Andrea Indini's Blog, page 173
July 6, 2013
Scontrino e spese detraibili: così pagheremo meno tasse?
Il governo pensa al "contrasto di interessi" per abbattere l'evasione fiscale. In realtà la norma, già presente in paesi liberali con gli Stati Uniti, è un diritto per i contribuenti. Lo strumento è semplice e per di più serve ad abbattere sensibilmente la pressione fiscale: gli scontrini fiscali e le spese quotidiane potranno essere scaricare dalla dichiarazione dei redditi. Una vera e propria boccata d'ossigeno sia per le famiglie italiane, che in questo modo saranno più propense a spendere, sia per le imprese e i liberi professionisti, che vedranno allargarsi la clientela. Ma anche un manna dal cielo per l'erario pubblico che con questa norma vedrebbe l'evasione fiscale sempre più sconveniente.
Se spendo, scarico. Niente evasione. L'equazione è semplice. Tanto semplice da spingere il contribuente a chiedersi perché il Tesoro non ci avesse pensato prima. Le fatture dell'idraulico e dell'elettricista, le spese dal tecnico della lavatrice e del carrozziere, le parcelle dell'avvocato e dello psicologo. Proprio come negli Stati Uniti. Scontrini, fatture, parcelle e così via. E, per magia, la dichiarazione dei redditi si abbatte sensibilmente. Come anticipa Repubblica, rispunta a Montecitorio il "contrasto di interessi", norma che era stata inserita a fine novembre nella delega fiscale del governo Monti. Con la caduta dei tecnici era caduto pure il provvedimento. Il testo della nuova legge delega si sviluppa su quindici articoli che dovrebbero rivoluzionare il sistema fiscale. Si va dalla riforma del catasto alle semplificazioni, fino ad arrivare alla tassazione fiscale, al codice unico dei giochi e alle norme sulla certezza del diritto. Insomma, se il governo Letta riesce a durare il "contrasto di interessi" potrebbe finalmente vedere la luce. D'altra parte l'esecutivo si è già mosso in questa direzione confermando i cosiddetti "ecobonus". Un pacchetti piuttosto danaroso che favorisce le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico. Grazie agli sconti, che il governo ha rafforzato alzandoli dal 50 al 65% e prorogandoli fino al 31 dicembre del 2013, il contribuente detrarre, nel giro di dieci anni, la spesa dall'Irpef. Mercoledì scorso l'Aula di Palazzo Madama ha, poi, approvato un emendamento che estende il bonus per le ristrutturazioni anche ai grandi elettrodomestici di classe A+. Con la legge delega che introduce il "contrasto di interessi" ai allargherebbe ulteriormente la possibilità di scaricare le spese favorendo in questo modo i consumi che dall'inizio della crisi economica hanno subito una batosta senza precedenti.
La delega fiscale, che incontra un favore trasversale tra i banchi del parlamento, è già calendarizzata per il suo passaggio in Aula. Dovrebbe arrivare a Montecitorio tra l'ultima settimana di luglio e la prima di agosto. Purtroppo, essendo solo una legge delega, spetterà poi al governo Letta mettere nero su bianco i meccanismi di detrazioni o di deduzione e, soprattutto, trovare la copertura economica. Quest'ultimo punto è senza dubbio lo scoglio più difficile da valicare viste le resistenze che il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni e il suo collega allo Sviluppo economico Flavio Zanonato stanno facendo sia all'abolizione dell'Imu sulla prima casa sia sull'abrogazione dell'aumento dell'aliquota Iva dal 21 al 22%. Una volta trovata la copertura economica, il "contrasto di interessi" servirà sicuramente a rilanciare la crescita e, al tempo stesso, contrastare l'evasione fiscale.
Arriva a Montecitorio la riforma fiscale. Tra le proposte anche il "contrasto di interessi" per detrarre o dedurre le parcelle di idraulici ed elettricisti e le parcelle dei professionisti. Una mossa per rilanciare la crescita e contrastare l'evasione
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Andrea Indini
July 5, 2013
Il governo taglia le Province: saranno cancellate dalla Carta
Il governo incassa la doccia fredda della Consulta sull’abolizione delle Province e rimodula la sua strategia presentando un disegno di legge costituzionale ad hoc. Come prima mossa il Consiglio dei ministri si limiterà a cancellare le Province dalla Costituzione: tre articoli per eliminare qualsiasi riferimento contenuto nella Carta. In tutto Sono tredici i commi della Costituzione che verranno modificati. "Fin quando la parola Province rimane in Costituzione qualsiasi intervento finisce in un vicolo cieco - ha spiegato il premier Enrico Letta - è necessario fermarsi e ripartire da capo e l’ordine giusto vuol dire abolizione della parola Province dalla Costituzione".
