Salvini, e che la Lombardia ha già arruolato per accelerare la campagna vaccinale.

L’importante è che si valutino le competenze nella gestione della medicina pubblica. Non le apparizioni tv. Insomma dateci tutto, ma non un governo di virologi vip.

Tag:  virologi Covid-19 crisi di governo Speciale:  Coronavirus focus Persone:  Andrea Crisanti Pierluigi Lopalco Fabrizio Pregliasco Massimo Galli
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Published on February 10, 2021 22:51

February 7, 2021

Migranti, il dossier che scotta: i dem temono la "linea Draghi"

Andrea Indini

Gli sbarchi sono ripresi. Come si comporterà il nuovo governo: continuerà ad aprire i porti o darà un freno al buonismo della sinistra? I dem sono preoccupati: "Draghi è sulla linea di Salvini..."

Non è certo un caso se qualche giorno fa Mediterranea Saving Humans, la ong aperta da Luca Casarini e altri esponenti dei centri sociali e dell'associazionismo rosso per mettere in mare la nave Mare Jonio, ha riesumato l'hashtag #whateverittakes. Nel postare su Twitter lo scatto di un salvataggio in mare, ha scelto la stessa formula pronunciata nel 2012 dall'allora presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. "Costi quel che costi". Sebbene il messaggio sia passato sotto traccia, molti in area dem si stanno interrogando in queste ore se le politiche adottate nell'ultimo mese al Viminale dal ministro Luciana Lamorgese verranno ribaltate dal nuovo governo. "Draghi è più vicino ai leghisti che a noi", hanno confidato ad Affaritaliani fonti qualificate del Pd pronosticando che sullo spinoso tema dell'immigrazione "a dover ingoiare qualche boccone amaro sarà Zingaretti e non Salvini".

Quando ieri pomeriggio Matteo Salvini è uscito dal faccia a faccia con Draghi, si è limitato a toccare marginalmente il tema del contrasto all'immigrazione clandestina. "Non è un tema di destra o sinistra", ha messo le mani avanti. "Chiediamo che si seguano le regole europee, le stesse che segue la Germania...". Qualcuno, però, gli ha fatto notare che non è facile stare al governo con chi ha modificato i decreti Sicurezza e ha riaperto i porti che lui aveva faticato a chiudere. "Per me non è facile - ha ammesso - potrei essere in maggioranza con qualcuno che mi ha mandato a processo. Ma questo è sufficiente per dire no? Rispondo no". L'apertura del leader del Carroccio al nuovo esecutivo non cancella, tuttavia, il problema. Che ora incombe come un macigno su Palazzo Chigi. La cronaca delle ultime ore ne è la riprova. L'ennesima barca di una ong internazionale (questa volta la Ocean Vikings della francese Sos Mediterranée) ha chiesto un "porto sicuro" all'Italia e a Malta e, mentre la Valletta ha fatto finta di nulla, il Viminale ha dato disco verde aprendole il porto di Augusta. Nelle prossime ore scaricherà in Sicilia 422 immigrati clandestini, otto dei quali sono risultati positivi al Covid-19. Non è un caso isolato. Solo ieri, mentre 55 stranieri venivano trasferiti sulla nave quarantena "Allegra", veniva bloccato e soccorso un altro barcone con 67 persone a bordo nelle acque antistanti Lampedusa. La Sicilia non è certo l'unico punto di approdo. Anche sulle coste del Sulcis gli sbarchi sono all'ordine del giorno. "Non si può pensare che il problema degli sbarchi sia secondario", spiegava nei giorni scorsi il deputato sardo di Fratelli d'Italia, Salvatore Deidda, motivando il "no" del suo partito ad appoggiare Draghi a formare un governo "con chi non ha mai messo in campo alcuna misura utile per bloccare" i clandestini.


