Andrea Indini's Blog, page 177

May 28, 2013

La crisi isterica dei Cinque Stelle

Dopo il flop elettorale bisogna affrettarsi a trovare scuse più o meno plausibili da somministrare all'elettorato. Con il Movimento 5 Stelle escluso da tutti i ballottaggi nei comuni capoluogo di provincia, le ripercussioni cominciano a scuotere la base e gli eletti grillini che, a questa tornata elettorale, non possono festeggiare exploit come quello incassato a Parma lo scorso anno. Nemmeno a Siena dove Beppe Grillo aveva puntato sullo scandalo del Montepaschi per prendere il Comune rosso per eccellenza e mettere un piede dentro alla Fondazione dell'istituto. E, mentre i parlamentari pentastellati arrivano addirittura ad accusare gli elettori di ingratitudine, il comico genovese minimizza gli errori del movimento e attacca il Pdl e il Pd accusandoli di condannare il Paese "a una via senza ritorno".


"La disfatta dei Cinque Stelle alle elezioni comunali di ieri è figlia dei loro errori - spiega Marco Travaglio nell'editoriale di oggi - ma anche dei loro meriti". Aldilà dell'arringa difensiva del vice direttore del Fatto Quotidiano, il flop dei pentastellati alle amministrative è destinato a lasciare il segno. Pochi i commenti ufficiali da parte dei grillini, perché il "consiglio" è di evitarli, ma secondo quanto si apprende alcuni deputati (i più critici) non si dicono stupiti dal risultato. Si paga, è questo il ragionamento, la strategia politica sbagliata seguita in questi mesi. Anche se per Grillo e per i più integralisti del M5S la colpa è degli altri, soprattutto i giornalisti che si occuperebbero solo di gossip. La pensa così lo stesso Travaglio per cui la disfatta è figlia dei meriti del leader. Tra questi l'aver detto "no" a Pier Luigi Bersani per "il suo demenziale governicchio di minoranza". Se avesse sottoscritto un accordo con l'ex segretario piddì, "si sarebbe guadagnato i favori dei giornaloni, della Rai e di mezza La7, che ora non lo lincerebbero da mane a sera, non inventerebbero scandali inesistenti" e via via blaterando. La stessa linea tenuta da Grillo sul suo blog (leggi il post) per "nascondere" gli innumerevoli errori commessi. Dalle black list dei giornalisti inaffidabili alle squadre di sorveglianza in Transatlantico, fino al sondaggio contro il conduttore di Ballarò Giovanni Floris. "Il M5S ha commesso errori, chissà quanti", ha ammesso questa mattina il comico spiegando che giornalisti e talk show non possono aver inciso più di tanto. Adesso è pronto a cambiare strategia di comunicazione. E, forse, a tornare in televisione.


Sul blog del comico (leggi il post), l'ideologo del movimento Paolo Becchi incolpa la partitocrazia, l'astensionismo, la crisi della democrazia. "La crisi della democrazia rappresentativa continua ad acuirsi, a farsi sempre più grave - sostiene Becchi - si attacca il M5S, ossia l’unica forza politica che è riuscita nel tentativo di riportare i cittadini alla partecipazione politica, all’interesse per la cosa pubblica". Ma se "un italiano su due non è andato a votare", questo è indicativo del fatto che "la nostra è una democrazia liquida", dove liquida va inteso come liquefatta. "Lo sconfitto - conclude Becchi - è il sistema dei partiti. Lo sconfitto è un sistema politico che non funziona più". Intanto però, secondo fonti vicine al movimento, c’è già qualche "cittadino portavoce" tentato dall’abbandono del gruppo per mancanza di democrazia. Il primo pronto ad "emigrare" nel gruppo Misto sarebbe Adriano Zaccagnini, già definito l'"eretico" del gruppo per le sue posizioni troppo critiche e controcorrente. A non piacere è la linea di Grillo. I suoi diktat dall’alto, i suoi titoli sparati ogni giorno sul blog con gli attacchi a tutto e tutti, gli ultimi contro la stampa, da Milena Gabanelli a Pierluigi Battista fino ai cronisti parlamentari definiti "cavallette" interessate solo al gossip.


A Palazzo Madama ci sarebbe una decina di senatori pentastellati a disagio che, almeno per il momento, non sarebbero intenzionati a lasciare pur mantenendo un approccio decisamente critico. Più complicata la situazione a Montecitorio dove una minoranza è in difficoltà crescente. "La gente non è stupida - dice un deputato - non è un caso se c’è stato un flop in alcune città simbolo, vedi Roma o Siena". Eppure c'è chi, come il deputato Luigi Di Maio, arriva addirittura ad accusare gli elettori: "I cittadini sono stati un po' ingrati".


Dopo il flop elettorale, Grillo prepara la svolta televisiva. Ma il Movimento si spacca e si rivolta contro il leader


Speciale: Elezioni Amministrative 2013


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Lo tsunami travolge Grillo alle urneMa i grillini sono stelle o meteore?Grillo vede una giornalista e chiama i carabinieriIl pranzo di Grillo con gli agenti Usa
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Published on May 28, 2013 08:34

Il Pdl: "Toghe politicizzate punite con sanzioni e trasferimenti"

Se un pm è politicizzato viene sanzionato e viene trasferito d'ufficio. A prevederlo è il disegno di legge presentato da Francesco Nitto Palma e messo all’ordine del giorno della commissione Giustizia a Palazzo Madama. Un provvedimento necessario ad arginare lo strapotere di certe toghe che, a suon di inchieste, fanno politica dentro alle aule di tribunale. Un provvedimento che ha subito fatto infuriare la sinistra che da anni trova nella magistratura una sponda per abbattere i nemici che non sono in grado di sconfiggere nelle urne.