Il disegno di legge, voluto da Letta e approvato in mattinata dal Consiglio dei ministri, ha subito trovato l’opposizione dell’Unione delle Province d’Italia che per bocca del suo presidente, Antonio Saitta, ha definito "inaccettabile" un provvedimento di questo tipo tarato solo sulle Province. "Tutto ciò conferma - ha spiegato stizzito il leader delle Province - che la politica non vuole riformarsi". A dar man forte al premier svetta in prima fila il ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio, già presidente dell’Anci, che ha riconosciuto che "il decreto per riformare una materia costituzionale è uno strumento improprio", anche se poi ha spento le speranze delle Province aggiungendo che "i cittadini devono stare tranquilli perché la riforma degli enti locali e la cancellazione delle Province si farà comunque". In realtà nelle intenzioni del governo c'è proprio quella di azzerarle tutte. "L'abolizione consente di uscire da un policentrismo anarchico", ha fatto notare il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello. Nessuna fusione, dunque, nessuna riduzione. Un risparmio che, stando ai conti del Tesoro, si aggira attorno al miliardo, euro più euro meno. Con un occhio ai 57mila dipendenti delle Province che scenderanno gradualmente di numero senza, tuttavia, che vi siano esuberi. Insomma, saranno i pensionamenti a sfoltire l'esercito dei dipendenti provinciali. "Il governo - ha assicurato il premier - intende salvaguardare i lavoratori delle province e le funzioni degli enti abrogati". Il ddl costituzionale rimanda, infatti, a una legge che, nell’ambito delle competenze degli altri enti locali, ripartirà le funzioni che oggi sono in capo alle Province. Quando saranno note le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale, il ministro agli Affari regionali Graziano Delrio proporrà una legge che dia applicazione al ddl.
La riforma che l'esecutivo intende mettere a punto non si ferma certo qui. Negli intenti rientrerebbero anche la razionalizzazione dei piccoli Comuni e lo sfoltimento dei circa 7mila enti di mezzo. Intervistato dal Mattino, il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello ha proposto "aggregazioni di Comuni che insistono sul rispettivo capoluogo e che possono condividere funzioni e creare sinergie". "È assurdo pensare che il sindaco di Torino debba occuparsi degli skilift di Salice D’Ulzio o che Molfetta debba fare capo a Bari. È assurdo pensare di mettere insieme l’Irpinia con il Sannio o Pisa con Livorno. Anche la storia ha i suoi diritti", ha spiegato Quagliariello secondo cui c’è bisogno di una legge a geometria variabile che "fissi criteri e funzioni ma tenga anche conto di criteri geografici e storici". "Nel modificare la Costituzione - ha concluso il ministro - va sancito il principio che non possono esserci cinque differenti livelli di governo. Va inoltre precisato cosa sono le città metropolitane e vanno previsti criteri di flessibilità, altrimenti non si eviteranno pasticci".
Il Cdm licenzia la legge costituzionale per cancellare le Pronvince dalla Carta. Al vaglio anche una legge ordinaria per tagliare gli enti inutili erazionalizzare i Comuni
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Andrea Indini
July 4, 2013
Letta promette soldi a imprese: "Ma per Imu e Iva è difficile"
Un vertice di maggioranza per tracciare la road map su cui il premier Enrico Letta farà muovere i ministri nei prossimi diciotto mesi. "Dobbiamo accelerare" è stato l'avvertimento del presidente del Consiglio. Sul tavolo l'abolizione dell'Imu, il pagamento dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese, la riforma delle province sono i temi più caldi a cui Letta ha voluto dare priorità senza però assicurarne la buona uscita. Tanto che non mancano i distinguo. Se per i debiti alle imprese il premier promette una soluzione entro l'autunno, il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato si affretta a mettere subito le mani avanti spiegando che sarà difficile trovare la copertura economica per i 40 miliardi di euro da sborsare. Non solo. Se il vicepremier Angelino Alfano calendarizza l'abolizione dell'Imu sulla prima casa e sull'aumento dell'Iva, Letta si affretta a mettere subito le mani avanti nicchiando (anche lui) sulla copertura economica.
Sono sette i provvedimenti che arriveranno a luglio alle Camere e per una approvazione rapida. Alla base l'idea di una road map che vada verso il completamento di 18 mesi di lavoro e che prevede quattro fasi e quattro obbiettivi. "Questi 18 mesi faranno ripartire l’economia italiana - ha assicurato Letta - e consentiranno quella riforma della politica che l’obiettivo principale del governo". Il primo obiettivo della road map tracciata questa mattina durante il vertice resta l'abrogazione dell'Imu sulla prima casa e l'abolizione dell'aumento dell'aliquota Iva dal 21 al 22%. Due risultato che Letta intende portare a casa a tutti i costi. Ma che sa bene essere di "difficile solizione". "La soluzione è complicata", ha spiegato il presidente del Consiglio ricordando che il bilancio del 2013 è ancora rigido non godendo della flessibilità garantita dalla decisione annunciata ieri da Bruxelles. "La copertura va tutta trovata dentro il bilancio - ha concluso - e ciò non è semplice". Letta ha quindi affrontato il nodo delle scadenze della prossima settimana. A cominciare dalla ridefinizione complessiva del sistema di tassazione sulla casa e dala revisione della spesa pubblica che, come ha avvertito ieri il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, non può avvenire in tempi brevissimi. Per questo scopo il governo, nel prossimo consiglio dei ministri, dovrebbe nominare l’ex ministro per i Rapporto col parlamento Piero Giarda commissario alla spending review. Come ha spiegato lo stesso vicepremier Angelino Alfano, la posizione del Pdl all'incontro di maggioranza è stata quella di dare come priorità all'azione di governo l'abbattimento immediato del debito pubblico per diminuire la pressione fiscale che coi tecnici al governo ha raggiunto livelli insostenibili e pagare, al più presto, i debiti contratti dallo Stato con le imprese. Su quest'ultimo punto Letta si è preso in carico l’impegno ad accelerare in autunno il pagamento dei crediti che le imprese vantano nei confronti della Pubblica amministrazione. Brunetta ha commentato positivamente la "grande apertura" del premier rispetto a una proposta che sarebbe "uno choc positivo per l’economia". A spegnere gli entusiasmi, però, ci ha pensato Zanonato: "Dire che è difficile pagare i debiti è vero e ovvio, ma non ci si deve agitare".