#whateverittakes pic.twitter.com/nIzrIoqFBS


— Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) February 3, 2021


A complicare la situazione, che non appena il tempo volgerà al bello e le temperature si fanno più miti, è il pressing delle ong sul governo che ancora non c'è. Questa mattina gli spagnoli di Open Arms, che in settimana, hanno portato una cinquantina di immigrati a Lampedusa, hanno postato su Twitter la foto del relitto di un'imbarcazione. "Difficile non interrogarsi sul destino delle persone che erano a bordo - hanno poi scritto - ci auguriamo che siano riuscite ad arrivare in un porto sicuro. Questo mare è un memoriale, di vite e di morti". Anche Alarm Phone continua a riferire di barconi dispersi in mare. La frequenza delle partenze dalle spiagge del Nord Africa si sono intensificate a tal punto da suggerire che a breve l'emergenza immigrazione tornerà ad occupare i titoli dei quotidiani e a dividere la politica. Quello del Conte bis è un lascito pesante. Draghi dovrà fare i conti con la scelta di smantellare i decreti Sicurezza e di riaprire i porti a chiunque. Le conseguenze di questa scellerata politica sono state fotografate dall'agenzia Frontex che il mese scorso ha registrato un calo degli arrivi in tutta Europa tranne che in Italia. Da noi, infatti, non solo il numero è aumentato ma è addirittura triplicato. A guardare questi dati non c'è da sperare in bene: o il nuovo governo cambia registro oppure rischiamo di replicare gli errori dell'anno scorso.

In molti, a questo punto, si stanno chiedendo come Draghi deciderà di affrontare il dossier immigrazione. Per il momento non è dato saperlo. Le opzioni sul tavolo sono due: continuare a tenere i porti aperti e accogliere chiunque arrivi in Italia oppure dare un freno al buonismo della sinistra. Come ha rilevato Alberto Maggi sul sito di Affaritaliani, i dem sono preoccupati dalla linea che potrebbe sposare l'ex governatore della Bce. Una linea che lo avvicinerebbe molto di più al centrodestra obbligando così Nicola Zingaretti a "ingoiare qualche boccone amaro".

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Tag:  immigrazione sicurezza Persone:  Matteo Salvini Nicola Zingaretti Mario Draghi
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Published on February 07, 2021 05:54

February 6, 2021

Quei diktat contro Salvini e Cav. La sinistra non smette di odiare

Andrea Indini

A sinistra monta l'odio. Tra i dem il diktat è "Mai con Salvini", nel M5s il grido di battaglia è "Mai con Berlusconi". È la solita vergognosa superiorità morale di una certa classe politica

Va da sé che, se il governo Draghi vedrà la luce, sarà sostenuto da forze politiche profondamente diverse tra loro. È lo sforzo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto ai partiti: fare un passo indietro e trovare la quadra per il bene del Paese. C'è chi (è la posizione di Forza Italia e di Italia Viva) "farà la propria parte" nel sostenere il nuovo esecutivo. E c'è chi (è la posizione di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d'Italia) non vede di buon occhio un'operazione che finirebbe per tradire il dna del proprio partito e quindi, con coerenza, se ne sta alla larga. C'è, poi, chi (è la posizione della sinistra più livorosa) vuole sì essere della partita ma si permette di dispensare "patentini" di incompatibilità che ovviamente tagliano fuori la Lega di Matteo Salvini e più in generale le "forze sovraniste di destra".

È la solita superiorità morale della sinistra. Non appena Mattarella ha conferito a Mario Draghi l'incarico di formare un governo sostenuto dalla più ampia maggioranza possibile, gli ultrà del Partito democratico hanno subito alzato la voce. "Una personalità competente come Draghi merita il sostegno di una maggioranza ampia e coesa", ha subito tuonato l'ex presidente della Camera Laura Boldrini. "C'è però un confine politico invalicabile - ha sentenziato - il Partito Democratico non può governare con la destra antieuropeista e sovranista". Non è l'unica a pensarla così all'interno del suo partito. E, mentre l'ex governatore della Bce prosegue le consultazioni nel tentativo di fare sintesi tra richieste antitetiche avanzate dai partiti pronti a sostenerlo, le voci di dissenso montano trasformando il brusio di sottofondo in un urlo violento. Nei giorni scorsi Nicola Zingaretti ha fissato i "paletti" entro i quali vorrebbe che venga costruito il nuovo esecutivo. Niente di nuovo. Le solite chimere dem: l'europeismo, la green economy, la riforma del fisco con un veto inderogabile alla flat tax e la riforma della giustizi. "Tutti temi sui quali siamo in antitesi con la Lega", fanno notare dal Pd. "Un governo forte lo fai solo con un programma forte e con un'alleanza larga così divisa è complicato".

