Andrea Indini's Blog, page 162
December 4, 2013
Senatori a vita con quali meriti?
Lo scorso agosto, mentre gli italiani erano ancora spalmati sulle spiagge a rosolare e a godersi le meritate vacanze, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano metteva a segno un colpo perfetto. Senza badare a spese, tanto a pagare sono sempre i contribuenti, aveva "assunto" quattro senatori a vita per sostenere il malandato governo Letta. Quattro assegni da 300mila euro per garantire il futuro alle larghe intese. Tanto ci costeranno, ogni anno, il maestro Claudio Abbado, l'architetto Renzo Piano, il fisico Carlo Rubbia e la ricercatrice Elena Cattaneo. Ma con quali meriti? Aldilà dell'esigenza politica sfugge per quale motivo dobbiamo sborsare un milione e duecentomila euro all'anno ai senatori a vita di Re Giorgio.
In Giunta delle elezioni Elisabetta Casellati e Lucio Malan hanno posto la questione sulla sussistenza dei requisiti previsti per la convalida dei senatori a vita chiedendo un rinvio per l’acquisizione della documentazione necessaria, non considerando "sufficienti" i loro meriti. "Pur rispettando il capo dello Stato e i quattro nominati - spiegano i due senatori di Forza Italia - dalle carte trasmesse alla Giunta, non sono emersi elementi sufficienti a identificare gli 'altissimi' meriti scientifici della professoressa Cattaneo né gli 'altissimi meriti sociali' attribuiti a tutti e quattro". In realtà, come aveva già regalato a Mario Monti un lauto vitalizio affinché accettasse l'incarico a Palazzo Chigi una volta fatto fuori l'allora premier Silvio Berlusconi, Napolitano non sembra aver scelto i quattro senatori a vita per i loro "meriti sociali", bensì per l'appartenenza politica. Il loro curriculum parla da solo: su Le Figaro Abbado definì "cretini" gli italiani che nel 2001 votarono Berlusconi, sul Time Renzo Piano parlò accusò il Cavaliere di aver dato ossigeno alla parte peggiore della società, su Repubblica Rubbia definì il governo Berlusconi "umiliante" e la Cattaneo aprì una causa contro il leader di Forza Italia. Insomma, una pletora di sinistrorsi di specchiata fede antiberlusconiana che, ne era certo Napolitano a suo tempo, avrebbe ricambiato il favore al momento opportuno.
E il momento opportuno è arrivato quando il Senato, dove il governo può contare su una maggioranza più esigua rispetto a quella di Montecitorio, ha dovuto votare sulla decadenza di Berlusconi da senatore. Alcuni di loro, fino al 7 novembre, non avevano collezionato alcuna presenza in Senato. Nel giorno della decadenza si sono fiondati a Palazzo Madama. Maurizio Gasparri haa criticato in particolar modo Renzo Piano, "un senatore a vita recordman di assenteismo", accusandolo di aver votato solo per "contribuire al vergognoso rito dell’illegalità". Ma anche gli altri tre non sono mai brillati per la propria presenza in Aula. "A parte i rilievi sui meriti di queste persone - ha commentato la leghista Erika Stefani - riteniamo che i parlamentari debbano lavorare, cosa che evidentemente questi signori non hanno mai fatto, visto che si degnano di essere presenti in Senato solo in particolari situazioni, molto politiche, e per fare da stampella al governo". Ultimamente, i fabulous four hanno anche deciso di formalizzare la propria appartenenza politica. Mentre Rubbia e la Cattaneo sono passati al gruppo per le autonomie Psi, Abbado e Piano sono rimasti al Misto in compagnia dei sette senatori del Sel e dei cinque fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle. "Rappresentano il meglio della cultura, ricerca, lavoro italiani - ha commentato il presidente dei senatori piddì Luigi Zanda - rappresentano per il mondo intero la parte migliore del nostro Paese e per questo sono motivo di grande orgoglio per l’Italia". Sebbene a Zanda basti essere antiberlusconiano per incarnare il "meglio dell'Italia", risulta difficile cogliere i "meriti sociali" dei quattro. Quelli politici, invece, sono fin troppo chiari.
Per quali altri meriti Napolitano avrebbe nominato i nuovi senatori a vita, se non per il fatto che sono anti Cav? Forza Italia: "Non sussistono i requisiti previsti dalla Costituzione"
Tag:
Giorgio Napolitano
senatori a vita
Silvio Berlusconi
meriti
forza italia
Andrea Indini
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con Renzo Piano
Ora i giudici vogliono fare anche i medici: sospesa la bocciatura del metodo Stamina
I giudici amministrativi vogliono decidere anche quali sono le cure migliori per gli italiani. Il Tar del Lazio ha, infatti, sospeso il decreto di nomina della commissione nominata dal dicastero guidato da Beatrice Lorenzin e che a settembre aveva bocciato il "metodo Stamina". Sconfessando il comitato scientifico, che aveva bandito la terapia messa a punto dalla Stamina Foundation, è stato anche accolto il ricorso del presidente Davide Vannoni e, di conseguenza, sospeso il parere contrario alla sperimentazione.
