Andrea Indini's Blog, page 168
September 25, 2013
In Forza Italia ha vinto la linea dura: "Se il Cav cade, ci dimettiamo"
"Una volta decaduto Berlusconi, decadiamo tutti". Forza Italia passa al contrattacco e si prepara a respingere l'assalto della sinistra giustizialista che punta a far fuori Silvio Berlusconi votando la sua decadenza da senatore. Dopo una lunga giornata segnata da continui incontri a Palazzo Grazioli, i capigruppo di Camera e Senato, Renato Brunetta e Renato Schifani, hanno riunito i gruppi per discutere la strategia migliore per tutelare l'agibilità politica del Cavaliere. Passa la linea dura con l'approvazione per acclamazione delle dimissioni di massa. Dimissioni che interesserebbero solo i parlamentari dal momento che le posizioni dei ministri verrebbero discusse in un’altra riunione. "È in corso un’operazione eversiva da parte di Magistratura democratica per sovvertire lo stato di diritto - ha denunciato Berlusconi - la sinistra tripudia perché pensa di aver la strada spianata verso il potere".
Forza Italia percorre la linea dura. Al centro delle continue riunioni (tenute prima a Palazzo Grazioli, poi a Montecitorio), è tornata la questione della agibilità politica di Berlusconi e della decadenza da senatore. E la decisione è di alzare i toni. Dopo un'intera giornata di trattative è infine passata la linea delle dimissioni di massa che resteranno comunque congelate fino al 4 ottobre, giorno in cui si riunirà la Giunta per le Elezioni, per poi diventare immediatamente effettive. Una proposta che è stata avanzata anche in serata alla riunione dei gruppi. "Davvero sentite il bisogno di proseguire la vostra vita politica nel momento in cui a Berlusconi sarà ancora una volta negato il diritto alla verità?", ha chiesto Schifani ai presenti. Già durante l’assemblea dei gruppi che Berlusconi aveva presieduto all’indomani della sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, deputati e senatori avevano consegnato le dimissioni nelle mani dei capigruppo. Anche i ministri, in quell’occasione e poi ancora successivamente, si erano detti pronti a lasciare il governo qualora l'ex premier glielo avesse chiesto. Allora, così come questa volta, la "mossa" dei parlamentari del Pdl sarebbe diretta soprattutto a lanciare un segnale al Quirinale e a Palazzo Chigi e non tanto la mossa finale per far precipitare la situazione. Nelle riunioni di oggi, Berlusconi è tornato a manifestare tutta la diffidenza nei confronti di Giorgio Napolitano e del Pd, senza nascondere la forte irritazione per il nuovo altolà del Colle sull’instabilità politica. "Mi fanno fuori, mi eliminano dalla scena e dovremmo pure stare zitti e votare tutto quello che il governo ci propina?", è stato lo sfogo di Berlusconi che, dopo aver svelato di aver perso ben 11 chili, non ha faticato ad ammettere che sta vivendo "i giorni più duri" della sua vita. "Mi descrivono e mi vogliono far passare alla storia come uno che ruba ai cittadini - ha spiegato - non ho mai rubato. Vogliono buttarmi fuori dalla storia".
A questo punto il futuro di Enrico Letta è sempre più appeso a un filo sottilissimo. Anche la Lega Nord sarebbe, infatti, disponibile a dimettersi in linea con le decisioni prese da Forza Italia. Poco prima della riunione a Palazzo Grazioli, il vicepremier Angelino Alfano riceve una telefonata da Letta si vede col ministro Dario Franceschini a Palazzo Chigi per fare il punto sulla situazione. Secondo fonti interne al Quirinale, Napolitano si sarebbe riservato di verificare con maggiore esattezza quali siano state le conclusioni dell’assemblea dei parlamentari di Forza Italia, all'interno della quale si sono confrontate due linee opposte di azione. Da una parte i falchi già pronti alla guerra, dall'altra le colombe che tentano di frenare gli intenti bellicosi. Aldilà delle prossime mosse, il partito sarà compatto - senza distinzioni di linee - accanto al leader quando si arriverà al voto in Aula sulla decadenza. "Siamo un partito che non farà l’errore dei partiti della Prima Repubblica - ha assicurato Alfano - questo partito non si dividerà, è unito e resterà tale". E il futuro sarà sotto la stella di Forza Italia. Stella che, ne è convinto lo stesso Berlusconi, potrebbe riportare il centrodestra ad avere il 36% dei voti.
Berlusconi all'attacco: "A sinistra c'è il tripudio perché credono di avermi eliminato, ma si illudono". Si susseguono i vertici a Palazzo Grazioli
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Andrea Indini
Renato Schifani e Renato Brunetta escono da Palazzo Grazioli
Letta non crede alla crisi: vuole chiarezza da Alfano
September 24, 2013
Barbara Berlusconi debutta a Ballarò: "Mio papà non è un criminale"
Contro la macchina da guerra della sinistra, che grazie alle offensive giudiziarie sta tentando il tutto per tutto per decapitare il centrodestra, Silvio Berlusconi è pronto a ributtarsi nell'agone politico. Il battesimo della nuova Forza Italia nella sede di San Lorenzo in Lucina è stato solo il primo passo. Ricompattato il popolo del centrodestra con un videomessaggio in cui ha tracciato le prossime sfide da vincere, il Cavaliere vuole tornare a parlare al territorio, alla sua gente, alla pancia del Paese. E i salotti televisivi sono solo il trampolino di lancio. Così, mentre si valuta una sua partecipazione alla puntata di Porta a Porta di domani, Barbara Berlusconi ha avuto il suo "battesimo televisivo" a Ballarò.
