Andrea Indini's Blog, page 172

July 12, 2013

Caos Pd, 70 senatori a Epifani "Serve uno scatto d'orgoglio"

"Non mi risulta che il Pd sia contrario a votare la ineleggibilità di Silvio Berlusconi...". Arrivando in Giunta per le elezioni il senatore piddì Felice Casson entra a gamba tesa sul voto che rischia di mandare il governo a gambe all'aria. Dopo il blitz della Cassazione che, su imbeccata dei pm di Milano e del Corriere della Sera, ha anticipato la sentenza del processo Mediaset, la sinistra inizia a fregarsi le mani solleticando l'idea di cavalcare la persecuzione giudiziaria per decapitare il centrodestra estromettendo il Cavaliere dal parlamento. Sebbene il capogruppo piddì alla Camera Roberto Speranza abbia ricordato che il partito è orientato a rispettare la legge del 1957 secondo cui Berlusconi non è ineleggibile, la sinistra giustizialista ha già iniziato a contarsi. Tanto che a Palazzo Madama settanta senatori hanno preso carta e penna per scrivere al segretario Guglielmo Epifani: "Il Pd deve avere uno scatto d’orgoglio, bisogna smetterla di fare autogol".


La discussione sull'ineleggibilità è stata avviata oggi in via del tutto generale. Ma è stata interrotta per consentire la partecipazione ai lavori dell’Aula. "Non ci sarà nessun allungamento - ha avvertito il presidente Sel della Giunta per le autorizzazioni del Senato, Dario Stefàno - istruiremo la pratica subito dopo che ci verrà notificata la sentenza, il voto può arrivare entro un mese da quando ci verrà notificata la sentenza". Il parlamento rischia un'estate rovente. E non è scontato che da questo tour de force il governo Letta ne esca intatto. D'altra parte è lo stesso capogruppo pdl al Senato Renato Schifani ha già fatto sapere che, nel caso in cui Berlusconi venga interdetto, il partito è pronto a far saltare tutto. La situazione è tutta in divenire. Il primo ostacolo è sicuramente la sentenza della Cassazione del 30 luglio. "Chi l'ha detto che ci sarà una sentenza di condanna?", ha chiesto questa mattina Casson facendo, però, sapere che nei prossimi giorni chiederà alla Giunta di acquisire la sentenza d’appello sul caso Mediaset ritenendola "significativa" ai fini della questione dell’ineleggibilità. In caso di condanna, infatti, il voto sull'ineleggibilità diventa il vero banco di prova per la tenuta del governo. "Si deve semplicemente prendere atto della sentenza esecutiva senza entrare nel merito - ha continuato l'esponente piddì - altrimenti potrebbe crearsi un conflitto fortissimo tra poteri dello Stato e il tribunale di Milano potrebbe ricorrere davanti alla Consulta". Il punto sta tutto nella posizione del Partito democratico. "Ora vedremo se ci saranno delle memorie difensive e la approfondiremo - ha concluso - ma non mi risulta che non possa essere sollevata la questione di ineleggibilità". In realtà, qualche ora prima, proprio Speranza ha fatto sapere che il segretario Epifani è orientato a votare contro. "Un partito non può 'stirare' una legge per motivi politici - ha chiosato il capogruppo piddì a Montecitorio - resto dell’idea che noi dobbiamo battere Berlusconi sul piano politico, non su altri terreni". Problema risolto? Mica tanto. Il Pd, come al solito, è sempre più spaccato. "Non so perché Speranza abbia detto queste cose. Lui peraltro è alla Camera, non al Senato, ma non mi risulta che ci sia una linea del Pd sulla questione dell’ineleggibilità", ha insistito Casson tornando sull'argomento anche nel tardo pomeriggio e facendo capire che il partito non ha alcun potere. "La Giunta è un organismo paragiurisdizionale - ha concluso - e ogni suo componente agisce e vota in piena libertà di coscienza...".


All'indomani delle polemiche legato allo stop dei lavori in parlamento, il Partito democratico è in rivolta. La gestione dei Epifani non piace. La base accusa i vertici di via del Nazareno di prestare il fianco al Pdl. Tanto che i capigruppo Speranza e Zanda si sono affrettati a difendere le posizioni prese. Ma le tensioni nel partito continuano a crescere: il piddì è seduta su una polveriera pronta a esplodere e il voto sull'ineleggibilità del Cavaliere e solo una delle imminenti occasioni di scontro tra le diverse anime democrat. Proprio a Palazzo Madama, dove fra qualche settimana si dovrebbe votare sull'estromissione di Berlusconi dal parlamento, settanta senatori hanno scritto all'ex segretario della Chgil per chiedere un'inversione di rotta: "Siamo concordi nel giudizio critico sulla drammatizzazione di vicende giudiziarie del leader di un partito, il Pdl, con toni e modalità che nessuno di noi ha condiviso". Da qui la richiesta di uno scatto d’orgoglio e la minaccia di "non sostenere un minuto di più" la maggioranza se il governo non produrrà "in tempi certi le scelte di cui il Paese ha bisogno". Rimostranze e minacce che hanno trovato d'accordo anche lo stesso Epifani che, in una intervista al Tg3, attacca apertamente il centrodestra: "La richiesta di sospendere i lavori del parlamento addirittura per tre giorni è davvero incredibile. Non è mai successo in nessun paese, in Italia, un atto di grande gravità. Berlusconi non può andare avanti in questo modo, perché il governo non è messo in condizione di fare la sua azione di servizio verso il paese". Quindi l'ultimatum al Cavaliere: "Arriva un punto in cui questo problema va chiarito assolutamente".


