Andrea Indini's Blog, page 166
October 21, 2013
Marino rimuove lo striscione dei marò, ma lascia l'auto in sosta per mesi
Che figuraccia, Ignazio Marino! I romani, e non solo, sono indignati perché, nottetempo, il primo inquilino del Campidoglio ha fatto sparire dalla facciata del Comune lo striscione a sostegno dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Si dice che la scelta sia stata dettata dalla "necessità" di far spazio allo stendarso in memoria degli immigrati morti al largo di Lampedusa. Una scelta discutibile sia perché una gigantografia non esclude l'altra sia perché, come il vicepresidente dei senatori del Pdl Giuseppe Esposito su Twitter, il sindaco della Capitale si è "ben guardato dal rimuovere la propria auto in sosta da tanti mesi nel parcheggio riservato ai senatori nelle adiacenze di Palazzo Madama".
La foto dell'auto rossa fiammante del sindaco sta facendo il giro di Twitter. Ci ha pensato il pdl esposito a postarla. E in men che non si dica è diventata vitrale. "Arriva in auto,parcheggia al Senato, poi prende la bici e fa la scenetta della pedalata coi due vigli di scorta?", scherza un utente del social network. La rimozione da piazza del Campidoglio della gigantografia dei due militari, esposta il 23 febbraio dell’anno scorso durante l’amministrazione Alemanno, ha infatti suscitato non poche polemiche nelle ultime ore. Uno schiaffo, tutt'altro che marginale, in una vicenda complessa - quella dei due fucilieri del reggimento San Marco ingiustamente trattenuti in India dal 2012 con l’accusa di omicidio di due pescatori - che da quasi due anni getta in cattiva luce la politica italiana tra continui bracci di ferro e lungaggini burocratiche. Per l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno la rimozione della foto è un "atto gravissimo del quale aspettiamo ci vengano date spiegazioni dettagliate". Il Campidoglio prova smorzare le polemiche annunciando che la gigantografia sarà ricollocata presto: il manifesto dei due marò è stato tolto il 2 ottobre scorso in occasione dell’evento Il coraggio della speranza organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. In realtà, sono in molti, a credere che si tratti di una scusa.
Oggi il manifesto è tornato a campeggiare sulla facciata del Campidoglio, anche se solo per pochi minuti. Alcuni rappresentanti locali di "Prima l’Italia", il movimento politico in cui è entrato a far parte anche l’ex sindaco, hanno messo in atto un vero e
proprio blitz con il quale hanno voluto simbolicamente esprimere dissenso per la "vergognosa decisione" di Marino. Così hanno srotolato uno striscione identico a quello tolto lo scorso 2 ottobre. Dopo pochi istanti la polizia locale di Roma capitale ha rimosso lo stendardo. La polemica resta. E, di ora in ora, si fa sempre più aspra. Tanto che il pdl Esposito ha smascherato la "doppia morale" di Marino che da una parte è solerte nel rimuovere la gigantografia dei marò, dall'altra si dimentica l'auto nel parcheggio di Palazzo Madama. "Anche se lui senatore non lo è più...", fa notare su Twitter il vicepresidente dei senatori del Pdl postando su Twitter la foto dell’auto. "Ancora stamattina - aggiunge il vice presidente del Copasir - la sua Panda rossa fiammante è lì, lo stesso colore che dovrebbe avere il suo volto se provasse almeno un po' di imbarazzo".
Il sindaco di Roma si è ben guardato dal rimuovere l'auto in sosta da mesi nel parcheggio riservato ai senatori nelle adiacenze di Palazzo Madama
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Andrea Indini
"Prima l'Italia" riporta la foto dei marò in Campidoglio Blitz al Campidoglio contro Marino: "Salviamo i marò"
October 20, 2013
Ora Monti vuole (d)epurare il Pdl
Mezz'ora di attacchi a testa bassa. Mario Monti sceglie lo studio di Lucia Annunziata per demolire i suoi ex alleati di Scelta civica e ridisegnare un centrodestra epurato da quei politici che mal digerisce. Aldilà di una vaga bocciatura del premier Enrico Letta che, a suo dire, si sarebbe "inginocchiato al Pdl" abolendo l'Imu sulla prima casa, partorendo "una manovra non adeguata sul cuneo fiscale e facendo aumentare l’Iva", l'unica preoccupazione dell'ex leader di Scelta civica è prendersi una rivincita (tutta a parole) pestando i piedi a destra e a manca. Dalle minacce di votare la decadenza per far fuori Silvio Berlusconi passa ai pettegolezzi sul ministro della Difesa Mario Mauro, per poi arrivare ad addossare tutte le colpe del fallimento elettorale del "centrino" a Pier Ferdinando Casini. D'altra parte nei suoi sogni - e questo lo dice con chiarezza - c'è una (d)epurazione del centrodestra da certe personalità. A partire da Silvio Berlusconi.
Quella con l'Annunziata non è tanto una chiacchierata sulla manovra o sulla tenuta del governo Letta. A Monti, della legge di Stabilità, interessa poco e niente. Si limita a rimpiangere l'Imu. Per il resto, preferisce togliersi qualche sassolino. "Trovo strano che Mauro e Casini criticano Scelta Civica per un non sufficiente appoggio al governo e vanno verso coloro che lo minacciano davvero", spiega il senatore a vita che ha deciso di dimettersi dalla presidenza di Scelta civica proprio perché non gradiva che i moderati tornassero a parlarsi in vista di una riorganizzazione del centrodestra. A far traboccare il vaso, a detta di parlamentari vicini a Monti, sarebbe stato l'ultimo contatto tra Mauro e Berlusconi al circolo ufficiali del ministero della Difesa. Un semplice incontro che non ha fatto per nulla piacere al bocconiano che a In mezz'ora coglie l'occasione per sparlare del ministro. "Mauro mi aveva pregato di prenderlo con me...", racconta gettando fiele contro il suo ex alleato. Lo stesso trattamento lo riserva anche al leader dell'Udc. "In tanti non hanno votato Scelta Civica perché avevamo Casini - afferma - può essere che avessero ragione loro". Secondo l'ex presidente del Consiglio, la scelta di Casini e Mauro di riavvicinarsi al Pdl sarebbe dettata da ragioni di opportunismo politico. "Vedono più spazio elettorale da quella parte...", si limita a dire.