Il governo ha chiesto ai partiti di maggioranza di "farsi carico dei provvedimenti e di costruire un percorso per l’approvazione". Letta si è presentato all'incontro a Palazzo Chigi con una maggiore fiducia rispetto a quella che aveva nei giorni scorsi. Così oltre a distendere gli animi e appianare le divergenze, la riunione di domani serve dare il via all’istituzionalizzazione di una sorta di "cabina di regia" che coordini governo e maggioranza per concentrarsi sulle misure più importanti da mettere in cantiere. Su questo hanno premuto sia il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta sia i ministri del Pdl che avrebbero consigliato di creare una camera di compensazione che prevenga polemiche e attacchi mediatici. "È andata bene, il governo va avanti", ha spiegato il premier che, durante il vertice, ha ribadito l’impegno a un maggior coinvolgimento dei partiti della maggioranza nell’approfondimento tecnico di ogni singolo dossier. "La cabina di regia affronterà in modo regolare tutti i provvedimenti - ha spiegato Brunetta - cosa che non è avvenuta per il 'decreto fare' e per quello lavoro che ora andranno corretti in parlamento come sull’Iva dove le coperture andranno totalmente cambiate".
Vertice per appianare le fibrillazioni. Letta si piega al Pdl: entro atunno verranno saldati i debiti dello Stato. Ma frena su Iva e Imu: "Difficile trovare la copertura economica"
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Andrea Indini
Il governo incontra la maggioranza: "Rimborsare le imprese e stop all'Imu"
Un vertice di maggioranza per azzerare le fibrillazioni che rischiano minare la credibilità e la tenuta del governo. Ma soprattutto un vertice di maggioranza per tracciare la road map su cui il premier Enrico Letta farà muovere i ministri. "Dobbiamo accelerare" è stato l'avvertimento del presidente del Consiglio. Sul tavolo l'abolizione dell'Imu, il pagamento dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese, la riforma delle province sono i temi più caldi a cui Letta ha voluto dare priorità. Ma è proprio sui debiti dello Stato che il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato ha preso tempo spiegando che sarà difficile trovare la copertura economica per i 40 miliardi di euro da versare alle imprese.
Sono sette i provvedimenti che arriveranno a luglio alle Camere e per una approvazione rapida. Il Governo ha chiesto ai partiti di maggioranza di "farsi carico dei provvedimenti e di costruire un percorso per l’approvazione". Letta si è presentato all'incontro a Palazzo Chigi con una maggiore fiducia rispetto a quella che aveva nei giorni scorsi. Così oltre a distendere gli animi e appianare le divergenze, la riunione di domani serve dare il via all’istituzionalizzazione di una sorta di "cabina di regia" che coordini governo e maggioranza per concentrarsi sulle misure più importanti da mettere in cantiere. Su questo hanno premuto sia il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta sia i ministri del Pdl che avrebbero consigliato di creare una camera di compensazione che prevenga polemiche e attacchi mediatici. "È andata bene, il governo va avanti", ha spiegato il premier che, durante il vertice, ha ribadito l’impegno a un maggior coinvolgimento dei partiti della maggioranza nell’approfondimento tecnico di ogni singolo dossier. "La cabina di regia affronterà in modo regolare tutti i provvedimenti - ha spiegato Brunetta - cosa che non è avvenuta per il 'decreto fare' e per quello lavoro che ora andranno corretti in parlamento come sull’Iva dove le coperture andranno totalmente cambiate".
Per quanto concerne i contenuti, Letta ha quindi messo a tema il ruolo dell'Italia nel semestre di presidenza dell’Ue, che partirà nella seconda metà del 2014. Ruolo per cui il premier ha auspicato un pieno coinvolgimento di tutte le forze di maggioranza nella definizione degli obiettivi. Subito dopo ha affrontato il nodo delle scadenze della prossima settimana. A cominciare dalla ridefinizione complessiva del sistema di tassazione sulla casa e dala revisione della spesa pubblica che, come ha avvertito ieri il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, non può avvenire in tempi brevissimi. Per questo scopo il governo, nel prossimo consiglio dei ministri, dovrebbe nominare l’ex ministro per i Rapporto col parlamento Piero Giarda commissario alla spending review. Come ha spiegato lo stesso vicepremier Angelino Alfano, la posizione del Pdl all'incontro di maggioranza è stata quella di dare come priorità all'azione di governo l'abbattimento immediato del debito pubblico per diminuire la pressione fiscale che coi tecnici al governo ha raggiunto livelli insostenibili e pagare, al più presto, i debiti contratti dallo Stato con le imprese. Su quest'ultimo punto Letta si è preso in carico l’impegno ad accelerare in autunno il pagamento dei crediti che le imprese vantano nei confronti della Pubblica amministrazione. Brunetta ha commentato positivamente la "grande apertura" del premier rispetto a una proposta che sarebbe "uno choc positivo per l’economia". A spegnere gli entusiasmi ci ha, invece, pensato Zanonato: "Dire che è difficile pagare i debiti è vero e ovvio, ma non ci si deve agitare". Si è poi discusso del dossier sull'aumento dell'aliquota Iva e dalla necessità di facilitare l’iter di conversione dei decreti legge in parlamento. Tema in cui, ha sottolineato Letta, il ruolo dei capigruppo è cruciale. Spesso i decreti restano impigliati nella spola tra le due Camere rischiando di finire in un vicolo cieco.