Speranza: "Il Cav non è ineleggibile". Ma Casson lo smentisce: "Non è la linea del partito". E proprio a Palazzo Madama 70 senatori scrivono a Epifani: "Basta autogol"





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Andrea Indini


Il segretario del Pg Guglielmo Epifani col capogruppo Roberto Speranza
Ineleggibilità, lo strappo di Casson: "Norma chiara"
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Published on July 12, 2013 00:18

July 11, 2013

Ineleggibilità, Casson avverte: "Noi contrari? Non mi risulta"

"Non mi risulta che il Pd sia contrario a votare la ineleggibilità di Silvio Berlusconi". Arrivando in Giunta per le elezioni il senatore piddì Felice Casson entra a gamba tesa in un braccio di ferro che rischia di mandare il governo a gambe all'aria. Dopo il blitz della Cassazione che, su imbeccata dei pm di Milano e del Corriere della Sera, ha anticipato la sentenza del processo Mediaset, la sinistra inizia a fregarsi le mani solleticando l'idea di cavalcare la persecuzione giudiziaria per decapitare il centrodestra estromettendo il Cavaliere dal parlamento. D'altra parte, la questione è gia stata sollevata in Giunta. E, sebbene il capogruppo piddì alla Camera Roberto Speranza abbia ricordato che il partito è orientato a rispettare la legge del 1957 secondo cui Berlusconi non è ineleggibile, la sinistra giustizialista ha già iniziato a contarsi.


La discussione sull'ineleggibilità è stata avviata oggi in via del tutto generale. Ma è stata interrotta per consentire la partecipazione ai lavori dell’Aula. "Non ci sarà nessun allungamento - ha avvertito il presidente Sel della Giunta per le autorizzazioni del Senato, Dario Stefàno - istruiremo la pratica subito dopo che ci verrà notificata la sentenza, il voto può arrivare entro un mese da quando ci verrà notificata la sentenza". Il parlamento rischia un'estate rovente. E non è scontato che da questo tour de force il governo Letta ne esca intatto. D'altra parte è lo stesso capogruppo pdl al Senato Renato Schifani ha già fatto sapere che, nel caso in cui Berlusconi venga interdetto, il partito è pronto a far saltare tutto. La situazione è tutta in divenire. Il primo ostacolo è sicuramente la sentenza della Cassazione del 30 luglio. "Chi l'ha detto che ci sarà una sentenza di condanna?", ha chiesto questa mattina Casson facendo, però, sapere che nei prossimi giorni chiederà alla Giunta di acquisire la sentenza d’appello sul caso Mediaset ritenendola "significativa" ai fini della questione dell’ineleggibilità. In caso di condanna, infatti, il voto sull'ineleggibilità diventa il vero banco di prova per la tenuta del governo. "Si deve semplicemente prendere atto della sentenza esecutiva senza entrare nel merito - ha continuato l'esponente piddì - altrimenti potrebbe crearsi un conflitto fortissimo tra poteri dello Stato e il tribunale di Milano potrebbe ricorrere davanti alla Consulta". Il punto sta tutto nella posizione del Partito democratico. "Ora vedremo se ci saranno delle memorie difensive e la approfondiremo - ha concluso - ma non mi risulta che non possa essere sollevata la questione di ineleggibilità". In realtà, qualche ora prima, proprio Speranza ha fatto sapere che il segretario Guglielmo Epifani è orientato a votare contro. "Un partito non può 'stirare' una legge per motivi politici - ha chiosato il capogruppo piddì a Montecitorio - resto dell’idea che noi dobbiamo battere Berlusconi sul piano politico, non su altri terreni". Problema risolto? Mica tanto. Il Pd, come al solito, è sempre più spaccato. "Non so perché Speranza abbia detto queste cose. Lui peraltro è alla Camera, non al Senato, ma non mi risulta che ci sia una linea del Pd sulla questione dell’ineleggibilità", ha insistito Casson tornando sull'argomento anche nel tardo pomeriggio e facendo capire che il partito non ha alcun potere. "La Giunta è un organismo paragiurisdizionale - ha concluso - e ogni suo componente agisce e vota in piena libertà di coscienza...".


Ad oggi non sono ancora scaduti i termini per la presentazione di una memoria difensiva da parte di Berlusconi. Potrebbe ancora arrivare ma, per il momento, non è ancora stata depositata. In un clima tanto teso, però, le dichiarazioni di casson non fanno altro che incendiare gli animi. "Casson è un provocatore e gioca a sfasciare tutto", ha replicato il segretario della commissione Giustizia della Camera Luca D'Alessandro invitando l'esponente del Pd ad andare a cercare gli atti già passati in giudicato, ovvero le due sentenze della Cassazione che confermano l’assoluzione del Cavaliere a Roma e a Milano in quanto non titolare di alcun ruolo all’interno di Mediaset. Stefàno, però, si è già riservato di organizzare un calendario dei lavori più lungo e non esclude che si possano convocare delle sedute, anche ad agosto, nel caso in cui arrivasse la sentenza della Cassazione su Mediaset.


Il Pd in corto circuito. Speranza: "Il Cav non è ineleggibile". Poi Casson lo smentisce e fa acquisire gli atti in Giunta delle elezioni. Il Pdl: "È un provocatore"





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Published on July 11, 2013 08:14

July 10, 2013

Assalto giudiziario, il Pdl ferma i lavori delle Camere

Il blitz della Cassazione rischia di far saltare in aria le larghe intese. L'ennesimo assalto giudiziario, ordito dalla Suprema Corte sollecitata da un fax inviato dai pm di Milano e da un articolo apparso sul Corriere della Sera, punta a decapitare il centrodestra andando a colpire direttamente il leader del Pdl, Silvio Berlusconi. Per la prima volta toccherà alla sezione Feriale a occuparsi di un processo così delicato. Con una sentenza che sembra essere già scritta. Mentre il premier Enrico Letta assicura che non ci saranno conseguenze sulla tenuta dell'esecutivo, i vertici del Pdl chiedono tre giorni di sospensione dei lavori, in Aula e nelle Commissioni, per decidere come muoversi. Richiesta che inizialmente viene respinta dal Pd, ma che poi trova un'intesa su un solo giorno di stop.


