Andrea Indini's Blog, page 68
October 3, 2020
Simpson, il messaggio nascosto. Che cosa rivela la famiglia gialla
Andrea Indini

Aristotele, Kant, Heidegger e Nietzsche spiegano la serie tv che da trent'anni ci racconta i sogni e i fallimenti di una famiglia che ci assomiglia tantissimo
Non fatevi trarre in inganno: è tutto maledettamente serio. Anzi, filosoficamente serio. Per capire nel profondo le creature di Matt Groening e almeno qualcuna delle inumerevoli sfacettature della società statunitense contemporanea affidatevi a un affascinante tomo curato da William Irwin, Mark T.Conard e Aeon J. Skoble e pubblicato in Italia da Blackie Edizioni: I Simpson e la filosofia. L'intento è specificato già nel sottotitolo: capire il mondo grazie a Homer, Nietzsche e soci. Diciotto trattati, affidati ad altrettanti filosofi, vi aiuteranno a capire meglio quello che, probabilmente, è uno dei più grandi artefatti culturali degli ultimi trent'anni.
Probabilmente quella che vi troverete a maneggiare è l'opera definitiva sui Simpson, una serie televisiva che ci mette davanti "glorie e bassezze di una famiglia gialla che ci assomiglia molto" e che per questo sentiamo molto vicina. I caratteri e le gesta di Homer, Marge, Bart, Lisa, Meggie e di tutti gli abitanti di Springfield diventano così l'occasione per scrivere "un'introduzione, divertente e al tempo stesso rigorosissima, all'opera di pensatori come Aristotele, Kant, Heidegger, Sartre e molti altri". Non un percorso facile perché rilancia temi che hanno a che fare con la nostra quotidianità e che portano il lettore a interrogarsi, facendo un passo oltre le divertenti avventure dei Simpson. L'obiettivo dell'opera, infatti, non è certo quello di "abbassare" il livello dei grandi pensatori ma di avvicinarli a chi solitamente non li mastica. I curatori non credono certo che i personaggi di Groening "siano l'equivalente delle maggiori opere letterarie della storia, tanto profondi da illuminare il comportamento umano in un modo sinora inedito", ma li ritengono "abbastanza profondi e certamente abbastanza divertenti da giustificare una seria considerazione". E così: studiare il carattere Homer aiuta a capire quello che Aristotele scriveva nell'Etica Eudemia. "Sfugge alla nostra indagine che cosa sia il bene e che cosa sia il buono nella vita". Tradotto con parole più esemplificative: "Se Homer Simpson se la cava piuttosto male dal punto di vista morale, come fa a essere ammirevole?".
La domanda posta da Raja Halwani, assistant professor di Filosofia al dipartimento di Arti liberali della School of the Art Instiutute di Chicago, è solo una delle tante che l'opera mette a tema. La figura di Lisa, la secondogenita dei Simpson, serve a sviscerare quel rapporto di amore e odio che la società americana nutre nei confronti degli intelletuali e dell'elitarismo e a condannarlo. "Chi difende l'uomo comune dovrebbe farlo senza sminuire le conquiste di coloro che sono istruiti - spiega Aeon J. Skoble - un approccio contrario equivale a difendere il diritto di Homer di vivere da stupido criticando Lisa per la sua intelligenza". E, sebbene molti filosofi siano propensi a credere che non abbia il diritto di farlo, per Skoble è più importante sottolineare che questo atteggiamento è deprecabile perché scoraggia lo sviluppo della nazione e dei singoli individui. Il livello, insomma, è decisamente alto. Tanto da capire l'importanza di "scomodare" così tanti filosofi per spiegare un cartone animato. E non sono nemmeno così tanti se si tiene presente, come specificato anche nell'introduzione, che per realizzare un singolo episodio dei Simpson ci vogliono "trecento persone per otto mesi al costo di un milione e mezzo di dollari". Una vera e propria industria che aiuta a muovere l'economia americana e a spostarne l'opinione pubblica. Perché, si sa, a guardare questa serie tv non sono solo gli adolescenti che guardano a Bart come una sorta di "esempio cautelativo", parte integrante "della decadenza e del nichilismo che pervade la nostra società".
Perché, dunque, guardare i Simpson? La loro comicità, per dirla con le parole di Nietzsche, diventa uno "sfogo del disgustoso dell'assurdo". "Come satira sociale, come commento sulla società contemporanea, raggiungono spesso una straordinaria intensità", spiega Mark T. Conrad nel capitolo su Bart e la virtù della cattiveria. "Non di rado è davvero eccellente, nella migliore accezione greca del termine. E generalmente raggiunge questa eccellenza prendendo i disparati elementi della caotica vita americana e riplasmandoli, dando loro forma, dando loro stile, forgiandoli in qualcosa di sensato e a volte di bellissimo, anche se si tratta solo di un cartone animato".
Tag:
Simpson
Persone:
Matt Groening
October 1, 2020
Grande farsa Ue sui migranti: ricollocati solo 33 su 24mila

L'Ue costretta ad ammettere il proprio fallimento: dei 24mila immigrati sbarcati nel 2020 ne sono stato ricollocati solo 33
Il grafico del Viminale illustra la situazione relativa al numero degli immigrati clandestini che sono sbarcati sulle coste italiane negli ultimi tre anni. La prima colonnina blu è relativa al 2018 e conta ben 21.112 arrivi. Quella successiva di un colore rosso acceso certifica il successo di Matteo Salvini al ministero dell'Interno: il numero degli irregolari sbarcati nel nostro Paese scende vorticosamente a 7.722. L'ultima, per uno scherzo del destino, è verde ma non verde leghista. Il Viminale è ormai gestito da Luciana Lamorgese e al governo siedono democratici, grillini e renziani. La loro gestione dei flussi migratori è a dir poco disastrosa. La terza colonnina, sebbene copra solo fino al primo ottobre, è già oltre quella relativa al 2018: si sfiorano i 24mila. Per l'esattezza: 23.726. E di questi ne sono stati ricollocati appena 33.