Al di là delle frizioni con Casini e Mauro, il chiodo fisso del Professore resta il Pdl. Dopo aver messo in chiaro che voterà a favore della decadenza del Cavaliere, si propone di depurare - o epurare? - il centrodestra. Insomma, rinnovare il censtrodestra, ma solo con chi vuole lui. "Anche io avrei fatto un accordo con il Pdl - spiega - ma per dar vita a un centrodestra depurato da certe personalità e prassi, incompatibili con Scelta Civica". Non fa i nomi dei politici che vorrebbe fuori da questa fantomatica alleanza, ma non è difficile capire con chi ce l'ha. Se Berlusconi lo vorrebbe "sistemare" cacciandolo dal parlamento, al capogruppo Pdl all Camera Renato Brunetta rinfaccia di voler far saltare le larghe intese. "La stabilità è minacciata dal Pdl che fa continui diktat - spiega - tanto che spesso si scrive Letta ma si legge Brunetta". Ne ha anche per Maurizio Gasparri: "Continua a chiedersi 'che fine ha fatto il cagnolino di Monti?'". Tutti giudizi che, per dirla con le parole di Brunetta, sono "condizionati dagli stessi fallimenti" di Monti.
L'ex premier conferma che voterà la decadenza del Cav: "Il centrodestra deve essere depurato da certe personalità"
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Andrea Indini
La nuova Tasi ci costerà più dell'Imu
Un taglia e cuci senza precedenti. Via l'Imu, dentro la Tasi. Cambia il nome, ma l'effetto è lo stesso. Se non peggio. Perché, stando alla relazione tecnica definitiva alla legge di Stabilità per il 2014, anticipata oggi dal Sole 24Ore, appare drammaticamente evidente come la nuova imposta sulla casa non solo andrà a gravare su quelle cinque milioni di case sempre ignorate perché di modesto valore catastale, ma porterà nelle casse pubbliche un gettito superiore di almeno 433 milioni di euro. Almeno, perché calcolato sulla versione "standard" della Tasi, ovvero all'uno per mille. "La Tasi ha spazio per crescere di circa 2,4 volte rispetto ai livelli standard - spiega Gianni Trovati - e se vale 3.764 milioni con l'1 per mille può arrivare ai 9 miliardi di euro con le aliquote al massimo".
Secondo un recente studio della Cgia di Mestre, la nuova tassa sugli immobili colpirà maggiormente le abitazioni principali più modeste. Se, per esempio, si prende in esame alcune tipologie abitative come le A2 (civili), le A3 (tipo economico) e le A4 (tipo popolare), appare subito evidente che la Tasi sulle abitazioni popolari sarà più cara rispetto all’Imu sulla prima casa pagata nel 2012. L'imposta messa a punto dal governo Letta rischia così di penalizzare i proprietari che maggiormente beneficiavano dell'abbattimento dell’Imu grazie alla detrazione base (200 euro) e quella ulteriore di 50 euro per ogni figlio residente. "Se questa situazione dovesse trovare conferma dalla versione ufficiale del provvedimento - commenta il segretario Giuseppe Bortolussi - chiediamo alla politica di intervenire per correggere il tiro. Sarebbe una vera e propria beffa se fossimo costretti a rimpiangere l’Imu". Purtroppo il calcolo della Cgia di Mestre trova piena conferma nella relazione tecnica del ministero dell'Economia. I 433 milioni di euro in più, che lo Stato incasserà a partire dal prossimo anno, saranno infatti garantiti dallo "scadere" delle detrazioni aggiuntive da 50 euro per ogni figlio fino ai 26 anni e dall'estensione dei benefici dell'abitazione principale all'edilizia sociale e ai militari. In soldoni, si passa dai 3,331 milioni garantiti dall'Imu ai 3,764 milioni di euro della Tasi. Insomma, Letta batte Monti uno a zero.
In realtà, la stangata potrebbe essere ben peggiore di quella prospettata fino a questo momento. I conti della Ragioneria generale sono, infatti,impostati sull'aliquota "base" dell'uno per mille. "I tetti massimi sono molto più in alto", fa notare il Sole 24Ore ricordando che "sull'abitazione principale il tributo sui servizi indivisibili può chiedere fino al 2,5 per mille, mentre sugli altri immobili Imu più Tasi non potranno sfondare quota 11,6". Per un gettito totale di 9 miliardi, euro più euro meno. Una cifra da capogiro che già fa gola alle casse dell'erario pubblico. Per quanto riguarda gli immobili strumentali, poi, al salasso si aggiunge pure la beffa. Perché, se da una parte la legge di Stabilità fissa uno sconto medio di 58 euro ogni 100mila di valore catastale attraverso la deducilbilità Ires-Irpef del 20%, dall'altra la Tasi introduce un aggravio di un centinaio di euro.
"In parlamento occorrerà riscrivere tutto, con coraggio e con rispetto degli impegni presi con i cittadini italiani, a partire dal tema casa". Il presidente della Commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone è fermamente deciso a lavorare per sventare quella che si configura come una inaccettabile stangata ai danni dei cittadini. Se con l'addio all'Imu la pressione fiscale sul mattone non dovesse diminuire, a farne le spese non saranno solo i proprietari di case, ma tutto il sistema Italia già messo in ginocchio dalle politiche repressive del governo Monti. Sebbene sia subito intervenuto per smentire i numeri della Ragioneria, anziché dissipare i dubbi il ministero dell'Economia non fa altro che aggravarli perché, sottolinea Capezzone, da una parte "fa riferimento solo all’aliquota standard, quando invece ci saranno maggiorazioni molto consistenti", dall'altra "conferma la natura di patrimoniale (neanche troppo 'mini') della nuova imposizione".
