Andrea Indini's Blog, page 73
July 11, 2020
L'aji che svela il vero Giappone tra armonia, tradizione e identità
Andrea Indini

In Svelare il Giappone Mario Vattani ci porta in un mondo che crediamo di conoscere ma di cui non sappiamo nulla
In Giappone c'è un termine, aji, che coniuga il sapore delle cose. Un sapore che racchiude in sé, al tempo stesso, qualcosa di originale e antico. Mario Vattani, appassionato della cultura del Sol Levante che a Osaka è stato console generale, ci spiega che "per dire che un mobile è bello, che ha personalità, o che un legno è invecchiato bene, si dice che ha aji, ha sapore". Anche le città ce l'hanno. Ma non è quello che immaginiamo noi occidentali. Non è quello che è filtrato con gli anni fino a noi e ha contribuito a creare nelle nostre menti immagini stereotipate di un Paese grandioso e al tempo stesso complicatissimo. Quando, infatti, il turista sta per atterrare, "cerca con lo sguardo lungo la costa qualcosa che somigli a ciò che ci si immaginava di vedere. Sono visioni che appartengono a una memoria acquisita, ricordi artefatti, fondati su ciò che si è sentito, letto, imparato. Le si va a cercare scrutando la lingua di terra che confina con l'oceano. Dove si nasconde il Giappone che ci si aspettava?".
Mettete, dunque, da parte questi "ricordi artefatti", rilassatevi e immergetevi nelle pagine di Svelare il Giappone (Giunti). Quello che Vattani vi propone è un vero e proprio viaggio in una cultura ancestrale che scandisce il tempo, i gesti e i rapporti attraverso piccole "regole" che si ripetono da sempre. Le stesse che candenzano, per esempio, quella che da noi si chiama "cerimonia del tè". Il tutto volto a una bellezza e a una armonia alle quali si può arrivare solo inseguendo ossessivamente l'integrità di ogni singolo particolare. Ne è riprova, per esempio, l'estetica estrema a cui si sottopongono le donne. "Una bellezza e un fasciono che possono scomparire immediatamente, appena il contesto cambia, e con esso le regole del gioco". Non è la prima volta che Vattani ci porta alla scoperta di questo mondo. Tre anni fa, dopo aver ambientato a Tokyo il suo primo entusiasmante romanzo, Doromizu. Acqua torbida, aveva infatti scritto La via del Sol Levante, un solitario viaggio in motocicletta attraverso i luoghi meno conosciuti delle isole giapponesi. In quell'occasione aveva accompagnato il lettore in un mondo fatto di samurai, signori della guerra, buddha di bronzo, principesse imperiali e mercanti di perle. In Svelare il Giappone le persone vengono messe da parte, diventano sbiadite pedine di una cultura imponente. Per raccontarla sceglie ventotto parole per ventotto capitoli cadenzati da quello che è il ritmo tipico del Sol Levante: accenno, pausa, esecuzione. "Bisogna abituarsi a conoscerlo, a riconoscerlo - spiega Vattani - perché è una formula che si ripete in tutte le cose".
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Svelare il Giappone significa anche portare il lettore negli angoli più privati. Come il roji, il "sentiero cosparso di rugiada" che circonda la casa da tè, o nelle sale dove i tatuatori tradizionali praticano gli irezumi. "Per la colorazione non vengono utilizzate le comuni macchinette che vediamo in Occidente, ma al contrario degli aghi saldati su asticelle d'acciaio che vengono spinte a mano per incidere la pelle- si legge nel libro - ci si va a tatuare una volta a settimana, a volte nel corso di anni, ben sapendo che durante ogni seduta si dovrà sopportare per un paio d'ore un dolore ritmico e costante". Da qualche parte, nello studio, campeggia sempre la scritta gaman. Essere gaman-tsuyoi significa aver acquisito una certa maturità. La sopportazione del dolore non ne è l'unica dimostrazione. Non sentirete mai un giapponese lamentarsi per il freddo, la fame o la sete. "Il rispetto di questa regola - spiega Vattani - non è solo un modo di fare, ma finisce per essere una vitù". E si fa virtù perché, secondo un insegnamento buddista, la sopportazione avviene sempre con pazienza e dignità. Un ethos che ha a che fare con ogni singolo instante della vita, esattamente come nelle arti marziali. Non c'è spazio per il tormento, guasterebbe l'armonia a cui ognuno tende per sé e per la comunità. C'è una regola che dice: "Colpire sulla testa il chiodo che sporge". Chi non si adegua, chi "non sa leggere l'aria", è fuori. Perché saper leggere l'aria significa anche saper leggere il contesto in cui ci si trova e saperne cogliere l'umore.
Quando entrano nelle migliaia di ristorante giapponesi, che oggigiorno spuntano come funghi in tutte le capitali, gli occidentali sono all'oscuro di tutto quello che c'è dietro. Lo fanno per moda. Il sushi è diventato la quintessenza della globalizzazione. Un triste contraccolpo per una cucina, esattamente come quella italiana, che non è solo complessità di sapori, ma prima di tutto ricchezza di tradizioni. Perché, anche in questo caso, la differenza cardine sta "tra ciò che si mangia fuori e ciò che invece viene preparato a casa, in famiglia". Ancora una volta, Svelare il Giappone significa addentrarsi, in punta di piedi, in un mondo inaspettato. Esattamente come quando gli shoji si aprono e si chiudono svelando gli ambienti di una casa tradizionale.
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Persone:
Mario Vattani
L'aji che svela il vero Giappone tra sapore, tradizione e identità
Andrea Indini