Che i ricollocamenti siano una farsa è ormai sotto gli occhi di tutti. Eppure a Bruxelles continuano a usare parole come "solidarietà" e "accoglienza". Anche il nuovo Patto sulle migrazioni e l'asilo, recentemente presentato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, auspica un "allentamento della pressione migratoria sui Paesi costieri" attraverso una "solidarietà obbligatoria tra Stati membri". Bisogna sperare che in futuro in Europa cambi qualcosa, perché sino a oggi gli Stati membri si sono dimostrati sordi al grido di allarme lanciato in continuazione dal nostro Paese. A smascherare tutto questo egoismo è stata l'eurodeputata della Lega, Silvia Sardone, presentando una interrogazione prioritaria per sapere l'esatto numero degli immigrati ricollocati quest'anno. Nei giorni scorsi, infatti, alcuni quotidiani avevano pubblicato un report del Viminale in cui si ammetteva che nessuno dei migranti sbarcati quest'anno in Italia era stato redistribuito in un altro Paese dell'Unione europea.
In realtà la cifra non è esatta. Ma non di molto. "Ad oggi 335 richiedenti sono stati trasferiti dall'Italia in altri Stati membri, compresi 302 provenineti da sbarchi che hanno avuto luogo nel 2019, e 33 da sbarchi che hanno avuto luogo nel 2020", ha spiegato Ylva Johansson, da quest'anno commissario agli Affari interni della commissione von der Leyen. Trentatré, dunque. Una cifra a dir poco umiliante per il nostro Paese che da sempre è il primo porto di sbarco della stragrande maggioranza dei disperati che partono dalle coste del Nord Africa. Ma non solo. Perché i 23.726 arrivati dall'inizio dell'anno non tengono conto degli "sbarchi fantasma" e della rotta che passa lungo il confine del Friuli Venezia Giulia. "In tale contesto - lamenta la Sardone - risulta assurdo che non ci sia alcuna solidarietà da altri Paesi europei, anche in considerazione dell'emergenza coronavirus".
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Ora possiamo sperare che nei prossimi mesi l'Unione europea compia uno sforzo maggiore. 544 immigrati sono attualmente in attesa di essere trasferiti dall'Italia. "Per 433 dei suddetti richiedenti il processo di ricollocazione è stato sospeso nel marzo del 2020 a causa delle restrizioni connesse al Covid-19 ed è stato ripreso nel giugno 2020, quando sono state revocate le restrizioni le restrizioni", ha spiegato la Johansson. "Per gli altri 111, sbarcati dal giugno 2020, sono state recentemente disposte le ricollocazioni". C'è da dire che 544 su 23.726 non sono granché. Ma sono sicuramente meglio di 33. Sono numeri francamente ridicoli, che confermano il fallimento delle politiche dell'Unione europea e del governo italiano sull'immigrazione", ha commentato la Sardone. Ai disastri di Bruxelles si sommano i colpevoli silenzi dei giallorossi. Il tutto mentre Salvini si appresta ad andare a processo per aver cercato di combattere l'immigrazione clandestina e i trafficanti di esseri umani. "Non si può più tollerare una situazione di questo tipo". Una situazione che rischia solo di peggiorare ora che il premier Giuseppe Conte ha dato il via libera a spianare i decreti Sicurezza. Insieme alla finta riforma del Trattato di Dublino, si prepara la strada per l'ennesimo disastro che renderà il nostro Paese sempre più il campo profughi d'Europa.
Tag:
immigrazione
Unione europea (Ue)
September 30, 2020
Zingaretti choc contro la Lega: "L'Italia sarebbe un Paese morto..."

L'attacco del segretario dem: "Se avesse vinto Salvini durante il tempo del Covid, oggi l'Italia sarebbe un Paese morto". Il leghista: "Vergognati"
Da Legnano, durante una delle tante iniziative elettorali, che in questi giorni toccano quei Comuni che domenica prossima saranno chiamati al ballottaggio, Nicola Zingaretti ha sferrato un attacco pesantissimo a Matteo Salvini. "Se avesse vinto il nazionalismo leghista di Salvini durante il tempo del Covid - ha detto il segretario piddì - oggi l'Italia sarebbe un Paese morto". Parole di una violenza inaudita pronunciate in una regione, la Lombardia, che più di tutte le altre ha pianto le vittime dell'epidemia da coronavirus. "Che pena, che squallore con 35mila morti, che schifo...", ha replicato con amarezza il leader del Carroccio davanti alla violenza verbale del segretario dem.
Pur accusando la destra in generale di usare "slogan, odio e rigurgiti neofascisti", Zingaretti è il primo a servirsi di parole cariche d'odio per attaccare gli avversari. Già a fine agosto, alla Festa dell'Unità al Parco Nord di Bologna, aveva insultato pensantemente sia Salvini sia Giorgia Meloni. "Se oggi su 750 miliardi di Recovery Fund oltre 200 arriveranno a noi è perché ci siamo impegnati nella trattativa", si era vantato prima di sferrare l'attacco: "Se avessimo avuto al governo Salvini e Meloni, che ogni giorno attaccano l’Europa e che sul virus hanno gli atteggiamenti negazionisti dei loro amici Bolsonaro e Orban, dove saremmo oggi? Con le fosse comuni sulle spiagge?". A parte i diretti interessati nessuno aveva chiesto conto al segretario piddino di quelle parole fuori luogo che non solo calpestavano gli sforzi fatti dalle regioni del Nord Italia, tutte guidate dal centrodestra, ma che non mostravano nemmeno un minimo di sensibilità per le migliaia di morti che ci sono state proprio in quelle terre. Quel che più rammarica è che non si trattò di uno scivolone, di un incidente di percorso. Questa sera se ne è, infatti, uscito con affermazioni altrettanto gravi. "Se avesse vinto il nazionalismo leghista di Salvini durante il tempo del Covid - ha tuonato da Legnano - oggi l'Italia sarebbe un Paese morto, senza speranza, isolato in Europa".