Da Tangentopoli in poi la giustizia italiana è in balia degli assalti giudiziari che troppo spesso influenzano le elezioni o, ancor peggio, servono a far cadere governi. Il ddl che reca il titolo "Disposizioni in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati e di trasferimento d’ufficio" è di soli tre articoli ed è pensato proprio per contrastare lo strapotere dei giudici. Il provvedimento presentato dall'ex Guardasigilli stabilisce, infatti, che ci sia una sospensione di sei mesi per i processi i cui pm titolari sono sottoposti a procedimento disciplinare per esternazioni che ne pregiudichino l'imparzialità. L'articolo 1 aggiunge due nuove fattispecie di "punibilità" per i magistrati. In primis, costituisce illecito disciplinare "rendere dichiarazioni che, per il contesto sociale, politico o istituzionale in cui sono rese, rivelano l’assenza dell’indipendenza, della terzietà e dell’imparzialità richieste per il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali". In secondo luogo, le toghe incapperanno in sanzioni anche per "ogni altro comportamento idoneo a compromettere gravemente l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza, nel contesto sociale o nell’ufficio giudiziario in cui il magistrato esercita le proprie funzioni". In base all'articolo 2 del ddl, i trasferimenti d’ufficio avverranno anche "per qualsiasi situazione non riconducibile a un comportamento volontario del magistrato" per cui non può nella sede che occupa, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario. La sospensione dei processi è contemplata dall’articolo 3 dove una norma transitoria rimette tutte le pendenze al dicastero di via Arenula e al procuratore generale della Cassazione che saranno chiamati a determinare l’azione disciplinare. I magistrati titolari dei processi pendenti saranno trasferiti d’ufficio.


Il disegno di legge, messo a punto dal presidente della commissione Giustizia del Senato che ha già scelto come relatore il senatore del Pd Felice Casson, è stato subito osteggiato dal centrosinistra che ha accusato Nitto Palma di intervenire nei processi che riguardano Silvio Berlusconi, soprattutto per il Rubygate, viste le reiterate accuse del Pdl al pm Ilda Boccassini, e il processo Mediaset, rispetto al quale i legali del Cavaliere hanno già avanzato l'istanza di trasferimento per legittima suspicione. Anche il coordinatore Pdl Sandro Bondi ha replicato di non essere convinto dal ddl: "Non è questa la strada maestra per riformare la giustizia. Semmai è la strada più facile per creare ulteriori problemi a Berlusconi". L'ex Guardasigilli ha respinto ogni accusa facendo presente che nel ddl non c’è alcun riferimento ai procedimenti penali in corso: "Il blocco dei processi è falso". Il provvedimento riguarda, infatti, i procedimenti e i trasferimenti d’ufficio dei magistrati. Tanto che il ddl era già stato presentato nel dicembre del 2011: viene sospesa solo la procedura di trasferimento di ufficio, che è una procedura amministrativa e non assistita dalle stesse garanzie. "Non c’è nessun effetto sui processi - ha concluso Nitto Palma - ma solo sull’azione di trasferimento d’ufficio e ciò solo ed esclusivamente a tutela dei magistrati".


Presentato un ddl che sanziona e trasferisce d'ufficio i pm politicizzati. Il Pd accusa: "Norma per salvare il Cav". Nitto Palma: "Nessun riferimento a processi in corso"





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Andrea Indini


Francesco Nitto Palma, presidente della comissione Giustizia al Senato
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Published on May 28, 2013 07:10

May 27, 2013

Tasse, la rivolta del Nord

La serrata ha avuto inizio. Mentre a Roma l'esecutivo è al lavoro per sforbiciare un'ecccessiva pressione fiscale, i governatori leghisti chiedono a gran voce che venga ridefinito il sistema fiscale. Una "rivolta" pacifica per garantire a ciascuna Regione la possibilità di trattenere almeno il 75% del gettito tributario complessivo prodotto nel singolo territorio regionale. Roberto Cota, Roberto Maroni e Luca Zaia sono pronti a fare cartello per realizzare un sistema di maggiore equità fiscale, soprattutto nei confronti delle Regioni del Nord, e conseguentemente realizzare una maggiore responsabilizzazione delle Regioni e delle Autonomie.


La crisi economica che azzoppa gli imprenditori, la pubblica amministrazione che non salda i debiti contratti, la pressione fiscale che continua a lievitare. Gli indicatori economici sono preceduti da un'interminabile sfilza di segni meno. Venerdì scorso il leader della Confindustria Giorgio Squinzi ha avvertito che anche il Nord del Paese è "sull’orlo di un baratro economico che trascinerebbe tutto il nostro Paese indietro di mezzo secolo, escludendolo dal contesto europeo che conta". Dopo aver sospeso l'Imu sulla prima casa, il governo sta lavorando a un pacchetto di misure che rilanci l'economia del Paese. Nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Gianni Alemanno, Silvio Berlusconi ha spiegato senza mezzi termini che bisogna intervenire sulla pressione fiscale scongiurando l'aumento dell'aliquota Iva dal 21 al 22%, detassando le assunzioni giovanili e riformando Equitalia. In attesa che l'esecutivo intervenga pesantemente sulla pressione fiscale, i tre governatori leghisti hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio Enrico Letta e al vicepremier Angelino Alfano per chiedere al governo di istituire un gruppo di lavoro tra le Regioni e lo stesso esecutivo che proceda a una complessiva revisione della fiscalità delle Regioni e delle Autonomie sia nei suoi profili organizzativi sia nei suoi contenuti. Tra gli obiettivi portati avanti dai tre governatori del Carroccio c'è anche il superamento l’attuale sistema di riscossione fondato sulle competenze di Equitalia. 