Il Pdl non sta salendo sull’Aventino. Ha chiesto solo di fermare i lavori del parlamento per una riflessione politica. In conferenza dei capigruppo il presidente dei deputati pdl Renato Brunetta ha spiegato che, arrivati a questo punto, bisogna "valutare la situazione". Dopo la decisione della Cassazione di fissare in tempi stretti l’udienza del processo Mediaset al 30 luglio, i vertici del Pdl hanno deciso di portare avanti la linea dura. Messe da parte le divisioni tra falchi e colombe, il partito del cavaliere si trovato combatto davanti alle modalità di protesta da attuare per difendere il Cavaliere da quello che è, in tutto e per tutto, una vera e propria persecuzione giudiziaria. Ieri sera, dopo quattro ore di riunione serrata, il gruppo alla Camera ha concordato di continuare in modo permanente la riunione disertando i lavori di Montecitorio. La stessa richiesta è stata avanzata, questa mattina, a Palazzo Madama mentre si stava esaminando il ddl per le riforme costituzionali. "Stiamo vivendo come partito un momento estremamente difficile e chiediamo rispetto per le nostre esigenze", ha spiegato il presidente del gruppo Renato Schifani assicurando che "un’eventuale sospensione dei lavori parlamentari non diminuirà l'esigenza di riforma dello Stato". Per lo stesso il Pdl ha chiesto e ottenuto il rinvio della cabina di regia di oggi pomeriggio e del vertice di maggioranza di domani.


Mentre Letta continuava ad assicurare che i ripetuti assalti giudiziari al Cavaliere non minano la tenuta dell'esecutivo, il Pd sembrava non veder l'ora di andare allo scontro con il Pdl. Il segretario Guglielmo Epifani è in contatto coi capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda per capire concordare l’atteggiamento dei democrat in a "una situazione di emergenza". La linea è quella di non fermare i lavori o, per lo meno, di non concedere troppo spazio al Pdl. "Il parlamento non può assolutamente sospendere i suoi lavori - ha spiegato Zanda - se un gruppo ha bisogno di qualche ora di tempo per confrontarsi bene, altrimenti niente...". Una prova di forza che avrebbe potuto far implodere la maggioranza che sorregge il governo Letta. "Se dovesse arrivare un 'no' sulla richiesta di moratoria dei lavori parlamentari capiremo che non c'è un governo di coalizione - ha detto Daniela Santanchè - far cadere un governo non è un'azione politica, è una conseguenza di un'azione politica". La linea del Pdl viene ammorbidita alla fine delle riunioni dei capigruppo dei due rami del parlamento: un giorno di pausa, poi ripresa delle normali attività. Un compromesso che accontenta il Pd, ma non i Cinque Stelle. Subito è partita la bagarre dai banchi dei grillini che dopo aver inveito contro i deputati piddì hanno organizzato un sit in davanti a Palazzo Montecitorio. "Vergogna - ha commentato Roberta Lombardi - andiamo fuori da questo posto fetido".


Dopo il blitz della Cassazione, il Pdl chiede uno stop delle Camere di tre giorni. Il Pd frena. Poi si trova il compromesso: un giorno di stop in entrambi i rami del parlamento





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Andrea Indini


Renato Schifani in Senato chiede una sospensione dei lavori
Cassazione sprint per il Cav: il 30 luglio l'udienzaIl Cav prepara l'Aventino: "Vogliono piazzale Loreto"Assalto giudiziario al Cav, si chiude il cerchioProcesso Mediaset, il Pdl blocca le Camere
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Published on July 10, 2013 23:39

Fmi, Bruxelles e S&P attaccano l'Italia: non vogliono l'abolizione di Iva e Imu

Le mani dei poteri forti sull'Italia. Dopo il Fondo monetario internazionale anche l'Unione europea e Standard & Poor's tornano a ficcare il naso negli affari di casa nostra. I tecnocrati si schierano col partito delle tasse e, senza girarci troppo intorno, pretendono che il governo non abolisca l'Imu sulla prima casa. Alla vigilia della cabina di regia tra esecutivo e maggioranza, convocata dal premier Enrico Letta per trovare un accordo sulle misure economiche da mettere in cantiere, il vicepresidente dell’esecutivo europeo Olli Rehn lancia un avvertimento che puzza di minaccia: "Sono sicuro che il governo italiano prenderà seriamente in considerazione le raccomandazioni". Fa peggio l'agenzia statunitense che arriva a tagliare il rating a un passo dalla "spazzatura" a causa "della sospensione dell’Imu e del possibile ritardo dell'aumento dell’Iva".


I dati dell'Istat sui redditi delle famiglie italiane rilevano il crollo del potere e l'incremento della propensione al risparmio. Così, mentre i consumi delle famiglie continuano a scendere inesorabilmente, il governo è alle strette: non può procrastinare oltre l'approvazione del piano per rilanciare la crescita. Gli analisti del dicastero dell'Economia devono trovare al più preso i soldi per abolire l'aumento dell'aliquota Iva e dell'imu sulla prima abitazione. Due misure che sono inevitabili se si vuole far ripartire l'economia del Belpaese. Il ministro Fabrizio Saccomanni, che da giorni è finito sotto il fuoco incrociato del Pdl, si è detto fiducioso che si raggiungerà un accordo (guarda il video). Le ipotesi sul tavolo di Letta sono essenzialmente: il Pdl chiede l'abolizione dell'imposta su tutte le prime case, mentre il Pd preferirebbe una rimodulazione. Durante un’intervista a Ballarò, Letta ha assicurato che ha intenzione di rispettare gli accordi. Ma in questo scenario di dialettica politica sono entrati a gamba tesa i poteri forti mondiali. Le minacce di Fmi, Ue e Standard & Poor's sono tese a influenzare le selte del parlamento. Per tenere sotto scacco il governo, l'agenzia statunitense ha taglia il rating dell'Italia da "BBB+" a "BBB" (guarda il video). In poche parole, a un passo dalla "spazzatura". "Nel 2013 gli obiettivi di bilancio in Italia - hanno spiegato gli analisti di S&P - sono potenzialmente a rischio per il differente approccio nella coalizione di governo per coprire un disavanzo «frutto della sospensione dell’Imu e del possibile ritardo del pianificato aumento dell’Iva".