E dire che il negazionismo di Zingaretti e di altri dem se lo ricordano ancora molti in Lombardia. Lui che se ne andava in giro a fare gli aperitivi a base di Spritz, brindando allo slogan "Milano non si ferma" coniato dal sindaco Beppe Sala contro le restrizioni decise proprio per evitare la diffusione del virus. Lui che per colpa di quei brindisi era finito a letto contagiato. Proprio di quei giorni è tornato a parlare anche questa sera, prima di incontrare il primo cittadino di Milano a Legnano. "L'ultima volta che sono venuto in Lombardia, a Milano, ve la ricordate, con tutte le polemiche su quel famoso aperitivo... ma anche su questo bisogna sgomberare il campo dalle tante bugie che sono state dette". E ha raccontato la sua versione dei fatti: "Quel giorno ero venuto per portare solidarietà a una città ferita, rispettando le regole che la Regione Lombardia dava in quel periodo. Perchè io non mi permetterei mai di violare le regole o di suggerire a qualcuno di violarle come ha fatto qualche altro esponente politico". Di quella serata rimane ancora oggi un post su Facebook: si vede il segretario mentre brinda sorridente. "Non perdiamo le nostre abitudini - si legge nel post che accompagna lo scatto - non possiamo fermare Milano e l’Italia".
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Aldilà di come sia andata quella serata, nessuno degli "odiatori" di destra, in quell'occasione, lo aveva attaccato rinfacciandogli il suo "negazionismo". Anzi. Gli erano stati tutti (giustamente) vicini augurandogli una pronta guarigione. Oggi Zingaretti non si è dimostrato altrettanto corretto e le sue parole hanno scatenato l'ira di Salvini che, a Stasera Italia su Rete 4, ha replicato ricordandogli che non può andare a fare un comizio del genere "in una terra che ha sofferto, che ha pagato, con medici, con mamme e papà che non hanno rivisto i nonni e i figli, che si sono rimboccati le maniche, che è ripartita e che chiede solo di essere lasciata tranquilla".
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Coronavirus focus
Persone:
Nicola Zingaretti
Matteo Salvini
La babele dei tamponi di Conte: ecco tutti gli errori fatti
Andrea Indini

Il caso Genoa, la lite sugli asintomatici, i pochi reagenti e il ritardo sui test rapidi. Sette mesi di caos sui tamponi anti-Covid
Sembra solo ieri, eppure sono ormai passati otto mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza in Italia. Otto mesi, mica pochi. All’inizio non conoscevamo Sars-CoV-2, dunque un margine d’errore era quasi scontato. Poi però un’alba dietro l’altra, trascorsi circa 240 giorni, invece di migliorare siamo ancora qui a capire quante e quali armi affilare contro la pandemia, se fare i tamponi oppure no, se usare quelli molecolari, gli antigenici, i salivari o i sierologici. E questo, sì, è un problema.
Ieri il Cts ha dato il via libera all’utilizzo dei test rapidi nelle scuole. Ad oggi un bimbo con un banale raffreddore è costretto a rimanere a casa fino all’arrivo del risultato del tampone classico. Occorrono un paio di giorni per richiederlo, almeno uno per realizzarlo e altri due per ricevere il risultato. E così per colpa di un po’ di moccio vola via una settimana di scuola (e di lavoro per i genitori). Una trafila insostenibile, che - si spera - i test rapidi dovrebbero risolvere. Bene. Quel che tuttavia non si comprende, è per quale motivo ci sia voluto così tanto tempo per arrivare alla validazione di un sistema che all’aeroporto di Fiumicino si utilizza sin da Ferragosto. Invece di investire milioni di euro in banchi monoposto con cui distanziare alunni che al suono della campanella tornano ad abbracciarsi al parco giochi, non si poteva puntare tutto sul rendere il più rapido possibile lo screening di eventuali sintomatici? Forse sì, ma il ritardo non deve sorprendere. Sin dall’inizio della pandemia, infatti, il governo sul tema tamponi ha vacillato pericolosamente, incapace di indicare la retta via a tutto il Paese.
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Il primo errore ha forse contribuito a diffondere il virus a macchia d’olio. Come ricostruito nel Libro nero del Coronavirus. Segreti e retroscena della pandemia che ha sconvolto l’Italia (Historca Edizioni), il 22 gennaio una circolare del ministero della Salute permette di sottoporre a tampone chiunque si presenti in ospedale con sintomi anomali. La strategia è corretta e giustamente prudente. Poi però cinque giorni dopo Speranza fa un inatteso passo indietro e restringe il campo ai malati di polmonite che siano passati dalla Cina o siano stati a contatto con un positivo. Centinaia di persone sintomatiche, così, tra gennaio e febbraio circolano liberamente, convinti di essersi presi una banale influenza. Nessuno li sottopone a test, nonostante quella tosse così persistente, perché la circolare non lo prevede. E loro contribuiscono a diffondere il contagio.
