Andrea Indini's Blog, page 180

April 24, 2013

Governo, Enrico Letta è premier

Ancora poco e l’Italia avrà un governo. Ci sono voluti 56 giorni per sbloccare lo stallo politico in cui è piombato il Paese. Questa mattina il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato l’incarico a Enrico Letta che, secondo la formula di rito, ha accettato con riserva. Stoppato dai veti della Lega Nord, Giuliano Amato esce dalla corsa per Palazzo Chigi. "Ho accettato sentendo sulle spalle una grande responsabilità perché questa situazione inedita e fragile non può continuare - ha spiegato il vice segretario piddì - il Paese sta aspettando un governo". Adesso gli occhi sono puntati sui nomi dei ministri che andranno a comporre un esecutivo che, però, non dovrà "nascere a tutti i costi" e che dovrà essere votato al "servizio al Paese".


Dopo una lunga notte di riflessione, Napolitano ha deciso di puntare su Letta per la guida di un governo di larghe intese capace di mettere insieme la maggior parte delle forze politiche che siedono in parlamento: "Si è aperta la strada alla formazione del governo di cui ha urgente il paese, una formazione troppo lungamente attesa dal paese". Questa è la sola prospettiva possibile: una larga convergenza tra i partiti che possono assicurare la maggioranza e dai quali non ci sono state pregiudiziali sul nome di Letta. A questo punto quello che Napolitano e tutti gli italiani si aspettano è la formazione di un esecutivo forte e duraturo in grado di mettere una pezza ai disastri fatti dai tecnici e attuare le riforme necessarie ad ammodernare il Paese. Già domani avranno inizio le consultazioni alla Camera per formare il nuovo esecutivo. L'obiettivo è fare in fretta in modo da sciogliere la riserva al più presto. "Il mio grande impegno sarà a far sì che da questa vicenda possa uscire una politica italiana diversa con riforme istituzionali per ridurre il numero  dei parlamentari, cambiare il bicameralismo e una nuova legge elettorale", ha assicurato Letta ponendo, però, l'emergenza lavoro al primo posto. Adesso diventa fondamentale la collaborazione che dovrà essere garantita dai partiti.


Fino a ieri sera in pole position per la carica di premier c'era il Dottor Sottile, nonostante i ripetuti niet dei lumbard. Poi qualcosa è cambiato. Secondo i rumors che girano in ambienti democrat, il Pd si sarebbe presentato dal capo dello Stato con una sorta di mandato in bianco senza, però, mancare di mettere alcuni paletti: nulla da obiettare su Amato, che era appunto in cima alla lista di Napolitano, ma occhio a dare anche segnali all’opinione pubblica. Ragionamento che Napolitano aveva appuntato segnandoli vicino a quelli che invece spingevano per la nomina di Amato, dettata dalla necessità di puntare su una figura di esperienza che rassicuri cancellerie e mercati. Letta non è certo un nome che spaventa gli ambienti finanziari: per quanto giovane, ha già diverse esperienze di governo, prima come ministro, poi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Romano Prodi. Napolitano ha soppesato le due ipotesi preferendo, infine, non puntare su un politico (Amato) che rischiava di dividere ancor prima di insediarsi a Palazzo Chgi. Nelle ultime ore, il segretario leghista Roberto Maroni ha rinnovato il proprio "no" ad Amato. "Abbiamo una preclusione nei confronti di un governo Amato - hanno spiegato i lumbard - ma se dovesse nascere un governo politico non guidato da lui non è detto che la Lega non vi partecipi".


Adesso, però, resta un grosso punto di domanda sul comportamento che terrà il Partito democratico. Come ha ribadito ieri sera lo stesso Letta al termine della consultazione al Colle, i democrat faranno quello che deciderà il capo dello Stato. Per il momento, nell'infuocata direzione di partito, nessuno ha avuto il coraggio di evocare la parola "scissione". Anzi, persino i giovani turchi sono accorsi a sostenere la candidatura di Matteo Renzi. "Dove sta scritto che chi diventa minoranza qua se ne debba andare dal partito? Qualunque cosa esca da questa direzione io farò quello che decide il partito - ha spiegato ieri Dario Franceschini - non è che chi vota contro qua esce dal partito, ma il voto di fiducia non è un voto di coscienza, difficile immaginare che c’è un pezzo di partito all’opposizione e un pezzo al governo". Insomma, ognuno può esprimere la propria posizione, poi però vanno rispettate le decisioni del partito. Linea che, dopo la bocciatura di Franco Marini e l'affondamento di Prodi, i vertici piddì difficilmente riusciranno a far rispettare. Tanto che nelle ultime ore il capogruppo alla Camera Roberto Speranza è arrivato a minacciare: "Il voto di fiducia non è un voto di coscienza, ma un voto che determina l’appartenenza al partito". Insomma, chi vota contro verrà messo fuori dal partito. Al di là della fiducia al nuovo governo, il peggio per il Pd deve ancora venire. La mossa dei renziani di sostenere il sindaco di Firenze come possibile premier fa presagire gli scontri che ci saranno al prossimo congresso. La candidatura di Renzi è stata ipotizzata ieri da diversi big del Pd e, appunto, dagli stessi giovani turchi. Renzi non vorrebbe fare il segretario, ma se nasce un governo le elezioni slittano e il sindaco non vuole ritrovarsi con un altro segretario Pd che rivendica la premiership. Per questo Renzi sta valutando la possibilità di candidarsi alla guida del partito.


Dopo 56 giorni di stallo, Napolitano nomina il nuovo premier: "Ora larghe intese". Amato bloccato dal niet della Lega Nord. Adesso il Pd dovrà fare i conti con le divisioni interne. E Speranza già minaccia di cacciare dal partito chi non voterà la fiducia





Tag: 

premier
governo
enrico letta
Pd
Giorgio Napolitano
fiducia




Andrea Indini



Accordo sui tecnici, ma i partiti vogliono i big Letta: "Un governo al servizio del Paese"Napolitano: "Piena fiducia a Letta"
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 24, 2013 12:09

April 23, 2013

Caos Pd, Bersani si dimette: resa dei conti in direzione

Dopo aver trasformato l'elezione del nuovo capo dello Stato in un congresso di partito, dove le diverse correnti hanno decapitato l'establishment regolando vecchi conti rimasti in sospeso, il Pd è arrivato alla resa dei conti. Resa dei conti che passa inevitabilmente dalla dimissioni (annunciate venerdì sera) di Pier Luigi Bersani, che lascia il timone del barcone in mano a Enrico Letta. Sarà il vice segretario a traghettare i democrat attraverso il guado delle consultazioni al Quirinale e delle larghe intese.


