Andrea Indini's Blog, page 181

April 12, 2013

I saggi hanno scoperto l'acqua calda

Che tra le priorità del Paese ci fosse la disoccupazione non ci volevano dieci saggi per farcelo dire. Anche a un ragazzino alle prese coi primi rudimenti di matematica non ci voleva molto per capire che, a fronte di oltre un milione di posti di lavoro andati in fumo nel 2012, la lotta alla disoccupazione è un'emergenza che andava risolta già da tempo. Solo i tecnici guidati da Mario Monti non lo hanno capito. Tant'è che, dopo aver incontrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i dieci saggi chiamati a salvare il Paese hanno pubbblicato sul sito del Quirinale le relazioni finali (riforme istituzionali - agenda economica).


Basta dargli un'occhiata veloce per capire che i tecnici hanno scoperto l'acqua calda. "Se si rompe la coesione della società è in pericolo la democrazia - si legge nell'agenda economica - ogni azione pubblica è paralizzata". Il "mantenimento della coesione sociale" è considerato nella relazione come uno dei "tre obiettivi immediati imprescindibili" insieme alla tutela dei risparmiatori e al rispetto della Costituzione e delle regole europee. Da qui l'importanza di rinsaldare il rapporto tra classe politica, pubblica amministrazione e cittadino. Dalla necessità di riformare la legge elettorale alla revisione del patto di stabilità, dalla lotta alla disoccupazione alle dismissioni del patrimonio pubblico: le schede compilate per conto del capo dello Stato sono il trionfo del "ma anche". Altro che ricette per tirare fuori l'Italia dalla recessione dotandola di leggi che favoriscano il liberismo economico, snelliscano l'imponente macchina dell'amministrazione pubblica e rinfreschino l'assetto istituzionale. Non che ci fosse molto da aspettarsi dai saggi. Dal cappello potevano tirar fuori ben poco. Ma la ricetta consegnata questa mattina a Napolitano non ci tira fuori dai guai. "Le relazioni - ha spiegato il capo dello Stato - faranno parte delle mie consegne al nuovo presidente della Repubblica, oltre che essere oggetto, in questi giorni, della mia riflessione". In realtà, quello che passerà al nuovo inquilino del Quirinale sarà solo una patata bollente.


Nella relazione finale sulle questioni economico-sociali ed europee, i saggi hanno posto al centro del dibattito l’emergenza lavoro e il sostegno alle persone in grave difficoltà economica attraverso "un alleggerimento dell’imposizione diretta sul lavoro" e "il sostegno alle famiglie più povere". In secondo luogo hanno invitato il futuro governo a pagare l’intero ammontare dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese e rendere obbligatorio il termine di trenta giorni per i pagamenti. Un forte accento è stato, quindi, posto sulla necessità di migliorare il sistema tributario: "Il livello della pressione fiscale ha raggiunto, in italia, livelli molto elevati: aliquote fiscali e contributive così alte, a fronte di un livello di servizi pubblici non sempre adeguato, sono un ostacolo alla crescita economica". Per farla breve: dopo trecidi mesi di tecnici che hanno tassato e razziato i risparmi degli italiani, sono arrivati i saggi a dirci che le stangate fiscale non sono la ricetta giusta. Non solo. Anche il ruolo di Equitalia andrebbe cambiato modificande le procedure per "creare un rapporto di fiducia reciproca con il cittadino". Per quanto riguarda il mercato del lavoro, invece, l'agenda economica dei saggi propone di "riconsiderare le attuali regole restrittive nei confronti del lavoro a termine, almeno fino al consolidamento delle prospettive di crescita economica". Tutte le misure che verranno prese dal prossimo governo, però, dovranno rispettare il limite del disavanzo pubblico e stabilizzarlo in maniera durevole sotto il limite del 3% del pil.


Per quanto riguarda le riforme istituzionali, i saggi sono partiti (va da sé) dalla necessità di "superare" l'attuale legge elettorale. Tuttavia, partendo dall'assunto che il porcellum non funziona, la relazione non prende alcuna posizione ma si limita a fare un grossolano elenco di "modelli elettorali possibili" senza mettere sul piatto una soluzione concreta. Ad ogni modo resta fondamentale la riduzione del numero dei parlamentari perl superare il bicameralismo paritario. Oggi i deputati sono 630, all’incirca uno ogni 95mila abitanti. Il gruppo di lavoro ha ritenuto ragionevole seguire un criterio per cui la Camera sia composta da un deputato ogni 125mila abitanti. "I deputati verrebbero così ad essere complessivamente 480 - hanno scritto i saggi - per i senatori si propone un numero  complessivo di 120, ripartiti in proporzione al numero di abitanti in ciascuna Regione". Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici ai partiti, invece, i saggi si sono strenuamente opposti al fine di garantire la competizione democratica ed "evitare che le ricchezze private possano condizionare impropriamente l’attività politica". Per il resto le riforme proposte sono quelle che da anni il centrodestra prova a portare avanti, ma che sinistra e lobby continuano a rimandare. Dalla regolamentazione delle intercettazioni all'istituzione di una Corte che giudiche l'operato dei magistrati, fino all'attuazione del federalismo fiscale. Insomma, niente di nuovo sotto il sole.