Per risalire all’origine del caso Stamina bisogna tornare indietro al maggio del 2010, quando la procura di Torino ha aperto un’inchiesta sulle attività dell'associazionefondata nel 2009 da Vannoni "per sostenere la ricerca sul trapianto di cellule staminali mesenchimali e diffondere in Italia la cultura della medicina rigenerativa". Le ispezioni e le indagini hanno portato tutte alla stessa conclusione: bloccare la somministrazione dei trattamenti non solo perché la possibile efficacia non è documentata scientificamente, ma anche perché le procedure per la preparazione delle staminali non rispetterebbero gli standard di sicurezza. Alle accuse Vannoni ha sempre risposto che sul suo metodo esiste un brevetto e, per questo, si sarebbe rifiutato di rendere accessibili i dettagli sulle sue procedure. Da allora la battaglia si è spostata nei tribunali. La vicenda è, tuttavia, esplosa una volta arrivata sui media. Dopo numerosi servizi mandati in onda dalle Iene, il caso Stamina è infatti entrato nelle case di tutti gli italiani. La storia che ha commosso tutta l’Italia riguarda la piccola Sofia, la bimba affetta da leucodistrofia metacromatica a cui il tribunale di Firenze aveva imposto lo stop delle cura in virtù dell’ordinanza Aifa. Dopo un tam tam mediatico, cavalcato anche da Adriano Celentano in una lettera al Corriere della Sera, il ministero della Salute ha inizialmente dato il via libera alle cure scatenando le critiche della comunità scientifica. Contro il decreto dell'ex ministro della Salute Renato Balduzzi, che prevedeva l’avvio di una sperimentazione di 18 mesi, previa valutazione del protocollo da parte di un comitato di esperti, si è schierato anche il Nobel Shinya Yamanaka chiedendo all’Italia di fare un passo indietro.
Determinante è stato il parere del comitato di esperti che lo scorso settembre hanno bocciato il protocollo per la mancanza di evidenze scientifiche a sostegno della sicurezza e dell’efficacia del metodo. Ma lo stop alla sperimentazione è stato impugnato da Vannoni presentando ricorso al Tar del Lazio. Nell'ordinanza pubblicata oggi i giudici amministrativi, che hanno fissato l’11 giugno l’udienza di merito, hanno invitato il dicastero della Salute ad aprire un’istruttoria approfondita. "È necessario che ai lavori del comitato scientifico - si legge nell'ordinanza - partecipino esperti, eventualmente anche stranieri, che sulla questione non hanno già preso posizione o, se ciò non è possibile essendosi tutti gli esperti già esposti, che siano chiamati in seno al Comitato, in pari misura, anche coloro che si sono espressi in favore del metodo". A questo punto il ministero della Salute dovrà nominare un nuovo comitato scientifico di esperti per una nuova valutazione del protocollo.
Dopo due anni di battaglie il Tar del Lazio sconfessa il comitato scientifico del ministero: "In commissione devono esserci anche esperti a favore del metodo"
Tag:
tar del lazio
Stamina
davide vannoni
sperimentazione
cure
comitato scientifico
Andrea Indini
Il ministero deve ripetere la valutazione del metodo
December 3, 2013
L'ultima beffa di Saccomanni? Gli aumenti Ires-Irap azzerano l'irrisorio taglio del cuneo fiscale
Una beffa dietro l'altra. Dopo l'Imu "cancellata" che, però, si paga lo stesso, nel pacchetto della legge di Stabilità spunta un'altra patacca. Il tanto sbandierato taglio del cuneo fiscale, fiore all'occhiello del tandem Letta-Alfano, è in realtà una farsa bell'e buona. Ce lo dimostra uno studio della Confcommercio che, calcolatrice alla mano, si è accorta che il maggior gettito fiscale generato dall’aumento degli acconti di imposta Ires e Irap vale 1,147 miliardi. Una vera e propria batosta che vanifica il beneficio che le imprese dovrebbero avere nel 2014 per il taglio del cuneo fiscale previsto dalla legge di Stabilità. Taglio che vale all'incirca un miliardo. La Confcommercio non fatica ad accusare il governo di aver "azzerato" qualsiasi benefici con l'ondata di nuove tasse introdotte.