In Svelare il Giappone Mario Vattani ci porta in un mondo che crediamo di conoscere ma di cui non sappiamo nulla
In Giappone c'è un termine, aji, che coniuga il sapore delle cose. Un sapore che racchiude in sé, al tempo stesso, qualcosa di originale e antico. Mario Vattani, appassionato della cultura del Sol Levante che a Osaka è stato console generale, ci spiega che "per dire che un mobile è bello, che ha personalità, o che un legno è invecchiato bene, si dice che ha aji, ha sapore". Anche le città ce l'hanno. Ma non è quello che immaginiamo noi occidentali. Non è quello che è filtrato con gli anni fino a noi e ha contribuito a creare nelle nostre menti immagini stereotipate di un Paese grandioso e al tempo stesso complicatissimo. Quando, infatti, il turista sta per atterrare, "cerca con lo sguardo lungo la costa qualcosa che somigli a ciò che ci si immaginava di vedere. Sono visioni che appartengono a una memoria acquisita, ricordi artefatti, fondati su ciò che si è sentito, letto, imparato. Le si va a cercare scrutando la lingua di terra che confina con l'oceano. Dove si nasconde il Giappone che ci si aspettava?".
Mettete, dunque, da parte questi "ricordi artefatti", rilassatevi e immergetevi nelle pagine di Svelare il Giappone (Giunti). Quello che Vattani vi propone è un vero e proprio viaggio in una cultura ancestrale che scandisce il tempo, i gesti e i rapporti attraverso piccole "regole" che si ripetono da sempre. Le stesse che candenzano, per esempio, quella che da noi si chiama "cerimonia del tè". Il tutto volto a una bellezza e a una armonia alle quali si può arrivare solo inseguendo ossessivamente l'integrità di ogni singolo particolare. Ne è riprova, per esempio, l'estetica estrema a cui si sottopongono le donne. "Una bellezza e un fasciono che possono scomparire immediatamente, appena il contesto cambia, e con esso le regole del gioco". Non è la prima volta che Vattani ci porta alla scoperta di questo mondo. Tre anni fa, dopo aver ambientato a Tokyo il suo primo entusiasmante romanzo, Doromizu. Acqua torbida, aveva infatti scritto La via del Sol Levante, un solitario viaggio in motocicletta attraverso i luoghi meno conosciuti delle isole giapponesi. In quell'occasione aveva accompagnato il lettore in un mondo fatto di samurai, signori della guerra, buddha di bronzo, principesse imperiali e mercanti di perle. In Svelare il Giappone le persone vengono messe da parte, diventano sbiadite pedine di una cultura imponente. Per raccontarla sceglie ventotto parole per ventotto capitoli cadenzati da quello che è il ritmo tipico del Sol Levante: accenno, pausa, esecuzione. "Bisogna abituarsi a conoscerlo, a riconoscerlo - spiega Vattani - perché è una formula che si ripete in tutte le cose".
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Svelare il Giappone significa anche portare il lettore negli angoli più privati. Come il roji, il "sentiero cosparso di rugiada" che circonda la casa da tè, o nelle sale dove i tatuatori tradizionali praticano gli irezumi. "Per la colorazione non vengono utilizzate le comuni macchinette che vediamo in Occidente, ma al contrario degli aghi saldati su asticelle d'acciaio che vengono spinte a mano per incidere la pelle- si legge nel libro - ci si va a tatuare una volta a settimana, a volte nel corso di anni, ben sapendo che durante ogni seduta si dovrà sopportare per un paio d'ore un dolore ritmico e costante". Da qualche parte, nello studio, campeggia sempre la scritta gaman. Essere gaman-tsuyoi significa aver acquisito una certa maturità. La sopportazione del dolore non ne è l'unica dimostrazione. Non sentirete mai un giapponese lamentarsi per il freddo, la fame o la sete. "Il rispetto di questa regola - spiega Vattani - non è solo un modo di fare, ma finisce per essere una vitù". E si fa virtù perché, secondo un insegnamento buddista, la sopportazione avviene sempre con pazienza e dignità. Un ethos che ha a che fare con ogni singolo instante della vita, esattamente come nelle arti marziali. Non c'è spazio per il tormento, guasterebbe l'armonia a cui ognuno tende per sé e per la comunità. C'è una regola che dice: "Colpire sulla testa il chiodo che sporge". Chi non si adegua, chi "non sa leggere l'aria", è fuori. Perché saper leggere l'aria significa anche saper leggere il contesto in cui ci si trova e saperne cogliere l'umore.
Quando entrano nelle migliaia di ristorante giapponesi, che oggigiorno spuntano come funghi in tutte le capitali, gli occidentali sono all'oscuro di tutto quello che c'è dietro. Lo fanno per moda. Il sushi è diventato la quintessenza della globalizzazione. Un triste contraccolpo per una cucina, esattamente come quella italiana, che non è solo complessità di sapori, ma prima di tutto ricchezza di tradizioni. Perché, anche in questo caso, la differenza cardine sta "tra ciò che si mangia fuori e ciò che invece viene preparato a casa, in famiglia". Ancora una volta, Svelare il Giappone significa addentrarsi, in punta di piedi, in un mondo inaspettato. Esattamente come quando gli shoji si aprono e si chiudono svelando gli ambienti di una casa tradizionale.
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Persone:
Mario Vattani
Così ci facciamo molto male
Conte sta valutando la possibilità di estendere lo stato di emergenza e lo smart working. Due misure che uccidono la democrazia e l'economia. Ecco tutti i rischi
Andrea Indini