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Ma di tentennamenti governativi è piena la storia di questo virus. Basti pensare al balletto “asintomatici sì, asintomatici no”. Oppure agli scontri sui test sierologici. O ancora alla diatriba sulle patenti di immunità in vista delle vacanze estive. Senza dimenticare, più recentemente, la "Waterloo dei tamponi" (Bassetti dixit) sulla positività dei calciatori del Genoa in Serie A. Fino alla scorsa settimana il protocollo prevedeva di sottoporre i campioni al test ogni quattro giorni. Poi Spadafora entusiasta ha annunciato "la riduzione dei tamponi, andando oltre la richiesta della Federcalcio". Oggi viene effettuato solo 48 ore prima del match (come altrove in Europa), a meno di situazioni particolari. Come il caso Genoa. Quando Perin e Schone sono risultati positivi, infatti, il team è stato costretto a due giri di test. I risultati sono stati incoraggianti e così la squadra è volata a Napoli rimediando sei gol. Dopo il match, la cruda verità: altri 12 sono positivi, forse hanno infettato gli avversari e campionato è già a rischio. E così il governo, che solo pochi giorni fa esultava per la riduzione dei test, ora chiede schizofrenicamente lo stop delle competizioni. La verità è che sul tracciamento dei contagi, per quanto Conte rivendichi di essere al top nel mondo, l’Italia ha vissuto (e in parte vive) un vero e proprio caos. Per capirlo basta guardare al tema dei reagenti: solo il Veneto, in totale autonomia e sfidando le indicazioni romane, è riuscito nella prima fase a tenere il ritmo dell’epidemia. Tutti gli altri sono stati costretti a centellinare i test per non rimanere senza.
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Ne sa qualcosa Delia Morotti, residente a Nembro, che la mattina del 23 febbraio va all’ospedale di Alzano Lombardo a trovare i due genitori ricoverati. La sua testimonianza esclusiva, contenuta nel Libro nero del Coronavirus, dimostra il caos di quei giorni. Delia e il marito sono al nosocomio quando la direzione scopre di avere un positivo tra i pazienti. I due per giorni continuano ad avere contatti con i parenti infetti, eppure nessuno li contatterà per sottoporli ad un tampone. Lo stesso accade in Emilia Romagna. A Medicina, uno dei focolai divenuto zona rossa, si verifica una situazione paradossale: i parenti di una delle prime vittime, sebbene rimangano a contatto per giorni con l’infetto, non vengono mai testati. Intanto però girano per la città, fanno la spesa, vivono. “La figlia continuava a lavorare”, racconta una fonte citata nel Libro nero del Coronavirus. Alla fine in famiglia si ammalano quasi tutti. E forse passano il virus ad amici e conoscenti. Un miglior sistema di tracciamento avrebbe evitato guai, ma l’Italia non era pronta. E non sembra esserlo neppure adesso.
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tampone
coronavirus
Covid-19
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Coronavirus focus
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Roberto Speranza
Giuseppe Conte
September 28, 2020
Pensioni, la Fornero gongola per l'abolizione di quota 100

L'annuncio di Conte di non rinnovare quota 100 fa scoppiare il caos. Lega e Fdi all'attacco, Fornero e Renzi soddisfatti
Pensioni. Si cambia un'altra volta. Il premier Giuseppe Conte è stato chiaro: quota 100, la riforma previdenziale per l'uscita anticipata voluta da Matteo Salvini per mettere una pezza a pasticci fatti dall'ex ministro Elsa Fornero quando era al governo con Mario Monti, non verrà rinnovata. Si torna indietro, dunque. A meno che il governo giallorosso non si inventi nuove regole per mandare in pensione i lavoratori. Sul tavolo ci sono già diverse ipotesi. La più in voga è quota 102, cioè 64 anni di età, due in più rispetto a quota 100, 38 di contributi e forti penalizzazioni (il 3 per cento) per ogni anno di anticipo. Si preannuncia, insomma, un'altra riforma destinata a far piangere tanti italiani. E, mentre Lega e Fratelli d'Italia promettono barricate, c'è chi gongola. "Si volta pagina", gioisce Matteo Renzi. "Era una misura demagogica e populista". Non è da meno la Fornero che, ancora una volta, non perde l'occasione di sparare contro il leader leghista.
Si preannuncia un autunno caldo. Dopo aver premuto l'acceleratore sull'abolizione dei decreti Sicurezza, Conte ha infatto messo in chiaro che il rinnovo di quota 100 "non è all'ordine del giorno". Un taglio netto con il passato che in qualche modo lo ancorava ancora a Salvini e a quell'anno trascorso a governare insieme. Non a caso a tra i primi a esultare era spuntato Renzi parlando di "svolta importante". "Dopo aver cambiato linea in Europa, torniamo alla serietà sulle pensioni rimediando ancora ai danni del governo populista", aveva poi continuato puntando al "prossimo obiettivo" da far ingoiare ai Cinque Stelle, ovvero l'accesso ai soldi del Fondo salva Stati. Tutta questa euforia ha ovviamente urtato Salvini che di quota 100 è il padre politico. Promessa in campagna elettorale, ha fatto di tutto perché divenisse realtà subito, anche a costo di non renderla strutturale ma triennale. Davanti all'ennesimo blitz di Conte ha risposto promettendo barricate dentro e fuori dal parlamento. "Vogliono tornare alla legge Fornero - ha tuonato - non glielo permetteremo. Non si scherza con i sacrifici di milioni di lavoratrici e lavoratori italiani".