Il sistema produttivo è sull'orlo del baratro. Come dimostra uno studio elaborato dalla Confesercenti, ogni anno 162 giorni di lavoro vengono divorati dal fisco. "L’Italia si sta battendo contro un sistema fiscale iniquo e imprevedibile - ha ribadito oggi Squinzi - serve un fisco amico del cittadino e dell’impresa, che non vuol dire lasciare campo libero al sommerso e all’evasione". Il sistema fiscale è iniquo a partire dall’Irap. Ed è imprevedibile perché quello che va bene a Varese, può non andare bene a Brescia: gli uffici sono, infatti, giudicati sugli accertamenti che spesso non sono fondati. Insomma, se il Governo non interviene per dare sollievo al Nord produttivo, tutto il Paese rischia di andare a gambe all'aria: il tema della questione settentrionale non può essere rimandata ulteriormente. "Il risultato a cui puntiamo - hanno fatto presente i tre governatori del Carroccio - è quello di spendere meno soldi pubblici per spenderli meglio".


Ultimatum dei tre governatori leghisti al governo Letta: "Il 75% del gettito delle tasse deve restare sul territorio"





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Andrea Indini



Il fisco ci divora la vita
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Published on May 27, 2013 09:31

May 24, 2013

Il Pdl stana Grillo e Casaleggio: "Ora pubblicate i vostri redditi"

Per un movimento che va in giro a predicare la trasparenza e a inveire contro chi, anche lontanamente, ha i connotati della tanto odiata e vituperata casta, l'ombra che aleggia sui redditi e i conti di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non gli fa certo una gran pubblicità. Da qui la proposta, presentata in Senato dal pdl Lucio Malan, di estendere l'obbligo di mettere nero su bianco "redditi e patrimoni anche a capi e tesorieri di tutti i soggetti politici rappresentati in parlamento".


Nella maldestra operazione targata piddì per tener fuori dalla corsa elettorale il Movimento 5 Stelle cuore del ddl presentato dal duo Anna Finocchiaro e Luigi Zanda era l'articolo che riguarda la trasparenza che dovrà essere assicurata attraverso la pubblicazione del rendiconto di esercizio corredato dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, dei bilanci relativi alle imprese partecipate e della situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di governo ed elettive. Il disegno di legge dei democrat non aveva altri intenti che far fuori politicamente un movimento che, per stessa ammissione del comico genovese, non avrebbe mai e poi mai accettato di trasformarsi in partito. Rientra, infatti, nelle regole democratiche il rispetto della vocazione dei Cinque Stelle, come rientra nelle regole democratiche far luce sui conti di chi muove i fili dei burattini che siedono in parlamento. Proprio per questo è fondamentale che tutti i leader e i tesorieri dei partiti politici, anche se non siedono in parlamento, pubblichino i propri redditi. Nella proposta di legge di Malan non viene fatto alcun nome: non viene citato il M5S né vengono richiamati i nomi di Grillo e Casaleggio. Eppure viene fatto chiaro riferimento al movimento nella relazione che spiega le ragioni dell’iniziativa legislativa.


Dal 1982 la legge prevede obblighi di trasparenza di redditi e patrimoni di membri del governo, parlamentari e dirigenti pubblici. Una platea che è stata ampliata di recente anche agli amministratori locali. Ma se in passato tali norme avevano sempre determinato la trasparenza dei redditi dei leader dei partiti rappresentati in Parlamento, oggi non è più così. In particolare, spiega Malan, ciò non avviene da quando "un movimento, che fa della trasparenza dei redditi degli esponenti politici uno dei punti principali della propria propaganda, è entrato con numerosi rappresentanti eletti in entrambi i rami del parlamento". E in questo passaggio il riferimento al Movimento 5 Stelle è chiaro. Da qui il progetto di legge composto da un solo articolo che propone di estendere "l’obbligo della pubblicità di redditi e patrimoni anche a capi e tesorieri di tutte i soggetti politici rappresentati in parlamento". La proposta di legge presentata dal senatore del Pdl prevede anche l’estensione "a tutti coloro che percepiscono compensi a carico della finanza pubblica per un ammontare complessivo pari o superiore al quello dell’indennità parlamentare".


Il Pdl presenta una proposta di legge per far luce sui leader e i tesorieri dei partiti, anche se non siedono in parlamento: anche loro dovranno rendere pubblici i redditi





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Andrea Indini

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Published on May 24, 2013 10:13

May 23, 2013

Crisi, il grido di allarme di Confindustria: "Fisco punitivo, siamo sull'orlo del baratro"

Un grido d'allarme. Il tessuto industriale è in profonda sofferenza. Il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, lo ha sottolineato Dopo aver parlato delle "debolezza strutturali" del Mezzogiorno, "una parte del Paese in cui lo sforzo per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione assume le caratteristiche di una vera e propria sfida per la sopravvivenza", il leader della Confindustria Giorgio Squinzi ha avvertito che anche il nord del Paese è "sull’orlo di un baratro economico che trascinerebbe tutto il nostro Paese indietro di mezzo secolo, escludendolo dal contesto europeo che conta". E, all'assemblea degli industriali, Squinzi assicura l'appoggio al premier Enrico Letta e al governo di larghe intese, ma chiede un piano economico che traghetti il Belpaese fuori dalla pesante recessione che lo sta affondando: "L’obiettivo deve ora essere uno solo: tornare a crescere".