I conti della Ragioneria generale certificano che la nuova Tasi ci costerà più dell'Imu. Ma il Pdl: "Stangata da sventare"
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Andrea Indini
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October 19, 2013
Monti creò Scelta civica per dividere i moderati: "Senza me Berlusconi sarebbe andato al Colle"
Ma cosa ci stava a fare in Senato il bocconiano Mario Monti? Adesso che l'esperienza di Scelta civica è al capolinea, tutto si fa più chiaro. La missione che si era dato l'ex premier nel mettere insieme centristi, centrini e transfughi del Pdl era tesa a dividere i moderati, frazionare in più partiti la federazione di centrodestra, per evitare che Silvio Berlusconi si imponesse nuovamente sulla sinistra alle elezioni politiche dello scorso febbraio. È lo stesso Monti a raccontarlo in una lunga intervista concessa al Corriere della Sera dopo aver consegnato la "dimissioni irrevocabili" dalla presidenza di Scelta civica.
A Palazzo Madama riapre il cantiere popolare. Le dimissioni di Monti imprimono un’accelerazione ai sommovimenti in corso da tempo nel centrodestra. Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro, con altri dieci senatori di Scelta civica, lavorano a un nuovo gruppo con cui prendere l’iniziativa nel campo moderato. "I centrini non ci interessano", è il messaggio che dal Pdl lancia il vicepremier Angelino Alfano che guarda a un "nuovo centrodestra" con Berlusconi. A far venire il maldipancia a Monti sarebbe stato proprio il riavvicinamento dei moderati. Un'operazione che proprio non gli andava giù. Così, dopo il via libera alla legge di stabilità, il senatore a vita che, dopo tredici mesi di "duro" lavoro a Palazzo Chigi, può contare su un vitalizio mensile di 13mila euro ha deciso di dare forfait e far saltare il banco. D'altra parte, in caso di una riappacificazione dei moderati, Scelta civica avrebbe perso la sua raison d'être. Nell'intervista al Corsera è lo stesso Monti a spiegare cosa c'era dietro all'operazione che lo aveva portato a formare un partito di centrodestra alternativo al Pdl: spacchettare i voti dei moderati e sbarrare la strada di Berlusconi verso il colle più alto di Roma. Proprio per questo il bocconiano non è affatto pentito di essere "salito in politica". "Senza di noi - spiega ad Aldo Cazzullo - il Pdl avrebbe la maggioranza alla Camera e al Senato, Berlusconi sarebbe diventato a sua scelta presidente della Repubblica o presidente del consiglio, e avrebbe deciso da chi sarebbe stata occupata l’altra posizione". Come già aveva sostenuto in campagna elettorale facendosi "portavoce" della necessità di una grande coalizione, Monti non è contrario alle larghe intese, ma è fermamente ostile a qualsiasi forma di alleanza con Berlusconi. "Il nostro ruolo avrebbe dovuto essere quello di pungolare il governo, per dare più forza al presidente del Consiglio affinché tenga saldamente il timone, senza soggiacere alle pressioni elettoralistiche dei partiti più grandi". Il riferimento è all'abolizione dell'Imu sulla prima abitazione. Imposta (odiatissima dagli italiani) messa dallo stesso Monti. "Il governo - continua nell'intervista al Corriere della Sera - si è piegato al volere del Pdl e ciò ha molto ridotto i margini di manovra della legge di stabilità".
L'addio a Scelta civica non coincide con l'addio a Palazzo Madama. Monti resta saldo sulla poltrona da senatore a vita. E, in occasione del voto sulla decadenza di Berlusconi da parlamentare, è fermamente intenzionato a far sentire la propria presenza in Aula. "Leggerò la relazione che sarà presentata dalla commissione elezioni del Senato", dice sibillino ricordando che l'Aula sarà chiamata a votare sull’applicazione di una legge. Legge che, ci tiene a ricordare, porta la suaa firma. "La considero una legge costituzionale, che non necessita di ulteriori verifiche - conclude - a questa legge mi atterrò". Una minaccia di vendetta?
Monti spiega cosa c'è dietro all'operazione che spinse a formare un partito di centrodestra alternativo al Pdl: spacchettare i voti dei moderati e sbarrare la strada del Cav al Colle
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Andrea Indini
Il presidente dell'Università Bocconi, Mario Monti
Monti, un anno di lavoro e vivrà di renditaL'asse Mauro-Casini fa esplodere Scelta civicaI sospetti di Berlusconi sulle manovre al CentroMonti: "Sono stato tradito". È scontro con Casini
October 16, 2013
Nuovo schiaffo della magistratura a Berlusconi: il "chiacchierone" Esposito verso l'archiviazione
Potrebbero finire presto in archivio le pratiche aperte dal Consiglio superiore della magistratura sul giudice Antonio Esposito che, il primo agosto scorso, confermò la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione per frode fiscale. Condanna che il presidente del collegio della sezione feriale della Cassazione aveva anticipato al Mattino raccontando in un’intervista le motivazioni della sentenza prima che queste venissero depositate.