Nonostante le incursioni degli euroburocrati e della finanza, Letta continua a essere fiducioso sul fatto che alla fine una soluzione si possa trovare. Il problema resta comunque quello della copertura economica: servono 4 miliardi di euro per cancellare del tutto l’Imu come chiede Silvio Berlusconi. "Quest’anno non abbiamo margini di bilancio, quindi se vogliamo cancellare la tassa sulla prima casa dovremo tagliare altre spese", ripetono a Palazzo Chigi. Esattamente ciò che ripetono i tecnici del Tesoro. Per questo il ministro dell’Economia intende presentare una serie di opzioni, ribadendo che tanto più larga sarà la platea degli esenti, tanto maggiori saranno i tagli di altre voci di bilancio. "Nella riunione di domani si affronterà l’ipotesi di modificare le coperture per il rinvio dell’Iva e di cuneo fiscale", spiegano fonti vicine all'esecutivo secondo le quali l’intenzione di Palazzo Chigi e del Tesoro sarebbe di soprassedere - almeno per ora - sullo scottante dossier Imu. Anche se, precisano le stesse fonti, essendo una riunione informale è possibile che qualcuno sollevi il problema.


Le mani dei poteri forti sull'Italia. Dopo l'Fmi, l'Ue minaccia: "L'Italia rispetti i nostri consigli". E S&P arriva addirittura a tagliarci il rating: "Mantenete l'Imu e l'aumento dell'Iva"





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Andrea Indini

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Published on July 10, 2013 00:30

July 9, 2013

La vendetta di Fini: testimone da Woodcock contro il Cav

Fuori dalla politica, si briga meglio. Dopo la tranvata alle ultime politiche, il flop di Futuro e Libertà e lo scandalo mediatico della casa di Montecarlo, Gianfranco Fini prova a rifarsela con Silvio Berlusconi. Il "che fai, mi cacci?" è acqua passata. Ma mica troppo. Da allora l'ex leader di An ha visto perdere, di giorno in giorno, consensi e popolarità. Le urne ha sancito la sua fine politica. Così non gli è rimasto che vendicarsi. Il pm di Napoli Henry John Woodcock gliel'ha servita su un piatto d'argento: l'ha chiamato al tribunale partenopeo per testimoniare contro il Cavaliere sulla presunta compravendita di parlamentari. Sotto il mirino delle toghe quel 14 dicembre del 2010, quando la Camera respinse la sfiducia all'allora premier Berlusconi spernacchiando i magheggi dei futuristi e mandando su tutte le furie Fini.


Non deve essergli parso vero. Fini, che si credeva il nuovo delfino del centrodestra, si è presentato davanti a Woodcock pronto a raccontare la "sua" versione dei fatti. A darne conto è Conchita Sannino su Repubblica raccontando che lo scorso 5 aprile l'ex presidente della Camera si è recato di soqquatto a Napoli. L'appuntamento alla caserma della Finanza. Davanti a lui, oltre a Woodcock, anche il pm Vincenzo Piscitelli. Tutti e tre a tramare contro il Cavaliere. Tutti e tre a costruire il teorema della compravendita dei parlamentari. Perché, quando i futuristi lasciarono il Pdl per far cadere Berlusconi, furono mossi da una libertà politica, mentre quando altri parlamentari migrarono tra le file del Pdl furono - ovviamente - comprati. Questa la tesi dei pm napoletani. Tesi che non possiamo ancora sapere se è stata sposata anche da Fini. Ad oggi, però, abbiamo la certezza che l'ex leader del Fli e i magistrati partenopei hanno passato al setaccio l'addio al Fli di Catia Polidori e Grazia Siliquini. Il 14 dicembre del 2010 le due onorevoli decisero, infatti, di sostenere il governo Berlusconi venendo meno al piano di Fini. La tesi dei magistrati, sposata da Repubblica e probabilmente anche da Fini, è che il passaggio della Polidori e della Siliquini fu favorito da successive ricompense. "Lei (la Bolidori, ndr) votò contro Fini, come la Siliquini - spiega la Sannino - la prima diventò viceministro, dopo. La seconda fu nominata nel Cda delle Poste". Qui il controsenso: i movimenti interni al parlamento vanno puniti solo se "favoriscono" il Cavaliere.


Accantonate le beghe interne al centrodestra, il cuore della chiacchierata verte sulla caduta di Romano Prodi dallo scranno di Palazzo Chgi. Nel mirino di Fini, va da sé, finisce Valter Lavitola. Tra i due dev'esserci ancora un po' di ruggine per lo scandalo che ha fatto a pezzi politicamente il delfino di Giorgio Almirante: la casa di Montecarlo che, grazie a un giro di società off shore, finì al "cognato" di Fini Giancarlo Tulliani. L'ex direttore dell'Avanti! è indagato perché, a detta delle toghe partenopee, avrebbe rimediato il denaro per "comprare" i voti necessari a far cadere il governo Prodi. Woodcock tira fuori la lettera sequestrata nel pc dell'avvocato Carmelo Pintabona, l'ex leader del Fli assicura di aver appreso il tutto dalle agenzie "prima di entrare in una trasmissione televisiva". Di sassolino in sassolino, Fini ne ha davvero per tutti. Anche per il presidente Di Panama Ricardo Martinelli che, secondo Italo Bocchino, avrebbe aiutato alcuni esponenti del Pdl a trovare il materiale sulla casa di Montecarlo che inguaiò Fini e il fratello di Elisabetta Tulliani. Della lunga chiacchierata di Fini con Woodcock e Piscitelli è difficile sapere se c'è materiale scottante. Una cosa, però, è certa: Fini ha voluto vendicarsi e, come suo solito, pugnalaree alle spalle. Adesso la palla passa al giudice Amelia Primavera che, venerdì 19 luglio, deciderà sulla richiesta di patteggiamento a 1 anno e 8 mesi per il senatore Sergio De Gregorio