La conta in occasione del voto di fiducia su chi sosterrà il governo e chi si chiamerà fuori sarà lo show down di una scissione che in pochi, in questo momento, escludono. Al bivio il Pd arriva acefalo. "Quel che è successo non è episodico ma strutturale - ha spiegato Bersani alla direzione del Pd - si deve ripartire guardando fino in fondo l’esperienza che abbiamo fatto fin qui: vogliamo costruire un soggetto politico o allestire uno spazio politico?". Nel rassegnare le proprie dimissioni, Bersani ha ammesso che il partito non è stato in grado di reggere: "Se non rimuoviamo il problema rischiamo di non reggere nelle prossime settimane". Terremotati da tensioni fortissime, i democrat vanno alla ricerca dei "franchi tiratori" che hanno affossato la vecchia leadership del partito e hanno fatto capitolare l'intera segreteria del partito. Il peggio, però, non è ancora passato. Matteo Orfini ha già fatto sapere che voterà contro a un governo di larghe intese e che intende sfidare Matteo Renzi. Intervenendo alla direzione, però, Orfini si è limitato a chiedere ai vertici piddì di "specificare" meglio la proposta da presentare a Napolitano durante le consultazioni. Ma, pur chiedendo innovazione, non ha fatto esplicitamente la proposta di indicare Renzi come premier. Nome che, invece, è stato fatto da Umberto Ranieri. Una candidatura che Andrea Orlando, altro membro uscente della segreteria piddì, è pronto ad appoggiare. "Il nome di Renzi incontra senz’altro il favore del Pd - ha assicurato il capogruppo alla Camera Roberto Speranza - è una personalità di primissimo piano e trova un’assoluta sintonia con la dirigenza del partito".


Il sindaco di Firenze ha frenato scaricando su Letta l'onere di governare con il centrodestra: "La mia candidatura è la più sorprendente e la meno probabile. Non credo che sia sul tappeto". Tuttavia, in caso di chiamata dal Colle, non si sarebbe certo sottratto in modo da potersi cimentare nel programma anti crisi delineato nella campagna per le primarie. Renzi sa che accettando ingaggerebbe una difficile partita a scacchi con Silvio Berlusconi. Tra i "renziani" sono in molti a invitare il sindaco alla prudenza ricordando il precedente di Massimo D’Alema che nel 1998 rilevò il governo da Romano Prodi senza passare per le urne. L’operazione risulta agli occhi di tutti altamente rischiosa. Le larghe intese restano, però, un "problema" da affrontare. "Napolitano ci ha commissariati, non abbiamo alternative", è il ragionamento portato avanti da Letta, fautore della necessità di un governo politico. Sulla sua linea sono anche Dario Franceschini, Anna Finocchiaro e Giuseppe Fioroni. "La politica torni ad assumersi le proprie responsabilità - ha detto la Franceschini - o pensate che ai cittadini possiamo somministrare il nuovo governo tecnico? Ci lapideranno, ma cambieremo ciò che deve essere cambiato". Posizione che non è condivisa dalla sinistra del partito, che va da Sergio Cofferati ai "giovani turchi" fino all’area riunita intorno a Pippo Civati.


In un Pd in balia di correnti e rancori, la direzione ha approvato il mandato alla delegazione che salirà al Quirinale per le consultazioni con il capo dello Stato sulla formazione del governo. Con l’ordine del giorno il democrat avrebbero assicurato "pieno sostegno al tentativo di Napolitano" mettendo a disposizione "le proprie forze e le personalità del partito utili a formare il governo". Resta, però, il timore che neanche il voto a maggioranza in direzione possa frenare un’emorragia di "no" durante la fiducia. Nello schema che gira in ambienti parlamentari, i democrat sarebbero chiamati a "usare" alcune delle proprie punte, magari non più presenti in parlamento e impegnati nella battaglia congressuale. E i nomi che girano sono quelli di Luciano Violante, Walter Veltroni, Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti. Non solo. Scoperchiare il vaso di Pandora delle candidature significa scatenare di nuovo le ambizioni di tutti i partiti della futura maggioranza con un possibile mercanteggiamento che Napolitano ha chiarito di non voler accettare.


Direzione infuocata. Bersani: "Costruiamo un partito o un autobus?". Renzi respinge la candidatura a Palazzo Chigi. Malumori sul governo politico: l'ala sinistra si stacca?





Tag: 

Pd
Matteo Renzi
premier
larghe intese
direzione
pier luigi bersani




Andrea Indini


Pier Luigi Bersani alla direzione nazionale del Pd
Bersani: "Hanno colpito me? Missili a gettata multipla"Orfini chiede innovazione ma non nomina RenziFranceschini: "Dobbiamo dire sì a Napolitano"Ranieri: "Il Pd sia coraggioso e voti Renzi"Finocchiaro: "Esecutivo politico anche se ci lapidano"Marini: "Governo politico con i nostri uomini migliori"Bindi: "Governo di scopo senza leader politici"
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 23, 2013 09:20

April 22, 2013

Sul Pd lo spettro dalla scissione: è iniziata la resa dei conti

Sotto gli occhi di tutti c'è un caos senza precedenti, ma dietro le quinti è ancora peggio: si fa sempre più concreto il rischio della scissione. Frastornato dall’esito dell'elezione del presidente della Repubblica e dalle dimissioni di Pier Luigi Bersani, adesso il Partito democratico è chiamato ad affrontare in primis la partita del governo che si apre oggi e, subito dopo, quella congressuale. La parola d'ordine dei vertici piddì è semplice: limitare al massimo i danni. Un auspicio destinato a cadere nel vuoto. Basta leggere l'intervista rilasciata da Matteo Renzi oggi a Repubblica per capire che il sindaco di Firenze darà del filo da torcere ai vertici di via del Nazareno pur di prendere le redini del partito aprendo così la strada a una scissione interna.