I più moderati, all'interno del Partito democratico, lasciano la palla in mano a Draghi. "Sarà lui a dover fare la sintesi e dover scegliere che tipo di esecutivo mettere in campo", dicono. "Se un governo politico, sostenuto da una maggioranza 'credibile e compatta' - è il ragionamento - o un esecutivo di tutti, con un tasso di partecipazione dei partiti ridotto ai minimi termini e un mandato 'quasi elettorale'". I duri e puri non sono, però, malleabili. E la sola ipotesi di un esecutivo allargato li spinge ad alzare i toni. Il diktat è "Mai con Salvini". Questa mattina lo hanno scandito sia Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, in una intervista alla Repubblica ("Se il programma del premier punta su ciò che serve al Paese non c'è spazio per la destra sovranista"), sia il commissario piddì in Umbria, Enrico Rossi, in un post su Facebook ("Dobbiamo fare un governo europeista e serio che non può avere al suo interno i sovranisti antieuropeisti"). Meglio riprendere a marciare con i vecchi alleati: i Cinque Stelle, su cui non più di un anno fa c'era un vero e proprio veto, e Matteo Renzi, che in più di un'occasione hanno bollato con lo stigma del "traditore".

Le posizioni degli ultrà dem ricalcano gli anatemi dei compagni di Liberi e Uguali ("Questa maggioranza è incompatibile con la presenza di forze come la Lega e le forze sovraniste della destra") e fanno apparire Luigi Di Maio più possibilista. Forse perché il capo Cinque Stelle, al governo con Salvini, c'è già stato, non sembra recalcitrante a tornare a lavorare insieme anche se crede che "si debba preservare la maggioranza che finora ha lavorato compatta e mi riferisco a M5S, Pd e Leu". Quello che proprio non gli va giù, è un governo con Silvio Berlusconi. "Ho già detto di no una volta. È agli atti", ha detto in una intervista alla Stampa. "Malgrado ciò non le nego che con alcuni esponenti di Forza Italia ho rapporti cordiali e costruttivi - aggiunge - ci sono le idee politiche ma, fortunatamente, anche i valori umani". Anche lui, come Zingaretti, deve tenere a bada gli ultrà che non vogliono sostenere Draghi e finire così a siglare un'alleanza con il centrodestra. Uno su tutti: Alessandro Di Battista. "Io non sosterrò mai un governo sostenuto da Forza Italia", tuona su Facebook definendo i fan del banchiere "un'accozzaglia". Nel dna di Dibba scorre lo stesso odio della sinistra che, anziché ragionare sui contenuti, si arroga il diritto di disporre chi può sedere al tavolo e chi va relegato nelle fogne. È così da sempre.

Ogni partito è libero di decidere se essere nella squadra di Draghi oppure chiamarsi fuori e combatterlo stando all'opposizione. Imporre chi può stare dentro e chi no è una violenza ideologica che alberga unicamente nella sinistra. Anche Salvini, che inizialmente era riottoso a tornare a dialogare con i Cinque Stelle, alla fine ha fatto cadere il proprio veto. "Chi sono io per dire 'tu no' - ha detto ai suoi ieri - noi, con Draghi, non diremo non voglio tizio". Un'apertura che non ha certo ammorbidito le posizioni della sinistra più radicale. "Non capisco Salvini...", ha commentato la Meloni. "Il Pd va bene? La Boldrini e LeU vanno bene? Qualcosa mi sfugge".