Vertice per appianare le fibrillazioni. Parte la cabina di regia per coordinare governo e maggioranza. Tra le priorità lo stop all'Imu e i pagamenti dei debiti dello Stato
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Andrea Indini
La Consulta immobilizza l'Italia
Quello che più colpisce della bocciatura del taglio delle Province è l'immobilismo a cui è destinato il Paese. Il parlamento fa, la Corte costituzionale disfa. Gli alti magistrati presieduti da Franco Gallo, ha potere di vita e di morte sulle leggi votate dalle Camere, sulle decisioni prese dalle aziende e sul destino dei politici. E, sempre, contro gli interessi del popolo.
L'ultimo colpo di mano della Consulta riguarda la riforma delle Province contenuta nel decreto "Salva Italia" voluto dal governo Monti. Ora è tutto da rifare. A detta della Corte costituzionale la riduzione delle Province in base ai criteri di estensione e popolazione non può essere disciplinata con un decreto legge. A poche ore dall’udienza pubblica di ieri, gli alti magistrati hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di una serie di commi dell’articolo 23 del cosiddetto decreto "Salva Italia" che secondo i ricorrenti avrebbe di fatto "svuotato" le competenze delle Province, e gli articoli 17 e 18 del decreto legge numero 95 del 2012, sul riordino delle Province in base ai due criteri dei 350 mila abitanti e dei 2.500 chilometri di estensione. Secondo i giudici costituzionali, "il decreto legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio". Come sottolinea Sergio Rizzo sul Corriere della Sera bisogna ricordare il contesto in cui il decreto "Salva Italia" nacque: il governo tecnico di Monti aveva la necessità di "prendere in poche ore provvedimenti in grado di placaere i mercati resi pazzi dalle furiose spallate della speculazione internazinale". Di vizio in vizio, la Consulta abbatte una via l'altra le decisioni prese dal parlamento. La lista è davvero chilometrica e dà l'idea di come il Paese e il suo futuro dipendano dalla ghigliottina dei magistrati. Tanto per farci un'idea: per la Consulta è incostituzionale qualsiasi prelievo fiscale sugli assegni previdenziali, nemmeno se questi superano i 90mila euro lordi, come prevedeva un comma del decreto legge 98 del 2011. Il motivo? Costituirebbe "un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini". Il risultato? Le famose "pensioni d'oro" non possono essere tagliate. No, no, no.
Il vero problema del Paese è che non esiste decisione che non corra il rischio di finire bocciata vuoi dalla Consulta vuoi del Tar vuoi dal Consiglio di Stato. Ieri è toccato alla riforma delle Province. In passato ci sono stati i niet contro la vendita di un immobile dell'Inps, contro la costruzione di un elettrodotto o contro una qualsiasi delibera di una qualsiasi authority. C'è da stupirsi? Macché. Tanto per fare un altro esempio: giusto ieri la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, nella parte che consente la Rappresentanza sindacale aziendale alle sole organizzazioni firmatarie del contratto applicato nell'unità produttiva. La decisione, adottata nell'ambito del ricorso presentato dalla Fiom contro la Fiat, va di fatto a colpire duramente il gruppo torinese creando un precedente pericoloso per tutte le imprese del Paese. È anche successo che venisse cancellato il taglio del 10% degli stipendi dei magistrati. Il motivo è tutto da ridere: avrebbe leso l'indipendenza delle toghe. Per non parlare dei processi a Silvio Berlusconi. Gli alti magistrati sono adddirittura arrivati a dettare l'agenda della presidenza del Consiglio decidendo quali sono gli appuntamenti importanti e quali non lo sono, cosa può essere considerato legittimo impedimento e cosa non può. Ovviamente, il tutto a discapito del Cavaliere. Tutto normale: è l'Italia.
Salva il taglio delle pensioni d'oro e degli stipendi dei magistrati, boccia la riforma delle province e detta l'agenda a Palazzo Chgi: è lo strapotere della Consulta
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Andrea Indini
La Corte Costituzionale riunita nel palazzo della Consulta
July 3, 2013
L'austerity sta uccidendo il Portogallo
Aria pesante su tutte le Borse per un cocktail di avvenimenti particolarmente indigesto per i mercati. Dopo la debolezza dei listini asiatici strutturali, a cui non basta la solita Tokyo "drogata" dalla Banca centrale giapponese, la Commissione europea segue con viva preoccupazione l’evolversi della crisi politica in Portogallo. Il governo di Pedro Coelho è in ginocchio: azzoppato dalle politiche di austerity imposte dall'Unione eurpea, violentato dalla moria di posti di lavoro e fagogitato da quella crisi del debito pubblico che, dopo aver messo sul lastrico la Grecia, adesso rischia di contagiare i Paesi periferici dell'Eurozona "Il governo portoghese deve chiarire la propria situazione il più presto possibile - ha spiegato il presidente dell’esecutivo europeo José Manuel Durão Barroso - affinché la credibilità finanziaria del Paese, appena ricostituita, non venga messa in pericolo".