"Un anno di governo e poi al voto e basta inseguire Grillo, l’agenda la dobbiamo dettare noi". Questo in sintesi il pensiero del sindaco di Firenze che già pensa a come intende rifondare il Pd, un partito che lui stesso accusa di riflettere solo sul suo ombelico. A un nuovo Pd, però, guarda anche Fabrizio Barca che punta a sdoppiare la guida del partito dalla premiership. Le posizioni sono distanti, parecchio distanti. E per questo a gestire una fase a dir poco delicata dovrebbe essere un gruppo di "reggenti" che verranno scelti nella direzione del partito che è stata convocata per domani. Una sorta di "direttorio" del quale i renziani chiedono di entrare a far parte. In quella stessa riunione verrà stabilita anche la delegazione Pd che andrà alle consultazioni con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per la formazione del nuovo esecutivo. Che sarà composta certamente dai capigruppo, Roberto Speranza e Luigi Zanda, e probabilmente dal vice segretario Enrico Letta e che dovrebbe avere il mandato di recepire la rotta che darà ilk capo dello Stato. Il condizionale, però, è sempre d'obbligo perché per come è ridotto il Pd tutto è possibile.


"Le dimissioni di Bersani sono una scossa data al partito perché ciascuno si responsabilizzi - fa presente il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza - così non si va da nessuna parte: al Pd manca il collante, la visione comune". Secondo fonti vicine a via del Nazareno, entro una decina di giorni sarà convocata l’assemblea nazionale che detterà i tempi e i modi del congresso. Il pressing per aprire la fase congressuale non è portata avanti soltanto da parte dei renziani. Rosy Bindi ha già scaricato Enrico Letta il cui nome continua a circolare per la guida del nuovo esecutivo. Pippo Civati (ancora più duro) ha attaccato a testa bassa l'intero partito puntando il dito contro i "traditori" che hanno affossato Bersani: "I soliti protagonisti della politica italiana che ora chiamate 'ministri', poi potreste ritrovarvi, tra qualche ora, a chiamarli 'ministri'". Massimo D’Alema si è affrettato a negare l'esistenza di alcuna regia dietro l’affossamento di Prodi: "È stato candidato in modo francamente assurdo". Un siluro che non solo prende di mira Bersani, ma che affonda anche i renziani che, all'assemblea di venerdì mattina, hanno tifato il Professore: "Non si può tirare fuori in questo modo la candidatura di Prodi senza una preparazione, senza un’alleanza. Si cercano capri espiatori, per errori politici che sono stati compiuti, in persone che non c’entrano nulla". Insomma, la resa dei conti è iniziata.


La frattura interna al partito rischia di penalizzare anche il Paese. Le lotte fratricide e gli scontri tra gli schiramenti nel partito sono il vero ostacolo alla formazione di un esecutivo di larghe intese. Più che pensare agli italiani, infatti, i vertici di via del Nazareno sono ancora alle prese con i 101 "traditori" che hanno votato contro l’elezione di Romano Prodi al Quirinale. Adesso è tutti contro tutti. "Dicono che sono la traditrice - spiega Alessandra Moretti, rea di aver voltato le spalle al partito su Franco Marini - ma cosa diciamo di Vendola e Tabacci? E di quelli che si sono spellati le mani per Prodi e poi hanno tradito? Io Bersani continuerò a guardarlo negli occhi e lui lo sguardo non lo sposterà". Il peggio, però, non è ancora passato. La votazione sulla fiducia al governo che verrà incaricato da Napolitano sembra tutt’altro che una passeggiata. E c’è chi mette in conto un gruppo (almeno una decina di persone) che potrebbe votare contro e, dopo lo strappo, uscire dal partito. Sullo sfondo resta, dunque lo spettro della scissione. Che a questo punto potrebbe essere "a sinistra".


Nel Pd inizia la resa dei conti: domani la direzione per decidere i reggenti. Renzi vuole rifondare il partito, ma si teme una scissione "a sinistra". Civati contro i "traditori"





Tag: 

Matteo Renzi
Pd
scissione
direzione
fabrizio barca
enrico letta




Andrea Indini



Renzi apre ai "vecchi" per scongiurare la scissioneMarini non perdona Matteo: "Ambizione sfrenata"
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 22, 2013 06:45

April 19, 2013

Bersani va allo scontro: Prodi candidato del Pd

Alla fine sarà Romano Prodi. Nel tentativo di non perdere la leadership del partito, Pier Luigi Bersani ha deciso di spaccare definitivamente il Paese: il Professore sarà il candidato dei democratici alla corsa per lo scranno del Quirinale. Una scelta che di fatto va a rompere definitivamente e irrimediabilmente le trattative col centrodestra. Uno strappo politico e istituzionale teso a mettere in un angolo il Pdl e a occupare l'ultima poltrona da prendersi.


Il Pd prova ad uscire dal pantano in cui si è cacciato. Dopo la figuraccia a Camere riunite, l'assemblea al Teatro Capranica ha dato il via libera all’unanimità all’indicazione del nome di Prodi, proposta da Bersani, per la presidenza della Repubblica. Proposta che è stata accolta dai democratici con un lungo applauso. Piuttosto semplice la strategia illustrata dal segretario piddì: votare scheda bianca al terzo scrutinio e puntare su Prodi al quarto quando il quorum si abbassa a quota 504 preferenze. "Intorno a noi si era creata una situazione difficile e non abbiamo dato una buona prova: faremo valutazioni", si è limitato a dire Bersani nel tentativo di resettare lo sfacelo di ieri. Nelle ultime ore il segretario ha tenuto riunioni e contatti per niente facili. Con i cattolici che minacciava no ritorsioni nel caso in cui Franco Marini fosse stato messo da parte. Dopo l’elezione del nuovo presidente si vedrà. Il segretario, capito che Marini sarebbe stato impallinato, è sparito dalla Camera e si è rifugiato in un ristorante con Enrico Letta, Vasco Errani e Maurizio Miglivacca. In pratica, il gruppo con il quale ormai valuta tutte le decisioni, con una eccezione però: Dario Franceschini, che era presente quando il segretario aveva deciso di puntare su Marini. Durante l'assemblea al Capranica Bersani ha espresso rammarico per la mancata elezione dell'ex presidente del Senato al soglio del Quirinale: "Per responsabilità di cui, se siamo adulti, dobbiamo prendere atto che non siamo stati in grado di cogliere l’opportunità di eleggere una nostra figura prestigiosa, un uomo del lavoro come Marini".