Berlusconi continua a restare concentrato sull'impegno del Pdl in parlamento e sulla decadenza da senatore. Da una parte il pressing per far attuare dal governo quel piano economico che lo stesso premier Enrico Letta aveva sottoscritto coi vertici del partito prima di ricevere la fiducia, dall'altra la certezza che la nuova riunione della Giunta del Senato (in agenda il 4 ottobre) stia brigando per estrometterlo da Palazzo Madama. Prima che votino una nefandezza simile, però, il Cavaliere potrebbe anche presentarsi per far sentire le proprie ragioni su una sentenza, quella sui diritti tv, che è stata viziata dal protagonismo di certe toghe politicizzate. L'ipotesi di interventire in Giunta è sul tavolo di Berlusconi che sta attentamente valutando i pro e i contro. Secondo fonti che hanno avuto modo di sentire Berlusconi, i fedelissimi (e in particolar modo la famiglia) continuano a sconsigliarlo. C'è infatti il rischio (concretissimo) che la seduta pubblica della Giunta si trasformi in una sorta di processo "a porte aperte", con l’ex presidente del Consiglio sul banco degli imputati. I grillini non si farebbero certo sfuggire l’occasione di metterlo alla berlina. Per questo, lo stesso Berlusconi sarebbe più propenso a scegliere un’altra location e, soprattutto, un’altra platea per passare al contrattacco in quella che non fatica a definire una persecuzione delle toghe politicizzate. Tra le ipotesi al vaglio c'è appunto una "ospitata" in una trasmissione televisiva. In pole position per accaparrarsi il Cavaliere, che è assente dagli studi televisivi dai tempi della campagna elettorale, ci sarebbe l'ammiraglia di viale Mazzini, con il salotto di Bruno Vespa. Ma non sarebbe stata ancora scartata nemmeno l’opzione di andare a Matrix su Canale 5. Tra i falchi c'è, invece, chi suggerisce proprio di tornare nella tana del lupo: da Michele Santoro, dove qualche mese fa riuscì a zittire un pallido Marco Travaglio, o domenica (giorno del compleanno di Berlusconi) da Lucia Annunziata.
"Quella di mio padre è una storia politica e imprenditoriale non certo criminale", ha spiegato Barbara che oggi ha debuttato nei talk show concedendo un'intervista a Ballarò. Un debutto che molti analisti politici hanno voluto leggere come una possibile discesa in campo. In realtà la figlia del Cavaliere non ha alcuna intenzione di partecipare attivamente al futuro di Forza Italia. "Non è il mio orizzonte - ha spiegato - ci sono molte persone che fanno politica, tanti giovani capaci che intendono occuparsene". Tuttavia, non si è tenuta lontana dai commenti politici. E ne ha per tutti. In primis, per il Pd di Guglielmo Epifani a cui rinfaccia di essere "in totale confusione". "Se ritengono che Berlusconi sia un delinquente - ha chiesto - per quale motivo hanno deciso di fare con lui gli ultimi due governi?". Anche il Cavaliere punta a battere soprattutto sul piano politico. Sono, infatti, le misure economiche a preoccuparlo maggiormente. Rientrato questa mattina a Roma insieme alla primogenita Marina (ormai sempre più al fianco del padre), ha subito incontrato il vicepremier Angelino Alfano per ribadire che ministri e parlamentari azzurri non dovranno cedere di un millimetro nella lotta a tagliare la pressione fiscale. La partita dell'abolizione dell'Imu sulla prima casa e dell'abolizione dell'aumento dell'aliquota Iva sono irrinunciabili. Un fronte sul quale il Cavaliere non intende arretrare di un passo.
Berlusconi vola a Roma insieme a Marina. Barbara per la prima volta in un talk show: "La politica non è il mio orizzonte"
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Andrea Indini
Berlusconi sta alla finestra: sarà il Pd a far cadere Letta
Il Cav pronto al contrattacco, la figlia Barbara debutta in tv: questa sera parlerà a Ballarò
Contro la macchina da guerra della sinistra, che grazie alle offensive giudiziarie sta tentando il tutto per tutto per decapitare il centrodestra, Silvio Berlusconi è pronto a ributtarsi nell'agone politico. Il battesimo della nuova Forza Italia nella sede di San Lorenzo in Lucina è stato solo il primo passo. Ricompattato il popolo del centrodestra con un videomessaggio in cui ha tracciato le prossime sfide da vincere, il Cavaliere vuole tornare a parlare al territorio, alla sua gente, alla pancia del Paese. E i salotti televisivi sono solo il trampolino di lancio. Così, mentre si valuta una sua partecipazione alla puntata di Porta a Porta di domani, questa sera Barbara Berlusconi avrà il suo "battesimo televisivo" a Ballarò.