La prima commissione del Csm sarebbe orientata, all’unanimità, a proporre l’archiviazione per il fascicolo aperto sulla toga chiacchierona. Insomma, Esposito la passerà liscia nonostante Il Mattino abbia pubblicato un audio che inchioda il giudice anti berlusconiano che, oltre a godere dello sparlare del Cavaliere coi convitati di cene eleganti, prova un malsano piacere nell'andare a raccontare in giro le gesta della Suprema Corte. Quel "non poteva non sapere" alla base della sentenza sui diritti tv è stato sbandierato dalla toga "chiacchierona" come un trofeo della Cassazione che, dopo vent'anni di assalti giudiziari, è riuscita a decapitare il centrodestra mettendo le mani sulla libertà del Cavaliere. Se n'è vantato col giornalista del Mattino, salvo poi rimangiarsi tutto e fare una figura barbina quando il quotidiano partenopea ha pubblicato l'audio dell'intervista. O meglio, una piccola parte. Perché la stragrande maggioranza della chiacchierata intercalata da colorite espressioni dialettali e aggettivi poco consoni a una toga è rimasta top secret. Chi l'ha ascoltata assicura che la parte peggiore delle risposte di Esposito sia stata prontamente messa a tacere. Quel che è venuto fuori, però, sarebbe dovuto bastare per una presa di posizione dura da parte del Csm. Così non sarà. Nella sostanza non ci sarebbero i margini per un intervento di Palazzo dei Marescialli con l’unico strumento a disposizione dei consiglieri - l’avvio di una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale - dal momento che la vicenda potrebbe avere semmai rilievo disciplinare e in queste ipotesi non è possibile il contemporaneo intervento del Csm. Non a caso il procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, ha avviato, già prima che si muovesse la prima commissione, una pre istruttoria sulla vicenda. Un’indagine che è ormai alle battute finali e al termine della quale Ciani deciderà se avviare nei confronti di Esposito l’azione disciplinare.
Quella di archiviare le pratiche è un nuovo schiaffo a Berlusconi e l'ennesima dimostrazione (come se ce ne fosse ancora bisogno) che la magistratura non paga mai per i propri errori. Nemmeno un buffetto per Esposito. A proporre l'archiviazione delle pratiche è stato il relatore Mariano Sciacca della corrente "moderata" Unicost che avrebbe registrato al momento un consenso unanime da parte degli altri consiglieri. Ad ogni modo, il voto nella commissione presieduta dal laico del Pdl Annibale Marini dovrebbe avvenire la prossima settimana. Una volta stese poi le motivazioni, la discussione passerà al plenum. In quell’occasione la commissione voterà anche sull’esposto che Esposito ha inviato al Csm e in cui lamentava gli attacchi ricevuti soprattutto da alcuni giornali. Un esposto che, a quanto si apprende da fonti vicine a Palazzo dei Marescialli, dovrebbe avere la stessa sorte dell’archiviazione che si prepara per il fascicolo sul trasferimento.
Non sarà avviata alcuna procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale: Esposito la farà franca nonostante abbia svelato ai media le motivazioni della condanna del Cav
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Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito
Esposito: "Berlusconi condannato perché sapeva"Tutti gli altarini del giudice: le accuse a Esposito
October 15, 2013
Le belle di Miss Italia zittiscono la Boldrini: "Né nude né mute"
Le più belle d'Italia contro Laura Boldrini, la più accanita femminista d'Italia che contro il gentil sesso ha intrapreso una vera e propria crociata. A Jesolo le 186 finaliste di Miss Italia si sono lasciate fotografare con indosso una maglietta bianca dalla scritta, rossa e stilizzata, "Né nude né mute". Bionde, more, bionde, tutte bellissime e dagli occhi luccicanti che sogghignano alla presidente della Camera che, dopo settimane di anatemi, reprimende e vaneggiamenti, è costretta al silenzio. Perché la foto di gruppo scattata oggi chiarisce una volta per tutte che rientra nei sacrosanti diritti delle donne andare in televisione con abiti sexy e succinti e partecipare a una gara in cui si viene giudicate unicamente per le proprie curve.
Alla Boldrini la televisione, così com'è, proprio non piace. Non le vanno giù le donne scosciate e ammiccanti, le ragazzine sculettanti e patinate, gli stacchetti musicali provocanti. Il corpo come oggetto. Ma non le vanno giù nemmeno le mamme amorevoli che portano in tavola piatti fumanti di maccheroni al pomodoro o le moglii servizievoli che coccolano il marito con uno stufato appena sfornato. È il femminismo radicale che vuole azzerare le differenze tra uomo e donna propponendo addirittura di cambiare il vocabolario della lingua italiana introducendo la terminologia "genitore uno" e "genitore due". Così, lo scorso settembre, aveva preso di petto il problema denunciando il ruolo delle donne nella tivvù italiana. "Solo il 2% delle donne in tv esprime pareri, parla - aveva detto - il resto è muto, a volte svestito". Non solo. Si era anche congratulata con la presidente della Rai Anna Maria Tarantola per aver deciso di "oscurare" Miss Italia. "Credo che ci si debba rallegrare di una scelta moderna e civile e spero che le ragazze italiane per farsi apprezzare possano avere altre possibilità che non quella di sfilare con un numero - aveva detto la Boldrini durante un convegno alla Camera del Lavoro sulla violenza sulle donne - le ragazze italiane hanno altri talenti".
La presa di posizione della Boldrini non è affatto piaciuto alle bellissime che a Jesolo, come già in Trentino Alto Adige, hanno voluto dare un messaggio netto. L'occasione è stata la conferenza stampa delle pre finali nazionali che si sono svolte questa mattina al Pala Arrex di Jesolo alla presenza di Patrizia Mirigliani e del sindaco Valerio Zoggia. "Apprezzo l'interesse della presidente della Camera per Miss Italia", ha commentato la patron del concorso ricordando che in tutto il mondo "si valorizza la bellezza nazionale, compito che noi perseguiamo con etica e correttezza da ben 74 anni". Come riporta l'Huffington Post, la Mirigliani avrebbe il desiderio di incontrare la Boldrini per "renderla partecipe di quanto Miss Italia abbia fatto per le donne, ovviamente in un settore a lei poco conosciuto". "Le protagoniste sono cinquemila ragazze che liberamente si sono iscritte e che partecipano, né nude né mute, per conquistare quella visibilità che nessun altro evento mette loro a disposizione in maniera così seria e pulita", ha concluso citando proprio lo slogan che le bellissime di Jesolo hanno deciso di insossare sulla maglietta.