Al momento della presentazione delle misure contenute nella legge di Stabilità, il governo era stato duramente criticato per aver tagliato appena il cuneo fiscale. Una riduzione che nel 2014 si tramuterà in bruscolini. A malapena 14 euro al mese. Quisquiglie, insomma. Secondo i calcoli realizzati dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, i vantaggi economici più "tangibili" sarebbero per i dipendenti con un reddito imponibile Irpef che oscilla tra i 15 e i 20mila euro all’anno, che corrisponde a un stipendio mensile netto compreso tra i 950 e i 1.250 euro. Certo, aveva fatto presente a ottobre il segretario Giuseppe Bortolussi, è meglio riceverli anzichè doverli pagare: "Stiamo però parlando di cifre irrisorie che non permetterebbero ad una persona di concedersi neanche una birra e una pizza". Dopo due mesi, la beffa: non solo il governo taglia poco il cuneo fiscale, ma allo stesso tempo aumenta gli acconti Ires e Irap inficiando l'aumento irrisorio. Per il 2014 la legge di Stabilità, che in questi giorni è al vaglio dell'Aula di Montecitorio, prevede una riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese attraverso un abbassamento dei premi Inail con un beneficio stimato dal ministero dell'Economia in un miliardo di euro. "Si tratta di un beneficio - afferma l’associazione dei commercianti - che, oltre ad essere già di per sé troppo esiguo, viene anche completamente azzerato per i maggiori versamenti che vengono richiesti in questa fine di 2013 che, di fatto, garantirebbero allo Stato introiti di importo complessivo superiore alla dimensione stessa della riduzione del cuneo fiscale promessa. In pratica, alle imprese viene chiesto di anticipare oggi alle casse pubbliche il beneficio fiscale che riceveranno il prossimo anno".
Come dimostra l'analisi di Confcommercio in collaborazione con il Cer, alcune delle coperture previste per l’abolizione della prima rata dell’Imu non sono state conseguite. Si tratta dei 600 milioni di gettito atteso dalla cosiddetta "sanatoria giochi" e di parte dei maggiori introiti Iva associati allo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione pari a 925 milioni. "Sono due forme di prelievo aggiuntive, ma allo stesso tempo a impatto nullo per il sistema economico", spiega ancora l'associazione dei commercianti. In primis, perché la norma rimane confinata a una sola categoria di operatori, a cui viene, peraltro, offerto un forte sconto per la chiusura di precedenti pendenze fiscali. Ma non solo. La misura è anche compensata da pagamenti di ammontare molto maggiore e da lungo tempo attesi dalle imprese. "A copertura dei mancati incassi - sottolinea Confcommercio - si prevede ora una maggiorazione ulteriore di 1,5 punti che, aggiungendosi a quella già imposta, innalza la percentuale di acconto su Ires e Irap per le società di capitali fino al 102,5% mentre per le società di persone l’acconto Irap rimane al 100% (dal 99% del 2012)". Il gettito aggiuntivo stimato di queste nuove maggiorazioni è di oltre 667 milioni di euro. Aggiungendosi agli incrementi già decisi, i maggiori introiti per il bilancio pubblico ammonterebbero, nel 2013, a oltre 1,1 miliardi di euro, cifra superiore, al beneficio per le imprese derivante dalla riduzione del cuneo fiscale. Insomma, l'ennesima beffa del governo Letta.
Dopo l'Imu "cancellata" che si paga lo stesso, arriva un'altra patacca di Letta: il tanto sbandierato taglio del cuneo vanificato dall’aumento degli acconti di imposta
Tag:
cuneo fiscale
acconti
ires
irap
legge di stabilità
Fabrizio Saccomanni
Andrea Indini
Batosta su Iva e accise per risolvere il pasticcio Imu
December 2, 2013
Renzi e Alfano ai ferri corti: ora Letta è appeso a un filo
Il governo è sull'orlo di una crisi di nervi. L'acido botta e risposta a distanza tra Angelino Alfano e Matteo Renzi si consuma tutto sulle pagine di Repubblica. E a farne le spese è il premier Enrico Letta che oggi salirà al Colle per fare il punto con Giorgio Napolitano sull'iter parlamentare della fiducia che andrà a pietire alle Camere. All'indomani dell'attacco a muso duro del sindaco di Firenze, che ha dato il benservito al vicepremier, Alfano prova a mostrare i muscoli e concede una contro-intervista al quotidiano diretto da Ezio Mauro per avvertire il futuro segretario del Pd. "Non tiri troppo la corda", è l'avvertimento. Ma la corda, a cui è appeso l'esecutivo, si sta filacciando. E la rottura è prossima.
Renzi ha cambiato verso, per dirla con Pippo Civati. E da "amico" del governo, come si era presentato nel match televisivo su Sky, è tornato su posizioni belligeranti. Una giravolta repentina registrata ieri dalla Repubblica in una intervista aggressiva e dai toni infuocati: "Con me il Pd volta pagina, la mia forza mi consente di porre tre condizioni al governo, se le accoglie bene, altrimenti dico addio alla maggioranza". Un allarmante ultimatum per Letta alla vigilia del faccia-a-faccia con Napolitano, ma soprattutto uno schiaffo in faccia ad Alfano che ai suoi occhi aveva alzato un po' troppo la cresta dicendo di avere potere di vita o di morte sul governo. "Ricordi che io ho 300 deputati, lui solo 30 - gli ha ricordato senza mezzi termini - se si va al voto, io non ho paura, lui sì perché Berlusconi lo asfalta". Insomma, dal "patto a tre" (Letta-Renzi-Alfano) il Paese è tornato, nel giro di poche ore, sul baratro della crisi. "Nulla di tutto questo", ha rassicurato il mediatore Dario Franceschini a conoscenza di una fantomatica "intesa" tra il premier e il sindaco per puntellare l'esecutivo. Tuttavia, ad Alfano i modi di Renzi devono essere apparsi un tantino bruschi. Così, dopo una lunga giornata di punzecchiature e battibecchi a distanza, il vicepremier è andato a rilasciare una contro-intervista a Repubblica per far sentire la sua voce. "Renzi non tiri troppo la corda perché noi non abbiamo paura di andare a votare - è l'avvertimento - decida lui se assumersi la responsabilità di far cadere il premier del suo partito".