Berlusconi continua a restare concentrato sull'impegno del Pdl in parlamento e sulla decadenza da senatore. Da una parte il pressing per far attuare dal governo quel piano economico che lo stesso premier Enrico Letta aveva sottoscritto coi vertici del partito prima di ricevere la fiducia, dall'altra la certezza che la nuova riunione della Giunta del Senato (in agenda il 4 ottobre) stia brigando per estrometterlo da Palazzo Madama. Prima che votino una nefandezza simile, però, il Cavaliere potrebbe anche presentarsi per far sentire le proprie ragioni su una sentenza, quella sui diritti tv, che è stata viziata dal protagonismo di certe toghe politicizzate. L'ipotesi di interventire in Giunta è sul tavolo di Berlusconi che sta attentamente valutando i pro e i contro. Secondo fonti che hanno avuto modo di sentire Berlusconi, i fedelissimi (e in particolar modo la famiglia) continuano a sconsigliarlo. C'è infatti il rischio (concretissimo) che la seduta pubblica della Giunta si trasformi in una sorta di processo "a porte aperte", con l’ex presidente del Consiglio sul banco degli imputati. I grillini non si farebbero certo sfuggire l’occasione di metterlo alla berlina. Per questo, lo stesso Berlusconi sarebbe più propenso a scegliere un’altra location e, soprattutto, un’altra platea per passare al contrattacco in quella che non fatica a definire una persecuzione delle toghe politicizzate. Tra le ipotesi al vaglio c'è appunto una "ospitata" in una trasmissione televisiva. In pole position per accaparrarsi il Cavaliere, che è assente dagli studi televisivi dai tempi della campagna elettorale, ci sarebbe l'ammiraglia di viale Mazzini, con il salotto di Bruno Vespa. Ma non sarebbe stata ancora scartata nemmeno l’opzione di andare a Matrix su Canale 5. Tra i falchi c'è, invece, chi suggerisce proprio di tornare nella tana del lupo: da Michele Santoro, dove qualche mese fa riuscì a zittire un pallido Marco Travaglio, o domenica (giorno del compleanno di Berlusconi) da Lucia Annunziata. Intanto, questa sera, sarà la figlia Barbara a essere intervistata a Ballarò. Per la prima volta in un talk show politico, dovrà confrontarsi nel salotto (tutt'altro che confortevole) di Giovanni Floris. Secondo i rumors, il Cavaliere avrebbe stabilito con figli e legali una vera e propria offensiva mediatica, un battage sui teleschermi proprio in vista del voto finale in Giunta sulla decadenza da senatore, per smascherare gli attacchi che la sinistra gli muove contro a tambur battente.
È sul piano politico che il Cavaliere intende battere maggiormente. Sono, infatti, le misure economiche a preoccuparlo maggiormente. Rientrato questa mattina a Roma insieme alla primogenita Marina (ormai sempre più al fianco del padre), ha subito incontrato il vicepremier Angelino Alfano per ribadire che ministri e parlamentari azzurri non dovranno cedere di un millimetro nella lotta a tagliare la pressione fiscale. La partita dell'abolizione dell'Imu sulla prima casa e dell'abolizione dell'aumento dell'aliquota Iva sono irrinunciabili. Un fronte sul quale il Cavaliere non intende arretrare di un passo.
Il leader di Forza Italia a Roma per dettare la linea al partito. Al suo fianco c'è anche Marina. Parte il contrattacco: si valuta la partecipazione del Cav a Porta a Porta
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Andrea Indini
L'arrivo di Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli
Berlusconi sta alla finestra: sarà il Pd a far cadere Letta
September 23, 2013
Germania, la Merkel al terzo mandato: vincono rigore e austerità
Angela Merkel ha trionfato alle elezioni legislative tedesche strappando il 41,5% delle preferenze e guadagnandosi il terzo mandato consecutivo alla guida della Cancelleria. I tedeschi premiano, ancora una volta, la linea dell'austerità, del rigore e della tenaglia europeista che ha messo in ginocchio diversi Paesi dell'Eurozona. Così, mentre i principali indicatori economici del Vecchio Continente sembrano ruotare il segno meno in percentuali sopra lo zero e gli analisti iniziano a parlare con un quieto ottimismo di "ripresa", la Germania consegna l'Unione europea nelle mani della cancelliera che, più di tutti, ha contribuito a ferire. Quello incassato ieri dalla Merkel è un risultato storico. Prima di lei era stato conseguito soltanto da Konrad Adenauer e Helmuth Kohl. Storica anche la sconfitta dei liberaldemocratici: per la prima volta nel dopoguerra, la Fdp resta fuori dal Bundestag. Sfiora la grande sorpresa anche il partito conservatore anti-euro, l’esordiente Alternative f�r Deutscheland (Afd), che però non riesce a superare la soglia del 5%.