Il Colle pubblica le relazioni dei dieci saggi: riforme istituzionali - agenda economica. Le ricette sono il trionfo dell'ovvietà: non ci sono soluzioni concrete





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Andrea Indini

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Published on April 12, 2013 11:00

April 11, 2013

Pd verso la rottura, Bersani prepara le valigie: vuole il Quirinale

L'esclusione da grande elettore del presidente della Repubblica è solo la punta dell'iceberg. La frattura, una delle tante che agita il Pd, tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi rischia di spaccare in due il partito. Il continuo scambio di attacchi al vetriolo getta ancora una volta i democratici in un’atmosfera pre congressuale con Renzi che torna in pressing e si augura che, al netto di un accordo in extremis tra il segretario del piddì e Silvio Berlusconi, si torni alle urne il prima possibile. "Bisogna uscire dallo stallo", è il suo mantra. Stallo del quale Bersani respinge qualsiasi responsabilità.


"Non abbiamo problemi di questo genere", ha assicurato Bersani poco prima di incontrare il leader leghista Roberto Maroni per fare il punto sull'elezione del nuovo inquilino del Quirinale. Il segretario del Pd non accetta di sentir parlare di "scissione". Eppure in via del Nazareno non si fa che di parlare proprio del rischio che il Partito democratico si fratturi in due (o più) realtà diverse. Non c'è solo il sindaco rottamatore a stare con fiato sul collo di Bersani. Il malcontento dilaga. Dopo le prime stoccate affidate (e poi smentite) al Secolo XIX, Rosy Bindi è tornata a concedere un'intervista (questa volata alla Stampa) per prendere le distanze dalle ultime mosse di Bersani: "Non mi ha convinto". Intervenendo ad Agorà, Matteo Orfini ha tuttavia ammesso che la questione della scissione sta emergendo nel dibattito: "Ci sono leader logorati che, evocandola, cercano di mantenere rendite di posizione figlie del passato". La tensione si taglia col coltello. Dal canto suo, Renzi continua a ripetere che non lascerà mai il partito: "Odio i partitini personali e credo nel bipolarismo: nel centrosinistra chi è di centrosinistra e nel centrodestra chi è di centrodestra. Se qualcuno nel Pd spera che io vada via, si sbaglia". Tuttavia, la presenza di Massimo D'Alema a Palazzo Vecchio per un faccia a faccia con Renzi la dice lunga sui movimenti sottocoperta che agitano il Pd.


A una settimana dall’avvio delle votazioni per il Quirinale, Bersani si trova a dover contenere le richieste dei renziani di tornare al voto (anche col porcellum) e di dover rassicurare i malumori delle alte schiere piddì che guardano, inermi, il prosciugarsi dei consensi del partito. L'affaire sull'esclusione del rottamatore dai grandi elettori del Colle e il giallo sulle telefonate da Roma per sbarrargli la strada non fanno altro che gettare altra benzina sul fuoco. Insomma, la leadership di Bersani è sempre più ballerina. Tanto che, secondo una indiscrezione riportata da Libero, starebbe brigando per farsi piazzare al Quirinale. D'altra parte nelle ultime ore, proprio mentre veniva fatto fuori Renzi, il Corriere della Sera pubblicava verbali inediti sulla compravendita della Serravalle per tirare in ballo Massimo D'Alema e tagliarlo fuori dalla scalata al Colle. "Se serve, se sono d’intralcio per favorire la partenza di un nuovo esecutivo, sono pronto a farmi da parte...", avrebbe spiegato il leader del Pd, durante il faccia a faccia con Berlusconi. Sul tavolo sarebbe quindi spuntata la possibilità di abbandonare la corsa per Palazzo Chigi (incarico instabile e precario) per buttarsi su Palazzo Madama assicurandosi sette anni di tranquillità. Possibilità che non sembra dispiacere nemmeno a Maroni che, durante l'incontro di oggi avrebbe fatto balenare al segretario del Pd anche questo scenario. Scenario che Bersani ha colto in modo assai tiepido l’idea: "Gli unici colli cui penso sono quelli piacentini...".


Il Pd nel caos. Renzi e D'Alema s'incontrano a Palazzo Vecchio. Messo in un angolo, Bersani guarda il partito cadere a pezzi: per lui un futuro al Quirinale?


 





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Andrea Indini


Il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani
Il Vietnam democratico / Salvatore TramontanoIl Cav: Bersani fragile non ha più in mano il partito
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Published on April 11, 2013 06:51

April 10, 2013

Il Csm spegne i sogni di Ingroia: non farà l'esattore delle tasse

Già s'immaginava a spasso per la Sicilia a stanare gli evasori per conto del governatore Rosario Crocetta, già sognava la stella da sceriffo appuntata sul petto, già si vedeva lontano da quella Aosta che nei giorni scorsi gli era stata prospettata per andare a vestire la toga. I colleghi magistrati, però, hanno infranto i suoi sogni di gloria: "Non sussiste l’interesse dell’amministrazione della giustizia". Oggi pomeriggio il Consiglio superiore della magistratura ha detto "no" all'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia: non è autorizzato a ricoprire l’incarico di presidente di Riscossione Sicilia Spa, la società che si occupa di riscuotere le imposte nell’isola.