Dalla caduta di Prodi alla casa di Montecarlo, Gianfry si vede coi pm di Napoli in una caserma della Finanza per raccontare la "sua" verità





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Andrea Indini

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Published on July 09, 2013 09:24

Imu, è un affare di tecnocrati. Anche Bruxelles si intromette: "Ascoltare le raccomandazioni"

Dopo il Fondo monetario internazionale anche l'Unione europea torna a ficcare il naso negli affari di casa nostra. I tecnocrati si schierano col partito delle tasse e, senza girarci troppo intorno, pretendono che il governo non abolisca l'Imu sulla prima casa. Alla vigilia della cabina di regia tra esecutivo e maggioranza, convocata dal premier Enrico Letta per trovare un accordo sulle misure economiche da mettere in cantiere, il vicepresidente dell’esecutivo europeo Olli Rehn lancia un avvertimento che puzza di minaccia: "Sono sicuro che il governo italiano prenderà seriamente in considerazione le raccomandazioni".


I dati dell'Istat sui redditi delle famiglie italiane rilevano il crollo del potere e l'incremento della propensione al risparmio. Così, mentre i consumi delle famiglie continuano a scendere inesorabilmente, il governo è alle strette: non può procrastinare oltre l'approvazione del piano per rilanciare la crescita. Gli analisti del dicastero dell'Economia devono trovare al più preso i soldi per abolire l'aumento dell'aliquota Iva e dell'imu sulla prima abitazione. Due misure che sono inevitabili se si vuole far ripartire l'economia del Belpaese. Il ministro Fabrizio Saccomanni, che da giorni è finito sotto il fuoco incrociato del Pdl, si è detto fiducioso che si raggiungerà un accordo. Le ipotesi sul tavolo di Letta sono essenzialmente: il pdl chiede l'abolizione dell'imposta su tutte le prime case, mentre il Pd preferirebbe una rimodulazione. Poi c'è il nodo dei capannoni, quelli che il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato ha definito le prime case degli imprenditori. Le notizie si accalcano, senza nulla di definitivo. Il ministro dell’Economia ha precisato che l’ipotesi di agire sui capannoni industriali riguarda il 2014: "Si guardano i redditi d’impresa dell’anno prossimo: ci stiamo lavorando nella preparazione degli interventi del 2014". "L'imposta sugli immobili non deve essere applicata ai beni strumentali delle aziende", ha avvertito Zanonato parlando a margine dell’assemblea nazionale delle Cooperative industriali. Per il titolare dello Sviluppo economico tassare gli edifici delle aziende equivale solo ad "appesantire l’azienda là dove produce ricchezza". Al contrario il governo intende trovare fonti alternative dove la ricchezza è già prodotta e si può tassare, pur mantenendo fermo l’obiettivo di ridurre la fiscalità.


Mentre il tema dell’imposta sulle abitazioni continua ad agitare le acque della maggioranza, ma Letta continua a essere fiducioso sul fatto che alla fine una soluzione si possa trovare, nonostante la sfiducia sull'operato di Saccomanni. Il problema è sempre quello della copertura economica: servono 4 miliardi di euro per cancellare del tutto l’Imu come chiede Silvio Berlusconi. "Quest’anno non abbiamo margini di bilancio, quindi se vogliamo cancellare la tassa sulla prima casa dovremo tagliare altre spese", ripetono a Palazzo Chigi. Esattamente ciò che ripetono i tecnici del Tesoro. Per questo il ministro dell’Economia intende presentare una serie di opzioni, ribadendo che tanto più larga sarà la platea degli esenti, tanto maggiori saranno i tagli di altre voci di bilancio. "Nella riunione di domani si affronterà l’ipotesi di modificare le coperture per il rinvio dell’Iva e di cuneo fiscale", spiegano fonti vicine all'esecutivo secondo le quali l’intenzione di Palazzo Chigi e del Tesoro sarebbe di soprassedere - almeno per ora - sullo scottante dossier Imu. Anche se, precisano le stesse fonti, essendo una riunione informale è possibile che qualcuno sollevi il problema.


Dopo l'intromissione dell'Fmi, anche l'Ue si oppone all'abolizione dell'Imu sulla prima casa. Domani la cabina di regia. Saccomanni assicura: "Troveremo un'intesa"





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Andrea Indini



Imu, Saccomanni: "Sapremo trovare un'intesa"
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Published on July 09, 2013 06:58

July 8, 2013

Il Pd non vuole abolire l'Imu

L'orologio corre veloce. La dead line è prevista per settembre. Allora scadranno i termini del rinvio. Allora il premier Enrico Letta dovrà avere per le mani la riforma definitiva dell'odiatissima tassa sulla casa. Gli accordi tra Pd e Pdl erano chiari sin dall'inizio: abrogazione dell'Imu sulla prima abitazione. I democratici, però, giocano sporco e, inserendo nel dibattito tutta una serie di distinguo e di ipotesi alternative, provano a mantenere l'imposta per far cassa sulla pelle dei contribuenti. Dalla loro parte, poi, hanno il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni che sembra lavorare contro la buona riuscita del piano economico. Le ultime sortite toccano al ministro per i Rapporti col parlamento Dario Franceschini che, in una intervista alla Stampa, fa sapere che l'imposta sulla prima casa non sarà tolta a tutti, e il viceminsitro dell'Economia Stefano Fassina che dalle colonne del Messaggero ha invitato il vicepremier Angelino Alfano a "tenere a bada i falchi" del Pdl. Insomma, sembrerebbe proprio che i democrat facciano di tutto per far saltare le larghe intese.