A Jesolo le 186 finaliste del concorso danno una lezione alla presidente femminista: la libertà di partecipare a un concorso di bellezza
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Andrea Indini
Le 186 finaliste di Miss Italia protestano contro la Boldrini
Quando Renzi voleva l'amnistia: "Così si ridà dignità alle carceri"
Il grimaldello per far saltare gli equilibri nel Partito democratico è un attacco senza precedenti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Matteo Renzi dà il via alla campagna elettorale per le primarie col botto: bolla l'amnistia come una "proposta diseducativa", rivendica il diritto e il dovere di criticare il capo dello Stato e si mette contro tutto l'establishment democrat. "Aprire le carceri è diseducativo soprattutto per i nostri giovani - ha tuonato il sindaco di Firenze - non puoi fare passare il messaggio che la legalità è una bandierina che tiri fuori ogni dieci anni. Fare amnistie è il fallimento della politica e un clamoroso autogol". Eppure l'ex rottamatore non l'ha sempre pensata allo stesso modo. Non solo nel programma della Leolpolda 2011 vi era un punto dedicato proprio a quell’amnistia da lui stesso definita un "clamoroso autogol", ma non più tardi del dicembre dello scorso anno la firma di Renzi compariva anche in calce alla lettera aperta scritta dal consigliere regionale della Toscana Enzo Brogi e indirizzata a Marco Pannella per farsi "carico della lotta per l’amnistia".
Il Pd è in fibrillazione. L'attacco di Renzi a Napolitano ha fatto saltare i nervi a tutti quanti. Il ministro allo Sviluppo economico Flavio Zanonato (ultrà bersaniano) lo ha subito accusato di "ragionare come Grillo". Ma il sindaco se ne è infischiato ed è andatato avanti per la propria strada. Una strada tutta in salita che rischia di spaccare il partito a meno di due mesi dalle primarie. "Non si può fare un congresso sui detenuti - ha avvertito il candidato alla segreteria del Pd, Pippo Civati - in questo modo si sta giocando una partita politica vergognosa". Civati non è certo l'unico ad avercela con Renzi. Anche perché la piroetta sull'amnistia dell'ex rottamatore è stata fenomenale. A smascherarlo ci ha pensato domenica scorsa Pier Luigi Bersani per interposta persona. A Omnibus, Stefano Di Traglia (portavoce dell'ex segretario piddì) ha ricordato come nel programma della Leolpolda 2011 (la manifestazione ideata dal sindaco che si svolgerà anche quest’anno a fine ottobre a Firenze) via sia un punto dedicato proprio all’amnistia. Alla trasmissione era presente anche la deputata vicina a Renzi, Simona Bonafè, che ha smentito Di Traglia e respinto l’insinuazione. Nelle cento proposte avanzate all’iniziativa renziana al punto 13 si parla sì di un’amnistia, ma condizionata e limitata ai casi di corruzione politica. "Capisco che da qualche parte ci sia un po' di dente avvelenato ma fare polemiche post mortem mi sembra sbagliato...", ha commentato il piddì Angelo Rughetti.
Caso chiuso? Macché. Perché adesso rispunta la lettera di Brogi scritta in solidarietà a Pannella. "Le tue richieste sono giuste e legittime, nella loro immediatezza oltre che nel loro contenuto", ci tiene a far sapere il consigliere regionale della Toscana che, preoccupato per il digiuno del leader radicale, promette di farsi carico della lotta per l’amnistia "per il ripristino della legalità e del rispetto della dignità all’interno delle nostre carceri" e "per interrompere una violenza che riguarda tutti i cittadini, non solo i detenuti". Renzi non ci ha pensato troppo e ha sottoscritto la lettera nella speranza che "il parlamento italiano conceda un provvedimento di amnistia". Insomma, un'amnistia totale e non limitata ai casi di corruzione politica come, invece, aveva inserito nel programma della Leopolda 2011. Adesso, però, tutto è cambiato. Per dirla con le parole di Zanonato, ragiona in termini puramente propagandistici: "Mi conviene dire di più una cosa o l’altra sotto il profilo del consenso che poi alla fine ottengo?". I sondaggi, pare, gli hanno dato ragione. Tanto che Letta ha chiesto ai "suoi" ministri di "non attaccare più Renzi". Secondo un sondaggio citato dal Corriere della Sera, l'amnistia è invisa all’80 per cento del popolo della sinistra, quindi meglio "non intervenire più sull’argomento". Ma i bersaniani non hanno alcuna intenzione di mollare l'osso: nelle ultime ore sono stati inviati sms a giornalisti fidati e ai fedelissimi per "invitarli a scavare nella vita" di Renzi perché considerato troppo favorito alle primarie dell’8 dicembre.
Nel 2012 il sindaco firma per l'amnistia totale. La giravolta dettata dai sondaggi. Sms dei bersaniani ai gioirnalisti: "Indagate sulla vita di Renzi"
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Andrea Indini
October 13, 2013
Renzi azzanna, il Pd lo impallina
Il malessere piddino covava sotto traccia. È bastato che Matteo Renzi lanciasse l'opa sulla leadership del partito per far emergere tutte le fragilità di una congrega di anime così diverse da non aspettare altro che un'occasione per pugnalarsi alle spalle e venire alla resa dei conti. Così i siluri lanciati da Bari contro il premier Enrico Letta e il capo dello Stato Giorgio Napolitano sono solo la scusa per far scoppiare in via del Nazareno un vero e proprio pandemonio. "Renzi ragiona come Grillo", è sbottato in mattinata il ministro allo Sviluppo economico Flavio Zanonato. L'amnistia invocata dal presidente della Repubblica e la gestione dell'emergenza immigrazione sono solo due pretesti colti da Renzi per smontare il governo e mettere un'ipoteca su un Pd da riformare sin dalle fondamenta.