La crisi politica in Portogallo, unita ai rinnovati timori per la tenuta della Grecia, alle tensioni in Egitto e al deludente dato dell’indice delle pmi cinesi, sta mettendo sotto pressione i principali mercati del Vecchio Continente e i titoli di Stato dei Paesi periferici dell'Eurozona. Ieri sera il governo portoghese ha, infatti, perso un’altra figura chiave dopo le dimissioni a sorpresa del ministro delle Finanze Vitor Gaspar: il ministro degli Esteri Paulo Portas, cui era stato affidato il compito di sovrintendere al programma di tagli alla spesa pubblica dopo l’uscita di scena di Gaspar, ha infatti rimesso il proprio mandato. In passato, esprimendo contro ogni ipotesi di alzare le tasse sulle pensioni, Portas aveva messo in chiaro che non avrebbe apprezzato la decisione del primo ministro di sostituire Gaspar con Maria Luis Albuquerque. Nella sua lettera di dimissioni il ministro delle Finanze aveva indicato come motivo della sua decisione il sempre minore supporto che si registra nel Paese alla politica del rigore seguita da due anni nel rispetto degli accordi presi con la comunità internazionale nel 2011 in cambio di un pacchetto di salvataggio da 78 miliardi di euro. Oggi operatori e analisti guardano con preoccupazione crescente le possibili conseguenze legata alla questione dei derivati. I titoli di Stato di Lisbona sono sotto la pressione della speculazione: per la prima volta nel 2013 il rendimento dei titoli portoghesi a dieci anni è volato oltre il 7%. Il tasso sul decennale lusitano è infatti salito al 7,48% con lo spread tra i Bond portoghesi e il Bund tedesco che è arrivato a toccare i 584 punti base.
La crisi portoghese getta nuovamente l'Europa nel terrore. Un Paese dopo l'altro si rischia che il contagio dilaghi sino ad arrivare a Paesi come la Spagna e il Portogallo. Le rinnovate tensioni sul debito non piacciono affatto al settore bancario che anche oggi arriva ad accusare pesanti cali. Cali che sono stati appesantiti anche da un report di Standard % Poor’s che ha tagliato il rating di importanti istituti come Barclays, Credit Suisse e Deutsche Bank. Unica nota positiva all’umore delle piazze finanziarie la frenata della Cina con l’indice Pmi non manifatturiero di giugno ai minimi da nove mesi. Ribasso registrato anche nell’Eurotower dove l’indice Pmi composito, che monitora l’andamento dei comparti servizi e manifatturiero, è stato rivisto in ribasso a giugno a 48,7 punti. Si conferma così la contrazione dei due settori.
Ecco i risultati della politica del rigore seguita da due anni per rispettare gli accordi presi in cambio di un pacchetto di salvataggio da 78 miliardi di euro: il Portogallo muore
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Andrea Indini
July 2, 2013
Santanchè, la Camera decide di non decidere: voto rinviato
Alla fine la Camera decide di non decidere. E la maggioranza agonizzante si salva, per ora. Dopo una mattinata concitata, segnata dai giochetti del Pd che sotto banco cercava l'accordo coi Cinque Stelle, l'Aula della Camera rinvia la votazione per eleggere il nuovo vicepresidente di Montecitorio, incarico lasciato vacante dal pdl Maurizio Lupi chiamato al dicastero delle Infrastrutture dal premier Enrico Letta. "Questa maggioranza non decide nulla", ha sbottato Daniela Santanchè, candidata dal Pdl alla vicepresidenza.
La presidente della Camera Laura Boldrini ha fatto sapere che la seduta per una nuova votazione dovrà essere fissata dalla conferenza dei capigruppo. La maggioranza si ritaglia ancora un po' di tempo per trattare e decidere chi piazzare sullo scranno della presidenza. Poltrona che deve andare al Pdl, ma sulla quale il Pd vuole dare il proprio benestare. "Non ci penso proprio a fare un passo indietro", ha assicurato la Santanchè prima di entrare in Aula alla Camera dove il rinvio è passato con uno scarto di ben 193 voti a favore. Lo stesso vicepremier Angelino Alfano ha assicurato alla deputata del Pdl che la sua candidatura resta sul piatto. Piatto che, arrivati a questo punto, i democratici dovranno ingoiare. Altrimenti si rischia una crisi politica tale da far traballare la maggioranza. Ad alzare i toni è stato proprio il Pd che, dopo aver minacciato di votare scheda bianca per "non sporcarsi le mani", ha giocato di sponda con i montiani che si sono affrettati a proporre il rinvio dellla votazione per non dare il colpo finare a una maggioranza in forte difficoltà. "Il rinvio ci serve a arrivare al clima di unità e di condivisione che aveva caratterizzato l’elezione dell’Ufficio di presidenza all’inizio della legislatura", ha spiegato Lorenzo Dellai di Scelta Civica. La proposta è stata presentata ai capigruppo che, però, non sono riusciti a raggiungere un accordo: la maggioranza era per il rinvio, l’opposizione invece era contraria. Già prima della riunione, tutti i partiti della maggioranza si erano pronunciati a favore del rinvio, per tentare di trovare in extremis un accordo e soprattutto per evitare che prevalga il candidato dell’asse tra i Cinque Stelle e il Sel di Nichi Vendola. "È bastato candidare un deputato del M5S, per mandare all'aria i giochi di Palazzo", hanno spiegato i deputati pentastellati accusando la Camera di essersi ridotta a "un luogo dove testare la leadership".
Nonostante i giochetti del Pd, il Pdl è irremovibile sulla candidatura della Santanchè. "Il nostro candidato è e rimane assolutamente Daniela", ha assicurato il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta spiegando che il rinvio serve a verificare le prescrizioni dal punto di vista del regolamento. Dal momento che l'incarico è stato lasciato vacante da Lupi, dovrebbe infatti valere la prassi per cui la poltrona venga ricoperta da un esponente dello stesso gruppo. "La stragrande maggioranza del Parlamento si è espressa a favore di questa prassi", ha ricordato Brunetta chiedendo che la Boldrini utilizzi quanto è in suo potere per "facilitare una soluzione".