Dopo settimane il Pdl ha fatto sapere che non ci sono vie di mezzo. L'Imu sulla prima abitazione va tolta a tutti. Il resto sono solo giochetti politici inutili. In questo sfibrante dibattito, Saccomanni si sta dimostrando sempre più inadeguato a sciogliere i principali nodi fiscali. Sia per l'abolizione dell'imposta sulla casa sia per l'abrogazione dell'aumento dell'aliquota Iva, il titolare dell'Economia non è in grado di trovare le coperture economiche necessarie. "Chi attacca Saccomanni, attacca tutto il governo", si è indignato Franceschini assicurando che Letta che con Saccomanni hanno "un rapporto solidissimo e quotidiano". In realtà, da quando il Pdl ha iniziato a chiedere la rimozione di Saccomanni dal dicastero di via XX Settembre, il premier non ha mai preso posizione. Nemmeno alla vigilia di una settimana decisiva per la maggioranza. Mercoledì la riunione della cabina di regia tra governo e partiti dovrebbe mettere i primi punti fermi alla riforma della tassazione complessiva degli immobili. Come ha confermato iedri il sottosegretario Pier Paolo Baretta, le alternative sul tavolo  restano due: o l’abolizione totale dell’Imu (pretesa dal Pdl) o la rimodulazione (proposta dal Pd). "L’Imu sulla prima casa sarà abolita ma non per tutti. Sappiamo che per il Pdl è una priorità, quindi si farà, ma in modo ragionevole", ha spiegato Franceschini che, anche sull'Iva, è arrivato a ipotizzare "un ridisegno più equo delle aliquote tra il 4, il 10 e il 21%". L'esatto contrario degli accordi sottoscritti dalla maggioranza, l'esatto contrario di quanto promesso dal ministro allo Sviluppo economico nel suo intervento all’Unione industriale di Torino. "Il governo - ha detto - intende ridurre l’Imu sulla prima casa delle famiglie, sugli immobili strumentali delle aziende e sui capannoni che la 'prima casa' delle aziende".


Il Pdl non vuole nemmeno sentir parlare di opzioni. "C’è una zona grigia al Tesoro - ha denunciato Fabrizio Cicchitto - che scavalca governo e ministri per collegarsi direttamente con ambienti dell’Unione Europea e del Fmi, per invitarli ad interventi restrittivi". Una "zona grigia" di alta burocrazia a cui appartiene anche Saccomanni con cui il governo non va da nessuna parte. Un attacco concentrico al quale il titolare del Tesoro preferisce non rispondere direttamente limitandosi ad assicurare "una decisione collegiale" del governo sull’imu dopo una discussione dentro la maggioranza "nelle sedi di confronto già individuate". A rispondere per conto del ministro, ci pensa il suo vice. "Bisogna evitare che gli equilibri sui quali si poggia il governo divengano insostenibili", ha tuonato Stefano Fassina invitando Alfano a "mettere in riga" i suoi a "trovare un compromesso con spirito costruittivo". Una sortita violentissima che ha infastidito il centrodestra che ha subito chiesto a Letta di intervenire. "Il Pdl ha votato la fiducia al governo sulla base di un programma politico che prevede l’abrogazione dell’Imu e la riduzione della pressione fiscale", ha replicato la senatrice Anna Maria Bernini chiedendo al premier di "ricondurre a ragionevolezza" il viceministro.


È scontro aperto sull'abolizione dell'Imu sulla prima casa. Il Pd esce allo scoperto con Franceschini: "Non la toglieremo a tutti". Il Pdl alza i toni: "I patti non erano questi". Fassina passa agli insulti: "Alfano tenga a bada i suoi falchi". La tensione è alle stelle





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Il viceministro dell'Economia, Stefano Fassina
Imu, abolizione fasulla: un trappolone anti PdlIl Cav in allerta sulle tasse: Letta ora rischia davveroImu, salta l'ipotesi di una stangata sui villini
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Published on July 08, 2013 04:08

July 7, 2013

Congresso Pd, Civati esce allo scoperto: "Vendicherò Prodi e Rodotà"

Ah, il Pd. La telenovela sul congresso non chiude i battenti nemmeno a luglio. Il palinsesto della politica democratica ha in cantiere nuovi noiosissimi colpi di scena, biechi accoltellamenti alle spalle e inutili sgambetti. Il tutto condito dai soliti volti che, per difendere il proprio orticello, sono disposti a tutto. Anche ad affondare il proprio partito. Così, mentre il premier Enrico Letta affanna sulle misure economiche, i vertici di via del Nazareno se le danno di santa ragione. A distanza, ovviamente. Con l'accortezza, però, di lavare i panni sporchi sui quotidiani nazionali. Una soap in piena regola. Ultime novità: Giuseppe Civati scioglie le riserve e si candidata alla segreteria piddì, il sindaco di Firenze Matteo Renzi fa un passettino indietro e fa sapere che deciderà del suo futuro solo a settembre e di comune accordo con gli altri sindaci.