È stato un niet unanime quello espresso dalla terza commissione del Csm contro l’autorizzazione per il leader di Azione civile (già Rivoluzione civile) ad assumere la guida della società regionale, fino all’anno scorso partner della Monte dei Paschi di Siena. Un ente su cui lo stesso Crocetta, nei giorni scorsi, aveva espresso forti perplessità riguardo la passata gestione. "Svolgerò questo compito con la consueta passione e tenacia - aveva assicurato Ingroia nei giorni scorsi - per riaffermare la legalità e la giustizia sociale in una regione afflitta dalle vessazioni e dagli abusi". Una promessa che non deve aver convinto la commissione del Csm che ha prontamente respinto le richieste avanzate per ottenere l’aspettativa e il collocamento fuori ruolo. Già nelle ultime ore era, infatti, emerso un orientamento negativo della commissione, anche sulla base di tre precedenti: uno, risalente al 2010, con cui era stata respinta la richiesta del magistrato Sergio Casarella, che chiedeva l’aspettativa per guidare la direzione del personale dell’agenzia delle entrate. Il Csm, poi, aveva detto "no" anche a Maria Cristina Motta, chiamata a fare il direttore amministrativo della Asl 20 di Verona, così come a Salvatore Cirignotta, per il quale era stato proposto l’incarico di direttore generale della Asl di Palermo. Secondo Palazzo dei Marescialli, l’incarico non ha nulla a che vedere con le funzioni di magistrato. Fra i presupposti per concedere l’aspettativa o il fuori ruolo vi è, infatti, quello per cui l’incarico da ricoprire deve essere in qualche modo attinente con l’amministrazione della giustizia.


Una scoppola dietro l'altra. Prima l'incarico in Guatemala per le Nazioni Unite, poi la (dis)avventura alle elezioni e la sonora batosta sancita dagli italiani che hanno bocciato la sua lista, infine il mancato incarico da gabelliere. "Un tempo superstar - ha ironizzato il vice presidente del Senato, Maurizio Gasparri - oggi ramingo bocciato". E adesso? La decisione del plenum del Csm sul trasferimento ad Aosta è slittata a domani. L’esame della delibera proposta dalla terza commissione è stato rinviato dopo un ampio dibattito, concentrato soprattutto sul tipo di funzioni che l’ex leader di Rivoluzione Civile dovrebbe andare a svolgere nel capoluogo valdostano. Giudice o pm? La delibera approvata in commissione propone per Ingroia il ruolo di giudice, ma i togati di Magistratura Indipendente hanno proposto di assegnarlo alla procura, dove c’è un posto vacante.


Ingroia non farà l'esattore delle tasse. Il Csm spegne i suoi sogni: "Non può ricoprire l'incarico offertogli da Crocetta"





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Andrea Indini

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Published on April 10, 2013 11:30

April 9, 2013

Commissioni, Grillo grida al golpe. È scontro col Pd

"Questi hanno preso 8 milioni di voti e li mettono in frigo. Facciamo pure le commissioni, poi voglio vedere cosa fanno senza governo". Nelle parole pronunciate ai microfoni di Agorà c'è tutta la rabbia del segretario del Pd Pier Luigi Bersani per il secco "no" ricevuto dal Movimento 5 stelle a un governo di minoranza. Così, mentre i grillini hanno iniziato la protesta "OccupyParlamento" per attivare le commissioni permanenti, il Partito democratico fa muro chiedendo che venga prima formato un esecutivo. "Paese al collasso e attività legislativa bloccata. Commissioni subito o partiti commissariati", ha scritto Beppe Grillo sul blog.


Doppia fumata nera. Le conferenze dei capigruppo di entrambe le Camere "a larga maggioranza" hanno deciso di non dare via libera alla costituzione delle commissioni parlamentari e di rinviare il tutto "a dopo la costituzione del governo". La posizione di minoranza, favorevole all’avvio dei lavori parlamentari ordinari, è stata sostenuta dai Cinque Stelle e dal Sel di Nichi Vendola. Il Pd e il Pdl continuano, invece, a ritenere che senza un governo fiduciato non si possano costituire le commissioni. "Naturalmente - ha precisato il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda - c’è la massima apertura a verificare altre soluzioni ove necessario, anche attraverso l’ipotesi di costituzione di altre commissioni speciali". Sulla stessa linea anche il capogruppo dei deputati del Pd, Roberto Speranza assicurando che il suo gruppo si impegna a convocare le commissioni nei prossimi giorni pur continuando a ritenere che "il primo punto è far nascere un governo". Il fronte comune che è venuto a crearsi tra pidiellini e democrat acuisce le distanze - già di per sé abissali - tra il partito di Bersani e i grillini. Una frattura che allontana sempre di più le speranze del segretario piddì di formare un esecutivo senza scendere a un'intesa con Silvio Berlusconi. "Indicheremo i componenti delle Commissioni nel giorno in cui si formerà il governo", ha spiegato il capogruppo del Pdl Renato Brunetta.


Dopo giorni e giorni di richieste cadute nel vuoto e mentre scoppia la grana "traditori", i parlamentari pentastellati hanno deciso di passare alle azioni di forza lancia l’iniziativa "OccupyParlamento". Dalle 18 alle 22 i militanti sono chiamati a un presidio in piazza Montecitorio. "Per attuare il cambiamento - ha scritto su Twitter la deputata romana Federica Daga - è necessaria molta energia". Da oggi, poi, hanno iniziato a "occupare" le Aule delle Camere: a fine seduta i deputati e i senatori grillini sono rimasto nell’emiciclo fino a mezzanotte e un minuto. Giovedì mattina la protesta si ripeterà nelle aule delle Commissioni che i 5 Stelle hanno deciso di autoconvocare. Saranno lì, spiegano i capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi, per iniziare a lavorare sui testi delle proposte con una sorta di "commissioni ombra". "Qualora questa forma di protesta non sortisca l’effetto sperato - ha incalzato la senatrice del M5S Ornella Bertorotta - ci riserviamo di valtare se metterne in atto di utleriori nei prossimi giorni". La prova di forza che i grillini ha mandato su tutte le furie soprattutto i democratici che non vogliono proprio sentir parlare di commissioni. Questa mattina è stato proprio Zanda a condannare i Cinque Stelle. "La minaccia di occupare l’Aula non è democratica", ha spiegato il capogruppo del Pd al Senato assicurando che i democratici non rivedranno le proprie posizioni sotto la minaccia pentastellata.