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Persone:
Giuseppe Conte
July 10, 2020
Dark, il paradosso dell'esistenza: l'uomo padrone del proprio destino

La serie tv targata Netflix è un vortice che mette al centro l'impossibilità di scegliere il proprio destino. E la certezza che spazio e tempo sono concetti prettamente umani
La medaglietta di San Cristoforo col Bambino accompagna tutti i "viaggiatori". Passa di mano in mano, attraversano lo spazio-tempo e valicando il confine che separa realtà diverse. È in questa oscillazione di particelle, che modifica passato, presente e futuro creando soluzioni parallele, ch si dipana il paradosso di Dark, serie targata Netflix giunta alla terza e ultima stagione. È il paradosso stesso dell'uomo che crede costantemente di essere padrone del proprio destino, di poterlo cioè forgiare con le proprie scelte. Il risultato è una vacua illusione che complica sì la realtà ma che la riporta sempre al punto di partenza. Sempre uguale a se stessa.
Dark è innanzitutto un viaggio. Un viaggio nel tempo e nello spazio per scansare il male che è di questo mondo. Ogni gesto, però, ha conseguenze inevitabili che, come nel domino, finiscono per cambiare la realtà e renderla sempre uguale a se stessa. Nasce tutto da una serie di rapimenti, bambini portati via dalle loro famiglie che abitano in una desolata cittadina tedesca, Winden. Nelle prime battute la serie tivù, creata da Baran bo Odar e Jantje Friese, trae in inganno. Può tranquillamente apparire uno dei tanti thriller che si trovano sulle piattaforme di streaming. Ma non è così. Perché un "incidente" ha aperto nelle grotte del paese un varco temporale che permette di attraversare la realtà. Sic mundus creatus est. Questa la dicitura sulla botola che fa viaggiare avanti e indietro nel tempo, di trentatré anni in trentatré. È lì che va a infilarsi Mikkel, il figlio del commissario di polizia Ulrich Nielsen, finendo proiettato nel passato e contribuento così a cambiare il presente. Un presente da cui lui stesso fuggirà togliendosi la vita con una corda attorno al collo e lasciando il figlio Jonas davanti a un'esorabile verità: la realtà non è quello che sembra. Inizia così un "inseguimento" che finisce per creare due schieramenti opposti, uno che risponde ad Adamo e uno a Eva. La luce contro le tenebre. E un fil rouge a tenerli insieme: l'amore tra Jonas e Martha. "Siamo fatti per stare insieme - le assicura lui - non credere mai che non sia vero". D'altra parte, come spiega un altro capolavoro sull'inconsistenza del concetto tempo, Interstellar di Christopher Nolan, "l'amore è l'unica cosa che trascende dal tempo e dallo spazio".