In realtà, i toni di Alfano sono tutt'altro che intimidatori. Anziché far pesare il proprio ruolo all'interno del centrodestra, prova a elemosinare un patto per il 2014 per poi tornare alle urne nel 2015. Il ragionamento è che Renzi attacchi il vicepremier per colpire Palazzo Chgi. "Certo, è un modo per far fibrillare il governo - ha spiegato - tra una settimana, però, ci sarà il nuovo segretario del Pd e finalmente avranno altro cui pensare". Da mesi il governo è condizionato dallo scontro interno al Partito democratico che, dopo il flop di Pier Luigi Bersani, ha vissuto lo psicodramma del cambio al vertice. "Magari adesso riusciranno a pensare anche ai problemi del Paese...", ha commentato Alfano proponendo una sorta di "contratto di governo". Un patto che difficilmente verrà mantenuto tra i tre sottoscrittori, tutti in campo per una battaglia personalistica che poco ha a che vedere col bene del Paese. Tanto che alla proposta di Alfano Renzi ha risposto facendo la linguaccia: "Se Alfano vuole fare polemica sappia che non ci troverà perchè siamo impegnati a parlare con gli italiani".
Botta e risposta dalle pagine di Repubblica. Renzi mette dà il benservito ad Alfano. Il vicepremier replica: "Non tiri troppo la corda". A farne le spese è Letta
Tag:
Matteo Renzi
Angelino Alfano
enrico letta
governo
maggioranza
Andrea Indini
Renzi liquida Alfano e dà l'ultimatum a LettaIl Cav: "Avevo ragione, Matteo ha in mano il governo"Renzi rompe tregua, Alfano: "Vuole la sedia di Letta"
December 1, 2013
Renzi liquida Alfano e dà l'ultimatum a Letta
Enrico Letta è convinto che la fuoriuscita di Forza Italia dalla maggioranza abbia rafforzato la sua premiership. In realtà, gli equilibri tra il Pd e il Nuovo centrodestra sono appesi a un filo. E, non appena Matteo Renzi avrà messo le mani sulla segreteria del partito, darà un taglio netto seppellendo una volta per tutte le larghe intese. "Letta deve sapere che il suo esecutivo ora è incentrato sul Pd. Ha cambiato forma, le larghe intese orginarie non ci sono più", ha messo in chiaro il sindaco di Firenze in una intervista alla Repubblica gettando l'esecutivo nel panico.
Come deciso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Letta dovrà tornare in parlamento a chiedere la fiducia. I sei voti di scarto ottenuti al passaggio in Senato della legge di Stabilità non hanno convinto il capo dello Stato e, tantomeno, Forza Italia che sta premendo per aprire formalmente la crisi di governo. Il premier chiederà la fiducia alle Camere dopo le primarie dell'8 dicembre che incoroneranno Renzi alla guida della segreteria piddì. Se nei giorni scorsi il vicepremier Angelino Alfano aveva ricordato a Letta che il Nuovo centrodestra ha i numeri per far cadere l'esecutivo, oggi il sindaco di Firenze ha ricordato ad Alfano che il Nuovo centrdestra ha trenta deputati mentre il Pd ne ha trecento: "Se non è d’accordo sappia che poi si va a votare. Io non ho paura delle elezioni, lui si. Perché sa che Berlusconi lo asfalta". Quindi, la stoccata finale: "Se Alfano ha proposte migliorative... ma non è che non trattiamo più con Berlusconi e ci mettiamo a mediare con Formigoni e Giovanardi". Insomma, tutt'altro che un idillio. Tanto che è bastata la provocazione di Renzi a far saltare i nervi agli alfaniani. "Se Renzi ha il problema di dover sostituire Letta dica che a marzo si vota perché vuole diventare presidente del Consiglio - ha aperto le danze il ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi - noi non abbiamo nessuna paura". Poi è stata la volta del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello: "C’è un peso specifico e c’è anche un peso politico. Noi pensiamo di dover esercitare il peso specifico e il peso politico". Infine, il diretto interessato. "Se Renzi ha l’obiettivo di prendere la sedia di Letta - ha detto Alfano ai microfoni del Tg2 - lo dica con chiarezza senza girarci attorno come si faceva con la vecchia politica".