Adesso che l'Italia ha un governo saldo, formato dall'unione di forze politiche che hanno messo da parte le tensioni per il bene dell'Italia, gli industriali chiedono di mettere in cantiere un piano economico che faccia rialzare la testa a quello che è sempre stato uno dei Paesi più produttivi del mondo. "Ci aspetta un grande impegno comune: fare una nuova Italia, europea, moderna aperta", ha detto chiaramente Squinzi ricordando a Letta, che era presente all'assemblea, che "le riforme non sono più rinviabili". Da qui la garanzia: "Se questo sarà il governo della crescita noi lo sosterremo con tutte le nostre forze". E il punto di partenza, come annunciato dallo stesso premier ieri al Consiglio europeo, deve essere il lavoro. Se da una parte è necessario ridurre il cuneo fiscale eliminando il costo del lavoro dalla base imponibile Irap e tagliando di almeno undici punti gli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere, dall'altra l'esecutivo deve affrontare l'emergenza disoccupazione in maniera strutturale e con equilibrio. Ma la madre di tutte le battaglie deve essere, a detta anche degli industriali, la riduzione della produzione fiscale che con i tecnici al governo è lievitata pericolosamente al 53%. Una percentuale che azzoppa chiunque voglia investire in Italia. Squinzi ha, infatti, spiegato che oltre a essere "punitivo" il fisco italiano è "opaco, complicato, e incerto nella norma". Un fisco che è "quanto di peggio si possa immaginare" e che "scoraggia gli investimenti e la crescita". A questo va ad affiancarsi la scarsa liquidità presente sul mercato. Negli ultimi diciotto mesi, infatti, lo stock di prestiti erogati alle imprese è calato di 50 miliardi di euro: un taglio senza precedenti nel dopoguerra. "Quasi un terzo delle imprese ha liquidità insufficiente rispetto alle esigenze operative - ha spiegato il presidente della Confindustria - dobbiamo contrastare la terza ondata di credit crunch".


Nei primi giorni di incarico, il governo ha subito iniziato a lavorare sul piano economico. La sospensione dell'Imu sulla prima casa, la copertura della cassa integrazione in deroga e le misure per la pubblica amministrazione sono solo i primi passi. L'Italia ha seriamente bisogno di un colpo di reni. Proprio per questo, all'assemblea di Confindustria, Letta ha cercato di sottoscrivere un patto per lavorare insieme: "Siamo dalla stessa parte: la politica forse troppo tardi ha capito la lezione, ma ora deve applicare quello che ha capito". Proprio per questo il premier intende costruire  per l'Italia una nuova "leadership europea" in campo industriale. Obiettivo da raggiungere entro il 2020, con il 20% del pil prodotto dall’industria e dalla manifattura. "La missione è difficile e il compito anche e sento sulle mie spalle tutta la responsabilità e le tante aspettative - ha concluso il presidente del Consiglio - sarà difficilissimo, non so se ce la faremo ma ce la metteremo tutta".


All'assemblea degli industriali, Squinzi lancia l'allarme: "Il nord è sull’orlo di un baratro che trascinerebbe tutto il Paese indietro di mezzo secolo"





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Andrea Indini


Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi
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Published on May 23, 2013 05:44

May 22, 2013

Milano a ferro e fuoco: Pisapia assediato dai centri sociali

Un tempo era la Milano da bere, adesso è un far west che gronda sangue. Un giorno un clandestino ghanese si sveglia all'alba e va in giro per il quartiere di Niguarda ad ammazzare la gente col piccone. Un altro una banda di malviventi prende d'assalto il quadrilatero della moda, in pieno giorno, ed espugna il negozio di Franck Muller con mazze da baseball e molotov. Un altro ancora dissidenti e no global si oppongono allo sgombero di un centro sociale dando alle fiamme una barricata fatta di sedie, tavoli e mobili e assediando Palazzo Marino ingaggiando scontri con le forze dell'ordine. Questa è la Milano oscar del Viminale per insicurezza e crimini commessi. Questa è la Milano dopo due anni di Giuliano Pisapia a Palazzo Marino.


Le immagini che questa mattina sono arrivate da via Olgiati, dove gli antagonisti hanno difeso con le fiamme e i lacrimogeni un palazzo occupato, sono le classiche scene da guerriglia urbana. In mezzo ai no global incappucciati di rosso ci sono anche i manifestanti No Tav che la scorsa estate hanno messo a ferro e fuoco la Val Susa per protestare contro la costruzione dell'alta velocità Torino-Lione. Nel frattempo in via Cusani, nel pieno centro storico del capoluogo lombardo, un imprenditore di 47 è stato scippato con la tecnica della "botta sullo specchietto": non appena ha messo fuori l’avambraccio per aggiustarlo, si è visto strappare un bracciale d'oro e un orologio Patek Philippe del valore di circa 20mila euro. Poche ore prima, in via Padova, due anziani venivano presi in ostaggio da una banda di malviventi che a suon di botte e soprusi gli hanno rubato 10mila euro in contanti. Soldi che la coppia teneva nascosti in una cassetta di sicurezza di metallo, i risparmi con cui i due, probabilmente, tiravano a campare. Sono questi i frame di una tranquilla giornata di violenza milanese. In molti, ormai, stanno imparando a farci l'abitudine: i titoli di cronaca nera dipingono quella che un tempo era conosciuta come il tempio del made in Italy e del lusso come una metropoli insicura. Le periferie nelle mani di rapitori e folli assassini, il centro nelle mani di malviventi.