I numeri parlano chiaro. La cancelliera fa volare la Cdu-Csu oltre la barriera del 40%, pur senza raggiungere la maggioranza assoluta. Percentuali che il partito non toccava da almeno vent'anni. Mentre i tedeschi blindano la politica del rigore tenendo così in ostaggio l'interna Europa, si profila un governo di larghe intese. I riflettori sono puntati sulla Spd, secondo partito del Paese con il 25,7% delle preferenze. La Maerkel ha subito cintattato il leader dei socialdemocratici Sigmar Gabriel. "Noi conservator abbiamo un mandato chiaro per la formazione del governo e la Germania ha bisogno di un governo stabile - ha spiegato la cancelliera - ma siamo aperti alla discussione". Viene, quindi, da chiedersi quali politiche potrebbe partiorire la mediazione tra la Cdu e la Spd. Frau Merkel è la sola fra i leader in Europa a essere rimasta nell’incarico dopo la presantissima crisi economico-finanziaria che cinque anni fa ha sconvolto l'Unione europea mietendo, tutt'oggi, ancora vittime. Tutti gli altri, in Spagna, Francia, Gran Bretagna e Italia sono stati sconfitti. Se da una parte la politica economica, messa in campo udurante la crisi dell’euro con l'appoggio dalla stragrande maggioranza dei tedeschi, deve essere considerata la chiave principale del suo successo elettorale, dall'altra è alla base del fallimento della Grecia e delle difficoltà economiche di Paesi come il Portogallo, la Spagna e l'Italia. Da Toronto il presidente del Consiglio Enrico Letta si è complimentato "per il brillante risultato elettorale" assicurando che, l'esclusione del partito anti-euro dal parlamento è "un buon segnale per l’Unione europea". In realtà, basta guardare i numeri della recessione per capire che la vittoria della Merkel non è affatto un buon segnale per il sistema Italia che, arrivato a questo punto, dovrà scegliere se continuare a essere ostaggio della Germania o smettere di tirare la cinghia.
La Merkel, che sperava in una riedizione della coalizione cristiano liberale, si ritrova senza l'alleato preferito. Come fanno notare gli analisti politici tedeschi, la vittoria potrebbe avere un sapore agro-dolce dal momento che una Große Koalition con i socialdemocratici potrebbe risultare difficile da realizzare. La Spd, all'interno della quale conviveva già prima del voto una forte ala contraria all'inciucio, potrebbe essere ora ancora meno interessata nel timore di venire schiacciata da una Cdu trionfante. Alle scorse elezioni, dopo quattro anni di alleanza al governo con la Cdu-Csu della Merkel, la Spd incassò il suo peggior risultato (23%) e teme ora che, se accettasse di nuovo di fare l’alleato junior in un nuovo governo Merkel, la batosta alle urne la prossima volta sarebbe ancora più sonora. Per lo sfidante Peter Steinbrueck la conquista di quasi tre punti per il partito può essere considerata un successo, ma l’obiettivo di di formare un governo rosso-verde è sfumato anche per colpa del calo dei Verdi con con l’8,3% perdono circa quasi tre punti. Oltre a quella nero-rossa, fra Cdu-Csu e Spd, un’altra coalizione avrebbe un’ampia maggioranza per governare: quella nero-verde con i Gruenen, ma al momento non viene presa molto in considerazione. Incassata la vittoria la cancelliera ha assicurato che, ratificati i risultati definitivi, saranno avviati colloqui per sondare le possibilità di alleanze ma di non avere timori sulla possibilità di formare un governo stabile.
I tedeschi consegnano la Germania (e l'Ue) nelle mani della cancelliera che ha contribuito ad acuire la crisi economica. Letta applaude, ma per l'Italia potrebbero essere dolori
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Andrea Indini
La Germania blinda il rigore e l'Italia resta in ostaggioUna leader grigia ma vincente come Adenauer
September 20, 2013
Baci gay in Aula: la protesta dei deputati del M5S
Non sanno più cosa inventarsi. Il parlamento, ridotto a reality di bassissimo profilo, è sgradito palcoscenico delle gesta del Movimento 5 Stelle. Dal sit in tra i banchi della Camera all'occupazione (con annessa nottata all'adiaccio) del tetto di Palazzo Montecitorio, dall'ostruzionismo cocciuto e inutile a qualsiasi riforma proposta dal governo o dalla maggioranza agli scioperi della cravatta e del bon ton. I grillini se ne infischiano del regolamento, del rispetto per le istituzioni, della figura barbina a cui, giorno dopo giorno, sottopongono i palazzi romani in mondo visione. L'ultima pirlata pubblicitaria va proprio in questo senso: per protestare contro contro il testo sull'omofobia, hanno organizzato una sorta di gay pride sotto tono, ma comunque efficace quel tanto che basta per svilire (una volta ancora) il parlamento.
Con buona pace dei seguaci di Beppe Grillo, al peggio non c'è mai limite. E tra Palazzo Madama e Montecitorio si è visto un po' di tutto. Schermaglie, insulti e pagliacciate varie. La storia della Repubblica italiana è costellata di tutto un po'. Cambiano i tempi, si aggiornano le proteste. E, da febbraio ad oggi, i Cinque Stelle ce la stanno mettendo davvero tutta per finire sui giornali, bucare i social network e farsi riprendere dalle televisione. C'è brama di comunicazione, sete di messaggi forti. Non importa, poi, che il messaggio o la protesta non entrino nel merito, ma si limitino ancora una volta a violentare l'opinione pubblica. Il nuovo grimaldello pentastellato per fare a pugni con tutti gli altri partiti e mandare su tutte le furie la presidente della Camera Laura Boldrini, che non è rinomata per la sua modestia, è il ddl sull'omofobia. Di giorno in giorno, lo scontro si sta facendo sempre più aspro. Così, dopo un duro botta e risposta con la Boldrini, hanno deciso di inscenare un bacio omosessuale tra i banchi della Camera. Deputati con deputati, deputate con deputate. Ops, pardon: cittadini con cittadini, cittadine con cittadine. Italiani sconvolti? Non credo proprio. Messaggio passato? Certo. Più che un parlamento pare un circo, un'arena di buffoni che mettono in scena la prima pagliacciata che gli viene in mente. Anziché discutere entrando nel merito del problema, ogni occasione viene trasformata, piegata per stupire. E così, anche noi del Giornale.it, ci troviamo a dover commentare le gesta degli stellati. "Perché un bacio e un abbraccio non devono fare paura e noi non abbiamo paura", ha spiegato Riccardo Nuti su Facebook mentre la protesta andava ancora in scena. Baci a stampo. Niente di osè, va detto subito. Ilarità, niente più. E il presidente di turno Roberto Giachetti che, invano, invita i grillini ad abbassare i cartelli con la scritta "Più diritti". Il tutto ad uso e consumo della rete. I deputati a Cinque Stelle giù a postare sui social network le fotografie scattate in Aula. Baci tra colleghi dello stesso sesso. Alcuni non ce l'hanno fatta: si sono limitati a un abbraccio col proprio vicino di banco.