La tregua è sciolta. I malesseri e i maldipancia, messi da parte per far spazio alla crisi di governo scatenata dalle dimissioni improvvise dei ministri in quota Pdl, sono riemersi prepotentemente. Fra cinquantasette giorni suonati si terranno le primarie per scegliere il prossimo segretario del Pd. L'8 dicembre. Ad oggi sarebbero circa duecento i parlamentari dem che sostengono l'ex rottamatore. Eppure è bastato il sermone di Bari, recitato senza troppo avanspettacolo e con una rinnovata scenografia povera, per riaccendere i vecchi attriti. Il primo a infastidirsi, manco a dirlo, è stato proprio il presidente del Consiglio. Da Mestre Letta ha chiesto al Pd di "sgonfiare il populismo" affinché non si arrivi a formare "un centrosinistra asfittico". Da qui l'invito a parlare al "cuore" e alla "testa" degli elettori. Un richiamo che può essere letto come un invito rivolto ai due maggiori contendenti alla segreteria: Cuperlo (testa) e Renzi (cuore). Ed è proprio a Renzi che il capo del governo ha risposto senza lasciar cadere nel vuoto le accuse mosse dal primo inquilino di Palazzo Vecchio all'esecutivo. "Difendo quello che stiamo facendo convinto che sia la cosa giusta per il bene dell’Italia", ha detto Letta pur riconoscendo a Renzi di essere stato in queste settimane "solidale" e di avere avuto un atteggiamento utile per il Paese. Nemmeno sull'amnistia è disposto a passare sopra. "Il messaggio del capo dello Stato chiarisce che non c’è nessuna ambiguità e chi ha voluto leggerci ambiguita ha fatto un esercizio sbagliato e di scarsa fiducia nel miglior presidente della Repubblica che possiamo avere", ha continuato ribadendo che un provvedimento di questo tipo non avrà nulla a che vedere con la vicenda Berlusconi. Se il premier ha saputo dosare le parole, Zanonato ci è andato giù duro arrivando a paragonare l'ex rottamatore a Grillo: "Penso che Renzi ragioni così, mi conviene o no essere per l’indulto, di fronte all’opinione pubblica? L’oggetto in sé non gliene frega nienta, penso che ragioni solo sulla pura convenienza propagandistica". D'altra parte, come ha ricordato anche Stefano Di Traglia (portavoce di Pier Luigi Bersani), nel programma della Leolpolda 2011 (la manifestazione ideata dal sindaco che si svolgerà anche quest’anno a fine ottobre a Firenze) via sia un punto dedicato proprio a quell’amnistia che ieri Renzi ha definito un "clamoroso autogol". Nelle cento proposte avanzate all’iniziativa renziana, al punto 13, si parla sì di un’amnistia, ma condizionata e limitata ai casi di corruzione politica.
Non c'è solo Zanonato nella compagine governativa ad attaccare a testa bassa Renzi. Anche il ministro degli Esteri Emma Bonino non manda giù la sparata contro il capo dello Stato e, in particolar modo, contro l'amnistia. "Se Renzi è il nuovo che avanza - ha commentato la titolare dall farnesina - fatemi il favore di ridarmi l’antico". Una presa di posizione che ha spinti il sindaco, oggi intervistato da Lucia Annunziata a In mezz'ora, a invitare i ministi a fare il proprio lavoro. "Il capo dello Stato è stato
ineccepibile sia con il governo Monti sia con la nascita del governo Letta, non c’è stato nessun eccesso di intervento - ha rincarato la dose - ma bisogna anche avere il coraggio di dire che su alcune cose si può essere in disaccordo e questo non è lesa maestà". E proprio sull'amnistia ci ha tenuto a ribadire la posizione espressa ieri a Bari: "Non si può non far nulla per sei anni e poi dire, scusate ci siamo sbagliati nei calcoli e a questo punto l’unico sbocco e aprire le celle". Una posizione che, sebbene abbia sollevato un polverone all'ineterno del Pd, sembra trovare consensi tra la base. Tanto che su Twitter Zanonato è stato subissato da pesanti rimproveri. "Criticare Matteo è come parlare male di Garibaldi - ha commentato il ministro - si scatenano i fan che conoscono solo offese e mai i ragionamenti".
A due mesi dalle primarie l'avvio della campagna di Renzi porta a galla vecchi dissapori. Il Pd non digerisce le critiche al Colle. Letta: "Basta populismo". Ed è solo l'inizio
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Andrea Indini
Da Renzi due siluri per Letta e NapolitanoRenzi: "In vent'anni perso tempo, ora cambiare"
October 9, 2013
Occhio che qui ci spennano: arriva la "manovrina" di Letta
La chiamano "manovrina", ma non dobbiamo lasciarci trarre in inganno perché è la solita, pesantissima stangata. Nel decreto per correggere il deficit, abbiamo a che fare con una infornata di nuovi balzelli, come se la pressione fiscale nel Belpaese non fosse già drammaticamente alta. Il governo Letta ha, infatti, lavorato sodo per andare a mettere mano agli ultimi risparmi degli italiani. Così, se da una parte stanzia 190 milioni per fronteggiare l'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale e incrementa di 20 milioni il fondo per l’accoglienza dei rifugiati minorenni (soldi sottratti alle vittime per mafia), dall'altra arriva un nuovo incremento per gli acconti di Irpef e Irap. Salta, all'ultimo momento, il maxi aumento immediato delle accise sui carburanti
Oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri è arrivata la "manovrina" con cui il governo ha corretto i conti pubblici per rientrare sotto il 3% nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, decreto che era stato rinviato a causa della crisi di governo. Dopo un caotico pomeriggio segnato da pesanti indiscrezioni sul contenuto del decfreto, il ministro per i Rapporti col parlamento Dario Franceschini si è affrettato a smentire le voci dell'imminent stangata. "Oggi in Consiglio dei ministri - ha assicurato - non ci sarà nessun aumento". Linea subito confermata anche dal ministero dell’Economia. Eppure nella bozza di rincari ce ne erao, e tanti pure. Tra le coperture ventilate nella prima stesura del decreto, che destina 330 milioni di euro per rifinanziare la cassa integrazione in deroga e 35 milioni di euro per la social card, c'era anche l’incremento delle accise sui carburanti. Dalla data di entrata in vigore della manovra la benzina sarebbe, infatti, salire di 6,5 centesimi al litro, mentre l'aumento dal primo gennaio del 2014 e fino al 31 gennaio del 2015 avrebbe dovuto essere di 3,3 centesimi al litro. Un aggravio per i cittadini che avrebbe dovuto fruttare alle casse dello Stato un maggior gettito di 184,9 milioni di euro per il 2013, 906,6 milioni di euro per il 2014 e 31,6 milioni di euro per il 2015. All'ultimo momento, però, l'ennesima batosta sui carburanti è saltato.