Renzi non ne ha solo per Alfano. Il vero obiettivo da ipallinare dell'intervista rilasciata a Repubblica è Letta. È al premier che il sindaco manda un messaggio sin troppo chiaro: "Chi vince impone la linea. Saremo leali ma conseguenti". "A Letta offro una disponibiltà vera, un patto di un anno", ha assicurato spiegando che proporrà un patto strutturato su tre punti "ineludibili" su riforme, lavoro e Europa. "Se l’esecutivo non realizzerà questi obiettivi - ha avvertito - il Pd separerà il suo destino dalla maggioranza". Un concetto ribadito anche in giornata, a Pesaro. "Il Pd deve tirare fuori il coraggio, l’orgoglio, la responsabilità - ha tuonato - non può soltanto inseguire ciò che fa il governo o il resto della maggioranza". Insomma, un vero e proprio ultimatum che non lascia molti margini di manovra all'esecutivo.
Il sindaco detta le sue condizioni a Letta: "O usciamo dal governo...". E ad Alfano: "Si deve adeguare, con lui non tratto". E nel governo è caos
Tag:
Matteo Renzi
enrico letta
Silvio Berlusconi
Angelino Alfano
governo
maggioranza
Andrea Indini
Il "doppio" patto di Letta con Renzi e Alfano
Renzi dà l'ultimatum a Letta e getta il governo nel panico
Enrico Letta è convinto che la fuoriuscita di Forza Italia dalla maggioranza abbia rafforzato la sua premiership. In realtà, gli equilibri tra il Pd e il Nuovo centrodestra sono appesi a un filo. E, non appena Matteo Renzi avrà messo le mani sulla segreteria del partito, darà un taglio netto seppellendo una volta per tutte le larghe intese. "Letta deve sapere che il suo esecutivo ora è incentrato sul Pd. Ha cambiato forma, le larghe intese orginarie non ci sono più", ha messo in chiaro il sindaco di Firenze in una intervista alla Repubblica gettando l'esecutivo nel panico.
Come deciso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Letta dovrà tornare in parlamento a chiedere la fiducia. I sei voti di scarto ottenuti al passaggio in Senato della legge di Stabilità non hanno convinto il capo dello Stato e, tantomeno, Forza Italia che sta premendo per aprire formalmente la crisi di governo. Il premier chiederà la fiducia alle Camere dopo le primarie dell'8 dicembre che incoroneranno Renzi alla guida della segreteria piddì. Se nei giorni scorsi il vicepremier Angelino Alfano aveva ricordato a Letta che il Nuovo centrodestra ha i numeri per far cadere l'esecutivo, oggi il sindaco di Firenze ha ricordato ad Alfano che il Nuovo centrdestra ha trenta deputati mentre il Pd ne ha trecento: "Se non è d’accordo sappia che poi si va a votare. Io non ho paura delle elezioni, lui si. Perché sa che Berlusconi lo asfalta". Quindi, la stoccata finale: "Se Alfano ha proposte migliorative... ma non è che non trattiamo più con Berlusconi e ci mettiamo a mediare con Formigoni e Giovanardi". Insomma, tutt'altro che un idillio. Tanto che è bastata la provocazione di Renzi a far saltare i nervi agli alfaniani. "Se Renzi ha il problema di dover sostituire Letta dica che a marzo si vota perché vuole diventare presidente del Consiglio - ha aperto le danze il ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi - noi non abbiamo nessuna paura". Poi è stata la volta del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello: "C’è un peso specifico e c’è anche un peso politico. Noi pensiamo di dover esercitare il peso specifico e il peso politico".
Renzi non ne ha solo per Alfano. Il vero obiettivo da ipallinare dell'intervista rilasciata a Repubblica è Letta. È al premier che il sindaco manda un messaggio sin troppo chiaro: "Chi vince impone la linea. Saremo leali ma conseguenti". "A Letta offro una disponibiltà vera, un patto di un anno", ha assicurato spiegando che proporrà un patto strutturato su tre punti "ineludibili" su riforme, lavoro e Europa. "Se l’esecutivo non realizzerà questi obiettivi - ha avvertito - il Pd separerà il suo destino dalla maggioranza". Insomma, un vero e proprio ultimatum che non lascia molti margini di manovra all'esecutivo.
Dopo le primarie, Renzi siglerà un patto a Letta: "Se l’esecutivo non realizzerà i nostri obiettivi, il Pd lascerà la maggioranza". Poi su Alfano: "Non ho paura delle elezioni, lui si. Perché sa che Berlusconi lo asfalta". E nel governo scoppia il caos: Ncd in affanno
Tag:
Matteo Renzi
enrico letta
Silvio Berlusconi
Angelino Alfano
governo
maggioranza
Andrea Indini
November 30, 2013
Imu, altro che stangata sulla seconda rata: ora rischiamo di pagare pure la prima
Una farsa senza fine. La cancellazione dell'Imu sulla prima casa si sta rivelando un vero e proprio boomerang per i contribuenti. Tutta colpa del duo Letta-Alfano che a far di conto non sembrano affatto portati. Se nelle ultime ore il pasticcio fatto dal ministero dell'Economia sulle coperture per l'abolizione della seconda rata aveva gettato nel panico gli italiani, c'è un'altra ombra che sembra addensarsi all'orizzonte. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, anche le coperture sulla prima rata dell'Imu sono a rischio. Tantoc che per le imprese e i cittadini italiani si profila un ulteriore aumento del carico fiscale.