Arriva il bacio gay a Montecitorio durante il dibattito sull'omofobia. L'ultima trovata dei grillini per bucare la rete è l'ennesimo colpo alla credibilità delle istituzioni
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Andrea Indini
Baci omosesuali tra grillini alla Camera
Grillini con grillini, grilline con grilline: baci gayBaci gay in Aula: la protesta dei deputati del M5S
September 19, 2013
Adesso ritornano i comunisti: si muove la nuova amalgama che sposa pentastellati e rossi
Sono tornati i comunisti, duri e puri. Non ci fossimo mai fatti trarre in inganno dai volti (finto) democristiani di Enrico Letta e Matteo Renzi o dalle promesse di pacificazione dell'ex Cgil Guglielmo Epifani che, dopo l'esilarante capitolazione di Pier Luigi Bersani, guida la sgangherata truppa democratica. Epperò la pacificazione è già finita nel cestino. Il voto di ieri sera in Giunta per le elezioni, le dichiarazioni guaerrigliere della rediviva Rosy Bindi e le promesse di asfaltamento del sindaco "operaio" hanno di fatto riaperto l'antitesi in chiave pre elettorale. Per il momento il governo tiene, per il momento non si parla di elezioni anticicpate, per il momento la maggioranza è quella che è. Per il momento, appunto. Perché, se si scorrono le posizioni assunte dall'establishment piddino nelle ultime ore appare chiaro che i democratici hanno gettato la maschera: i comunisti sono tornati.
Per il bene del Paese Silvio Berlusconi ha digerito anche lo strappo del Pd che, in Giunta per le elezioni, sta battendo la strada della decadenza per cacciarlo da Palazzo Madama. Letta resta a Palazzo Chigi. Nel videomessaggio di ieri, il Cavaliere è stato sin troppo chiaro. Ha troppo a cuore il futuro del Paese per far saltare il tavolo. Così, se da una parte chiama a raccolta il popolo del centrodestra rilanciando Forza Italia, dall'altra impone ai ministri del Pdl a vigilare sui tagli delle tasse e sulle misure economiche che l'esecutivo si appresta ad approvare. Ma è proprio su queste, in primis l'abolizione dell'Imu sulla prima casa e l'abrogazione dell'aumento dell'aliquota Iva, che il Pd vuole dare battaglia. Rispolverando il vecchio slogan "Anche i ricchi piangano", il viceministro dell'Economia Stefano Fassina è tornato sui suoi passi chiedendo di mantenere l'imposta sulla prima abitazione: "Ci confrontiamo con l’ostilità del Pdl che per privilegiare i più ricchi fa ricadere su tutti e in particolare sulle famiglie più in difficoltà l’aumento dell’Iva". Dal piano economico per la crescita ai diritti civili la linea del Pd è sempre più vicina ai grillini e alla sinistra radicale. Dopo giorni di trattative e rinvii, alla Camera non regge l’accordo di maggioranza sulla proposta di legge contro l’omofobia. Non appena il Pdl ha annunciato che in mancanza di "miglioramenti" avrebbe votato contro, è partito l’appello del Pd per saldare un nuovo asse che va da Sel di Nichi Vendola al Movimento 5 Stelle. Sono le prove per lo stellato pastrocchio comunista. Gli strappi dei vari Guglielmo Epifani, Luigi Zanda e Rosy Bindi vanno proprio in quella direzione lì: portare il Pdl a un passo dalla rottura e fare in modo che sia Berlusconi a far cadere Letta e compagni.
In via del Nazareno sono in molti a desiderare le urne, anche se i sondaggi danno Forza Italia in testa, a un passo dal 30% dei consensi. Per avere un assaggio del teno della (prossima) campagna elettorale, basta assistere a uno degli show che Renzi sta portando in giro per l'Italia. Qualora il sindaco di Firenze dovesse mettere le mani sulla leadership del partito, il Pd passerebbe dallo smacchiatore di giaguari - occupazione che, almeno in Italia, non sembra trovare molta offerta - all'operaio asfaltatore. A Renzi, però, i suoi non vogliono dare la macchina vibrofinitrice. Così, mentre freme per posare i conglomerati di bitume, non gli resta che preparare l'assalto al congresso d'autunno. Ai vertici piddì, in realtà, non interessa vincere le elezioni a piene mani. Nella speranza che i Cinque Stelle abbiano imparato la lezione, Epifani e compagni sono già al lavoro per far risorgere quel brutto pastrocchio che riporti alla luce del sole i comunisti.