"Ci sono temi su cui la politica giustamente si divide - ha commentato il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni in una intervista a Repubblica - altri che ci impongono di dimostrare la volontà di trovare soluzioni. La sicurezza è uno di questi". Dopo la brutale mattanza di Mada Kabobo, che ha lasciato a terra tre cadaveri, è intervenuto il Viminale. Il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha coordinato un tavolo per affrontare l'emergenza sicurezza a Milano e ha deciso di inviare 140 agenti permanenti a presidiare le vie del capoluogo lombardo. Eppure, nonostante l'escalation di violenza, Pisapia continua a rifiutarsi di chiamare l'esercito a difendere i milanesi: "I cittadini devono essere liberi dalla paura". Appena arrivato a Palazzo Marino il neo sindaco ha subito cacciato l'esercito che Letizia Moratti aveva fatto arrivare con l'operazione "Strade sicure". Adesso la città raccoglie i frutti di questa politica buonista. Non a caso a "recuperare" i due no glabal, che dopo aver incendiato la barricata costruita davanti allo Zam sono saliti sul tetto del centro sociale, si è scapicollato il loro avvocato Mirko Mazzali, consigliere comunale di Sel nonché presidente della commissione Sicurezza a Palazzo Marino. Scesi tra gli applausi e gli abbracci dei "compagni di lotta", i due se la sono presa con Pisapia: "Adesso ci deve spiegare che cosa è successo oggi con l’ennesimo sgombero dopo che in campagna elettorale aveva fatto ben altre promesse". E nel pomeriggio hanno preso d'assedio, insieme ad altri duecento no global, Palazzo Marino. Spintoni e manganellate sono volati all’esterno della sede del Comune quando gli antagonisti hanno cercato di sfondare il cordone di polizia per raggiungere l'amico Pisapia e discutere dello sgombero avvenuto questa mattina.


Mentre l'allarme sicurezza esplode nelle periferie e il centro storico è in mano a bande di ladri, un'altra giornata di tensione a Milano. La chiusura del centro sociale Zam fa scatenare la violenza





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Andrea Indini



Il salotto di Pisapia è un saloonSe nemmeno le vie del lusso sono più al sicuroSgombero del centro sociale, è guerriglia urbanaLa capa della lista Pisapia sta con chi assalta Palazzo MarinoGuerriglia per lo sgombero dello ZAMZam, i centri sociali protestano a Palazzo MarinoSgombero del centro sociale ZAM: è guerriglia
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Published on May 22, 2013 11:57

May 21, 2013

Grillo vuole dare la mancia agli italiani: 600 euro al mese per non fare niente

Sabato scorso, durante un comizio a Brugherio, Beppe Grillo è tornato alla carica: "Il lavoro è una cosa importante ma non può essere tutta la tua vita. Bisogna pensare a un reddito di cittadinanza pensato per l’Italia. Salario di sussistenza, tempo pieno breve, lavorare poche ore con salario adeguato per assistere i tuoi anziani. Ci vogliamo pensare adesso visto che siamo il popolo che invecchia di più". E così i suoi adepti si sono messi al lavoro per elaborare una proposta di legge che garantisca il reddito di cittadinanza a quegli italiani che non hanno un lavoro con cui sostentarsi. Una sorta di "paghetta" da circa 600 euro al mese per non far niente. Il costo? All'incirca 4,8 miliardi di euro al mese, oltre 50 miliardi di euro all'anno. Una sberla mica da ridere per i conti pubblici già di per sé malandati e un tackle durissimo per le imprese che vedrebbero così andare in fumo denari sonanti che potrebbero essere destinati alla crescita o all'abbattimento delle tasse sul lavoro.


La ricetta dei grillini per gli oltre 8 milioni di italiani che non hanno il lavoro è il reddito di cittadinanza. Altro che detassazione delle assunzioni per le imprese che assumono i giovani, altro che taglio poderoso della pressione fiscale, altro che riforma della pubblica amministrazione. Anziché rendere il mercato del lavoro più flessibile e più accessibile, i pentastellati preferiscono foraggiare chi è senza lavoro garantendogli un salario fisso di circa 600 euro al mese. Una garanzia che da una parte rischia di favorire il lavoro in nero, dall'altra tira la mazzata finale all'erario pubblico già affaticato dalle politiche di austerity imposte dall'Unione europea. Come anticipa l'Huffington Post, una trentina di parlamentari, suddivisi in cinque gruppi di lavoro, stanno lavorando alla proposta di legge. Sul tavolo il problema principale: la copertura per un provvedimento che costerebbe allo Stato italiano decine di miliardi di euro ogni anno. Se inizialmente Grillo aveva promesso un assegno da mille euro al mese, i Cinque Stelle hanno dovuto rivedere la cifra al ribasso fissandola intorno ai 600 euro. "Abbiamo individuato una platea di circa otto milioni di italiani, che potrebbero beneficiare del reddito di cittadinanza - ha spiegato il senatore Francesco Molinari - ci stiamo concentrando su cittadini che vivono sotto la soglia di povertà, non solo su chi non percepisce alcun reddito ma anche chi ha reddito troppo basso".