Braccio di ferro tra Pd e M5S. I grillini iniziano a occupare a oltranza, ma le capigruppo di Camera e Senato si oppongono alla formazione delle commissioni





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Andrea Indini


I senatori del M5S in Aula a seduta sospesa: via all'occupazione
Dopo due votazioni il M5S riapre già il caso "pianisti"Dalle occupazioni alle risse: se l'Aula non è istituzionaleGrillini: tagli agli stipendi sì, tagli agli stipendi no
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Published on April 09, 2013 11:09

April 8, 2013

Alla corte di Crocetta arriva anche Ingroia: la toga non andrà ad Aosta

Alla corte di Rosario Crocetta arriva, molto presto, anche Antonio Ingroia. Dopo essere stato trombato alle elezioni ed essere stato trasferito dal Csm ad Aosta, l'ex procuratore di Palermo è stato riacciuffato dal governatore della Regione Siciliana. Per il leader di Rivoluzione civile si profila, infatti, la guida di Riscossione Sicilia Spa, la società che si occupa di riscuotere le imposte nell’isola, controllata dalla Regione.


"Mi piacerebbe portare nel mio Megafono quell’area della sinistra rappresentata da Ingroia. È un grande magistrato, se lui è disponibile potrei utilizzarlo anche in Regione". Nei giorni scorsi Crocetta aveva già annunciato, in una intervista a Repubblica, l'intenzione di "portarea a casa" la collaborazione con il magistrato partigiano. Un corteggiamento che va avanti da diversi giorni. Qualche giorno fa un caffè insieme per mettere a punto l'incarico da cucirgli addosso, quindi l'annuncio. Dopo aver silurato Franco Battiato per l'uscita sulla presenza di troie in parlamento e di Antonino Zichichi per "troppe assenze", Crocetta è tornato a far parlare di sé salvando Ingroia da una trasferta a dir poco lontana. Messo nel cassetto l'incarico in Guatemala, il Csm aveva infatti pensato di destinare il magistrato alla procura di Aosta. "Lo hanno mandato in Valle d'Aosta - aveva scherzato nei giorni scorsi Silvio Berlusconi - ora farà le intercettazioni agli stambecchi". Ma di tornare a vestire la toga Ingroia non sembra aver troppa voglia: come aveva spiegato durante un comizio di Rifondazione comunista, più che nei panni del magistrato preferisce stare in quelli del partigiano. Così Crocetta l'ha accontentato offrendogli su un piatto d'argento l'incarico in una controllata della Regione Siciliana. Da rivoluzionario a gabelliere: destinato a un’improbabile epopea guatemalteca, conductor di una lista elettorale rifiutata dagli italiani, adesso diventa l'esattore delle tasse della Regione Siciliana.


"Per uno che doveva fare la 'rivoluzione civile' siamo finiti ad un posto da lottizzato comune - ha commentato il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri - tireranno un sospiro di sollievo i cittadini della Valle d’Aosta". Le polemiche per la nomina di Ingroia non sono certo mancate. Il deputato Salvino Caputo ha già presentato una interrogazione all’Assemblea regionale siciliana per sapere se il magistrato possieda i titoli e i requisiti giuridici per presiedere la società siciliana di riscossione. "È un incarico da magistrato - ha replicato Ingroia su Twitter - dove posso mettere a frutto la mia esperienza contro abusi e opacità del passato".


Dopo essere stato "trombato" alle elezioni, il magistrato di Palermo ripescato dal governatore: guiderà la società che si occupa di riscuotere le imposte nell’isola





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Andrea Indini


Il leader di Rivoluzione Civile Antonio Ingroia a Roma
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Published on April 08, 2013 10:13

Il M5S: "Domani occuperemo le Camere"

I Cinque Stelle vanno allo scontro. La prima mossa sarà l'occupazione del parlamento. "Attueremo tutte le iniziative possibili per far capire ai nostri concittadini che non è più il momento di scherzare". La campogruppo del M5S Roberta Lombardi ha confermato l’intenzione di prendersi le Aule di Camera e Senato al termine delle sedute. Una decisione che, in una situazione già delicata, non fa altro che alzare i toni dello scontro politiche e le divisioni tra le forze politiche che siedono in parlamento.