Persone:  Matteo Salvini Giorgia Meloni
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Published on February 06, 2021 02:08

February 2, 2021

"Attenzione alla conservazione". Ma Arcuri ignora il piano vaccini

Andrea Indini

Il piano vaccini presentato dai "tecnici del freddo" snobbato da Arcuri. E ora sorgono i primi dubbi. Il sindaco Riboldi: "Il cartone con il ghiaccio secco ha una durata limitata"

Forse a Roma si sono dimenticati (o, peggio, non lo sanno) che Casale Monferrato è la capitale del freddo. Il primo frigo di refrigerazione industriale in Europa è nato qui. Era il 1948. Un macellaio aveva l'esigenza di conservare la carne. Così, dopo aver comprato alcuni compressori per il raffreddamento dei cingoli, che l'esercito americano che non avrebbe riportato in patria, li ha assemblati ad una cella di paglia e lamiera dando vita alla prima cella frigorifera per la conservazione delle carni. In un anno quella singola cella frigorifera è diventata una grande azienda, una spa che ha conquistato il mercato globale. Oggi è imitatissima in tutta Europa. "La refrigerazione commerciale è patrimonio della nostra comunità - racconta il sindaco di Casale, Federico Riboldi - abbiamo tecnici di altissimo profilo, grandi capacità, tra le migliori aziende al mondo nelle tecnologie green per la refrigerazione e una delle migliori al mondo per le basse temperature". E allora perché il ministro della Salute Roberto Speranza e il commissario straordinario all'emergenza coronavirus Domenico Arcuri hanno deliberatamente deciso di fare di testa loro sui vaccini? Impossibile saperlo. Quello che, però, sappiamo è che il risultato dell'operazione messa in piedi dal governo rischia di non essere all'altezza delle esigenze.

Il piano ignorato da Arcuri

Quando l'anno scorso si è iniziato a parlare di vaccino anti Covid-19, a Casale Monferrato si sono subito messi a disposizione del governo e del Paese per il trasporto delle dosi. È stata così creata una sorta di task force a cui facevano riferimento tutte le aziende del settore. Per farsi un'idea dell'eccellenza di cui stiamo parlando basta fare un giro sul sito capitaledelfreddo.it. Trenta aziende hanno messo insieme i loro tecnici migliori che, nel giro di poche settimane, hanno elaborato una proposta ben articolata, in cui veniva dettagliata la gestione della conservazione e della distribuzione dei vaccini non solo sul proprio territorio ma in tutta Italia, e l'hanno inviata a Roma. "Sono rimasto colpito da un servizio televisivo dove abbiamo visto che i vaccini vengono stoccati in scatole con ghiaccio secco con scritto sopra, a pennarello, il nome di destinazione", ha commentato il sindaco Riboldi durante la presentazione del Libro nero del coronavirus (Historica Edizioni) che lo scorso sabato si è tenuto nello studio legale Vivani & Marson di Savona.

I rischi nei trasporti

"Avevamo inteso che il problema logistico fosse più delicato e per questo avevamo messo a disposizione le competenze dei nostri tecnici del freddo, che non hanno eguali in Europa", ha detto Riboldi spiegando che "occorre assoluta attenzione al mantenimento delle temperature, un vaccino che subisce sbalzi termini non è più efficace ma non lo da a vedere come un alimento deperito". Oltre alle tempistiche allucinanti a preoccupare è, infatti, il livello di conservazione. Se un vaccino come quello prodotto da Pfizer va a una temperatura inferiore a -30° C anche solo per una trentina di minuti, non è più efficace. Non lo si vede subito, ma si notano le conseguenze sulle persone. Anche nei posti di stoccaggio il controllo della temperatura è una "garanzia per la qualità dei medicinali". Al fine di evitare la compromissione delle dosi le aziende di Casale Monferrato avevano proposto ad Arcuri di usare celle eutettiche a -20° C e all'interno un frigorifero installato a -80° C garantendo capillarità di distribuzione in tutta Italia e nel giro di una sola settimana.