Benzina a parte, la stangata resta. L'acconto sull’Ires passa, infatti, dal 101 al 103%. In base ai calcoli del Tesoro, per il 2013 il maggior gettito è di oltre 534 milioni di euro e di 28,4 milioni per le addizionali. In rialzo anche gli acconti Irap che dovrebbe comportare un maggior gettito di oltre 327 milioni di euro per il 2013. Stando ai calcoli della Cgia di Mestre, se fosse confermato un ulteriore aumento degli acconti, le aziende dovranno anticipare altri 890 milioni di euro. "Se a questo importo si aggiungono i 445 milioni di euro di aggravio, derivanti dal precedente aumento degli acconti Ires e Irap dal 100 al 101% disposto dal governo lo scorso giugno - spiega il segretario Giuseppe Bortolussi - nel 2013 le società di capitali anticiperanno al fisco complessivamente 1,33 miliardi di euro di maggiore acconto".
Nella "manovrina" al vaglio del governo ci sono anche provvedimenti positivi. Arriva, infatti, un indennizzo per le imprese che hanno subito danneggiamento di materiali, attrezzature e beni "in conseguenza di delitti commessi al fine di impedire, turbare o rallentare la realizzazione di opere", come l'Alta Velocità Torino-Lione in Val Susa. Il tetto degli indennizzi è di 5 milioni e non prevede oneri a carico dello Stato.
In Cdm arriva la manovrina per blindare i conti pubblici. Saltaa il maxi aumento delle accise sui carburanti. C'è la stangata sugli acconti Ires e Irap. La Cgia lancia l'allarme
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Andrea Indini
Pressione fiscale record: italiani sempre più poveriBenzina troppo cara? Ecco come risparmiareIl Pdl sventa il blitz Pd sull'Imu. Ma le tasse aumentano
October 8, 2013
Spread, agenzie di rating, Ue: ecco chi "incombe" sull'Italia
Al premier Enrico Letta è bastato incassare la fiducia dal governo per garantirsi il benestare delle agenzie di rating, dell'apparato di Bruxelles e, soprattutto, degli speculatori di Borsa. Oggi come già nel 2011 sono i poteri forti a fare la differenza. Nel libro Morire di austerità Lorenzo Bini Smaghi, l'ex board Bce oggi alla presidenza di Snam, racconta che nel 2011 Silvio Berlusconi sarebbe stato costretto a dimettersi da Palazzo Chigi dopo aver "ventilato in colloqui privata con i governi di altri Paesi dell'Eurozona l'ipotesi di una uscita dall'euro". Non c'è quindi da stupirsi se quando il Cavaliere ha fatto dimettere i ministri del Pdl dopo lo strappo di Letta sull'Iva, Moody's sia intervenuta a gamba tesa minacciando un nuova downgrade del rating del Belpaese. È il grande spauracchio della "stabilità politica" a tutti i costi. Un imbroglio senza precedenti che viene usato dall'Unione europea e dalla finanza per allontanare il più possibile l'orizzonte delle elezioni anticipate. Ne abbiamo parlato proprio con Bini Smaghi per capire fino a che punto la sovranità dell'Unione europea può limitare la democrazia degli Stati membri.
Bini Smaghi, l'Unione europea e le agenzie di rating hanno accolto positivamente la rinnovata fiducia al governo Letta. Il disinnesco del voto anticipato può essere davvero un bene per l'Italia?
"Dipende che cosa farà il Governo, e il Parlamento, nel periodo di tempo che ha guadagnato. Se non farà ciò che tutti si aspettano, ossia le riforme, prima o poi le agenzie di rating e le istituzioni europee toglieranno nuovamente fiducia all’Italia."
Quanto pesa realmente la stabilità politica sulla crescita di un Paese?
"La stabilità politica è una condizione necessaria – ma non sufficiente - per fare le riforme che richiedono tempo prima di produrre risultati tangibili per gli elettori. Se le scadenze elettorali sono imprevedibili, nessun governo ha il coraggio di scontrarsi contro gli interessi precostituiti di pochi, per adottare misure che vanno a vantaggio della maggior parte della popolazione e delle generazioni future. L’instabilità politica accorcia l’orizzonte di chi governa, e induce a prendere misure tampone, che nel tempo tendono a peggiorare la situazione."
La "stabilità politica" a tutti i costi non rischia di menomare la democrazia?
"La stabilità politica serve se c’è un programma di governo chiaro. In Germania, come vediamo in questi giorni, le grandi coalizioni si costruiscono sulla base di un negoziato molto duro. Ma una volta raggiunto l’accordo, il governo dura per tutta la legislatura perché i partiti che hanno sottoscritto l’accordo sono impegnati a sostenere il governo."
La Merkel è stata riconfermata alla guida della Germania. Continuerà nelle sue politiche di rigore o, come pensano molti analisti, invertirà rotta?
"La Merkel è stata votata dai tedeschi per la sua linea, che combina rigore e riforme. Non avrà incentivi a discostarsene, visto che è stata premiata."