Conti alla mano, il provvedimento costerebbero al Tesoro oltre 50 miliardi di euro l’anno. "I nostri calcoli prevedono una somma tra i 20 e i 30 miliardi di euro - ha spiegato Molinari all'Huffington Post - ma sapremo essere più chiari tra una decina di giorni". Per coprire i costi del reddito di cittadinanza, la senatrice Nunzia Catalfo vorrebbe riformare le politiche del lavoro e introrre "un sussidio unico in un sistema integrato di welfare". In realtà, nelle scorse settimane, l'esecutivo ha dibattuto a lungo per trovare la copertura dell'abolizione dell'Imu sulla prima casa e, nei prossimi giorni, dovrà scannarsi per trovare i soldi necessari ad evitare l'aumento dell'aliquota Iva dal 21 al 22%. E le scadenze del governo Letta non si fermano certo qui: sul tavolo del premier ci sono il nodo degli esodati e il finanziamento della cassa integrazione in deroga. I grillini, invece, sono certi di riuscire a tirar fuori decine di miliardi di euro con estrema fracilità. Al di là della copertura, gli stessi fondi potrebbero essere usati per rilanciare la produzione industriale, pagare i debiti contrati dalla pubblica amministrazione con le imprese, abbassare le tasse sul lavoro e la pressione fiscale, riformare la macchina statale e favorire la liberalizzazione del Paese.


Anziché stanziare fondi per le imprese o detassare le assunzioni giovani, il M5S preferisce garantire il reddito di cittadinanza ai disoccupati. Il costo? 50 miliardi all'anno





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Andrea Indini



Grillo risponde a Gabanelli: "Blog sempre in perdita"
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Published on May 21, 2013 08:56

Ineleggibilità, il M5S vuole far fuori il Cav. Nitto Palma avverte: "Se passa, il governo cade"

Pugnalare alle spalle Silvio Berlusconi, l’unico avversario politico che Beppe Grillo considera realmente temibile, è il nuovo obiettivo dei Cinque Stelle. Il grimaldello per decapitare il centrodestra e far cadere il governo Letta è l'ineleggibilità del Cavalliere. Una battaglia che i parlamentari pentastellati intendono combattere nell'Aula di Palazzo Madama sferrando un colpo basso al leader del Pdl e sperando in una inedita convergenza di intenti con i democratici. "Se il segnale politico che viene dalla giunta propende per l'ineleggibilità di Berlusconi non c'è molto da aggiungere", conclude il presidente della commissione Giustizia al Senato, Francesco Nitto Palma, osservando che a quel punto il governo sarebbe finito.


Il conto alla rovescia è iniziato. La prima battaglia avrebbe dovuto essere combattuta già oggi pomeriggio a Palazzo Madama: nella Giunta per le elezioni e le immunità c’è da eleggere la presidenza. La conferenza dei capigruppo ha, però, deciso a maggioranza di sconvocare la seduta sebbene  la Lega Nord e il M5S si fossero opposte e il Sel avesse chiesto di fissare una data per la proroga. La temperatura  politica attorno alla Giunta è, infatti, piuttosto elevata. La scelta del presidente potrebbe essere già un indizio su come potrebbe finire la proposta di ineleggibilità del Cavaliere. Il secondo round ci sarà subito dopo la nomina, con la decisione su quali provvedimenti mettere all’ordine del giorno della giunta: i Cinque Stelle puntano, infatti, a sollevare immediatamente la questione dell’ineleggibilità in base alla legge del 1957 che la prevede nei confronti di chi "in proprio o in qualità di rappresentante legale" risulti titolare di imprese concessionarie. "In questi venti anni Berlusconi è stato alternativamente leader politico e presidente del Consiglio - ha spiegato alla Dire Nitto Palma - nel 1996 la maggioranza di centrosinistra non ha ritenuto di dichiararne l'ineleggibilità. Sono passati da allora 17 anni. Mi chiedo come si possa solo pensare di far valere ora quella norma". Anche il piddì Luciano Violante ha ricordato che, nelle passate legislature, il centrosinistra ha sempre votato contro: "Se non ci sono fatti nuovi non vedo perché dovremmo cambiare questa scelta".


La presidenza della Giunta spetta alle opposizioni. In lizza ci sono il leghista Raffaele Volpi, il vendoliano Dario Stefano e il penstastellato Mario Giarrusso. Il primo, favorito e gradito al Pdl, potrebbe farcela se su di lui convergesse anche qualche voto del Pd. L’indicazione di questa presidenza risulta, però, pregiudiziale alla nomina delle altre presidenze che ancora restano da indicare. Se il Carroccio si dovesse aggiudicare questa Giunta si aprirebbero infatti spazi per il Sel al Copasir, dove è indicato Claudio Fava, mentre ai grillini resterebbe la Vigilanza Rai. Il M5S vuole invece il Copasir per il capogruppo Vito Crimi. Senza però mollare l’osso in Giunta, dove il Pdl teme possa creare un’asse con il Pd. "Chiederemo di convocare subito l’ufficio di Presidenza per calendarizzare i provvedimenti più urgenti e, quindi la nostra proposta", ha annunciato Crimi dicendosi ottimista sulla possibilità di farcela. È stato Paolo Becchi, ideologo del M5S, a dare la linea ai grillini. "Se la magistratura condannerà Berlusconi, questi farà cadere il Governo - ha spiegato - c’è però un’altra via percorribile rispetto a quella giudiziaria, che non consente a Berlusconi di gridare alla persecuzione dei giudici. Una via schiettamente politica". E cioè quella del ricorso alla legge del 1957. Che però il Parlamento ha già "bocciato" per tre volte. "È bizzarro - ha replicato la deputata Pdl Deborah Bergamini - che questa battaglia venga condotta da un movimento che si presenta quale estremo baluardo della volontà popolare e da chi ha inserito il riferimento alla democrazia addirittura nel proprio nome".