Guglielmo Epifani blinda il governo, i vertici del Pd blindano Epifani. È un gioco di squadra. Per far fuori gli outsider. "Non c’è nessuna alternativa a questo governo del fare che va sostenuto e incoraggiato", ha chiarito l'ex segretario della Cgil. E a chi, come il rottamatore, ha chiesto a Letta di fare di più, ha ricordato come si tratti di un governo "di servizio", frutto di una maggioranza poco "omogenea" e che quindi comporta dei compromessi. Dall’altro lato, però, il segretario piddì ha mandato anche messaggi rassicuranti sul fronte delle regole e della data del congresso, assicurando che "a giorni" si deciderà e che "le primarie saranno aperte" e puntando, in questo modo, a tenere unito il partito. È possibile, dunque, che già domani venga deciso qualcosa in più su questo fronte. Questo è quanto si aspettano i renziani dalla riunione. Durante l'incontro il segretario presenterà in maniera più articolata una proposta su come intende declinare il "congresso dal basso". L’ipotesi potrebbe essere quella che i democrat licenzino un documento "base", una sorta di dna del partito da far discutere nei circoli locali, provinciali e regionali. Una volta completata questa prima tappa si partirebbe con il congresso nazionale, scindendo le due fasi. Una procedura complessa ma che ha l’obiettivo dichiarato da parte del segretario di concentrare il dibattito "più sui temi che sui nomi". In realtà, è proprio sui nomi (o meglio: sulle correnti) che si deciderà il risultato del congresso. Nella giornata conclusiva del Politicamp a Reggio Emilia, Civati ha annunciato che si candida per vendicare Romano Prodi, Stefano Rodotà e "le timidezze di questi anni". "Mi candido a fare il segretario del Pd - ha twittato - mi candido perché c’è da ricostruire il centrosinistra". Il primo punto del suo programma? Ricucire l'alleanza con Nichi Vendola. Il secondo punto? Un contrasto deciso al tatticismo. "Le correnti sono solo correnti di seggiole - ha concluso - ci occuperemo di tutto il resto, della scelta degli argomenti, delle parole nuove".


Mentre Civati, lavora a ricostruire il pachiderma rosso che fu di Prodi, Renzi tentenna e fa un passo indietro. In una intervista al Corriere Fiorentino, il sindaco ha fatto sapere che vuole prima vedere le regole, saggiare se non ci sono fregature. Il timore è che il meccanismo ideato da Epifani possa far slittare i tempi. Non solo. Scindere e invertire le due fasi congressuali potrebbe incidere sulle maggioranze che si andranno a creare e, quindi, anche sulla composizione degli organismi dirigenti. E il timore è quello che qualora decida di correre, Renzi ottenga una "vittoria azzoppata". Per fugare tutti questi dubbi, Renzi vuole prendersi il tempo necessario (almeno tutta l'estate) e tessere attorno a sé una solida rete che lo sorregga. "Se ci sarà una mia candidatura alla leadership del Pd non sarà un’autocandidatura, bensì la risposta a una richiesta degli amministratori del territorio - ha spiegato - perché nessuno meglio di un sindaco conosce i veri bisogni dei cittadini". Insomma, è chiaro che nei prossimi giorni non mancheranno nuovi colpi di scena. E la telenovela potrà andare, lentamente, avanti.


Continua la telenovela piddì. Renzi prende tempo: vuole prima vedere le regole. Civati invece si candida per ricostruire la sinistra: "Dobbiamo allearci con Vendola"





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Andrea Indini



Il Pd sta sconfiggendo Renzi che perde appealLe inversioni a U di Matteo in 12 mesi di accelerazioni
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Published on July 07, 2013 08:42

Governo, il Pdl in pressing su Letta: "Cambiare il ministro dell'Economia"

Non passa giorno senza che dai corridoi del dicastero dell'Economia non trapelino indiscrezioni, rumor o progetti tanto ambigui da mandare letteralmente in fibrillazione l'intera maggioranza. Oggi è toccato al piano di rimodulazione dell'Imu che, stando all'anticipazione di Repubblica, prevederebbe una stangata sui villini. Non è certo la prima volta che sortite di questo tipo escono dagli uffici di via XX Settembre. E, sebbene lo stesso Silvio Berlusconi abbia intimato al premier Enrico Letta di "passare ai fatti una volta per tutte", il ministro Fabrizio Saccomanni sembra tutt'altro che impegnato ad arrivare al dunque. Giorno dopo giorno la situazione si fa sempre più tesa. Adesso non c'è più spazio per tecnici. Adesso c'è bisogno di un politico che metta la parola fine all'Imu sulla prima casa e scongiuri l'aumento dell'aliquota Iva. E questo tanto per iniziare. Provvedimenti che, a detta dei vertici del Pdl, Saccomanni non è in grado di intraprendere. "All’Economia serve una guida adeguata e non un esponente di seconda fila di apparati burocratici intenti solo alla loro autodifesa - ha spiegato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri - serve insomma un ministro vero e autorevole all’Economia".


In una settimana decisiva per Imu e Iva, con il Pdl che preme su Enrico Letta affinché mantenga gli impegni sottoscritti col Cavaliere, l’ala dura del Pdl ha scatenato il fuoco sul ministro dell’Economia chiedendo che alla guida del dicastero vada un politico. Nei giorni scorsi il capogruppo alla Camera Renato Brunetta aveva già avanzato il dubbio che dal ministero dell’Economia fosse partita la richiesta di "un aiutino" al Fondo monetario internazionale che aveva raccomandato di non cancellare l’imposta sulla prima abitazione. Ieri di nuovo: prima da Daniela Santanchè poi da Maurizio Gasparri è arrivata la richiesta a Saccomanni neppure tanto implicita di liberare la poltrona di via XX Settembre. "Ci vuole un ministro dell’Economia più coraggioso che non si chiami Saccomanni - ha spiegato Santanchè - non è il ministro giusto al suo posto. Serve una visione diversa". La dirigente del Pdl ha tenuto ad assicurare che si tratta di un punto di vista personale. In realtà, sulla stessa lunghezza d’onda è anche la gran parte del centrodestra che non vede affatto di buon occhio la presenza di un altro tecnico su una poltrona così cruciale per il futuro del Paese, dopo i disastri fatti dal governo Monti. "Ci vuole un ministro dell’Economia. Non una figura grigia e inadeguata - ha incalzato Gasparri -ne parleremo anche nelle riunioni del Pdl in settimana". Nei prossimi giorni, dovrebbero riunirsi i gruppi parlamentari e potrebbe essere quella l’occasione per tornare la carica. Mercoledì mattina poi è convocata la "cabina di regia" di governo e maggioranza proprio sull’Imu, con Pdl e Pd che ancora si fronteggiano sui provvedimenti da adottare. Il governo, è la linea del Pdl, non può fare marcia indietro sugli impegni presi per l’imposta sugli immobili e sul blocco dell’aumento dell’Iva. "Le rassicurazioni di Letta vanno nella direzione giusta - hanno assicurato fonti del partito - ma il Pdl tiene alta la guardia perchè su Imu e Iva non ha nessuna intenzione di cedere".