Come se il dibattito non fosse già di per sé teso, a gettare benzina sul fuoco ci ha pensato pure la Fornero che, dopo i disastri fatti in parlamento, eccola rispuntare tra gli "esperti" convocati da Costantino della Gherardesca per il quiz del pomeriggio di Rai2 Resta a casa e vinci. Lei, che aveva pianto presentando quella riforma che poi aveva fatto piangere migliaia di italiani, ora torna a rivendicare quanto fatto con Monti al governo. Non è una novità. Sono anni che i due passano le giornate a pizzicarsi a distanza. Parole dure, sempre nel limite del rispetto, che lasciano intendere che tra i due non corre affatto buon sangue. Anzi. E così, anche sta volta, eccola entrare a gamba tesa contro il Capitano. "Poteva prendersi la responsabilità di cancellarla quando era al governo", ha tuonato sentita dall'agenzia Adnkronos. " Quota 100 è solo una promessa per ottenere un consenso di breve periodo". A suo dire l'intervento di Salvini è solo "un inganno" perché non solo "non aiuta le persone più disagiate" ma "discrimina le donne".
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Mentre la Fornero è tornata a difendere ricette del passato come l'ape social, i lavoratori attendono l'ennesima riforma che anche a questo giro dovrà ricevere il benestare dell'Unione europea prima di planare in parlamento. Dalla Lega viene rilanciata l'ipotesi di quota 41, a patto ovviamente che non ci siano penalizzazioni che vadano ad intaccare gli assegni dei pensionati. Il cammino è ancora lungo. Quota 100 scade, infatti, alla fine del 2021. Anche se il tempo non manca per fare un buone lavoro, ci sono tutte le premesse per aspettarci l'ennesimo pasticcio targato Pd e Cinque Stelle.
Tag:
pensione
quota 100
Persone:
Giuseppe Conte
Matteo Salvini
Elsa Fornero
September 27, 2020
Ora Conte rinnega il passato: cancella tutte le leggi di Salvini

Il premier taglia tutti i ponti con Salvini: disconosciuto l'ex alleato che ha contribuito a portarlo a Palazzo Chigi, si appresta a cancellarne ogni traccia di quando hanno lavorato insieme
"È chiaro che Conte sta facendo di tutto per cancellare le tracce del suo primo governo". A dirlo senza troppi giri di parole è Gianluigi Paragone, un ex grillino che il primo governo Conte, quello del patto tra la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio capo politico, l'aveva sostenuto ma che, quando i grillini si erano apparentati con i dem, aveva preferito cambiar aria e andarsene nel Gruppo Misto. Dall'inizio della legislatura non è certo stato l'unico parlamentare a dismettere la casacca pentastellata in dissenso con i vertici del partito. È il risultato delle continue piroette che il premier Giuseppe Conte e compagni sono costretti a fare pur di mantenere salda la poltrona. D'altra parte chi poteva credere in un passaggio indolore dall'alleanza con il Carroccio a quella con i dem?
A un anno dal nuovo patto con Nicola Zingaretti, Conte ha rotto ogni indugio. Incassato il "sì" al referendum costituzionale, che fa calare la mannaia sulle Camere riducendo di un terzo i parlamentari, e stoppata l'avanzata del centrodestra in regioni importanti come la Toscana, la Campania e la Toscana, siamo arrivati al redde rationem. Il premier è infatti pronto a tagliare qualsiasi legame con il proprio passato. Per farlo deve cancellare i due vessilli leghisti che hanno segnato il suo primo governo: i decreti Sicurezza e quota 100. Era già nell'aria che le due leggi che regolano l'immigrazione clandestina e ostacolano le ong venissero cancellate. Era solo una questione di tempo. Dopo le elzioni regionali, Zingaretti è subito passato all'incasso. Così ieri il premier non ha potuto che promettergli che l'abolizione sarà "all'ordine del giorno del primo consiglio di ministri utile". Il governo intende "allargare il meccanismo di sicurezza e di protezione per i cittadini e per i migranti, che spesso arrivano in Italia in condizioni di fortuna". "Si tratta di un progetto molto più ampio rispetto a quello del passato", ha assicurato Conte che crede ancora nella trattativa con la Commissione europea sulla redistribuzione dei rifugiati. Non ci serve aspettare il prossimo Cdm per capire dove voglia andare. Nei mesi scorsi hanno già dato prova della propria fede cieca nell'accoglienza indiscriminata. Basti pensare che a settembre sono già sbarcati più immigrati di tutto il 2018. Oltre 23mila arrivi. Tanto per intenderci: quando al Viminale sedeva Salvini, erano meno di un terzo.
Conte non si limiterà a cancellare i decreti Sicurezza. Nemmeno quota 100 passerà indenne alla mannaia dei giallorossi. L'intervento, su cui Salvini aveva puntato in campagna elettorale per mettere una toppa ai pasticci fatti dall'ex ministro Elsa Fornero quando era al governo con Mario Monti, non sarà rinnovato nel 2022. Il cambio di linea era nell'aria ma l'annuncio del premier è stato accolto positivamente da tutta la sinistra. "È una svolta importante. Dopo aver cambiato linea in Europa, torniamo alla serietà sulle pensioni rimediando ancora ai danni del governo populista", ha detto Matteo Renzi pensando già al prossimo obiettivo, ovvero far digerire il Mes ai Cinque Stelle. Una volta cancellata la legge sulle pensioni, l'avvocato del popolo avrà del tutto tagliato i ponti con proprio passato disconoscendo le leggi che lui stesso aveva difeso e sottoscritto.