La Camera rinvia la votazione per eleggere il vicepresidente. La Santanché accusa: "Questa maggioranza non decide nulla". Il Pdl: "Daniela resta la nostra candidata"
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Andrea Indini
Concia: "Non la penso come lei. Ma va votata"Brunetta: "Daniela Santanché è il nostro candidato"Schifani: "Così si violano le regole dell'etica parlamentare"
Dallo spionaggio Usa alla polveriera siriana. Chi manovra il nuovo assetto mondiale?
C'è un fil rouge che unisce gli scandali, le rivolte, le guerre e gli attentati che stanno sconvolgendo il mondo e cambiandone irrimediabilmente la geopolitica. È difficile riuscire a mettere insieme i pezzi di un puzzle internazionale che a prima vista appare caotico e difficilmente spiegabile. Eppure c'è un motivo se lo scandalo “Datagate” sollevato dalla talpa della National Security Agency (Nsa), Edward Snowden, l'irreale silenzio in Turchia dopo le rivolte contro il premier Recep Tayyip Erdoğan, i rinnovati tumulti in Egitto contro il presidente Mohamed Morsi, lo scontro tra gli Stati Uniti e la Russia sull'opportunità di armare i ribelli siriani e l'immobilismo (politico ed economico) dell'Unione europea divisa dagli egoismi nazionali e dalla recessione che brucia ricchezza e posti di lavoro sono detonati l'uno in fila all'altro senza un'apparente consequenzialità storica. Per mettere insieme tutti i pezzi ci siamo rivolti a Vittorio Dan Segre, firma storica del Giornale e blogger del Giornale.it. “Quella che stiamo vivendo – spiega – è una crisi mondiale che investe livelli differenti, dal piano internazionale a quello regionale fino ad arrivare a quello personale”.
Da dove dobbiamo iniziare a guardare per capire cosa sta succedendo?
“Dobbiamo convincerci del fatto che questa non è più una crisi a livello locale o una crisi di valori spirituali. Il concetto di Stato sovrano territoriale, su cui si è basata la politica da oltre cinquecento anni, non solo scricchiola, ma non è addirittura più valido perché sono venuti a mancare la sovranità, l'economia nazionale e i valori morali condivisi. Proprio per questo, le crisi a cui assistiamo sono conati per la nascita di un nuovo tipo di Stato che ancora non è nato. La dimostrazione più chiara di questo smottamento è l'impotenza delle Nazioni Unite che, fondandosi sul concetto dello Stato sovrano, non sono più in grado di intervenire.”
Cosa c'entra lo scandalo “Datagate” con questa rivoluzione?
“Venendo a mancare la struttura dello Stato sovrano, viene anche a cadere la possibilità di mantenere il segreto che era il fondamento della politica dello stato sovrano.”
Chi c'è dietro a queste rivelazioni?
“Proviamo a pensare a un improvviso attacco di febbre: può oscillare da una semplice varicella alla paura di un'infezione ebola. Ecco oggi siamo di fronte a un virus nato dal potere politicamente incontrollato dell'informazione. In questo momento, sta colpendo gli Stati Uniti, ovvero il Paese tecnologicamente più avanzato nel campo dell'informazione e nel controllo dell'informazione. Ma è solo questione di tempo: presto anche la Cina e la Russia si troveranno a dover far fronte a fenomeni simili. Nei giorni scorsi, sul New York Times è apparsa una caricatura piuttosto divertente. Veniva rappresentato un signore che, in metropolitana, parlava al cellulare con un tono piuttosto sostenuto. E urlava: 'È uno scandalo, il governo ci ascolta'. Peccato che, tutt'intorno, gli altri passeggeri potessero ascoltare indistintamente la sua conversazione.”
Dallo scandalo che ha travolto la Nsa, il presidente Obama ne esce indebolito?
“Al tempo stesso si indebolisce sia l'idea dell'America come potenza internazionale sia l'idea di presidente degli Stati Uniti come guardiano di certi principi universali. Principio che non sono più così universali...”
Un Obama sconfitto, dunque...
“Assolutamente no. Perché, non dovendo preoccuparsi di essere rieletto ed essendo di fatto un dittatore democratico, Obama è sicuramente l'uomo più adatto a condizionare questa grande crisi dello Stato sovrano. Non per nulla in America, ma anche nella nostra Italia, uno degli elementi più forti della politica è la Corte Suprema la quale cerca di adattare all'evoluzione della società il contratto politico che, come strutture, viene costantemente messo alla prova dei cambiamenti tecnologici e morali.”
Ad esempio la decisione della Corte Suprema americana sul matrimonio gay?
“Sono cambiamenti creati dalla realtà. Una realtà che si avvicina ai 10 miliardi di abitanti. Una realtà che trova, appunto, nelle corti supreme gli strumenti di adattamento dei principi dello Stato. D'altra parte i parlamenti, nella struttura attuale, non sono più capaci di farlo...”
Come si inserisce questo cambiamento nel mondo arabo?
“Per quello che concerne il Medioriente assistiamo alla fine degli Stati creati durante la Prima guerra mondiale. Sta finendo adesso il colonialismo e, nel caso dei Paesi arabi, sta crescendo il tribalismo.”
Anche in Egitto?
“Nel caso dell'Egitto, invece, assistiamo a un efferato confronto tra il potere - non importa se potere religioso, militare o pseudo liberale - e la realtà delle necessità piubbliche. In Egitto è in atto una rivolta della fame, non è ideologica.”
Tutt'altro discorso per la Siria?