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Un sistema perfetto

Il fulcro del lavoro fatto a Casale e su cui Arcuri avrebbe dovuto interrogarsi è questo: perché è più sicuro avere un secondo frigo all'interno della cella eutettica anziché servirsi di cartoni stoccaggio con ghiaccio secco? "Il cartone con il ghiaccio secco ha una durata limitata - ha fatto notare Riboldi - la cella refrigerata con frigo supplementare interno ha una durata potenzialmente infinita". La cella eutettica a -20° C garantisce, invece, al frigo a -80° C di non andare mai in sovra utilizzo e, non essendo alimentata da energia diretta ma da una batteria di ricarica, garantisce, nel caso di un guasto momentaneo del frigo, il mantenimento di una temperatura sufficiente a non danneggiare il vaccino e arrivare indenne al primo punto di assistenza programmata. "Era un sistema perfetto, era studiato dai migliori tecnici al mondo del freddo - ha, infine, concluso Riboldi - c'è ancora il tempo affinché il governo affidi al progetto la seconda fase di vaccini. Anche Israele si è affidato all’esperienza delle aziende di Casale Monferrato, contiamo che anche l’Italia ne faccia tesoro".

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Tag:  vaccini Speciale:  Coronavirus focus Persone:  Domenico Arcuri Roberto Speranza
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Published on February 02, 2021 23:32

GameStop, fine dei giochi: ecco chi perde e chi vince

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Published on February 02, 2021 08:34

February 1, 2021

Tutti gli intrighi della Finanza dentro il casinò di Wall Street

Chi ha guadagnato dal boom di GameStop? Spuntano nove grandi investitori e poi ci sono gli interessi e la quotazione di RobinHood

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Published on February 01, 2021 08:53

January 31, 2021

GameStop, ecco chi tira i fili dei Robin Hood della Finanza

È davvero la rivincita dei piccoli trader? Oppure è un altro strumento della finanza? Lo spieghiamo in questo articolo

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Published on January 31, 2021 07:56

January 30, 2021

Lo stato di emergenza perenne per coprire gli errori del governo

Giuseppe De Lorenzo Andrea Indini

Come ha fatto Conte a rendere perenne l'emergenza? Dove ha sbagliato? Ma soprattutto: cosa ha tenuto nascosto? Gli italiani ora pretendono risposte

Quanto può durare un'emergenza? Di solito poco, giusto il tempo di risolverla. Perché va da sé che prorogarla significherebbe mettere in pericolo le persone. Non è stato così, però, nella gestione del coronavirus. Il governo Conte ha sottovalutato una circostanza imprevista, un incidente che aveva dato tutte le avvisaglie di quanto potesse essere dannoso per la popolazione, e l'ha resa endemica. Dal 31 gennaio 2020 ci troviamo in uno stato di emergenza perenne. Il momento critico, che un anno fa richiedeva un intervento immediato, si è protratto nelle settimane e, poi, nei mesi. Ma perché lo ha fatto? Dove ha sbagliato? Ma soprattutto: cosa ci ha tenuto nascosto?

Il governo parte col piede sbagliato

Quando il 31 gennaio due turisti cinesi vengono ricoverati d'urgenza all'ospedale Spallanzani di Roma dopo essere risultati positivi al coronavirus, il Consiglio dei ministri si fionda a decretare lo stato di emergenza, stanzia appena 5 milioni di euro sul fondo per le emergenze nazionali e nomina il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, commissario per la gestione dell'emergenza. Come ricostruito nel Libro nero del coronavirus (Historica Edizioni), una scelta che lascia parecchi dubbi. È vero che c'è una legge ben precisa che affida alla Protezione civile la gestione delle emergenze nazionali, ma è anche vero che il neo commissario non sa nulla di virus e tantomeno di virus sconosciuti. Sin dai primi momenti, quando ancora l'opinione pubblica sottovaluta la portata della pandemia che da lì a poco investirà il mondo intero, si intravede tuttavia l'incapacità dell'esecutivo di gestire una situazione più grande di lui e per cui non si è preparato negli anni passati. Anni segnati, dal governo Monti in poi, di pesantissimi tagli alla sanità. Organizzare un intero Paese ad affrontare una minaccia come questa risulta una vera e propria utopia.