Dopo aver occupato le presidenze delle Camere piazzando Pietro Grasso e Laura Boldrini, adesso il piddì si appresta a muovere l'assalto finale al Quirinale. Al centrosinistra, se come pare scontato anche il Sel di Nichi Vendola e i socialisti convergeranno sul nome dell’ex premier, mancano pochi voti all’autosufficienza. I grandi elettori sono poco meno di 500, mentre la maggioranza assoluta che scatterà dalla quarta votazione è di 504 voti. D'altra parte la scelta di convergere su Prodi metterebbe d'accordo anche Matteo Renzi. "Nessuno ha mai chiuso su Prodi", aveva detto il sindaco di Firenze poco prima che iniziasse l'assemblea a cui ha deciso di non partecipare. "Ci auguriamo che questo nome possa parlare a tutto il parlamento - ha commentato Rosy Bindi - non solo al  M5S che aveva inserito nelle quirinarie anche il nome di Prodi, ma anche allo schieramento di centrodestra". In realtà, le parole della presidente del Pd suonano come una vera e propria presa in giro. Sin dall'inizio, infatti, Silvio Berlusconi si era detto disposto a trattare purché la sinistra non puntasse sul sempiterno anti Cav Prodi. "Prodi - ha commentato Matteo Orfini - ha riunito il Pd e il centrosinistra". E il prezzo da pagare per una sinistra unita è un Paese diviso e un clima da guerra civile.


Per non perdere il partito il segretario piddì è pronto a spaccare il Paese: "Prodi sarà il nostro candidato al Colle"


Speciale: Quirinale 2013


Tag: 

pier luigi bersani
Pd
renato prodi
Quirinale
elezione




Andrea Indini


Il fotomontaggio creato da Isola Virtuale (http://isolavirtuale.tumblr.com)
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 19, 2013 05:34

April 18, 2013

Il Pd silura Marini (e Bersani): torna l'incubo Prodi

Altro che spaccato in due, il Partito democratico si sta letteralmente sgretolando ai piedi del segretario Pier Luigi Bersani. Mentre sfuma l'intesa con Silvio Berlusconi su Franco Marini facendo cadere nel vuoto la possibilità di eleggere il nuovo presidente della Repubblica già al primo scrutinio, il leader del piddì resta a guardare, impotente, la sua precaria leadership messa in discussione dai suoi uomini. Tanto che al secondo e al terzo giro i democratici decidono di votare scheda bianca mentre sul Transatlantico torna ad a leggiare l'incubo Prodi e a Roma approda Matteo Renzi per dare il colpo definitivo al segretario.


"Marini non è passato - ha sentenziato Matteo Orfini - a questo punto bisogna fermarsi e trovare una soluzione diversa. Insistere sarebbe impensabile". Nel segreto dell'urna i democrats hanno votato in ordine sparso. Bersani non è stato lasciato a piedi soltanto dai fedelissimi di Renzi che, secondo fonti parlamentari, avrebbero votato più o meno compatti per Sergio Chiamparino. "Abbiamo voluto mandare un segnale - ha spiegato un deputato vicino al sindaco di Firenze - trovare un candidato di dialogo con il centrodestra è possibile, avrebbe potuto essere Amato". Intanto, però, il rottamatore il segnale l'ha lanciato a Bersani. Una badilata in pieno volto, di quelle che fanno male. E, mentre il Pd si sgretolava in diretta tivù, il primo inquilino di Palazzo Chigi recitava il de profundis del segretario piddì: "Nel partito c'è una profonda spaccatura. D'altra parte quando si elegge un presidente della Repubblica c'è in ballo il futuro dell’Italia, che è più importante del futuro del Pd". E il futuro di via del Nazareno, si sa, potrebbe portare il suo nome. Nella maggioranza democratica si punta l’indice contro chi ha trasformato quella del Quirinale in una battaglia personale, a cominciare da Renzi che vuole scongiurare a tutti costi l’ipotesi di un governo guidato Bersani. C’è chi si spinge a ricordare che in un altro gruppo chi non si fosse adeguato alle decisioni della maggioranza sarebbe stato espulso.


Il fatto è che addossare tutta la colpa ai renziani sarebbe una via di fuga troppo facile per Bersani. Da tempo, tra le correnti del Pd, ribolle un'insofferenza dilaniante nei confronti del segretario. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, spiegano in Transatlantico, sarebbe stato l’accordo siglato ieri sera con il Cavaliere. Basta dare un'occhiata alla distribuzione dei voti al termine del primo scrutinio per capire che Bersani non terrà la leadership ancora per molto. Se i prodiani si sono divertiti a prendere in giro il leader piddì, Pippo Civati ha seguito i grillini votando Stefano Rodotà per poi (ri)lanciare la candidatura di Romano Prodi. "Credo che alla quarta giungeremo a lui - spiega un giovane turco - anche se io preferirei D’Alema". I Cinque Stelle tentennano, due deputati spiegano che non voterebbero mai l’ex premier. "Non è proprio così - frena Sandro Gozi - sarei cauto a dire che il M5S non è a favore di Prodi". Insomma, i contatti fervono, gli sponsor dell’uno o dell’altro candidato si muovono per cercare i voti, mentre si attende di vedere quando si riunirà l’assemblea del gruppo (già circola l’ipotesi di autoconvocarlo con le firme di un decimo dei componenti) e quali saranno le scelte che annuncerà il segretario. D'altra parte nemmeno la bersaniana Alessandra Moretti ha seguito gli ordini di scuderia e ha preferito votare scheda bianca. Nonostante le prime batoste Bersani vorrebbe confermare, anche alla quarta votazione, Marini. Una strategia kamikaze che non preannuncia niente di buono.


"Il problema - spiega un esponente vicino a Dario Franceschini - è che ci sono in modo trasversale nelle diverse correnti molti deputati e senatori che non rispondono ai capicorrente ma al territorio". La lista degli scontenti è lunga. Basta fare un giro in Transatlantico per palpare la tensione. "Non è un voto contro la persona - spiega una deputata neoeletta - ma contro l’accordo con il Pdl. Non è possibile che il primo a dichiararsi a favore di Marini ieri sera sia stato Berlusconi e non il nostro segretario". Nelle ultime ore sono stati i molti gli esponenti del Pd ad essere bersagliati da mail di elettori contrari alla linea di Bersani. Sul territorio i segretari di federazione sono letteralmente in rivolta. È il caos. Tanto che il sindaco di Bari Michele Emiliano ha già chiesto le dimissioni del segretario.