Dallo strappo del Pd in Giunta per le elezioni alla crociata di Fassina contro i ricchi, Epifani & Co. si preparano a seppellire Letta e a virare sempre più a sinistra (con Grillo?)
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Andrea Indini
September 17, 2013
Lodo Mondadori, la Cassazione respinge il ricorso di Fininvest
Dopo l'assalto alla libertà personale, il durissimo colpo alle aziende. Nel giro di un paio di mesi la Cassazione sferra due sentenze violentissime per far fuori Silvio Berlusconi, politicamente ed economicamente. Dopo aver confermato la condanna a quattro anni di reclusione al processo Mediaset, la Suprema Corte ha respinto il ricorso della Fininvest contro la Cir per il risarcimento del Lodo Mondadori. Risarcimento che, dopo il ritocco al ribasso di circa 23 milioni di euro sulla cifra liquidata dai giudici, farà arrivare nelle casse del gruppo di Carlo De Benedetti oltre 541 milioni di euro.
Un colpo dietro l'altro, sferrati a distanza tanto ravvicinata da dare un'idea dello scopo ultimo. Mentre la Giunta per le elezioni briga e cavilla per far decadere il Cavaliere da senatore e cacciarlo dal parlamento, va in scena la più grande rapina del secolo: il saccheggio delle sue finanze a vantaggio della tessera numero uno del Partito democratico, nonché editore di riferimento delle procure. Gli ermellini mettono la parola fine alla "guerra di Segrate" dando ragione a De Benedetti e confermando la condanna inflitta alla Fininvest dai giudici milanesi a versare un maxi risarcimento alla Cir. Come si legge nella sentenza sul Lodo, La valutazione complessiva riconduce alla Fininvest la responsabilità del corruzione di cui è "imputabile anche Berlusconi", anche se soltanto dal punto di vista civilistico dal momento che era stato prosciolto per prescrizione dalla vicenda penale. Condividendo quasi totalmente le conclusioni dei giudici del merito, la Suprema Corte ha infatti accolto solo uno dei motivi di ricorso presentati dalla Fininvest. Da qui la lieve, irrisoria riduzione di 46,5 miliardi delle vecchie lire, ossia 23 milioni (euro più, euro meno) che saranno detratti dal risarcimento stabilito dalla Corte d’Appello di Milano. Sebbene sia ben lontano dai 749,9 milioni di euro decisi in primo grado dal giudice Raimondo Mesiano, il bottino che De Benedetti si porta a casa è davvero senza precedenti.
"Dopo più di vent'anni viene definitivamente acclarata la gravità dello scippo che la Cir subì dalla corruzione di un giudice", ha commentato l'Ingegnere sapendo bene di aver fatto un affare migliore di quello che avrebbe messo a segno se nel 1991 gli fosse stato assegnato il controllo della Mondadori. In realtà i "giochi" erano già stati chiusi lo scorso 28 giugno quando, al quarto piano del Palazzaccio di piazza Cavour, il collegio chiudeva il dispositivo della sentenza in un cassetto per tirarlo fuori al momento più opportuno. "Sarà resa nota con la sua motivazione tra un mese, giorno più giorno meno", spiegava Liana Milella su Repubblica facendo sapere che la busta sigillata era stata subito consegnata ai massimi vertici della Cassazione, il presidente Giorgio Santacroce e il procuratore generale Gianfranco Ciani. Dalle schermaglie giudiziarie di fine giugno, però, sono passati più di due mesi e mezzo. Tanto da far sorgere il dubbio sulla coincidenza temporale. È forse un caso che l'ultima puntata dello scontro epocale tra Berlusconi e De Benedetti sia arrivata nelle ore in cui il Cavaliere sta mettendo a punto il videomessaggio da cui dipendono le sorti del governo Letta? Forse il partito delle toghe fa il tifo per una nuova maggioranza, che non contempli il Pdl, o per le elezioni anticipate?
Duplice assalto della Cassazione: prima la condanna a 4 anni di carcere per il caso Mediaset, oggi la decisione sul Lodo Mondadori
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Andrea Indini
September 15, 2013
Renzi scopre le carte: vuole andare al voto
Matteo Renzi ha gettato la maschera. Adesso vuole andare alle urne, quanto prima. Basta con Enrico Letta a Palazzo Chgi, basta con le larghe intese, basta con la vecchia politica posto comunista di Guglielmo Epifani. Alla Festa democratica di Milano il primo cittadino di Firenze tira l'ennesimo siluro all'establishment piddino e lancia un'opa alla leadership del partito: "Se andiamo alle elezioni, asfalteremo il Pdl".