Speranza messo in un angolo

Per quale motivo il premier Giuseppe Conte sfila il dossier dalle mani del ministro della Salute, Roberto Speranza? Non è lui a gestire i rapporti con la Cina quando da Wuhan emergono i primissimi casi di "polmoniti anomale"? Cosa succede a fine di gennaio per optare un drastico cambio di passo e affidare la gestione dell'emergenza a Borrelli? Al Comitato operativo della Protezione civile, che si avvale di 21 tecnici tra rappresentanti dei Vigili del Fuoco, Forza armate, Forze di Polizia, Croce Rossa, Servizio sanitario nazionale, organizzazioni nazionali di volontariato, Soccorso alpino e Cnr, viene chiesto di assicurare la direzione e il coordinamento delle attività di emergenza, nella fattispecie deve "valutare le notizie, i dati e le richieste provenienti dalle zone interessate dall’emergenza, definire le strategie di intervento e coordinare in un quadro unitario gli interventi di tutte le amministrazioni ed enti interessati al soccorso". Un'attività che, come purtroppo sappiamo, non gli riuscirà affatto bene. Sin dalle prime battute la decisione di fissare (ogni giorno alle 18 in punto) un bollettino per elencare il numeo di contagiati, morti e guariti, non fa altro che gettare l'intera popolazione nell'insicurezza. Gli italiani sono disorientati. La politica, poi, ci mette il carico da novanta. Sono i giorni della campagna "Milano non si ferma" del sindaco Beppe Sala, degli spritz sui Navigli del leader piddì Nicola Zingaretti e dei selfie in pizzeria di Giorgio Gori e consorte.

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Il dualismo col ministero della Salute

Ben presto la concorrenza tra la Protezione civile e il ministero della Salute finisce per complicare una situazione già di per sé difficile. Come ricostruito nel Libro nero del coronavirus, infatti, Pierpaolo Sileri non accetta l'idea di "delegare funzioni e compiti". Vuole che il dicastero dove lavora sia centrale nelle scelte governative sulla lotta al virus. Un protagonismo che, però, non piace a Speranza con cui si verificano subito forti dissapori. "Credo che il ministro non abbia mai voluto fare il commissario - ammetterà più avanti Sileri con una punta di amarezza - non è nel suo carattere…". In realtà, in quei giorni, il ministro è tutt'altro che immobile. Nella prima metà di febbraio i suoi uomini sono già al lavoro per cercare di capire cosa sta per investire l'Italia e non è affatto vero che non ci arrivano. Ci arrivano eccome. Solo che i tecnici vengono costretti a mantenere un alto livello di segretezza. E così il piano anti Covid, che avrebbe potuto allertare le Regioni della tempesta che gli si sarebbe abbattuta addosso di lì a poco, finisce chiuso in un cassetto.

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L'immobilismo di Palazzo Chigi

I primi giorni dell'emergenza Conte si fionda da una televisione all'altra. Il suo obiettivo è rassicurare il Paese. Vuole far passare il messaggio che il governo è "prontissimo" ad affrontare il virus. Peccato non sia così. Al ministero della Salute credono ancora che "il rischio di introduzione dell’infezione in Europa, attraverso casi importati, sia moderato". A rileggere oggi la circolare numero 1997, in cui viene messa nero su bianco la necessità di raccogliere "maggiori informazioni per comprendere meglio le modalità di trasmissione e le manifestazioni cliniche di questo nuovo virus", appare evidente l'inadeguatezza del governo. Nonostante già a fine gennaio Conte sia conscio del fatto che deve "provvedere tempestivamente" a mettere in campo "iniziative di carattere straordinario" dal momento che questo tipo di emergenza, "per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari", nessuno muove un dito per almeno tre settimane. E non è che dopo recuperano il terreno perduto. Anzi. Da un anno a questa parte non riescono a fare altro che chiudere e riaprire il Pase. In un'altalena di lockdown decisi sulla scorta di algoritmi che continuano a cambiare il Paese assiste (impassibile) al teatrino di un esecutivo incapace di invertire la curva dei decessi, di garantire a tutti il diritto alle cure, di mettere in sicurezza il Paese per evitarne la bancarotta e di legare lo Stato a un debito che difficilmente estinguerà a breve.

Tag:  stato di emergenza Speciale:  Coronavirus focus Persone:  Giuseppe Conte Roberto Speranza Angelo Borrelli
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Published on January 30, 2021 22:31

January 25, 2021

Cashback, la grande incognita: "Perché i soldi sono a rischio..."