Non solo i renziani scaricano il segretario: le correnti del Pd vanno in ordine sparso. Bersani non tiene il partito. Anche la Moretti l'ha tradito. E Prodi torna in auge: la sinistra potrebbe eleggerlo alla quarta votazione


Speciale: Quirinale 2013


Tag: 

pier luigi bersani
Pd
Matteo Renzi
elezioni
Quirinale
spaccatura




Andrea Indini



Prodi, la scelta peggioreTramontano: "Il rischio per il Paese è Prodi al Colle"
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 18, 2013 09:32

April 17, 2013

Quirinale, accordo Pdl-Pd per Marini presidente. Scoppia l'ira di Renzi

L'accordo c'è e il nome anche. Pdl e Pd voteranno Franco Marini. Almeno queste sono le indicazioni. Un nome gradito sia a Silvio Berlusconi che a Pier Luigi Bersani ma anche a Scelta Civica. Ma quello dell'ex leader della Cisl è anche un nome che ha mandato in tilt il Partito Democratico. Sulla sua elezione alla prima chiama, domattina alle dieci, pesano le defezioni e i franchi tiratori. La candidatura supererà la notte? 


Pochi minuti prima delle undici, dopo una lunga e tortuosa assemblea, i grandi elettori approvano la candidatura di Marini. Ma il partito è spezzato. I sì sono 222, i no 90, le astensioni 21. E i deputati di Sel, e una pattuglia di renziani, lasciano il teatro Capranica prima della votazione. 


Marini è la soluzione migliore che potessimo ottenere, avrebbe detto il Cavaliere ai suoi parlamentari esortandoli a votare compatti per l'ex presidente del Senato. "Quando Prodi cadde nel 2008 - ha ricordato l'ex presidente del Consiglio - ha avuto un comportamento leale e corretto. Ha consegnato il mandato e si è andati a elezioni. Marini è una soluzione che per noi non rappresenta una sconfitta. Si sarebbe trattato di una sconfitta con alcuni nomi che stavano scendendo in campo".


Pochi minuti prima del leader del Pdl Pier Luigi Bersani aveva ufficializzato la scelta: "La candidatura che avanzo, quella di Franco Marini, è quella che è più in grado di realizzare le maggiori convergenze. La sua candidatura risponde alla questione sociale, il suo profilo è adatto - ha detto Bersani ai gruppi parlamentari riuniti di Pd e Sel -. Siamo in un mare mosso, insieme a una larga coesione servirà esperienza politica, capacità ed esperienza. Marini sarà in grado di assicurare la convergenza delle forze politiche di centrodestra e centrosinistra, ha un profilo per essere percepito come un tratto sociale e popolare. È una personalità di esperienza con il carattere di reggere le onde e con radici nel mondo del lavoro, ed è persona limpida e generosa. È stato costruttore del centrosinistra".


Un nome che catalizza molti consensi, ma anche tante critiche. Tanto che lo stesso Berlusconi ha avvertito i suoi che "l'elezione potrebbe non avvenire alla prima chiama". La scelta dell'ex presidente del Senato ha creato non pochi malumori nel già spaccato Pd. In cima alla lista dei dissidenti ci sono i renziani.  Durissimo l'attacco del sindaco di Firenze: "Se io fossi un grande elettore non voterei per Marini, per me è la scelta peggiore". In serata, ospite delle Invasioni Barbariche, rincara la dose: "Votare Marini significa fare un dispetto non a me ma al Paese. Se domani il Parlamento elegge Marini io sarò il primo a mettere la sua foto nell’ufficio perchè rispetto le istituzioni, ma Marini è un candidato del secolo scorso". Per Renzi tutte le opzioni sono meglio di Marini: "Rodotà è meglio, ma ce ne sono tanti tra quelli fatti da Movimento Cinque Stelle e Pdl. Emma Bonino a me piace molto, viene da una cultura diversa da me, ma è decisamente meglio di Franco Marini. Romano Prodi? a maggior ragione, è stato un uomo che ha avuto una visione del Paese". Critica anche Rosi Bindi: "Se Franco Marini fosse il Presidente delle larghe intese, non sarebbe il mio presidente". Poi, c'è da mettere in conto il malessere di Sel e la dichiarazione lapidaria di Nichi Vendola: "Nulla contro Franco Marini ma la sua candidatura sarebbe la fine del centrosinistra e un’operazione di restaurazione". 


Nella trattativa tra Pd e Pdl rientrerebbero anche i montiani che, in mattinata, hanno escluso categoricamente Romano Prodi, candidatura di rottura invisa al centrodestra che avrebbe diviso ulteriormente il parlamento in due schieramenti contrapposti allontanando definitivamente la possibilità di riuscire a formare un governo all'indomani dell'elezione del nuovo capo dello Stato. "Sul nome di Prodi non abbiamo nessun problema, ma non ce la farà perché non gode di una maggioranza ampia - ha spiegato Andrea Olivero, coordinatore di Scelta Civica - noi spingeremo fino in fondo perché ci sia un nome che trovi d’accordo anche il Pdl". Se così fosse, verrebbe a cadere il tentativo di Beppe Grillo di entrare a gamba tesa nella trattativa facendo venire l'acquolina in bocca a Bersani: l'appoggio al candidato pentastellato al Quirinale Stefano Rodotà in cambio di una futura collaborazione a formare l'esecutivo. L'accordo tra il Pd e il centrodestra scontenterebbe appunto Vendola convinto, invece, che una buona "base di discussione" può  essere la rosa di nomi proposta dai Cinque Stelle: "Invitiamo il Pd a riflettere su Rodotà". Proprio per questo, l’obiettivo di Pdl e Pd è chiudere la partita entro le prime tre votazioni. Così facendo si eviterebbe affrontare al buio le successive. Nel momento in cui si andasse a scegliere il successore di Napolitano con scrutinio a maggioranza semplice tornerebbero in auge i nomi al momento accantonati, in particolare a riprendere quota sarebbe quello di Massimo D’Alema.