Annunciato ieri dalla deputata pentastellata Giulia Sarti in una intervista alla Stampa, il blitz è stato ufficialmente deciso oggi. L’obiettivo è ottenere subito la convocazione delle commissioni parlamentari permanenti, senza aspettare la formazione del nuovo governo che consentirebbe ai partiti di decidere lo scacchiere dei ruoli chiave, cioè delle presidenze e delle vicepresidenze avendo presenti i rapporti di forza. "Saranno iniziative parallele - ha spiegato la Lombardi - rimarremo in Aula ben oltre la discussione per dare il senso della riappropriazione delle istituzioni da parte dei cittadini". Domani la giornata chiave. A Montecitorio si riunirà, infatti, l’Aula che, salvo intese raggiunte a sorpresa in conferenza dei capigruppo in mattinata, dovrà votare l’ampliamento dei poteri della Commissione speciale per consentire l’esame del decreto legge sulla pubblica amministrazione. Votazione sulla quale il M5S ha già annunciato il suo "no" e che invece incasserà il "sì" del Sel di Nichi Vendola. "L’occupazione delle Aule parlamentari è un’operazione antidemocratica e disgustosa - ha commentato il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore - e spero che sia solo una boutade". In realtà, quella dei Cinque Stelle non è affatto una boutade. Tra le forme di protesta allo studio anche manifestazioni di cittadini di fronte alle sedi parlamentari e il voto contrario dei grillini nelle conferenze dei capigruppo, in modo da riportare la discussione in aula.


Giovedì prossimo i parlamentari pentastellati si autoconvocheranno nelle rispettive Commissioni per avviare "informalmente" dei lavori sui disegni di legge già depositati in parlamento. "Autoconvocheremo le commissioni iniziando a lavorare come se fossimo nelle commissioni permanenti", ha spiegato il capogruppo al Senato Vito Crimi. Oltre alle Commissioni "ombra", l'esponente pentastellato vorrebbe convocare una Giunta per le elezioni e i regolamenti: "Ci sono almeno una trentina di casi accertati di incompatibilità". La Lombardi ha, invece, proposto una partenza pro tempore delle Commissioni per prevedere, poi, una forma di rotazione, dopo che verrà formato il governo. "In un momento di crisi economica feroce le camere costano ogni giorno 500mila euro - ha concluso - le forze politiche che non vogliono far partire le commissioni si prendono quindi la responsabilità politica di far spendere 500mila euro al giorno".


Salgono i toni dello scontro. Domani i grillini resteranno in Aula dopo il dibattito per protestare contro il mancato avvio delle commissioni. Crimi pronto ad autoconvocarle





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Il capogruppo del M5S al Senato Vito Crimi
Omofobia e unioni gay: i primi disegni legge dei grilliniMa quanto guadagneranno i parlamentari grillini?
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Published on April 08, 2013 10:07

April 7, 2013

Bersani è sempre più isolato: il Pd preme per l'accordo col Cav

Il malumore nei confronti di Pier Luigi Bersani e della sua strategia kamikaze covava già da un po'. Sono bastati gli strappi di Dario Franceschini e Rosy Bindi per aprire una vera e propria falla nella leadership del segretario democratico. Uno dopo l'altro stanno uscendo allo scoperto: trovare un accordo con il Pdl è possibile. Anche Roberto Speranza, capogruppo dei deputati del Pd, è disposto a confrontarsi con il centrodestra: "La legittimazione di Berlusconi arriva dai voti, i nostri non sono di serie A e i loro di serie B". Insomma, il leader piddì che all'indomani delle elezioni ha sempre portato avanti la linea tenera con il M5S e dura con il Pdl, è sempre più isolato.


"È finalmente caduto il muro di Berlino", sembra azzardare qualche esponente del centrodestra. Bersani tira dritto per la sua strada, ma l’impressione, per dirla con un dirigente Pd, è quella di un segretario nel bunker. Finché era il sindaco Matteo Renzi a spingere per un accordo con Silvio Berlusconi, il leader del Pd poteva anche far finta di nulla. Adesso, però, sono sempre di più i big di via del Nazareno che si smarcano dalla linea del "mai con il Pdl". "Quando sarà finito il lavoro dei saggi nominati da Napolitano - è il ragionamento che fa più di qualcuno tra i democratici - sarà necessario decidere cosa fare di fronte a un "no" sempre più conclamato dei grillini e al fatto che il ritorno al voto, con questa legge elettorale, piace davvero a pochi". Per questo nel Pd si fa sempre più largo l’ipotesi di un dialogo con il Pdl, anche sul governo, con il "paletto" del no a un governissimo. È la linea indicata anche da Franceschini che nell’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera ha sdoganato il dialogo con il Pdl, sottolineando che è arrivato il momento di confrontarsi anche con il Cavaliere. Parole confermate in serata al Tg1 in un’intervista nella quale Franceschini ha definito le otto proposte lanciate da Berlusconi delle "idee da mettere sul piano del confronto".


Intervistata da Repubblica, la vicecapogruppo del Pdl alla Camera Mariastella Gelmini ha auspicato che "la sinistra abbandoni l’antiberlusconismo" affinché il confronto possa incentrarsi sulle priorità del Paese. Una speranza che sembra farsi sempre più concreta. Dopo l'apertura di Franceschini, sono stati infatti molti i big del Pd a voltare le spalle a Bersani per aprire al dialogo. In una intervista al Corriere della Sera, Speranza invita il proprio partito a non avere paura di confrontarsi. "Non significa fare un governo con ministri del Pd e del Pdl - si è affrettato a puntualkizzare - la prospettiva non è una formula politicista come il governissimo, è quel governo di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno". E, per il capogruppo dei deputati piddì, il confronto sul futuro inquilino del Quirinale può essere proprio l'occasione per "creare le condizioni migliori per far nascere il governo". Della stessa idea è anche il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda che, in una intervista all'Unità, spiega come il dialogo tra sinistra, centro e destra sia obbligatorio per fare le "riforme di grande portata". "Non sarebbe un inciucio, ma senso di responsabilità", si è affrettato a far presente il senatore Nicola Latorre ricordando che Beppe Grillo ha scelto di "non utilizzare i suoi voti per costruire una proposta di governo: ne consegue che centrosinistra e centrodestra sono obbligati a trovare un’intesa".