Andrea Indini

Il cashback tra ritardi e disservizi. Un mese di passi falsi del governo nel racconto di chi ha provato a usare l'app IO e per ora non ha ancora visto un centesimo

Il cashback è stato sin dall'inizio un lontano miraggio. Ad oggi nulla è cambiato. Anzi, qualcosa potrebbe anche essere peggiorata. La scorsa settimana molti si erano lamentati del fatto che il portafoglio all'interno dell'app Io non fosse fermo all'8 gennaio. Le operazioni effettuate ai fini del cashback con le proprie carte, specialmente quelle fatte tramite contactless, avevano smesso di essere registrate. "Entro il 20 gennaio - assicurava un avviso dell'applicazione - verranno recuperate le eventuali transazioni PagoBANCOMAT mancanti". Per Federconsumatori è stata la riprova di problemi tecnici dovuti forse al sovraccarico, di cui i gestori dell'app sono consapevoli ed a cui stanno tentando di porre rimedio". Il punto è che sin dai primi di dicembre, quando cioè è partita l'intera operazione, ritardi e disservizi hanno caratterizzato l'ennesimo flop del governo giallorosso.

La riffa del cashback parte subito in farsa. "Ai primi di dicembre mi sono preparato scaricando lo spid", ci racconta un operatore di Borsa, assiduo lettore del Giornale.it, che con noi ha voluto condividere tutte le difficoltà riscontrate con quello che a detta del premier Giuseppe Conte avrebbe dovuto essere "il primo passo verso la digitalizzazione del Paese nei pagamenti". E, se il buongiorno si vede dal mattino, che di tipo di giornata sarebbe stata lo abbiamo capito subito l'8 dicembre. "Provo tutta la mattina ma non riesco - ci racconta il nostro lettore - non capisco se è un problema di spid o di sovraccarico". Soltanto a tarda sera risulta tutto a posto. O quasi. L'app non è così immediata per chi non ha dimestichezza con certe sistemi di pagamento. "Il 9 dicembre faccio i primi acquisti - continua - solo l'indomani mi accorgo di non aver attivato il collegamento con le banche". L'11 si ricomincia da capo. Nuovo problema: cosa comprare? Non sono giorni facili per lo shopping. Milano (e la Lombardia) sono ancora arancione e così le limitazioni impediscono il classico struscio in centro per fare i regali di Natale. In molti, poi, si erano già attrezzati online per evitare di rimanere tagliati fuori all'ultimo momento. Per ottenere il primo cashback, però, il ministero dell'Economia ha fissato un obiettivo arduo da raggiungere: dieci transazioni entro fine anno. "Dopo i primi due giorni mi accorgo che è difficile - ci racconta il lettore - Amazon fa strage di 'strisciate' che non valgono ai fini del conteggio per il cashback". Cosa resta, dunque? "Il supermercato e la farmacia visto che in periferia non c'è neanche una libreria...".

Quando finalmente la Lombardia passa da arancione a gialla, il centro di Milano e le vie dello shopping tornano a popolarsi. E subito il governo punta il dito contro gli assembramenti che inevitabilmente si registrano in quasi tutte le città d'Italia. Le persone che si mettono in coda per fare i regali di Natale vengono demonizzate e su di loro viene puntato il dito. L'accusa è di mettere a rischio i sacrifici sin qui fatti dagli italiani, di mettere a rischio le festività. Sui talk show si accalcano i soliti virologi allarmisti che tuonano anatemi e avanzano previsioni a tinte fosche. Il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri va a Che tempo che fa parla di "insopportabili assembramenti di persone" e minaccia l'avvento della terza ondata. "Il desiderio, comprensibile, di tornare alla normalità deve aspettare un altro po' di tempo - dice - serve il vaccino, arriviamoci". E sì che è stato il governo giallorosso a inventarsi il cashback natalizio con tanto di premio extra escludendo gli acquisti online per incentivare quelli nei negozi. In molti gli hanno dato retta e si sono fatti prendere la febbre del rimborso. I dati diffusi dal governo a primi di gennaio parlano di oltre 5 milioni e 700mila italiani che si sono registrati.