Questo voltafaccia non deve affatto stupirci. Già in passato, quando i giudici si sono accaniti contro Salvini per il caso Gregoretti, Conte aveva voltato lo sguardo da un'altra parte. "Ha deciso tutto Matteo", aveva detto. Come se, in quei giorni di fine luglio 2019, non avesse mai sentito parlare di una nave ancorata al largo delle coste siciliane con la bellezza di 131 immigrati clandestini che aspettavano di essere sbarcati nel nostro Paese. "L'interesse pubblico prevalente non c'era, fu un’azione personale", aveva giurato un altro campione di coerenza quale Di Maio. Col voto a favore del processo al Capitano fu il primo vero passo di rottura con il passato. Come spiegare sennò le dichiarazioni a sostegno del leghista per quello che fu un caso-fotocopia: la nave Diciotti. L'estate del 2018 Salvini l'aveva lasciata in balia delle onde, con 177 immigrati a bordo, per sei giorni. Eppure il Senato aveva negato l'autorizzazione a procedere, anche con i voti dei parlamentari grillini. "Le azioni poste in essere dal ministro dell'Interno - aveva assicurato il premier - si pongono in attuazione di un indirizzo politico-internazionale che il governo da me presieduto ha sempre coerentemente condiviso fin dal suo insediamento".
Dopo averlo abbandonato nelle grinfie dei giudici, ora Conte si appresta a cancellarne la memoria politica. Dunque, subito via i decreti Sicurezza che fin quando sono stati applicati hanno contribuito ad azzera gli sbarchi e a ridurre l'immigrazione clandestina. Poi toccherà ai pensionati: addio a quota 100 e nuovi scaglioni che, stando alle indiscrezioni trapelate sin qui, non preannunciano nulla di buono.
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immigrazione
quota 100
decreti sicurezza
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Matteo Salvini
Giuseppe Conte
September 26, 2020
Meloni e la generazione Atreju: così sono nati i "fratelli d'Italia"

Esce in libreria Fenomeno Meloni. Dalla scomparsa di An al flop di Fini, dal nuovo partito ai successi elettorali: Boezi traccia il cammino di Fratelli d'Italia e dei suoi protagonisti
"La tenebra fugge i raggi del sol / Iddio dà gioia e calor / Nei cuor la speranza non morirà / Il domani appartiene a noi". Così, spesso, si cantava ai campi Hobbit prima e poi ad Atreju. Una vecchia canzone della Compagnia dell'anello, gruppo di musica alternativa degli anni Settanta e punto di riferimento di molti. Quasi un programma, uno stile di vita. La lotta del bene contro il male, l'idea che ci fosse un Dio a cui affidarsi nelle difficoltà e la speranza, che diventa certezza, della bontà di un progetto. Questo è stato l’inno per tanti, fino a quando sembrava ci si dovesse vergognare del proprio passato.
Un'ombra ha a lungo gravato sulla destra italiana. Un'ombra capace di offuscare i fasti del passato, quelli del Movimento Sociale Italiano reso storia da Giorgio Almirante e da un manipolo di reduci della Repubblica Sociale Italiana. Quell'ombra portava il nome di Gianfranco Fini e il vessillo di Futuro e Libertà. Dalle macerie della guerra civile che squassò il Paese si era accesa una fiamma tricolore, la stessa degli arditi della Prima Guerra Mondiale, la stessa che Fini – prima traghettatore dell'ala modernista, antitetica a quella che seguiva Pino Romualdi, poi affossatore degli antichi ideali – aveva contribuito a ridurre a lumicino. Ancora una volta, però, dalle macerie di quella che era stata Alleanza Nazionale, prima confluita nel Pdl creato dal sogno di Silvio Berlusconi e poi soffocata nello strappo (fallimentare) di Fli, il lumicino è oggi tornato a illuminare il cammino della destra italiana. Artefice di questa impresa è stata Giorgia Meloni che, in soli quaranta giorni, ha avuto la forza di dar vita a Fratelli d’Italia e di strappare alle prime elezioni politiche, quelle del 2018, l’1,9% dei consensi. Si è trattato del trampolino di lancio per una piccola pattuglia di parlamentari, la cosiddetta "generazione Atreju" che ha posto le basi per rifondare la destra italiana. Quella raccontata da Francesco Boezi in Fenomeno Meloni - Viaggio nella Generazione Atreju (Edizioni Gondolin) è la storia (fedele) di questa ascesa coraggiosa.
A fine maggio 2020, appena due mesi dopo quella prima impresa elettorale, i sondaggisti hanno assegnato a Fratelli d'Italia un ipotetico 16%. Si sa, è una percentuale che va presa con le pinze. Nel segreto dell'urna tutto è possibile. Oggi le politiche sono ancora lontane. Al netto della sconfitta di Raffaele Fitto in Puglia, il recente voto nelle Marche è la prova che molto sta cambiando: Francesco Acquaroli ha espugnato un fortino che la sinistra presidiava da venticinque anni. Questi dati dicono tanto di come si stia evolvendo il panorama delle destra italiana. Alle ultime europee, quando la Lega aveva sfiorato il 34%, Matteo Salvini sembrava il padre-padrone dell’intera baracca. La Meloni, però, non si è mai fermata e ha traghettato Fratelli d’Italia in un momento difficile per l'intero Paese, finito nelle mani di un governo dannoso tenuto insieme dalla sola sete di poltrone. Le battaglie in materia di bioetica, la difesa dei valori non negoziabili, la rivendicazione della sovranità nazionale hanno tracciato il solco e posto la direzione da seguire. Che fosse determinata a ottenere questo risultato, lo si sarebbe dovuto capire sin dall'inizio. Già nel 2004 quando ebbe la meglio al congresso nazionale di Azione Giovani di Viterbo. E, poi, ancora nel 2012 quando, stufa del giogo che ancorava il Pdl a Mario Monti e soprattutto delle mancate primarie, fece saltare il banco con gli storici alleati per iniziare, appunto, il cammino di Fratelli d’Italia.