Rinviata la Giunta per le elezioni: settimana prossima sarà nominato il presidente. I grillini vogliono calendarizzare l'ineleggibilità del Cav e cercano l'appoggio del Pd





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Andrea Indini



Quel patto in Senato per far fuori il Cav
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Published on May 21, 2013 05:12

May 20, 2013

Dal Pd una legge anti-movimenti: esplode la furia dei Cinque Stelle

Tempi duri per i movimenti e, in particolar modo, per Beppe Grillo. Il disegno di legge firmata da Anna Finocchiaro e Luigi Zanda prevede la piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione che stabilisce una serie di "obblighi". Obblighi che confliggono proprio con il tipo di organizzazione statutaria del Movimento 5 Stelle e che, qualora non venissero regolamentati, potrebbero tenere i seguaci del comico fuori dalle elezioni. Eventualità che il comico genovese intende cavalcare, sin da subito, per attaccare i democratici: "Non siamo un partito né intendiamo diventarlo. Se la legge sarà approvata in parlamento il M5S non ci presenteremo alle prossime elezioni".


"Questo non impedirà a una semplice associazione o movimento di fare politica - spiega il capogruppo piddì a Palazzo Madama - ma il mancato acquisto della personalità giuridica precluderà l’accesso al finanziamento pubblico e la partecipazione alle competizioni elettorali". Il disegno di legge targato piddì è stato assegnato alla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama lo scorso 9 maggio. Una proposta per riformare i partiti e arrivare a una piena applicazione dell’articolo 49 della Carta: lo statuto, che sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, dovrà indicare gli organi dirigenti e le loro funzioni, il collegio sindacale composto da revisori dei conti e l’attribuzione a una società di revisione iscritta all’albo speciale che certifichi i bilanci. E ancora: all'interno del partito dovrà essere garantita la massima trasparenza (anche attraverso internet). Insomma, una sfilza di norme che da una parte garantiscono la piena democraticità all'interno del partito, dall'altra limitano fortemente la partecipazione alla competizione elettorale di movimenti come quello di Grillo che non hano personalità giuridica. Nella proposta presentata dai democrat, l’obiettivo è definire i paletti per potersi presentare alle elezioni e, di conseguenza, ottenere i rimborsi elettorali. "Accedono ai rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e a qualsiasi ulteriore eventuale forma di finanziamento pubblico - si legge nel ddl - esclusivamente i partiti politici che rispettano i requisiti di democrazia interna e di trasparenza di cui alla presente legge e che hanno ottenuto l’elezione sotto il proprio simbolo di almeno un rappresentante nelle relative consultazioni". La proposta introduce, tuttavia, un taglio del 25% ai rimborsi elettorali per quei partiti che non ricorrono alle primarie. Cuore del ddl è l'articolo che riguarda la trasparenza che dovrà essere assicurata attraverso la pubblicazione del rendiconto di esercizio corredato dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, dei bilanci relativi alle imprese partecipate e della situazione reddituale e patrimoniale dei titolari di cariche di governo ed elettive.


Il ddl ha subito fatto esplodere la rabbia dei Cinque Stelle. "I partiti - ha commentato Grillo - si prenderanno davanti al Paese la responsabilità di lasciare milioni di cittadini senza alcuna rappresentanza e le conseguenze sociali di quello che comporterà". Le truppe pentastellate hanno provato a ribaltare la frittata cercando tra i democrat anti Cav la sponda per far fuori Silvio Berlusconi. "Il Movimento 5 Stelle - ha spiegato il deputato Roberto Fico - sta preparando con forza il percorso e le motivazioni da presentare in giunta per l’ineleggibilità del leader del Pdl". Le accuse, però, sono arrivate anche dall'interno del Pd. "È un modo per far vincere le elezioni a Grillo e ai grillini", ha commentato il sindaco di Firenze Matteo Renzi. I vertici di via del Nazareno hanno ribadito che il ddl non è pensato per far fuori i movimenti: "Dirlo è solo una forzatura deformante che finisce per diventare una operazione di disinformazione". Ad ogni modo i grillini non ci stanno ad ammettere che, all'interno del movimento, vi sia un reale problema di democrazia. Problema emerso ogni qual volta che Grillo e Casaleggio sono accorsi a Roma per istruire e tirare le orecchie ai parlamentari pentastellati. Le continue espulsioni, lo scontro sulla diaria e la "democrazia liquida" sono esempi palpabili del fatto che il movimento fa acqua da tutte le parti.


Il ddl esclude dal voto i soggetti privi di personalità giuridica e statuto pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Se approvata, la legge metterebbe fuoriu gioco il M5S. I grillini in rivolta si rifanno sul Cav: "Pensiamo piuttosto all'ineleggibilità di Berlusconi"





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Andrea Indini


Beppe Grillo arriva con il suo camper per il comizio a Orbassano
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Published on May 20, 2013 11:19

May 19, 2013

Il Pd sale sul carro dell'Imu ma quando lo diceva Silvio...