"Io non sono né una superstar né un punto di riferimento. Anzi il fatto che io sia uno dei candidati dice quanto siamo messi male". Renzi tiene il comizio finale della festa del Pd milanese in una sala completamente piena. Nonostante il maltempo, oltre duemila persone si sono stipate nel grosso spazio al coperto utilizzato per l’incontro con il sindaco di Firenze. Oltre 500 le persone sedute, moltissime quelle in piedi. "Se c'è qualcuno abituato a salire sul carro per convenienza sappia che noi siamo abituati a farli scendere", avverte l'ex rottamatore spiegando però che le prossime primarie "non sono una rivincita di quelle precedenti". Guarda avanti, punta al congresso nazionale che Epifani fatica a mettere insieme. È in quella sede che il sindaco di Firenze vorrebbe confrontarsi parlando di proposte concrete con Gianni Cuperlo, Giuseppe Civati e Gianni Pittella. "Dobbiamo evitare quello che abbiamo fatto l’altra volta e cioè chiuderci - avverte - dobbiamo essere il partito dell’apertura. Il problema non sono le regole, ma dobbiamo ragionare su che tipo d’Italia vogliamo". Secondo Renzi, se Pier Luigi Bersani ha perso vincendo le elezioni di febbraio, se c'è un governo delle larghe intese, la colpa è tutta del Partito democratico. "In campagna elettorale - continua - abbiamo disquisito di tacchini e giaguari". Tutto da rifare. Finalmente Renzi scopre le carte: non ha più intenzione di stare a guardare. Ora passa all'attacco: vuole le urne, al più presto. E l'unico modo che ha per arrivarci è far saltare il banco, far cadere l'"amico" Letta e sfidare il centrodestra. Poi si vedrà.
Tra il dire e il fare, però, c'è di mezzo Letta, appunto. Col governo delle larghe intese. "Tutte le volte che ho aperto bocca su Enrico il giorno dopo sono arrivate critiche. Questo gioco è letale per il Pd, non nel rapporto Letta-Renzi ma in generale". Eppure anche dalla Festa democratica di Milano, Renzi non risparmia attacchi e critiche a Letta. "Se fa le cose per bene sono il primo a festeggiare, ma se rinvia, rinvia, rinvia, dico: ragazzi, portate a casa qualcosa", spiega invitando il presidente del Consiglio a mettere da parte i dissapori degli ultimi giorni e a considerare "amico non chi gli dà sempre ragione, ma chi gli dà dei consigli". Secondo il sindaco di Firenze, infatti, Il governo che è ormai in carica da aprile dovrebbe occuparsi di "cose concrete". "Non stia dietro a ricatti e minacce - è il consiglio - faccia le cose che ha promesso di fare come la legge elettorale". Sottinteso: bisogna votare a favore della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. "L’ipotesi di salvarlo non esiste - conclude - se anche qualche furbastro ci provasse, Berlusconi ha una condanna definitiva con l’interdizione". Eppure Renzi dovrebbe saperlo: almeno per il momento, il suo più grande nemico non è certo il leader del Pdl, ma il Pd.
Attacca Letta e le larghe intese, invoca le elezioni e lancia una sfida al Pdl: "Se andiamo alle urne vi asfaltiamo". Poi: "Berlusconi non va salvato"
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Andrea Indini
Matteo Renzi al Carroponte di Sesto San Giovanni
Lo spettro del voto anticipato
Il dibattito sulla decadenza in Giunta per le elezioni, lo scontro sul voto palese o segreto, l'ipotesi della grazia sul tavolo dei famigliari del Cavaliere e le mosse dei ministri pdl. E, sebbene nessuno lo dica, lo spauracchio del voto anticipato. La settimana politica si apre con i riflettori puntati, ancora una volta, su Silvio Berlusconi. I prossimi potrebbero essere i giorni decisivi per capire il futuro da senatore del leader del Pdl. "Con le elezioni si porterebbe il Paese al baratro", ha messo in chiaro Renato Schifani che, ai microfoni di In 1/2 Ora, è tornato a deprecare l’atteggiamento del Partito democratico. Atteggiamento che, secondo il capogruppo del Pdl al Senato, non può essere spiegato "se non alla luce di un preciso disegno", e cioè quello di rompere l’alleanza di governo.
Il futuro del governo deve essere ancora scritto. Ma nelle ultime ore le fibrillazioni tra Pdl e Pd hanno subito un'ulteriore accelerata. I due partiti che sostengono il premier Enrico Letta sono tornati ad alzare i toni. Da una parte i democratici imbroglioni che provano a cambiare il regolamento per sondare la possibilità di creare una nuova intesa con i Cinque Stelle, dall'altra con il Pdl che fa scudo intorno al Cavaliere valutando se staccare la spina all'esecutivo. Ad ogni il ritiro dei ministri dal governo non è ancora in agenda. Resta nelle possibilità, però. "È evidente che si vive momento per momento e ci auguriamo di arrivare a respirare un clima di maggior responsabilità", ha spiegato Schifani sperando di aver ancora i margini di contatto con quell'"area dialogante" del Pd di cui, per esempio, fa parte Luciano Violante. Ma dal quartier generale di via del Nazareno i segnali che arrivano sono diversi. "Se il centrodestra dovesse staccare la spina se ne assumerà la responsabilità: non stacca la spina al governo ma la stacca al Paese", ha avvertito il segretario Guglielmo Epifani, a margine della scuola di politica di Cortona, ben sapendo che i senatori piddì faranno di tutto per portare il Pdl al gesto estremo. "È evidente che vogliono arrivare alla rottura - ha replicato Schifani nello studio di Lucia Annunziata - il Partito democratico vuole andare a votare e vuole la crisi di governo". In questo senso va letto il pressing dei democrat affinché il voto sulla decandenza sia palese e non segreto come, invece, prevede il regolamento di Palazzo Madama. Un blitz che trova ampi consensi, dal Pd ai grillini, dal Sel di Nichi Vendola ai leghisti. "Nel segreto dell’urna tutto può succedere - ha spiegato Beppe Grillo sul blog - hanno fucilato Prodi dietro a una tendina e sono pronti a ripetere le gesta in ogni momento per salvare il loro caro leader Berlusconi". Per arrivare a un voto palese, la sinistra sarebbe addirittura disposta a cambiare il regolamento, proprio come suggerito ieri dal presidente del Senato Piero Grasso. Una riforma istintiva mobilitata dai peggiori istinti antiberlusconiani. "Nel caso si voti su questioni personali si deve fare in maniera obbligatoriamente segreta - ha messo in guardia Schifani - il parlamentare deve essere lasciato libero di decidere secondo coscienza".