C’è una frase di Tolstoj che Boezi riprende anche nel libro e che rende bene l'idea di questo cammino: "Come una fiaccola ne accende un'altra e si trovano accese mille fiaccole, così un cuore ne accende un altro e si trovano accesi milioni di cuori". Pur guardando al futuro, la Meloni non ha mai reciso i legami con il passato. Tanto che all'atto fondativo nel nome del nuovo partito rispuntava Alleanza Nazionale, una storia che Fini aveva cancellato per inseguire i propri sogni di gloria all’interno del centrodestra unito. Lui, che si sentiva (per diritto) il delfino di Silvio Berlusconi, non è mai riuscito ad andare oltre il 15,6% incassato alle elezioni politiche del 1996. Il 16,2% (ipotetico) attribuito dai sondaggisti alla Meloni ha già il sapore di grande successo, quello di aver cancellato il disastro politico di Fini e di aver inaugurato una nuova stagione per la destra italiana.
"Il domani appartiene a noi", cantavano quei giovani che adesso siedono in Parlamento. Una promessa. Che oggi si è avverata.
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Fratelli d'Italia (FdI)
Persone:
Giorgia Meloni
September 25, 2020
Aprono i porti con i seggi chiusi: il Pd ora può dare il via all'invasione

Le urne sono ormai lontane e il Pd già torna all'assalto per far ripartire il business dei migranti: abolizione dei decreti Sicurezza, porti aperti alle Ong, ius soli e ius culturae
Ha messo al sicuro i voti e poi è tornata all'attacco. È la solita strategia adottata dalla sinistra: non tirare fuori i dossier spinosi sotto elezioni e scoprire le carte solo a urne chiuse. Prendiamo, per esempio, il caso della Alan Kurdi. Dopo aver recuperato 133 immigrati clandestini nel Mar Mediterraneo centrale ha puntato dritto al porto di Lampedusa. Domenica scorsa, mentre gli italiani andavano a votare, il responsabile della nave Gordon Isler chiedeva l'immediata evacuazione. "Hanno particolarmente bisogno di protezione - diceva - non devono diventare oggetto di negoziazione tra i Paesi dell'Ue". Per ore il governo giallorosso ha fatto finta di nulla. L'indomani, mentre le urne erano ancora aperte, i volontari della Sea Eye sono tornati a chiedere che gli venisse aperto il porto. "Nessuno vuole la responsabilità di coloro che vengono salvati", lamentavano. Ma, ancora una volta, da Roma nulla. Solo silenzio. Le ore sono diventate giorni. E, mentre Nicola Zingaretti gioiva di aver arginato l'avanzata del centrodestra e di aver conservato il potere in Toscana, Campania e Puglia, l'imbarcazione decideva di far rotta verso Marsiglia. È bastata la voce grossa del ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin a rimettere in riga il governo Conte che, evitata la disfatta alle regionali, può tornare ad accogliere tutti quanti.
Non è solo sui porti aperti che i giallorossi stanno giocando sporco. Dopo aver salutato con devozione il nuovo Patto sulle migrazioni e l'asilo presentato dalla Commissione europea, eccoli tornare alla carica con il solito cavallo di battaglia: l'accoglienza senza se e senza ma. Eppure, non più di tre settimane fa, un sondaggio pubblicato da Affaritaliani aveva già seppellito l'esecutivo per la gestione strampalata degli sbarchi e per l'incapacità di mettere in quarantena i clandestini appena arrivati. "Una bocciatura netta, chiara e senza appello", aveva sintetizzato Roberto Baldassari, direttore generale di Lab2101 e docente di Strategie delle ricerche di opinione e di mercato all’università degli studi RomaTre. Non solo il 57% degli intervistati aveva detto di non condividere le misure adottate dal governo, ma quasi il 55%, considerando soprattutto la situazione drammatica che si è venuta a creare nei porti e negli hotspot siciliani, aveva chiesto le dimissioni del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. Il messaggio non deve essere arrivato forte e chiaro ai giallorossi e in particolar modo al Partito democratico. Nelle ultime ore si è, infatti, tornati a parlare di ius soli e di ius culturae. Non una sparata delle frangia più estremista ma una reale ipotesi di lavoro. "Ci rifletteremo", ha garantito il premier Giuseppe Conte. "Combatteremo per ottenere i voti necessari", assicura Zingaretti che solo una settimana fa si sarebbe ben guardato dal toccare un argomento tanto spinoso che aveva già fatto capitolare Paolo Gentiloni.
Se in campagna elettorale non si parlava di ius soli, men che meno veniva tirato fuori il dossier dell'abolizione dei decreti Sicurezza. Soltanto ora, infatti, parlamentari come Graziano Delrio, capogruppo dem a Montecitorio, dicono che "il tempo dei rinvii è finito". Anche Zingaretti ha alzato la testa dopo aver avuto certezza delle elezioni regionali. "Sui decreti Salvini, che io non chiamo sicurezza, c'è un accordo: ora vanno assolutamente approvati - ha messo in chiaro lunedì sera - c'è stato un duro lavoro, di cesello politico, di confronto. Penso che ora sia giunta il momento e si possa fare". Non una parola nei giorni precedenti quando i sondaggi che aveva in mano davano la leghista Susanna Ceccardi avanti di un punto su Eugenio Giani e un testa a testa tra Michele Emiliano e Raffaele Fitto. Alla fine i risultati sono stati meno drammatici dei pronostici: ha sì perso un altro fortino rosso, le Marche, ma è riuscito a non farsi scippare la Puglia e la Toscana. E così può ora passare all'incasso, ben sapendo che, complici i prossimi impegni economici e il semestre bianco che parte il prossimo luglio, il governo è blindato fino al 2022, quando cioè si vota il capo dello Stato. Un appuntamento a cui né il Pd né i Cinque Stelle vogliono mancare. Da qui il pressing per ritorno all'accoglienza che di certo non piacerà agli italiani.