Nonostante il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni vada in giro a dire che l'esecutivo ha "mantenuto la promessa" cancellando emtrambe le rate dell'Imu sulla prima abitazione, qualcosa, gli italiani, la dovranno comunque pagare. E questo "qualcosa" rischia di trasformarsi in una vera e propria stangata. Fino a qualche ora fa era solo la seconda rata a impensierire i contribuenti. Secondo uno studio della Uil, infatti, la mancata copertura di tutta la seconda rata dell'imposta costerà una media di 42 euro per i cittadini con aliquota maggiorata. Ma che, stando al report della Cgia, diventano da 71 a 104 euro nella peggior ipotesi, cioè in caso di aumento generalizzato delle aliquote. È stata già ribattezzata come "mini Imu" ed è la differenza di gettito determinata dallo "spazio" tra l’aliquota standard e l’aumento deliberato dal loro comune (dal 4 al 6 per mille) che riguarda una quarantina di capoluoghi. Il governo si è impegnato infatti a pagare la metà di quella somma, circa 500 milionidi euro. Gli altri li dovranno tirar fuori i cittadini entro metà gennaio. Tutto qui? Macché! Una nuova batosta già si profila all'orizzonte. Anche la prima rata è in forse. Stando allo studio degli artigiani di Meste, infatti, se entro oggi l’Erario non avrà incassato 925 milioni di euro di maggiori entrate Iva versate dalle imprese a seguito dell’impegno della Pubblica amministrazione di pagare 7,2 miliardi di euro di debiti scaduti e altri e 600 milioni di euro dalla sanatoria rivolta ai concessionari dei giochi, anche l'abolizione della prima rata dell'imposta sarà seriamente messa a rischio.
Il decreto che ha cancellato la prima rata dell’Imu sull’abitazione principale farà scattare la cosiddetta "clausola di salvaguardia". Per coprire la parte di gettito mancante, il ministero dell’Economia potrà quindi dar luogo a un provvedimento di legge che preveda l’aumento degli acconti Ires e Irap in capo alle imprese e delle accise sul gas, l’energia elettrica e le bevande alcoliche. "Il rischio che ciò avvenga è molto elevato", spiegano gli analisti della Cgia di Mestre. A fronte degli ulteriori 7,2 miliardi di euro di risorse stanziate dall'esecutivo, affinchè la Pubblica amministrazione saldi i vecchi debiti contratti con le imprese, il dicastero di via XX Settembre ha certificato che ne sono stati pagati poco più di 2 miliardi (pari al 28% circa del totale). Pertanto, risulta difficile rispettare l’indicazione prevista dalla legge: ovvero quella di incassare 925 milioni di euro di Iva entro la fine di novembre. In merito alla sanatoria rivolta ai concessionari dei giochi, invece, le indiscrezioni apparse negli ultimi giorni sulla stampa specializzata ci dicono che, probabilmente, l’Erario ha riscosso poco più della metà del gettito previsto. In buona sostanza, l’obbiettivo di incassare 1,525 miliardi di euro per coprire l'abolizione della prima rata pare un obiettivo difficilmente raggiungibile. Così, salvo ripensamenti dell’ultima ora, per i cittadini è probabile un ulteriore aumento delle tasse. "Voglio sperare che ciò non accada - ha commentato Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre - sarebbe una vera e propria beffa".
Dopo che per mesi ci hanno assicurato che nel 2013 non avremmo pagato l’imposta sulla prima abitazione, adesso spunta il rischio di pagarla, almeno in parte, sotto altre forme. "Questo meccanismo introdotto con la cosiddetta 'clausola di salvaguardia' è paradossale - ha tuonato Bortolussi - se il governo non raggiunge un determinato obbiettivo di bilancio, scatta automaticamente una nuova forma di gettito che va a coprire la parte mancante". Nel caso specifico: la Pubblica amministrazione non paga i suoi debiti e quindi le aziende non possono versare l’Iva o lo Stato non riesce a incassare i soldi dalla sanatoria sui giochi? Nessun problema, a pagare la differenza è il cittadino.
Ricordate la prima rata dell'Imu? Il governo sbaglia i conti e le coperture saltano. Morale? Toccherà ai cittadini pagare. Un altro pasticcio del duo Letta-Alfano
Tag:
Imu
prima rata
copertura economica
governo
Fabrizio Saccomanni
Andrea Indini
Il pasticcio sull'Imu colpirà dieci milioni di italianiImu, commercialisti infuriati: "È il caos"
November 28, 2013
Il gioco delle tre carte sull'Imu
L'addio all’Imu sulla prima casa, annunciato in pompa magna dal premier Enrico Letta e dal suo vice Angelino Alfano, è uno specchietto per le allodole. Alla fine la seconda rata dell’imposta dovuta nel 2013 non è stata cancellata del tutto. Una buona fetta di contribuenti dovrà continuare a pagarne una quota, cioè metà del contributo eccedente l’aliquota standard che i Comuni furbetti hanno deciso di ritoccare al rialzo e che dovrà essere versata entro metà gennaio. "Checché ne dicano il governo e i ministri del Nuovo centrodestra, sulla prima casa dovremo pagare - ha commentato il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta - e quello che le famiglie italiane non pagheranno sulla prima casa sarà più che compensato dalla tassazione sulle seconde case".