“In Siria è la fine dello Stato imposto dall'Europa alla fine della Prima guerra mondiale con la rinascita, appunto, del tribalismo che, per oltre quattrocento anni, era stato messo a tacere dall'Impero ottomano. In Egitto, invece, il tribalismo non c'è mai stato: l'Egitto è il figlio del Nilo e il Nilo non cambia. Tuttavia, il fiume non basta più per dare da mangiare a tutti: si è passati da 33 milioni di abitanti a 90 milioni. E, oltre ad essere cresciuti di numero, hanno anche aumentato le richieste di libertà individuale che vengono, esponenzialmente diffuse dai social network.”
Quali sono le sfere di ingerenza nei Paesi in subbuglio?
“Si stanno distribuendo attraverso gli interessi e le ambizioni. I partiti non funzionano più, le religioni non funzionano, le banche non funzionano più. Addirittura, l'esercito non è più in grado di difendere il proprio Paese né vincere una guerra. Questo perché non ci sono più eserciti nazionali, ma solo contractors. E ancora: sono venuti a mancare i canali nazionali in cui solitamente veniva distribuito il potere sulla base di Costituzioni che non sono più valide perché basate su un concetto sbagliato, o comunque non più valido dello Stato.”
È il caos...
“Direi proprio di sì.”
E noi ci siamo in mezzo...
“Basta guardare come i media reagiscono a questo caos.”
Ovvero?
“Pochi studiosi si occupano dello sviluppo di questo nuovo contesto nuovo politico internazionale. D'altra parte, i tempi dell'individuo non sono quelli della democrazia e i tempi della democrazia non sono quelli della riflessione profonda. C'è un strabismo di temporalità.”
Cosa significa?
“C'è una scissione tra il tempo dell'individuo, che si basa sul 'tutto subito', e il tempo della Storia che ingoia tutti questi desideri. Questi due 'tempi' hanno, tuttavia, in comune il fatto che quando sono soddisfatti a livello personale muoiono. È la stessa soddisfazione dei bisogni a ucciderli.”
Può fare un esempio?
“Se hai fame e vuoi mangiare, continui ad avere desiderio finché non ottieni il cibo e ti sazi. Prendiamo l'Europa: il Vecchio Continente è formato da Paesi stra colmi di beni. L'immobilismo europeo è causato proprio dalla mancanza di desideri. Mancanza che fa venire a mancare le sovrastrutture ideali. Eppure il desiderio che è innato nel nostro dna continua a svilupparsi...”
E quindi?
“Come dimostrano le proteste in Egitto, esiste una fame antica che né la scienza né la religione possono più soddisfare. L'uomo cerca attraverso le istituzioni di soddisfare questa 'fame' nuova, ma quando le istituzioni non rispondono allora il popolo si ribella.”
Quale speranza per il futuro?
"Il passaggio difficile dallo Stato attuale che si considera al di sopra del bene e del male ad uno Stato più responsabile dei suoi doveri."
Lo scandalo "Datagate", la guerra in Siria, le rivolte in Turchia e in Egitto, la debolezza dell'Ue. Cosa accomuna questi fatti? Ne abbiamo parlato con Vittorio Dan Segre
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Andrea Indini
Anche l'Egitto nel caos. Ma l'America con chi sta? / Foa
July 1, 2013
Napolitano sul ring: difende Grasso per sostenere il governo
Dal Colle appoggio incondizionato al governo. Dopo aver difeso il premier Enrico Letta e il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni sul programma economico, Giorgio Napolitano si affretta a soccorrere pure il presidente del Senato Pietro Grasso che ieri si era apertamente opposto alla riforma della giustizia attaccando frontalmente il Pdl. Tocca al capo dello Stato, insomma, tamponare, pacificare e calmare le fibrillazioni che da giorni stanno scuotendo l'esecutivo. Nell'aria monta la sfiducia nei confronti di un governo che, a detta di molti, tentenna eccessivamente.
Un messaggio magari non esplicito, ma chiaro nei confronti di quella parte del "fronte interno" che segue con ostentato scetticismo gli sforzi del governo per mantenere un difficile equilibrio tra equilibrio dei conti (senza sfasciarli) e necessità di agire, anche in ambito europeo, per aiutare crescita e occupazione. Napolitano è a Zagabria, da oggi 28ma stella nella bandiera azzurra dell’Unione Europea, mentre in Italia infiammano le polemiche di quanti non riconoscono all’esecutivo particolari meriti né all’estero né nella gestione dell’economia. Ed è proprio da Zagabria che arriva il "soccorso rosso" del presidente della Repubblica. Le prime precisazioni sono arrivate già ieri riconoscendo a Letta di aver "imboccato una strada che era urgente imboccare". Napolitano ha, infatti, zittito Matteo Renzi, che aveva accusato il premier di "andare avanti a piccoli passi", e ha difeso l'operato di Saccomanni: "Il ministro ha dimostrato in modo puntuale quello che si poteva fare e quello che si può fare, naturalmente senza pensare di avere la bacchetta magica". Ma i mal di pancia nei confronti del titolare dell'Economia non investono solo una parte del Pd, ieri sera anche Monti si è messo a criticare apertamente l'esecutivo minacciando di togliere il sostegno di Scelta civila qualora Letta non dovesse optare per un "cambio di marcia". Dichiarazioni che non sono affatto piaciute al capo dello Stato che oggi è tornato a "parare" i colpi tesi ad affondare il premier. "Faccio molta fatica a prestare a Monti un volto minaccioso. Penso che voglia giocare un ruolo di stimolo", ha spiegato il primo inquilino del Colle ribandendo che è necessario "operare con serenità prescindendo dalle polemiche politiche".