Il leader del Partito Democratico: "La candidatura che avanzo, quella di Franco Marini, è quella che è più in grado di realizzare le maggiori convergenze. La sua candidatura risponde alla questione sociale, il suo profilo è adatto". Ma i democratici si spaccano. L'ira del sindaco di Firenze: "I nostri deputati non lo voteranno, è la scelta peggiore"


Speciale: Quirinale 2013


Tag: 

Quirinale
Silvio Berlusconi
pier luigi bersani
giuliano amato
Massimo D'Alema
franco marini




Andrea Indini


Il senatore Franco Marininella sede del Partito democratico
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 17, 2013 14:25

Una poltrona per troppi: pure Strada sogna il Colle

Qui si rischia o che venga incoronato il primo che passa oppure che venga votato il meno peggio. Il parlamento vive ore cruciali: è in corso la trattativa per eleggere il nuovo inquilino del Quirinale. Il termometro politico registra sempre più intensi contatti tra Pd e Pdl, ancora alla ricerca di un’intesa su un nome condiviso: Pier Luigi Bersani dovrebbe presentare a Silvio Berlusconi una rosa di nomi da cui tirar fuori il nuovo capo dello Stato. Ma nella partita prova a entrare anche Beppe Grillo, che con i suoi 163 parlamentari è il terzo kingmaker delle elezioni presidenziali: potrebbe riaprirsi la partita del governo, lascia intendere, se Bersani convergerà su una personalità gradita ai 5 Stelle. E così alla vigilia delle votazioni in Aula, gli scenari aperti sono ancora numerosi.


"Il Pd voti con noi per il Colle. Poi vediamo. Possiamo convergere sull’anticorruzione, contro il conflitto di interessi e sull’incandidabilità della Salma. Bersani si prenda le sue responsabilità, sarebbe il primo passo per governare insieme". Un patto in salsa anti berlusconiana. È quanto torna a proporre Grillo a Bersani. Il piano del comico pentastellato è semplice: prendersi il Colle per poi farsi affidare l'incarico di formare un governo (leggi l'articolo). Ma su chi punteranno i Cinque Stelle? Milena Gabanelli, prima classificata alle Quirinarie online, scioglierà le riserve a breve. Intanto anche l'argento Gino Strada ci fa su un pensierino: "Cosa decideranno lo decidono loro, non io, sono il secondo più votato, ma è irrilevante, il Movimento ha fatto la sua scelta". Sette anni al Colle fa gola a tutti. Col rischio di incoronare il primo che capita. "Bersani voti la Gabanelli, poi chissà...". Grillo ha buttato la palla nel campo dell’avversario provando ad allettare il segretario democrat con la prospettiva di una futura "convergenza" sulla formazione dell'esecutivo. Ma sono promesse da marinaio, Bersani lo sa bene. "Niente bandierine", hanno replicato i vertici piddì. Ma il guru pentastellato ha rilanciato col nome di Stefano Rodotà, medaglia di bronzo alle Quirinarie: "È spendibile benissimo dalla sinistra".


In via del Nazareno la via maestra resta quella di un’intesa con il centrodestra che, anche grazie ai voti dei montiani, incoroni il successore di Giorgio Napolitano con la maggioranza dei due terzi dei grandi elettori. Perchè se è vero che nel fine settimana i toni del dibattito si sono fatti roventi, la trattativa per il Quirinale non si è mai arrestata. E gli sherpa sono in continuo contatto per preparare il campo all’incontro decisivo tra il segretario del piddì e il Cavaliere. Al momento Giuliano Amato è sicuramente il più quotato (leggi l'articolo). Segue Massimo D’Alema. Su questi due nomi stanno, infatti, ragionando anche gli altri partiti: mentre Scelta civica è disposta a dare il proprio voto ad Amato, i lumbard non pongono veti su D’Alema. I due nomi, ai quali in via del Nazareno si continua ad affiancare anche quello di Franco Marini, saranno nella rosa che Bersani presenterà a Berlusconi. Ma il segretario potrebbe avere in serbo, gira voce, una carta al momento ancora "coperta". Secondo fonti vicine al leader del piddì, nella rosa ci sarebbe "un nome alto" che potrebbe essere quello di un giudice costituzionale come Sabino Cassese o Franco Gallo, entrambi con alle spalle un’esperienza da ministri del governo Ciampi. "Se anche si riuscisse a trovare un’intesa su un nome - spiegano in ambienti parlamentari - non è detto che la convergenza si trasformi in un’elezione in uno dei primi tre scrutini, anche se il tentativo sarà proprio questo". Si teme infatti che la soglia dei due terzi si trasformi in una trappola per l’azione di "franchi tiratori". E allora c’è anche la possibilità, se non c’è una chiara condivisione tra i grandi elettori di Pd e Pdl, che in prima istanza ciascuno scelga un candidato di bandiera, per poi convergere alla quarta sul nome condiviso.


Secondo fonti vicine a via dell'Umiltà, Berlusconi continuerebbe a non fidarsi dei democratici che, qualora dovesse saltare l’accordo con il centrodestra, sarebbe anche pronti a votare Romano Prodi alla quarta votazione. Sebbene abbia perso l'appoggio della compagine grillina, il Professore bolognese avrebbe dalla sua un'ampia fetta della sinistra che siede in parlamento. Per il momento, però, la partita è ancora tutta da giocare. Tant’è che nelle discussioni tra parlamentari spuntano fuori ipotesi ancora non emerse, come quella che alla fine possa spuntare un nome come quello dell’ex segretario Walter Veltroni.


Ore cruciali in parlamento: si tratta per trovare un nome condiviso da mandare al Quirinale. Bersani pronto a presentare una rosa di nomi al Cav: Amato e D'Alema in pole. Grillo a gamba tesa sull'intesa. Col rischio di portare al Colle il primo che passa


Speciale: Quirinale 2013


Tag: 

Quirinale
presidente della repubblica
m5s
Pd
giuliano amato
Massimo D'Alema




Andrea Indini

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 17, 2013 04:44

April 16, 2013

Il piano di Grillo: "Il prossimo capo dello Stato mi chieda di formare il governo"

Dopo aver ripetutamente deriso Pier Luigi Bersani e pesantemente contribuito allo stato politico in cui è sprofondato il Paese, Beppe Grillo esce finalmente allo scoperto. Il piano diabolico è di per sé semplice: il primo atto del nuovo presidente della Repubblica dovrebbe essere, se il Pd non riuscisse a formare un governo, quello di dare l’incarico esplorativo al leader del Movimento 5 Stelle. Fantapolitica? Tutt'altro se ai grillini dovesse riuscire di mandare Milena Gabanelli al Quirinale.