Nel suo libro Morire di austerità, afferma che "le crisi sono di fatto il motore dell’Unione Europea". Monti, in un celebre filmato, dice che la crisi è il passaggio necessario per convincere gli Stati a cedere pezzi di sovranità nazionale. A favore di chi verrebbero ceduti? Un esempio su tutti: le politiche economiche da chi dovrebbero essere decise? Da organismi eletti dal popolo o dagli apparati?
"In un contesto europeo sempre più integrato l’esercizio del governo economico a livello nazionale perde di efficacia. Può essere più utile devolverne parte alle istituzioni europee. Questo è avvenuto per quel che riguarda la vigilanza bancaria, che è passata dalla Banca d’Italia alla Bce. Per quel che riguarda le politiche di bilancio, maggiori poteri sono stati dati all’Unione europea, in particolare al Consiglio dei ministri europei, che raggruppa i ministri dei paesi membri. La sovranità non viene ceduta ma condivisa a livello europeo, con gli altri governi."
Trattandosi di cessione di sovranità nazionale, non dovrebbe essere il popolo a doversi esprimere?
"Ogniqualvolta la sovranità viene ceduta a livello europeo, o condivisa come dicevo prima, ci vuole l’accordo di tutti i paesi, espresso in termini democratici. In Italia è il Parlamento ad esprimersi al riguardo, e lo ha fatto ad esempio nel caso del Fiscal compact e nel cambiamento della Costituzione per rafforzare i vincoli di bilancio."
Sempre nel suo libro ha messo in relazione la caduta del governo Berlusconi e la confidenza fatta alla Merkel e a Sarkozy sull'ipotesi per di far uscire il nostro paese dall'Eurozona. Può spiegarci meglio cosa è successo?
"La partecipazione alla moneta unica ha significato una condivisione di sovranità molto più ampia di quanti molti pensavano, a causa dei legami economici e finanziari che l’euro comporta. L’uscita di un paese dall’euro – che non è prevista dai trattati – può provocare danni enormi per gli altri e per l’integrità dell’intero sistema. Ci se ne è resi conto a fine 2011. Questo spiega perché ci sia stata opposizione da parte degli altri governi alle ipotesi di referendum sull’euro avanzate in Grecia da Papandreu e all’idea di una possibile uscita dall’euro ventilata in quel periodo in Italia."
In un editoriale dello scorso 24 luglio, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli scriveva: "L'Italia, grazie al suo governo (Monti, ndr), ha evitato la catastrofe alla fine del 2011. L'episodio è inedito ma, nelle ore più drammatiche di quel tardo autunno, un decreto di chiusura dei mercati finanziari era già stato scritto d'intesa con la Banca d'Italia. Quel decreto rimase in cassaforte - e speriamo che vi resti per sempre -, ma vi fu un momento nel quale temevamo di non poter più collocare sul mercato titoli del debito pubblico". Cosa ne pensa? È una procedura normale all’interno dell’Unione europea o rientra nei "ricatti" di cui lei stesso parla nel suo libro?
"Non so se questo decreto esistesse o meno. L’eventuale chiusura dei mercati sarebbe stata necessaria per ristabilire la calma nel caso in cui i mercati sarebbero entrati in panico e il Tesoro italiano non sarebbe più riuscito a piazzare titoli di stato, con il rischio di default. Quando un paese dipende così tanto dai mercati finanziari, per vendere i propri titoli, deve poi sottostare alle richieste dei mercati stessi per essere credibile. Per questo bisogna mettere in sicurezza le finanza pubbliche del paese, proprio per evitare di trovarsi in quella situazione."
Recentemente Frits Bolkenstein, l’ex commissario europeo alla concorrenza e strenuo difensore dell'Unione europea, in una intervista al giornale De Volkskrant, avrebbe dichiarato che "l’euro è stato un fallimento, i Paesi del Nord devono battere moneta complementare". È uno scenario plausibile? Quali conseguenze per l'Europa e per il nostro Paese?
"Mi sembra una provocazione. Non è uno scenario pensabile quello in cui un gruppo di paesi si mette a battere la loro moneta separatamente. Bisogna semmai concentrarsi sui problemi che esistono attualmente in alcuni paesi per consentire loro di ridiventare competitivi e riprendere a crescere, uscendo dalla crisi. Prima della crisi tutti dicevano che l’euro era un successo. Ora sembra che la colpa della crisi sia solo dell’euro, quando invece il problema dipende dagli squilibri che si erano accumulati in vari paesi."
Il valore dello spread nei mesi che precedettero le dimissioni di Berlusconi era reale o viziato? Se viziato, chi c'era dietro a questo "attacco"?
"Nessuno può stabilire con certezza qual è il livello dello spread corretto in ogni periodo del tempo. Quello che è certo è che nell’autunno 2011 gli investitori non volevano più comperare i titoli di stato italiano, se non a uno sconto elevato, perché avevano paura di non essere rimborsati. Questo era il dato di fatto con cui il governo doveva confrontarsi. Gli investitori avevano paura che il governo non fosse in grado di gestire le difficoltà del momento, anche per le divisioni interne che erano emerse."
Quali sono le misure più urgenti che adesso il governo Letta deve mettere in campo?
"Il Paese non cresce perché ha perso competitività e non è attraente per chi vuole investire, per i motivi che tutti conosciamo, a partire dalle lentezze della giustizia, gli ostacoli burocratici, la tassazione troppo elevata sul lavoro e sul capitale, le rigidità del mercato del lavoro, la bassa produttività, eccc. Le misure più urgenti sono quelle necessarie per poter ribaltare questa situazione. Altrimenti l’economia continuerà a ristagnare; e il debito pubblico ad aumentare."
Fino a che punto l'Ue limita la democrazia degli Stati membri? Bini Smaghi al Giornale.it: "In una Europa sempre più integrata i governi nazionali perdono di efficacia"
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