Letta si trova, così, tra due fuochi. Se da una parte non vuole rimuovere Saccomanni, dall'altra è al lavoro per cercare una mediazione dentro la maggioranza. Per quanto riguarda l'abolizione dell'Imu, tutte le ipotesi (dall’abolizione totale alla rimodulazione) restano sul tavolo in attesa di trovare la soluzione politica entro ferragosto, dead line fissata dal premier stesso per riformare l'imposta sugli immobili. Una riforma che dovrà mettere insieme la riforma dell’Imu, la Tares e, nel complesso, la fiscalità locale in una ristrutturazione che tenga insieme le richieste dei partiti e quelle degli enti locali. Ma i nodi da sciogliere non si fermano certo all'Imu. In cima alla lista ci sono anche l'abrogazione dell'aumento dell'aliquota Iva, la riduzione della pressione fiscale e le misure per tagliare il debito pubblico. Economia, economia e ancora economia. "Per dare una prospettiva ai conti pubblici italiani bisogna finalmente mettere in campo una strategia di aggressione al debito pubblico - ha insistito Gasparri - bisogna darsi da fare subito". Proprio per garantire un utile
percorso alle riforme, il centrodestra chiede la testa di Saccomanni.


Il Pdl in pressing su Letta perché passi ai fatti. Sul tavolo del premier l'aumento dell'Iva, l'Imu sulla prima casa, il taglio delle tasse e il piano per ridurre il debito pubblico. Ma il problema resta: il centrodestra vuole una figura politica all'Economia





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Andrea Indini

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Published on July 07, 2013 05:46

July 6, 2013

Se Grasso e la Boldrini giocano per affondare le larghe intese

Ogni tanto, destandosi dal torpore, accade che uno dei due presidenti delle Camere si sveglia e tiri bordate a destra e a manca. Dichiarazioni di fuoco, accuse, minacce, prese di posizione. Laura Boldrini e Pietro Grasso stanno prendendo, giorno dopo giorno, posizioni che esulano dal loro ruolo istituzionale. Se un giorno tocca al presidente del Senato minacciare il Pdl di fantomatiche nuove maggioranze formate da Pd e Cinque Stelle, un altro tocca alla terza carica dello Stato prendersela con l'ad del Lingotto Sergio Marchionne schierandosi apertamento al fianco della Fiom. "Le presidenze delle due Camere sono oggi totalmente dissonanti rispetto al sentimento di una larghissima maggioranza, non solo del Parlamento ma dell’intero Paese - ha commentato il presidente dei deputati del Pdl, Renato Brunetta - non abbiamo bisogno di massimi rappresentanti delle istituzioni che lavorino per disegni organici a minoranze estremiste".


L'ultimo strappo è sicuramente ad opera della Boldrini. All'indomani della presa di posizione della Corte costituzionale che ha bocciato la norma dello Statuto dei lavoratori che limita la rappresentanza ai sindacati firmatari del contratto, giovedì scorso la presidente della Camera è entrata a gamba tesa nei confronti dei vertici del colosso torinese rifiutandosi di visitare lo stabilimento in Val di Sangro. La motivazione (di facciata) è un impegno istituzionale preso in precedenza. Tuttavia, l'occasione si fa ghiotta per stangare la Fiat e difendere le tute blu della Fiom. E così la lettera a Marchionne si trasforma in una resa dei conti in piena regola. "Affinchè il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione. Una via che non è in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa". Una presa di posizione che, al pari della sua presenza al Gay Pride di Palermo insieme all'ex ministro allo Sport Josefa Idem, denota un comportamento tutt'altro che super partes. Non sono certo due episodi a sé stanti. L'elenco è lungo. Il lungo silenzio della Boldrini dopo l'aggressione subita dalle parlamentari del Pdl prima della manifestazione di Brescia è piuttosto eloquente.


Non è certo da meno il collega a Palazzo Madama. Domenica scorsa, in una intervista a Repubblica, Grasso non solo aveva bocciato la riforma della giustizia avanzata dal Pdl, ma era arrivato anche a ventilare nuove maggioranze per far fuori il centrodestra dal governo. "Nel caso in cui venisse meno la fiducia a questo esecutivo - era stato l'avvertimento del presidente del Senato - sono certo che Napolitano non escluderà alcuna possibilità per altre possibili coalizioni". Secondo i vertici del Pdl, i comportamenti dei due "custodi" delle camere rischiano seriamente di vanificare il cammino difficile intrapreso avviando le larghe intese. Se lo scontro con la Fiat spinge a pensare che la Boldrini debba rispondere non tanto al popolo italiano ma al segretario della Fiom Maurizio Landini e al leader del suo partito Nichi Vendola, le dichiarazioni di Grasso avevano obbligato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a riparare i danni minimizzando. "Boldrini e Grasso sono esito di un momento politico temerario, allorché Bersani coltivava sogni di maggioranze strampalate - ha commentato Brunetta - ma quella stagione è finita". Da qui l'appello ai due presidenti a "recuperare il senso delle istituzioni" e a finirla di "coltivare velleità non in linea con il proprio compito di rappresentanza democratica". Ma la Boldrini non ammette alcuna critica: "Solo forzature polemiche possono leggere come scelta di parte, e non istituzionale, l’appello rivolto al mondo sindacale e a quello imprenditoriale".


Le dichiarazioni dei presidenti delle Camere minano la pacificazione. Brunetta accusa: "Lavorano per le minoranze estremiste". Boldrini replica: "Fai solo forzature"





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Andrea Indini

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Published on July 06, 2013 08:57

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