I pezzi del puzzle si stanno mettendo a posto. Adesso è più chiara la strategia del comico genovese. Non c'è più spazio per gli scherzi, non c'è più margine per le prese in giro. Dopo cinquanta giorni di ostruzionismo, i Cinque Stelle passano al contrattacco. Bersani ha fallito: la sua strategia kamikaze non ha fatto altro che indebolire il Partito democratico. Insomma, ha avuto la sua chance per formare un governo di centrosinistra, ma l'ha gettata al vento inseguendo un'improbabile alleanza coi pentastellati. A questo punto Grillo vuole per sé quel mandato che Bersani non ha saputo far fruttare. Gli basterà convincere il nuovo inquilino del Quirinale. "Qualora il Pd non dovesse riuscire a formare l'esecutivo, il capo dello Stato dovrà dare l’incarico al Movimento 5 Stelle, anche per fornire un segno di speranza", ha spiegato a margine del comizio tenuto a Zoppola lo stesso Grillo. Per questo le mossedei Cinque Stelle sono strettamente legate al futuro del Colle. D'altra parte anche Gianroberto Casaleggio, alla domanda se l’elezione del Capo dello Stato risolverà lo stallo per la formazione del nuovo governo, ha tagliato corto spiegando che dipenderà tutto da chi verrà eletto. Dal canto loro, i grillini, un nume l'hanno già espresso. Ed è la Gabanelli. Non solo. Il comico genovese ha fatto ben di più: ha teso la mano a Bersani invitandolo ad appoggiare la conduttrice di Report in cambio di un'imprecisata "collaborazione politica". Una proposta indecente che non lascia presagire niente di buono.


Con la Gabanelli insediata al Quirinale il gioco sarebbe fatto. Altro che "collaborazione" col Partito democratico. L'amica Milena sarebbe il trampolino di lancio per un esecutivo pentastellato. D'altra parte Grillo ha già ben in mente il piano diabolico. "Il nuovo inquilino del Quirinale dovrebbe darci un incarico - ha spiegato questa mattina - dovrebbe dire: 'Signor Grillo, la coalizione di maggioranza ha fallito, provi a fare il governo lei'". In questo caso, il Movimento 5 Stelle avrebbe già pronta una rosa di dieci persone da piazzare nei dicasteri principali. Perché Grillo riesca ad ottenere il mandato esplorativo, però, è fondamentale che il Pd e il Pdl non trovino l'accordo sul successore di Napolitano. Così, per fare venire l'acquolina in bocca a Bersani, si mette a promettere una collaborazione in cambio di un appoggino per la Gabanelli che, se dovesse rinunciare all'investitura, potrebbe anche rendere l'inciucio più facile. Anche Gino Strada sarebbe, infatti, orientato, a fare un passo indietro. E allora si aprirebbe la strada a Stefano Rodotà. Come ha confermato Grillo: "Se non accetta passeremo al secondo e poi eventualmente al terzo". Il giurista veniva già citato tra i papabili per un governo sostenuto da Pd e M5S. E anche se restasse Gabanelli il nome pentastellato per il Quirinale, i parlamentari M5S potrebbero decidere di puntare su Rodotà alla quarta votazione. Perché su di lui potrebbe costruirsi una convergenza con il Pd e così scongiurare nomi meno "potabili".


Il M5S pronto a puntare su Rodotà alla quarta votazione. Sul nome del giurista convergerebbe pure il Pd. A quel punto per Grillo sarebbe più facile ottenere il mandato di formare il governo





Tag: 

beppe grillo
m5s
governo
Quirinale
presidente della repubblica
incarico




Andrea Indini


Il leader del M5S, Beppe Grillo
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 16, 2013 08:27

Disoccupati, recessione e tasse: il non governo di Napolitano ci è già costato un punto di pil

"Dopo il voto siamo a più di 50 giorni di inerzia totale, è rischioso e costoso". Le parole del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi grondano tutta l'impotenza del tessuto produttivo davanti a una politica incapace di rispondere prontamente a un Paese che, da mesi, chiede un aiuto concreto per uscire dalla crisi economica e superare la recessione. L'incapacita di Giorgio Napolitano di formare un governo e l'ottusità di Pier Luigi Bersani che, per corteggiare Beppe Grillo e i Cinque Stelle, non ha voluto dialogare con il centrodestra ci sono costati grosso modo un punto di pil. Con il peggior risultato che si potesse mai immaginare: la vittoria del non governo. E, adesso, parlare di crescita è un miraggio.


Nelle orecchie abbia ancora il dolore sordo degli abitanti di Civitanova Marche che hanno pianto Romeo Dionisi e Anna Maria Sopranzi, i due coniugi anziani che si sono impiccati perché non ce riuscivano ad arrivare a fine mese, perché si vergognavano delle difficoltà economiche che li affliggevano. Il suicidio come ultima parola sulla vita che non ha più valore. Coi coniugi Sopranzi se n'è andato anche il fratello di lei, Vincenzo. Nemmeno lui ha retto e si è buttato in mare. È la tragica forografia dell'Italia del 2013, del Belpaese che ci hanno lasciato i tecnici che per tredici mesi non hanno fatto altro che alzare le tasse e stringere i cordoni della borsa. I tre di Civitanova Marche non sono gli unici che ci hanno lasciato la pelle. La crisi economica sta riempiendo i cimiteri di vittime indifese, abbandonate dallo Stato e strozzate dalla crisi e dalla pressione fiscale che, secondo l'Istat, ha recentemente raggiunto il 52%. Si lavora per versare l'erario pubblico. E quando è il pubblico a doverti i soldi, gli euro spariscono nel nulla. L'ultimo sfacelo della premiata ditta Mario Monti e Vittorio Grilli porta la firma sul pagamento dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese, spina dorsale del nostro Paese. Sui 120 miliardi che lo Stato deve agli imprenditori (cifra calcolata qualche mese fa dalla Cgia di Mestre), Monti ha deciso di renderne solo 40 miliardi. E non lo farà nemmeno subito: ha tempo un anno per chiudere la partita.


Mentre Bersani gigioneggia in giro organizzando incontri e consultando la chiunque per formare un governo (che poi non è stato nominato) e per eleggere il nuovo inquilino del Quirinale, il dramma si ingigantisce. Se nel 2012 in Italia sono andati in fumo la bellezza di un milione di posti di lavoro, nel 2013 la situazione non sarà certo migliore. Secondo i dati elaborati dalla Cgil, da giugno mancheranno 100 milioni di ore di cassa integrazione al mese per 500mila lavoratori. Non stanno certo meglio i pensionati. Oltre al debito commerciale, cioè ai soldi che le amministrazioni pubbliche devono alle imprese, c’è un altro debito che non emerge nei conti pubblici. Sono circa 23 miliardi di buco previdenziale della gestione degli ex lavoratori pubblici, anche questo un rosso di Stato a tutti gli effetti, magicamente scomparso dallo stock del debito pubblico ufficiale nel 2007, grazie ad una finanziaria del governo Prodi. Che ora mette in pericolo la previdenza (compresa quella privata) perché grava sui conti dell’Inps.