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immigrazione
ius soli
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Nicola Zingaretti
Giuseppe Conte
September 23, 2020
Alan Kurdi va verso Marsiglia. Ma Parigi vuole rimandarla da noi

Altro che "solidarietà obbligatoria" invocata dal patto sui migranti, la Francia non vuole l'Alan Kurdi: "La accolga l'Italia"
Altro che "solidarietà obbligatoria tra Stati membri". Altro che "allentamento della pressione migratoria sui Paesi costieri". Tutti i buoni propositi per superare il sistema Dublino, avanzati oggi dalla Commissione europea nel nuovo Patto sulle migrazioni e l'asilo, sono andati a farsi benedire non appena la prima nave carica di immigrati è stata respinta dall'Italia e si è messa a fare rotta verso il porto di Marsiglia. "Da due anni siamo sempre al fianco dell'Italia nel meccanismo di solidarietà per la gestione degli sbarchi. Le chiediamo quindi di rispondere favorevolmente alla richiesta formulata dall'Ong di attraccare nel porto sicuro più vicino", ha scandito il ministro dell'Interno francese Christophe Castaner dimostrando, al posto della tanto sbandierata ma poco praticata solidarietà, la ferma intenzione di scaricare il problema su Roma.
L'imbarcazione in questione è (tanto per cambiare) la Alan Kurdi dell'ong tedesca Sea Eye. Partita l'11 settembre dal porto di Burriana, dove le autorità iberiche hanno "confermato" quanto già affermato dallo Stato di bandiera, la Germania, ovvero che le certificazioni e l'equipaggiamento sono regolari, la nave ha caricato nel giro di una settimana oltre 130 immigrati clandestini e ha fatto rotta verso il nostro paese per scaricarli nel porto di Lampedusa. "Queste persone sono particolarmente vulnerabili", ha scritto sui social lanciando l'sos alle autorità italiane che, proprio in quelle ore, si trovavano a dover gestire almeno 26 approdi clandestini. Gli uomini della Guardia costiera e della Guardia di Finanza erano impegnati senza sosta nelle operazioni di soccorso, mentre l'hotspot di Lampedusa, che era stato appena svuotato, aveva superato le mille presenze a fronte di una capienza di 192 posti.
Sebbene la Alan Kurdi si trovasse nella Sar di Malta, la richiesta di un porto sicuro era subito stata indirizzata a Roma, con la certezza di trovare ancora una volta le porte aperte senza problemi. L'Italia, però, non aveva dato il via libera ad entrare nel porto di Lampedusa ma, dopo aver soccorso due donne, un uomo, cinque bambini, il più piccolo dei quali ha solo cinque mesi, si era messa in contatto con il centro di controllo tedesco a Brema per "reindirizzare" la richiesta alla Germania. Dai ministeri tedeschi dei Trasporti e degli Esteri non è mai arrivata alcuna risposta. E così oggi Jan Ribbeck, comandante delle operazioni e membro del consiglio di Sea Eye, ha deciso di fare rotta verso Marsiglia, porto di scalo che solitamente l'ong usa per fare rifornimento. Il sindaco ad interim della città, Benoit Payan, si è subito detto pronto ad accogliere i 125 immigrati che si trovano a bordo. "Non lasceremo morire i naufraghi nel Mediterraneo - ha scritto su Twitter - si tratta della nostra storia, della nostra tradizione, dei nostri valori".
La solidarietà di Marsiglia non dev'essere affatto piaciuta a Parigi. In serata il ministero dell'Interno francese ha subito chiesto a Roma di accogliere la nave umanitaria tedesca. "Da due anni siamo sempre al fianco dell'Italia nel meccanismo di solidarietà per la gestione degli sbarchi - ha sottolineato - le chiediamo quindi di rispondere favorevolmente alla richiesta formulata dall'Ong di attraccare nel porto sicuro più vicino". Castaner non ha spiegato perché il processo non possa avvenire al contrario. E cioé far sbarcare i 125 clandestini in Francia e poi ricollocare chi ne ha diritto negli altri Paesi europei e lasciare una volta tanto a Parigi il compito di rimpatriare quelli che non possono avere lo status di rifugiati. Né ha spiegato perché, nell'immaginario europeo, debba essere sempre l'Italia il primo approdo dei barconi che partono dal Nord Africa, con tutti i problemi che questo comporta. Eppure, proprio oggi, la Commissione europea si era vantata di aver posto le basi per un nuovo patto tra gli Stati membri che, a loro dire, introdurrà maggiore solidarietà all'interno dell'Unione europea. Ursula Von der Leyen ha presentato il piano con entusiasmo definendolo un "nuovo inizio" che permetterà di conciliare interessi divergenti e legittimi, trovando un equilibrio tra "responsabilità e solidarietà". "È un passo importante", ha fatto eco anche il premier Giuseppe Conte ribadendo la necessità di "certezza su rimpatri e ridistribuzioni". Se il "nuovo inizio" è l'ennesimo braccio di ferro tra Parigi e Roma, è certo che i problemi che avevamo col fallimentare Trattato di Dublino non riusciremo mai a superarli.
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immigrazione
Alan Kurdi
Unione europea (Ue)
September 22, 2020
Conte non può stare sereno
Andrea Indini

Elezioni Regionali 2020 focus
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Persone:
Giuseppe Conte
Andrea Indini's Blog
 