 

All'interno del Pd, però, non tutti vedono di buon occhio il dialogo con l'eterno nemico. "Benché i bersaniani neghino, minimizzino, raccontino dei contatti continui tra Dario e Bersani, il Pd è alla svolta forse più drammatica dei suoi 7 anni di vita e della sua scommessa politica", si legge in un retroscena pubblicato da Repubblica in cui emerge tutta la fragilità della leadership di Bersani e la frammentazione del Partito democratico. Del resto in diverse aree del partito, dai lettiani ai dalemiani, ma anche tra i big, come Walter Veltroni o Anna Finocchiaro, ci si interroga su come uscire da una situazione "bloccata". Una preoccupazione attribuita dal Secolo XIX anche alla Bindi in un’intervista che però lei si è affrettata a smentire. "Bersani non sa più che fare e il partito è fermo, senza prospettiva", avrebbe detto la presidente dell’Assemblea Pd nel colloquio giornalistico che il quotidiano ha invece confermato. La tensione è comunque palpabile nel partito alla vigilia di una settimana cruciale nella quale Bersani dovrebbe incontrare proprio Berlusconi nel tentativo di trovare un accordo sulla scelta del prossimo primo inquilino del Quirinale. "Tra dieci giorni andiamo a votare il capo dello Stato - ha sintetizzato ieri Pippo Civati - e se va avanti così ci arriviamo stremati".


I big del Pd bocciano quella che definiscono una strategia kamikaze. Entrambi i capigruppo disposti a dialogare col Pdl: "Obbligati a trovare un'intesa"





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La silhouette del segretario del Pd Pier Luigi Bersani
Bindi e Franceschini isolano Bersani che apre al CavAltro che vittoria in tasca: Renzi stia attento al lupo
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Published on April 07, 2013 04:41

April 5, 2013

Tornano i comunisti: Pd-Sel verso la fusione?

E se il Pd si spaccasse? Il partito guidato da Pier Luigi Bersani è sull'orlo di una crisi di nervi, a un passo da una frattura epocale. Se da una parte Matteo Renzi soppesa i rischi e i vantaggi di una lista tutta sua con cui presentarsi alle prossime elezioni e dare una ventata di cambiamento al centrosinistra italiano, dall'altro l'altra radicale assapora l'idea di fondersi con il Sel di Nichi Vendola. Per il momento è tutto nell'aria, ma lo scontro violento sul direttore dell'Unità Claudio Sardo la dice lunga sul clima teso che si respira in via del Nazareno.


In mattinata, ai microfoni di Radio 105, il sindaco di Firenze l'ha ribadito più volte che non è sua intenzione dar vita a un nuovo partito. "Ce ne sono già sin troppi", si è schermito. In realtà, stando a fonti vicine al rottamatore, l'idea di una "Lista nazionale" che valichi il confine tra destra e sinistra sembra non dispiacere. Soprattutto a fronte degli ultimi sondaggi che rimbalzano nelle agenzie di stampa. Secondo l'Swg, infatti, Renzi sarebbe al top tra i leader italiani. Un consenso che continua crescere, di settimana in settimana, e che oscura la leadership di Bersani. Il fatto è che il rottamatore non è certo l'unico, all'interno del Pd, a guardare avanti. Non sono pochi quelli che stanno valutando l'ipotesi di convolare a nozze con il Sel di Vendola che alle ultime elezioni si è dovuto accontentare di un magro risultato. Una sorta di "ufficializzazione" dopo anni di unione di fatto. A proporlo, in una intervista al Manifesto, è stato Matteo Orfini. Il responsabile cultura del Pd è, infatti, convinto che non ha più senso mantenere le divisioni di una volta. "Le 'due sinistre' riconoscono nel campo dei socialisti e democratici europei un punto di riferimento - ha spiegato - possiamo ragionare su qualcosa di nuovo che unisca le sinistre". Quello che Orfini ha in mente non è solo un'unione tra Pd e Sel, ma una vera e propria apertura dei democratici a tutte le anime della sinistra radicale. Dal popolo arancione di Luigi da De Magistris e Giuliano Pisapia ai movimenti che gravitano attorno alla sinistra.


L'idea di Orfini sarà, probabilmente, presentata al prossimo congresso del Pd. Nel frattempo, Vendola l'ha già accolta con estremo entusiasmo. In una intervista all'Huffington Post, il governatore del Sel ha fatto sapere di essere al lavoro per costruire una prospettiva che vada oltre gli immediati passaggi istituzionali e l'elezione del nuovo inquilino del Quirinale. Al vaglio, appunto, l'ipotesi di costruire una nuova sinistra "senza escludere rimescolamenti con il Pd". Pur dicendo "no" a una fusione a freddo, Vendola pretende che il Pd sciolga i nodi sulla sua natura e partecipi alla costruzione di "un luogo grande", che consenta di dare casa a tutte le sinistre in quella che lui stesso chiama "una felice convivenza del riformismo e del radicalismo".