Secondo Squinzi, nei numeri della crisi si nasconde "tutta l’inadeguatezza di un sistema politico che strangola quelle creature che dice di amare e che dice di voler amministrare". Questi numeri, ha spiegato il numero uno di Confindustria, "sono il frutto del non governo, della mancanza di quel minimo di responsabilità da parte di tutti di sospendere le ormai più che ventennali ostilità e dare un governo al Paese in un momento così drammatico". Gli industriali non sono certo gli unici a chiedere un governo. Ma non un governo qualunque, tanto per assolversi la coscienza. Quello di cui il Belpaese ha bisogno è un esecutivo di alto profilo che percepisca e sappia interpretare il momento drammatico del Paese e non certo un'agenda economica stilata da dieci saggi che, a parte una sfilza di ovvietà, non sono riusciti a tirare fuori.


L'immobilismo di Bersani, l'incapacità di Napolitano e l'inutilità dei saggi hanno peggiorato la situazione. Il Paese ha bisogno di un governo solido che paghi i debiti alle imprese, abbassi le tasse e faccia ripartire l'economia





Tag: 

crisi economica
pressione fiscale
discoccupazione
governo
Giorgio Napolitano




Andrea Indini

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 16, 2013 05:34

April 15, 2013

Le mani di Casaleggio sulle Quirinarie del M5S

Il profilo basso, una manciata di parole ben calibrate e una bocciatura netta a quel Romano Prodi che la base grillina vorrebbe tanto mandare al Quirinale. Raggiunto il centro congressi della Gam di Torino per partecipare all’incontro promosso da Confapri, l’associazione fondata dagli imprenditori Arturo Artom e Massimo Colomban, Gianroberto Casaleggio chiude categoricamente ai candidati che sono approdati al secondo turno delle Quirinarie. "Il presidente della Repubblica deve essere super partes, possibilmente non politico, che rappresenti tutti gli italiani", ha spiegato la "mente" del Movimento 5 Stelle che è approdato nella Detroit italiana non tanto per parlare di politica ma per spiegare i punti della Grillonomics al gotha dell'impresa piemontese.


Poche parole, per di più dette di sfuggita e sottovoce. Prima di incontrare gli imprenditori, Casaleggio si è fermato a parlare con i giornalisti. Un evento già di per sé degno di nota dal momento che le comparsate pubbliche del guru non sono poi così tante. Poche battute, appunto, ma politicamente rilevanti. Non solo vengono bocciati i candidati politici che l'hanno spuntata al primo turno delle Quirinarie (i vari Romano Prodi, Stefano Rodotà, Emma Bonino), ma anche quelli che non sono super partes (i vari Gustavo Zagrebelsky, Gino Strada, Dario Fo). Nessuno dei papabili pentastellati potrebbe rappresentare tutti gli italiani. I nomi fatti dalla base grillina sono, infatti, di rottura. Esponenti tutti di una sinistra militante e livorosamente anti berlusconiana. Volti invisi al centrodestra, insomma. Se ne salva, forse, una: la Bonino che, nei giorni scorsi, ha ricevuto l'endorsement dell'ex ministro Mara Carfagna. Tuttavia, l'esponente radicale è un politico da vecchissima data: è da trentasette anni che occupa poltrone ora in Italia, ora a Bruxelles. Bocciata anche lei. Insomma, dei dieci finalisti del reality show grillino non se ne salva uno. Tuttavia, dopo poche ore, Casaleggio va in corto circuito e si affretta a ritrattare dando il proprio benestare a Prodi nel caso in cui sia il più votato dalla base.


Al di lkà del dinbattito interno al movimento, ha una maggiore rilevanza il link che il Movimento 5 Stelle sta cercando di creare con la rete delle imprese. Dopo gli appuntamenti di Milano e Treviso, Casaleggio ha incontrato la Confapri a Torino per fare il punto sulla crisi e sull'agenda economica per il Paese. Sul tavolo il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione fino a 100 miliardi di euro, l'abolizione dell'Irap e le modifiche sull'Iva. Al centro congressi della Gam di Torino sono accorse diverse decine di imprenditori. Tra questi anche Marco Nardin, presidente dei giovani imprenditori di Confartiginato, spinto a Torino dalla curiosità di sentire "se l’elemento impresa è messo al centro, visto che oggi l’impresa è vista come un elemento da spremere". Casaleggio non è riuscito a muoverne poi così tanti (ben più folta la rappresentanza di giornalisti e cameran). Eppure la terza riunione "economica", dopo quelle tenute a Treviso e Milano, è il tracciato di un'asse del Nord che l'ideologo dei Cinque Stelle sta percorrendo volutamente. "Stiamo qua per incontrare ed ascoltare i piccoli e medi imprenditori, per avere da loro anche dei suggerimenti", ha detto l’ideologo del M5S liberando da ogni equivoco. D'altra parte lo stesso Grillo sembra aver corretto il tiro da qualche giorno a questa parte. Mentre i parlamentari pentastellati fanno pasticci alle Camere, i due guru cercano l'appoggio importante (anche a livello economico) da parte dell'imprenditoria padana. Il grido di allarme lanciato sabato dalla Confindustria è stato subito raccolto da Beppe Grillo sul suo blog: "L'economia non aspetta". Secondo il comico genovese, infatti, prima dell'estate il Belpaese potrebbe essere già fallito "con la distruzione irreversibile delle piccole e medie imprese che oggi tengono ancora, miracolosamente, in piedi l'Itali".


L'ideologo del M5S: "Il presidente della Repubblica deve essere super partes". Ma nessuno dei candidati grilliniè super partes. Tanto meno Prodi che sembra il favorito...





Tag: 

Quirinarie
gianroberto casaleggio
presidente della repubblica
m5s




Andrea Indini


Gianroberto Casaleggio con Arturo Artom durante l'incontro con gli imprenditori della rete ConfApri
M5S, Grillo si ritira dalle Quirinarie onlineQuando Prodi dava a Grillo lezioni di economia
 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 15, 2013 10:43

Andrea Indini's Blog

Andrea Indini
Andrea Indini isn't a Goodreads Author (yet), but they do have a blog, so here are some recent posts imported from their feed.
Follow Andrea Indini's blog with rss.