Nonostante gli appelli di Napolitano alla "serenità", la settimana del governo inizia tutta in salita. È stato, infatti, il fine settimana degli agguati e delle invasioni di campo col governo che è finito sotto attacco su più di un fronte. Oltre alle minacce di Monti, Letta ha assistito impassibile mentre Grasso si toglieva la divisa da arbitro per opporsi alla riforma della magistratura. La presa di posizione mossa dalle colonne di Repubblica ha infastidito il Pdl che ha invitato la seconda carica dello Stato a essere super partes. Se ieri ha evitato di commentare la polemica, oggi Napolitano si è schierato dalla parte dell'ex procuratore nazionale antimafia: "Sono opinioni personali, ma legittime vedute sulle quali chiunque di noi può pensarla diversamente, forse anch’io...". Quindi la stoccata finale: "Non vedo invasioni di campo". Mentre le affermazioni di Grasso gli possono essere sembrate legittime, Napolitano è tornato a mettere in chiaroche chi sfascia, se ne assumerà la responsabilità. Vale per la tenuta del governo, vale anche per le riforme. E, a sinistra, in molti hanno fatto notare che, se il governo dovesse cadere in parlamento, Napolitano troverà sicuramente un'altra maggioranza che lo sostenga.
Da Zagabria il capo dello Stato cerca di contenere le polemiche che minano le larghe intese. Dopo aver difeso l'operato di Saccomanni, prende le parti anche di Grasso
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Andrea Indini
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Agguati e invasioni di campo: governo sotto attaccoNapolitano se la ride: "Monti minaccioso? Mah..."
June 30, 2013
Altro che presidente super partes, Grasso stoppa la riforma della giustizia
Un attacco a testa bassa dalle pagine di Repubblica. Pietro Grasso si oppone alla riforma della giustizia e minaccia apertamente il Pdl: "Esprimersi dentro una coalizione come una forza di opposizione al governo è quanto di più deleterio possa realizzarsi". Paventando la possibilità di manovre speculative da parte dei mercati, l'ex procuratore nazionale antimafia smette i panni del presidente del Senato per indossare la toga rossa e processare il centrodestra: "Non può assumersi la responsabilità di far saltare il tavolo". Accuse durissime che fanno andare in fibrillazione i vertici del Pdl che si affrettano a ricordargli che il ruolo istituzionale che ricopre richiede un comportamento super partes.
Un'intervista fiume che si confa a un dirigente di partito piuttosto che alla seconda carica dello Stato. Dalle colonne di Repubblica, invece, parte un'invettiva durissima contro il centrodestra. Un attacco frontale condito con minacce di bassa lega e diktat dittatoriali. Non solo Grasso stoppa sul nascere l'invito lanciato dal Pdl di inserire anche la riforma della giustizia all'interno del processo di rinnovamento della Costituzione, ma arriva addirittura a imbavagliare il partito guidato da Silvio Berlusconi. "Nel caso in cui venisse meno la fiducia a questo esecutivo - è l'avvertimento - sono certo che Napolitano non escluderà alcuna possibilità per altre possibili coalizioni". A spingere il presidente del Senato a rilasciare un'intervista tanto dura è stato l'emendamento 2.12, presentato dal Pdl proprio a Palazzo Madama, per chiedere che si intervenga anche sul titolo IV della seconda parte della Costituzione, quello che riguarda la magistratura. "Non vogliamo fare la riforma della giustizia o la separazione delle carriere - aveva spiegato la senatrice pdl Anna Maria Bernini - ma se si riformano gli altri poteri dello Stato, si deve poter intervenire su pesi e contrappesi". Una posizione che non piace alla sinistra. Il Pd è disposto a mettere mano alla Carta, ma non alla parte che regola i poteri dei magistrati. Sebbene nei giorni scorsi non siano mancate le bordate contro l'emendamento del Pd, la presa di posizione di Grasso è senza alcun dubbio quella più dura. Proprio perché arriva da una figura istituziuonale che dovrebbe essere super partes. "Se si decidesse di intervenire sui poteri del capo dello Stato, non vì è dubbio che sarebbe necessario prevedere modifiche ai poteri correlati - ha spiegato il presidente del Senato - ma da qui a mettere mano all’assetto della magistrature ce ne corre". Proprio per questo, invita ad anteporre la riforma della legge elettorale a qualsiasi altro confronto politico. Peccato che la sua opposizione non si in linea con l'iter tracciato dal ministro per le Riforme costituzionali Gaetano Quagliariello.
L'intervista a Repubblica non ha fatto altro che aumentare le tensioni all'interno della maggioranza. Anziché confrontarsi e dialogare su un'eventuale riforma della giustizia, i democratici hanno subito opposto un muro che ha innevervosito i vertici del Pdl. Secondo il coordinatore nazionale del Pdl Sandro Bondi, infatti, la minaccia di Grasso sul possibile insediamento di una maggioranza diversa da quella che sostiene oggi il premier Enrico Letta testimonia "la volontà di svolgere un ruolo politico che è incompatibile con la funzione istituzionale di presidente di un ramo del parlamento". "Più che un presidente del Senato al di sopra delle parti sembra un capo tifoso nettamente schierato in una parte del campo - ha commentato Fabrizio Cicchitto - francamente di questo eccesso di scelte politiche di parte fatte dalla seconda carica dello Stato non si sentiva affatto il bisogno".
Dalle colonne di Repubblica Grasso boccia la riforma della giustizia e minaccia: "Se il Pdl fa mancare la maggioranza, Napolitano ne troverà un'altra". Il Pdl insorge
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