Insomma, mentre si consuma sotto i riflettori dei media lo scontro all'ultimo sangue tra Renzi e Bersani, sotto banco c'è chi punta a riportare in vita una sinistra massimalista che metta insieme l'ala più radicale della sinistra. Un'operazione opposta a quella tentata da Walter Veltroni e che aveva dato vita al Partito democratico facendo fuori i comunisti dal parlamento. In crisi per la scoppola incassata alle ultime elezioni e impauriti dal consenso che sta acquisendo Renzi, Vendola e compagni stanno passando al contrattacco. L'idea di "rimescolarsi col Pd" è dettata dall'istinto di sopravvivenza, ma rischia di mettere la parola "fine" alle frangi più radicali del Pd.


La sinistra è al bivio. Mentre Renzi valuta l'ipotesi di fare una sua lista che valichi i confini tra destra e sinistra, tra i democratici c'è chi pensa a un matrimonio col Sel





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Renzi incalza il Pd: "Con me il 95% degli italiani"Un partito, 23 correnti: è già corsa a riciclarsi
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Published on April 05, 2013 14:24

M5S, l'ora della rieducazione Grillo: "Noi non ci dividiamo"

"Andiamo a passare un giorno in allegria e poi ce ne torniamo a casa". Vito Crimi, capogruppo grillino a Palazzo Madama, cerca di dissimulare il nervosismo. In relatà, il luogo della resa dei conti è rimasto top secret fino all'ultimo momento. Nemmeno ai parlamentari pentastellati era dato sapere dove Beppe Grillo aveva deciso di radunare i "suoi" per sgominare la fronda interna pronta ad aprire un confronto con il Pd. Con due pulmini rossi, il guru pentastellato ha trascinato un centinaio di parlamentari in un casale alle porte di Fiumicino. Qui, in quattro ore scarse, sono stati rieducati "dissidenti" del movimento. "Non mi aspettavo totale condivisione - ha commentato il comico al termine del summit - è legittimo che qualcuno la pensi in modo diverso ma non siamo noi che ci stiamo dividendo".


La mail di convocazione era arrivata mercoledì sera. Questa mattina i deputati e i senatori dei Cinque Stelle si sono dati appuntamento in piazzale Flaminio. Qui sono stati raggiunti e prelevati da un autobus che li ha portati alla destinazione top secret. Grillo in persona ha scelto accuratamente una località alle porte della Capitale per permettere a tutti di far rientro in città e poi tornare a casa per il fine settimana: due pullman, inseguiti da decine di automobili di cronisti, operatori e fotografi, hanno portato i grillini in un casale a Tragliata (località vicino Fiumicino). Sui 163 parlamentari M5S, però, ne sono presenti solo un centinaio. La fuga dai media è stata a dir poco rocambolesca, con un certo sapore di farsa. Un deputato ha addirittura rischiato di essere lasciato all’autogrill, un po' come nel film Pane e tulipani. È successo nella breve sosta all’area di servizio Salaria Est: per un soffio Francesco D’Uva non ha perso il pullman. Poi l'arrivo a destinazione. Davanti al casale, a un passo dai pulman rossi, una Ferrari rossa. "Non vi azzardate a scrivere che è di Grillo perché non è così", hanno intimato i presenti. Tutt'intorno la campagna, una piscina e la quiete. Per strigliare i suoi Grillo, che da sempre predica la trasparenza a tal punto da obbligare un frastornato Bersani a fare le consultazioni col M5S in diretta streaming, ha scelto la bellissima cornice di Villa Valente. La resa dei conti si è, infatti, svolta a porte chiuse. Con Crimi che andava in giro ripetendo: "Grillo non sbaglia mai, è un leader lungimirante".


Dopo il caso di Crimi, che su Facebook aveva scritto di preferire "un governo Bersani senza fiducia" all’esecutivo Monti, e la "correzione di rotta" del guru pentastellato, arrivano nuove grane per la tenuta del movimento. A riaprire la "ferita" è stato il deputato siciliano Tommaso Currò che, in una intervista alla Stampa, ha auspicato "un confronto con il Pd". Non a caso Currò ha deciso di non partecipare alla riunione di oggi. Così facendo il grillino siciliano si candida involontariamente a guidare la "fronda" di parlamentari che nel corso della riunione di martedì a Montecitorio ha proposto di presentare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lista di nomi del M5S per Palazzo Chigi. Un gruppo di minoranza ma in fermento. È un momento difficile per il deputato siciliano che ai suoi amici confida di non escludere un clamoroso passaggio al gruppo misto. In realtà, gli equilibri politici si decidono a Palazzo Madama. I senatori del M5S sono sotto osservazione dopo la "scivolata" sul voto per l’elezione di Pietro Grasso alla presidenza. Sergio Puglia ci ha tenuto ad assicurare che quello di Currò è stato solo uno sfogo: "Non è facile gestire questa situazione di stress. Qualcuno di noi può anche cominciare a stressarsi...". Ma appaiono compatti tra loro. Un po' di insofferenza si registra, però, nei confronti del gruppo comunicazione "imposto dall’alto". I senatori si starebbero organizzando per comunicare "direttamente" con i media scavalcando così Claudio Messora, responsabile comunicazione del gruppo di Palazzo Madama e legato a Gianroberto Casaleggio.