"Quando ho scaricato l'app Io - ci racconta il lettore - l'ho messa al centro della prima schermata del mio smartphone". Ben presto si accorge di controllarla in continuazione. Col dito va a cercare il numero delle transazioni effettuate che non vengono mai registrate immediatamente. Alcune arrivano il giorno dopo, altre dopo tre o quattro giorni dopo. "Finalmente arriva il 31 dicembre - continua - l'obiettivo è raggiunto: sono riuscito a fare 15 transazioni e a portami a casa 42,01 euro". Pochi spicci. Deciso di darli in beneficenza. Quando arriveranno il prossimo primo marzo. Nel frattempo la raccolta riparte da zero. Per il primo semestre del 2021 serve un nuovo obiettivo: rientrare nei primi 100mila per provare a incassare il premio da 1.500 euro. "Non dev'essere poi così difficile - si dice - molta gente non avrà nemmeno scaricato l'app IO per paura di dover dare la carta di credito e rivelare i movimenti del proprio conto corrente... è la stessa gente che non si fa alcun problema a cedere i propri dati a Amazon, Google, Paypal, ma questo è un altro discorso. Meno sono, meglio è per me". Questo il ragionamento. Puro e semplice.

Con il nuovo anno, il nostro lettore decide di fare qualunque transazione con la carta di credito o con il bancomat. Anche i 2 euro e 40 centesimi dal panettiere o l'euro e cinquanta dal giornalaio. L'obbiettivo del governo giallorosso è proprio questo: abituare a poco a poco la gente ad usare le carte di credito per eliminare il contante. "Nei primi dieci giorni di gennaio - ci spiega - faccio mediamente un paio di transazioni al giorno. In attesa che mi diano la posizione in classifica, continuo a guardare l'app IO". Fino al 18 gennaio non succede nulla. Poi il primo resoconto: 31 transazioni, 42.910° posto in classifica. "Mi informo in giro - ci confida - chiedo agli amici e alle persone che conosco se stanno facendo anche loro la corsa al cashbak: la maggior parte non lo fa perché è convinta che alla fine non daranno i soldi promessi". Anche nei corridoi della politica si inizia a sussurrare che l'operazione verrà sospesa per destinare i soldi alla ristorazione. L'ipotesi è stata avanzata nei giorni scorsi da Italia Viva. "Le necessità economiche evolvono di mese in mese - ha il viceministro dell'Economia, Laura Castelli, ai microfoni di Radio Anch'io - francamente non escludo mai niente, ho imparato questo perchè il Covid ci ha obbligato a ragionare in maniera diversa dall'ordinario". Si vedrà. Nel frattempo chi si è avventurato nell'impresa non molla. Anche per il nostro lettore è diventato una sorta di chiodo fisso: "Mi accorgo di consultare l'app IO in ogni momento. Fino a qualche settimana fa mi alzavo alle 3 di notte - ci confida - per consultare borse asiatiche, futures, valute e Bitcoin. Ora l'applicazione bianca e blu è la prima cosa che guardo". Intorno alle 8,30 di ogni mattina viene aggiornata la posizione. "Non va bene - ci dice - c'è chi mi supera 52.100, 56.501, 65.801... È una guerra lunga ed estenuante". Sempre col solito dubbio: pagheranno? "Ci risentiamo il primo marzo - ci scrive - e vediamo se hanno pagato il cashback di dicembre".

Sulla data dei rimborsi può cascare un'altra tegola legata alla crisi di governo. Un esecutivo ballerino potrebbe avere grossi problemi nelle Commissioni. E proprio sul cashback è intervenuto l'ex vicemnistro all'Economia, Enrico Zanetti: "Quando poi in commissione bilancio vai sotto e passano emendamenti che, ad esempio, azzerano i 4,7 miliardi di cashback stanziati sul 2021 e 2022 per chi già paga con carta di credito e li usano per finanziare 4,7 miliardi in più di ristori a chi non sta incassando un euro, forse ti rendi conto che non stai governando un bel niente. E per fortuna...". Un avvertimento non da poco. Le risorse per i rimborsi potrebbero saltare del tutto

Tag:  cashback governo contante Persone:  Giuseppe Conte
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Published on January 25, 2021 03:24

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