Le schermaglie che hanno costellato tutto il fine settimana non lasciano presagire nulla di buono. Il Pdl non è ottimista. Il incursioni, violente e sistematiche, dei vertici del Partito democratico non portano altro che alla caduta dell'esecutivo. Letta sembra avere i minuti contati. "Mi auguro che ciò non avvenga...", dicono i più. Ad Arcore Berlusconi sta ragionando le prossime mosse da prendere. Sul tavolo c'è anche l'ipotesi di chiedere la grazia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Sono fatti esclusivamente personali e non politici che attengono alla sfera personale di Berlusconi - ha commentato Schifano - è una faccenda troppo delicata perché noi dirigenti si possa fare una riflessione". Non a caso il Cavaliere sta riflettendo della questione insieme alla propria famiglia. Una cosa, però, è certa: anche se Berlusconi non dovesse tornare in parlamento, potrà continuare a far politica. "Nessuno è preoccupato dell’agibilità politica di Berlusconi - ha concluso Schifani - né, conoscendolo, ci preoccupiamo di un passo indietro".
Continua il braccio di ferro sulla decadenza del Cav. La sinistra gioca sporco. Epifani: "Chi fa cadere il governo stacca la spina al Paese". Ma Schifani: "È il Pd a voler rompere"
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Andrea Indini
September 14, 2013
"Giustizia usata per scopi politici". Se lo dice anche la Boccassini...
Sempre sulla cresta dell'onda, sempre alla ribalta dei tiggì e giornali. A poche settimane dalla condanna monstre di Silvio Berlusconi per il Rubygate, il pm Ilda Boccassini va all'attacco dei suoi colleghi, i giudici. Una sparata senza precedenti contro le toghe politicizzate, contro quella branca della magistratura che ha usato le aule di tribunale per spiccare il volo in parlamento. A Ilda la Rossa, che la politica l'ha sempre fatta direttamente nei corridoi del Palazzo di Giustizia di Milano, proprio non vanno giù i vari Antonio Di Pietro, Luigi De Magistris e Antonio Ingroia che, negli ultimi anni, hanno amaramente tentato di accaparrarsi una poltrona. "Non è una patologia della magistratura - ha spiegato la pm di Milano - ma ci sono dei pubblici ministeri che hanno usato il loro lavoro per altro".
Dai processi alla mafia infiltrata nel Nord Italia alla valanga giustizialista ribattezzata Tangentopoli, fino a quei sette anni inflitti al Cavaliere per il teorema montato ad arte su Karima el Mahroug, la Boccassini ha conquistato prime pagine sui quotidiani e lunghi servizi nei telegiornali nazionali spettacolarizzando il Rubygate con telefonate piccanti, scene di burlesque e gossip di seconda mano e trasformando il tribunale nella succursale di una rivista patinata. Ilda la Rossa, un po' per il colore dei capelli, un po' per la sua tenacia nell'attaccare Berlusconi. Che sia proprio lei a tirare le orecchie a quei magistrati che hanno usato le cause, che gli venivano affidate, per farsi strada nella politica. Non fa nomi. Li lascia aleggiare nell'aria. In occasione della presentazione del libro L'onere della toga di Lionello Mancini, ha duettato col direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli sul "ruolo eccessivo" di "supplenza" che, troppo spesso, le procure hanno assunto. "Se avessi avuto l’impressione di una patologia - ha garantito - avrei avuto la forza di tirami indietro". Il pm del processo Ruby ha riconosciuto che negli ultimi vent’anni c’è stato uno "scontro tra mass media, magistratura e politica". Uno stato di "conflittualità talmente alta" che, a suo giudizio, ha impedito lo svolgimento di una "riflessione" anche all’interno della categoria professionale. È mancata, è il ragionamento della Boccassina, una autocritica che la categoria avrebbe dovuto fare (e non ha fatto) dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ricordando gli anni di Tangentopoli e la sua esperienza nel team di Mani pulite, la Boccassini ha rivelato di aver "provato una cosa terribile" quando le capitò di assistere alla gente che inneggiava ai pm, scandendone i nomi. "La vivo come una situazione di disagio - ha spiegato - non è quello (l’approvazione della gente, ndr.) che mi deve spingere ad andare avanti, ma fare bene il mio mestiere". "Anche se i nostri nomi posso essere usciti dieci volte in più sui giornali rispetto ai pm la cui storia è raccontata nel libro, io e Giuseppe Pignatone siamo persone normali", ha concluso la Boccassini rivolgendosi al procuratore di Roma, intervenuto anch’egli alla presentazione. "Siamo persone normali che, nella normalità, cercano di "affrontare l’invasione mediatica". In realtà, le campagne contro Berlusconi raccontano tutta un'altra Boccassini.
Ilda la Rossa attacca i collegano che usano i tribunali come trampolino di lancio per fare politica. Che dire di lei che la fa direttamente in Aula?
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