Che cosa si siano detti al summit fuoriporta non ci è dato di saperlo. A sua insaputa, o forse incurante dei numerosi precedenti, Grillo è arrivato buon ultimo nell’organizzazione dei conclavi di partito o di governo in esclusivi fortilizi proibiti ai giornalisti. La Seconda Repubblica è stata segnata da riunioni e seminari blindati. E ogni volta, nonostante il timbro "riservato" su ogni conversazione, le voci di dentro sono comunque arrivate alla stampa. "Fatemi domande ma non ho risposte per tutto", avrebbe detto escludendo categoricamente l'appoggio al governo Bersani. Appoggio che, a detta del comico, la gente non capirebbe. "La gente è stufa - avrebbe continuato - se ci fosse l’inciucio tra Pd-Pdl, prenderà i bastoni". Così, dopo aver invitato i parlamentari a usare Facebook solo per le "comunicazioni politiche", il comico ha saldato le schiere pentastellate e ha intimato l'unità, almeno fino all'elezione del nuovo capo dello Stato.


Dopo una rocambolesca fuga dai media, l'arrivo a Villa Valente. Dei 163 eletti, presenti solo un centinaio: assenti i dissidenti. Crimi difende Grillo: "Non sbaglia mai"





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Beppe Grillo abbraccia una parlamentare del M5S a Villa Valente
Grillini fuggono verso una destinazione segretaIl resort a 5 Stelle, luogo dell'incontro con GrilloGrillo ha ragione discepoli, ubbidite / Vittorio FeltriInternet si ribella a Grillo e lo sommerge di "vaffa"I grillini arrivano a destinazione: Villa ValenteEcco dove si sono riuniti i grillini
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Published on April 05, 2013 09:04

April 4, 2013

Renzi scatena l'ira dei bersaniani: "Ha la stessa ricetta del Cav"

Pier Luigi Bersani e compagni non l'hanno presa affatto bene. Non è piaciuto lo strappo di ieri, non è piaciuta l'intervista al Corriere della Sera in cui dà l'ultimatum ai vertici del Pd, non sono piaciuti i continui attacchi tesi a delegittimare la leadership del segretario. Matteo Renzi ha deciso che non starà più a guardare. In ambienti a lui vicini si parla una "Lista nazionale" in via di costruzione. Una lista che vada oltre la destra e la sinistra. "Decidetevi, sono passati più di 40 giorni dalle elezioni - ha tuonato anche oggi il sindaco di Firenze - quando si è votato ancora non c’era la sede vacante in Vaticano. Persino la chiesa che non è un modello di speditezza è riuscita a organizzarsi velocemente. Con il sistema politico che abbiamo non abbiamo ancora capito chi ha vinto o perso le elezioni".


Da quaranta giorni Bersani va in giro a ripetere sempre gli stessi discorsi: dice "no" alla grande coalizione, si oppone strenuamente alle elezioni anticipate e spera ancora che il Movimento 5 Stelle cambi idea e gli dia i voti necessari a formare un governo. Intanto la recessione economica peggiora, i tecnici alzano le tasse e non risolvono il nodo sui debiti contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese. Proprio per questo, Renzi ha rotto gli indugi e ha chiesto ai vertici del Partito democratico di fare la propria parte per dare al Paese un governo: "Il Pd deve decidere: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito; oppure è un interlocutore perché ha preso dieci milioni di voti". Il sindaco "rottamatore" non le ha certo mandate a dire a Bersani e lo ha apertamente accusato di "farsi umiliare andando in streaming a elemosinare mezzi consensi" ai Cinque Stelle che "hanno dimostrato tracotanza e arroganza" nei nostri dei democratici. La "ricetta" di Renzi, che a molti è suonata come una sorta di ultimatum, non è certo piaciuto ai vertici del piddì vicini al segretario.


La prima a tuonare contro il sindaco di Firenze è Alessandra Moretti che, ai microfoni di Tgcom24, ha spiegato che andare in giro a evocare le urne è da "irresponsabili". La "voce" di Bersani non è certo l'unica a passare al contrattacco. Tutti i "vecchi" soloni di via del Nazareno fanno quadrato attorno al segretario. "Il popolo degli elettori del centrosinistra non potrebbe mai comprendere la proposta di Renzi", ha spiegato il senatore Ignazio Marino. Le dichiarazioni anti Renzi sembrano fatte col copia incolla. E si succedono una dopo l'altra. Mentre Beppe Fioroni lo accusa di aver rilasciato "un'intervista sconsiderata", Davide Zoggia della segreteria nazionale Pd lo taccia di disosnestà intellettuale: "Se Renzi vuole governare con il Cavaliere si accomodi". "L’alternativa tra governissimo col Pdl o voto - avverte Zoggia - è la proposta che Berlusconi ossessivamente lancia dal primo giorno". Immediata la replica del sindaco di Firenze ai compagni in affanno: "Sembra che la competizione faccia paura, ma non è così, la competizione è bellezza". Il battibecco ha, però, indispettito il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, nel pomeriggio, è saltato al collo del sindaco. "Io personalmente non credo che si stia perdendo tempo", si è limitato a chiosare. Poche parole che, però, devono essere come una vera e propria sponda per Bersani che da giorni tira a campare.


Renzi: "Decidete, la Chiesa ha fatto prima". Il Pd infuriato. E Napolitano difende Bersani: "Non stiamo perdendo tempo"





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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il sindaco di Firenze Matteo Renzi
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Published on April 04, 2013 08:18

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