Tutto in Dark è perfetto. A partire dalla sigla, un caleidoscopio di immagini sulla canzone Goodbye degli Apparat. Il gioco di specchi è una costante che, più si complica nel corso della storia, più riflette l'impossibilità di ricomporre il puzzle e tornare all'origine. Per Adamo questa non può che arrivare attraverso l'Apocalisse, il collasso dell'esistenza per poter tornare all'inizio. Per Eva, invece, è il ciclico ritorno delle cose, il ripetersi all'infinito del reale. I due danno così vita a una guerra che non si dipana solo in tempi differenti, ma anche in due mondi paralleli che si toccano solo nel concepimento di un bambino. Tutt'intorno un'infinità di possibilità che finiscono poi per polarizzarsi sempre. Esattamente come con una moneta da un penny, esattamente come nel paradosso del gatto di Schrödinger. Finché la moneta non cade o finché la scatola non viene aperta, la sovrapposizione degli eventi ci porta a ipotizzare che tutto può essere. È lo stesso legame che sta alla base dell'entanglement (letteralmente, in inglese, "groviglio, intreccio", lo stesso significato, in tedesco, di winden) quantistico, ovvero la presenza controintuitiva di correlazioni a distanza che possono, appunto, moltiplicarsi all'infinito. Ma si tratta di un paradosso. Al centro di tutto c'è, infatti, un nucleo impazzito le cui regole - la fisica lo insegna - non valgono per i sistemi macroscopici. Questa è la "particella di dio" che, alla fine, annienta qualsiasi (utopica) possibilità di controllare il proprio destino.
Diceva Schopenhauer: "È certo che un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole". Per questo, Jonas e Martha non potranno che fare un passo indietro. Per risalire all'origine, ovvero al nodo che ha creato i due mondi paralleli, dovranno sanare la ferita di Tannhaus, lo scienziato che per rimediare alla morte del figlio in un incidente automobilistico crea la prima macchina del tempo, e rinunciare al proprio amore. Lì, dove tutto si è creato, c'è un buco nero in cui tempo e lo spazio si accartocciano e perdono di ogni significato.
Tag:
Dark
July 7, 2020
Silvia Romano non dia lezioni di libertà
Andrea Indini

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Persone:
Silvia Romano
July 6, 2020
Schiavo delle Ong e della sinistra. Ecco la "sbandata" rossa di Conte

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ecco la sbandata rossa di Conte
Persone:
Giuseppe Conte
July 3, 2020
C'è una strategia dietro gli attacchi: così vogliono far fuori Trump
Le rivolte dei Black Lives Matter e le polemiche sul Covid. Trump è nel tritacarne. Ma la realtà è un'altra: ecco quale
black lives matter
coronavirus
Andrea Indini

L'America brucia focus
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Così vogliono fare fuori Trump
Persone:
Donald Trump
June 30, 2020
The German Void
Andrea Indini

Coronavirus focus
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Luoghi:
Germania
The Hidden Virus: The Silence of Germany
Andrea Indini

Coronavirus focus
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Luoghi:
Germania
June 28, 2020
L'odio dei politicamente corretti che censura la civiltà occidentale

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cancellerà la civiltà occidentale
Andrea Indini's Blog