Nuove tasse per coprire il decreto
Durante un Consiglio dei ministri "lampo", poco meno di un’ora proprio a cavallo del voto in Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi, il governo ha infatti cancellato l’ultima parte dell’imposta nel frattempo "scomparsa" e sostituita dalla Iuc con la legge di Stabilità. "Abbiamo mantenuto gli impegni con gli italiani - ha assicurato il viceministro dell’Economia Luigi Casero - senza aumentare la tassazione sui cittadini". In realtà il mancato gettito viene compensato tramite acconti e aumenti d’imposta a carico del settore finanziario e assicurativo. Come spiega la nota del Consiglio dei ministri, 1,5 miliardi verranno coperti dall’aumento al 130% dell’acconto Ires e Irap dovuto per il 2013 dalle società del settore finanziario e assicurativo. L’aliquota Ires viene, infatti, elevata per il solo 2013 al 36%. Altri 650 milioni di euro arriveranno, invece, dall'anticipo a carico degli intermediari finanziari sulle ritenute del risparmio amministrato. Secondo il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone le maggiorazioni Ires e Irap, che banche e assicurazioni dovranno versare anticipatamente, "rischiano di tradursi in minori impieghi e prestiti a favore di imprese e famiglie, e in maggiori costi per i clienti".
Extragettito a spese dei contribuenti
Oltre alla pioggia di nuovi balzelli, spulciando con attenzione il decreto si capisce subito che l'Imu non verrà sbianchettata da tutte le abitazioni principali. Approfittando della confusione molti Comuni hanno alzato con destrezza le aliquote facendo, in questo modo, lievitare il costo dell’intera operazione di altri 500 milioni di euro. Adesso toccherà a molti cittadini a metterci la differenza. Un'eventualità che ha subito allarmato i Comuni italiani. Con il presidente dell'Anci Piero Fassino che ha invitato il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni a fare chiarezza sul provvedimento: "È troppo chiedere che finalmente si dia corso a impegni così esplicitamente assunti?". Ma il sindaco di Torino è solo il primo ad aprire il fuoco contro il governo. I primi a insorgere ci sono proprio quei "furbetti", come Giuliano Pisapia (Milano), Luigi De Magistris (Napoli) e Virginio Merola (Bologna) che hanno portato alle stelle le aliquote base per gonfiare a dismisura i rimborsi statali. Non sono gli unici. Per il primo cittadino di Venezia Giorgio Orsoni, per esempio, c'è stato "un modo sbagliato e francamente scorretto di gestire i rapporti tra Stato ed enti locali". Il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia ha, invece, annunciato un'azione legale contro lo Stato. È un vero e proprio fuoco di fila.
Il bluff dei terreni agricoli
Feroci polemiche si sono riversate anche sul capitolo del decreto che riguarda anche l’Imu agricola. "Per i fabbricati rurali e per gli imprenditori agricoli professionali relativamente ai terreni - ha spiegato Palazzo Chigi - è prevista l’esenzione totale". Secondo i numeri sviolinati dal ministro delle Poltiche agricole Nunzia De Girolamo, le abrogazioni e le riduzioni ottenute per il 2013 hanno consentito di non far pagare al settore 64 milioni sui fabbricati rurali, 315 milioni sui terreni di proprietà degli imprenditori agricoli professionali e 158 milioni sui terreni di proprietà dei non agricoltori, per un risparmio fiscale complessivo per il settore pari a 537 milioni. In realtà, come fa notare Capezzone, non proprio tutti saranno esenti dal pagamento. Dove si parla di terreni e annessi il comunicato di Palazzo Chigi fa un riferimento piuttosto chiaro: l’Imu agricola sui fabbricati è ridotta solo per gli imprenditori. Ed è prevista l’esenzione sui terreni. Quindi se uno ha un appezzamento di terra e non è imprenditore dovrebbe pagare. "Cosa facciamo con questa gente?", chiedono dai Caf. Insomma, mentre il governo fa il gioco delle tre carte (cancella una tassa per metterne una in più), scoppia il caos.
Le coperture portano nuove tasse. Non tutti i terreni agricoli esenti. E se l'aliquota comunale è salita pagano i cittadini
Tag:
Imu
Comuni
governo
aliquota
extragettito
terreni agricoli
acconti
tasse
Andrea Indini
Via la seconda rata Imu col trucco degli acconti recordImu, via la seconda rata (ma non tutta)
Alfano e i ministri del Ncd: "Alle europee corriamo da soli". Mussolini li zittisce: "Buffoni, buffoni!"