Altro che dare a Cesare quel che è di Cesare. Adesso la sinistra vuole pure mettere il cappello sul successo incassato in settimana dal governo. Dopo aver a lungo osteggiato l'abolizione dell'Imu sulla prima casa, il Partito democratico si affanna per strappare dalla mani di Silvio Berlusconi che porta solo il suo nome. La prima a provare invidia per il gol messo a segno dal leader del Pdl è stata, manco a dirlo, Rosy Bindi che ha invitato a non "spuntare le vittorie". "Il Pdl come il Pd - ha avvertito la Bindi - farà i conti con il programma illustrato da Letta in parlamento che, malgrado la propaganda di Berlusconi, non è il suo". Dopo di lei, uno dopo l'altro, tutti a voler strappare al Cavaliere un provvedimento in cui ha creduto sin dall'inizio della campagna elettorale.


Basta dare una rapida occhiata ai titoli dei giornali che, a poche settimane dalle elezioni politiche, riportavano accuse e anatemi del centrosinistra contro Berlusconi. Lo scorso 16 gennaio l'allora segretario piddì Pier Luigi Bersani aveva spiegato ai microfoni di Ballarò che non solo era "impossibile ridurre l'Imu", ma che il Paese aveva addirittura bisogno di una patrimoniale. Senza andare troppo lontano anche la Bindi, che adesso vuole dare al Cavaliere lezioni di morale politica, andava dicendo che i democrat erano contrario all'abolizione dell'imposta sulla prima casa. "Per alcuni di noi non è giusto sospendere l’Imu sulla prima casa - diceva lo scorso aprile - abbiamo invece problemi sulle pensioni, sugli esodati e sulla sanità". Lo stesso premier Enrico Letta, al tempo vice segretario del Pd, aveva criticato, in una intervista rilasciata alla Stampa a febbraio, la proposta del Cavaliere definendola "non credibile" perché "basata su premesse che non tengono conto della verità e perché non si poggia sulla possibilità di realizzarla dal punto di vista della solidità politica". Una promessa che Letta aveva definito "irrealizzabile". Dello stesso avviso era anche Dario Franceschini, ex capogruppo del Pd a Montecitorio e adesso ministro ai Rapporti col parlamento: "Non è politica, è folklore. Sono 19 anni che si ripete lo stesso copione: Berlusconi le spara grosse in campagna elettorale e poi si dimentica". Una sparuta minoranza i democrat disposti a seguire Berlusconi sulla strada dell'abrogazione dell'imposta sulla prima casa. Tra questi il "rottamatore" Matteo Renzi che, al tempo, era visto dai vertici di via del Nazareno come un berlusconiano in seno al Pd.


Adesso tra l'establishment piddì tira tutt'altra aria. Non appena l'esecutivo ha sospeso fino al 16 settembre l'Imu per poi abolirla definitivamente, hanno tutti fatto la corsa per prendersene i meriti e mettere in un angolo il Cavaliere. "Dopo la nostra vigorosa rimonta alle elezioni politiche di febbraio, ci siamo fatti promotori di un governo di coalizione con il Pd. La sinistra era sicura di vincere e invece deve fare i conti con il nostro programma", aveva subito commentato il Cavaliere in un video messaggio postato su Facebook per ricordare che l'abolizione dell’Imu rientra nel piano economico tracciato dal Pdl in campagna elettorale. Per l’ex premier, infatti, è solo il primo dei provvedimenti su cui il Pdl si è impegnato: "Ora vogliamo portarli a casa per uscire dalla crisi e rilanciare l’economia". Il fatto che il piano economico del Pdl sia vincente non va proprio giù al Pd. Proprio per questo, il neo segretario Guglielmo Epifani continua ad attaccare duramente Berlusconi. "Lui può dire che ha vinto, ma non è così", ha tuonato l'ex Cgil invitando il laeder del Pdl a smetterla di "fare attentati pensando di mettere il governo in fibrillazione con la questione giudiziaria". Non è da meno Letta che questa mattina, in una intervista a Repubblica, ci ha tenuto a precisare che "gran parte della manovra è dedicata ai temi cari al centrosinistra". Insomma, per il premier, "bisogna finirla con questa logica assurda per cui Berlusconi vince sempre e il Pd perde sempre".


Mentre il Pd litiga e si fa venire una crisi di nervi nel valutare chi sia il vincitore politico e morale della sospensione dell'Imu, Berlusconi già guarda avanti e pensa alle posse mosse che l'esecutivo deve mettere in cantiere per far rialzare il Paese. In primis, l'abolizione dell'innalzamento dell'Iva dal 21 al 22% e, più in generale, l'abbassamento della pressione fiscale. In secondo luogo, la riforma di Equitalia tagliando le unghie a quel "mostro" che troppo a lungo ha terrorizzato gli italiani. Se anche questi provvedimenti verranno messi a segno, la sinistra proverà ad accaparrarsi il merito?


Quando in campagna elettorale Berlusconi aveva promesso l'abolizione dell'Imu, il Pd aveva liquidato la proposta definendola "folkloristica". Ora vogliono tutti strappargli la vittoria





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Andrea Indini



La Fiom ha già nostalgia dell'Imu"Basta stangare la casa o il Paese non ripartirà"
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Published on May 19, 2013 05:49

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