Come se niente fosse. I ministri del Nuovo centrodestra hanno sfilato davanti ai flash dei fotografi e agli obiettivi dei cineoperatori per mettere il cappello su una manovra scalcagnata e infarcita di tasse. Come se niente fosse. Tutti impettiti, in sala Koch, a presentare la legge di Stabilità e, in particolar modo, il decreto che riguarda l'Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli. Come se niente fosse. Non è mancato nemmeno il vicepremier Angelino Alfano. Tutta la pattuglia si è presentata al gran completo: ministri e sottosegretari a sorridere ai giornalisti e a lodare l'operato del governo. Come se ieri il Senato, coi voti dei loro stessi alleati, non avesse cacciato Silvio Berlusconi dal parlamento.
Nessuno parla della decadenza. Maurizio Lupi si è limitato a citarla, prima della conferenza stampa, ai microfoni di Radio Anch'io: "Certamente, non solo vent’anni di storia non si cancellano ma, in democrazia, milioni di cittadini lo votano". Il ministro dei Trasporti ci ha tenuto a ricordare che la sfida il Nuovo centrodestra di Alfano punta a "costruire, insieme a Berlusconi, un nuovo grande centrodestra". Un proposito buono che va a cozzare con la decisione di rimanere al governo con chi ha pugnalato alle spalle il Cavaliere macchiando, ancora una volta, la democrazia italiano. Per Lupi la battaglia contro la decadenza è "legittima", ma non è sufficiente a "mandare il paese in una crisi al buio". Così, poche ore dopo il voto liberticida, eccolo sfilare insieme agli altri ministri ex pidiellini in sala Koch per illustrare la legge di Stabilità. "Adesso sentiamo ancora di più la responsabilità di stare nel governo perché rappresentiamo milioni di cittadini del centrodestra che ci chiedono di portare il Paese fuori dalla crisi sulla base delle nostre proposte e dei nostri temi - ha spiegato Lupi - questa è la responsabilità su cui ci impegneremo e su chi saremo misurati". E giù a snocciolare i risultati ottenuti, gli impegni mantenuti, le riforme messe in cantiere. Così, se il viceministro all’Economia Luigi Casero assicura di "non aver amentato le tasse", il ministro della Salute Beatrice Lorenzin si vanta di aver evitato, "per la prima volta dopo dieci anni", che i fondi alla sanità venissero tagliati. E ancora: il ministro alle Riforme costituzionali Gaetano Quagliariello ha premesso mari e monti annunciando una pronta revisione della legge elettorale e della Costituzione.
A tracciare le prossime mosse del Nuovo centrodestra, però, è toccato ad Alfano. "Noi abbiamo parlamentari sufficienti per tenere in vita il governo, ma anche viceversa", ha spiegato il vicepremier che, dopo le primarie dell'8 dicembre, vorrebbe siglare con il Partito democratico un nuovo contratto di programma che vuole chiamare "Italia 2014". L'obiettivo è consolidare la sua nuova formazione politica per portarla al prossimo appuntamento elettorale, le europee che si voteranno a maggio dell'anno prossimo. Correranno da soli, insomma. Ma, si nè affrettato a precisare, "la coalizione ideale per vincere le elezioni sarà quella del centrodestra". Ovviamente. Perché, sebbene faccia il possibile per non parlare di Berlusconi, Alfano (come tutti gli altri ministri e sottosegretari che gli siedono accanto) sa benissimo che quella poltrona da vicepremier la deve solo al Cavaliere. Ad ogni modo, la sintesi della conferenza stampa la fa molto bene Alessandra Mussolini che, mentre i ministri del Nuovo centrodestra sciorinano promesse e buoni propositi, li fa ripiombare alla realtà. Un'incursione ruvida ma efficace, come direbbe Berlusconi. La senatrice azzurra si affaccia dalla porta di Sala Koch e urla: "Buffoni, buffoni!". I ministri restano impassibili, anzi sui volti di alcuni appare un leggero sorriso. Un sorriso amaro che, alle prossime elezioni, penseranno gli italiani a trasformare in muta sconfitta.
I ministri indicono una conferenza per lodare il governo. Neppure una parola sul Cav. Irrompe la Mussolini urlando "buffoni". Loro sorridono, toccherà ai cittadini zittire quel ghigno
Tag:
ministri
nuovo centrodestra
Silvio Berlusconi
Angelino Alfano
Imu
governo
Andrea Indini
Brunetta: "Da Alfano attendo la riforma della giustizia"Governo, si dimettono Miccichè e SantelliMussolini alla conferenza stampa del Ncd: "Buffoni"Alfano: "La vita del governo dipende da noi"
November 27, 2013
Tra brindisi, insulti, sfottò gli anti Cav festeggiano: "Ora tocca a tutti gli altri"
Brindano sullo scempio della Repubblica italiana. Festeggiano con la bava alla bocca sulle spoglie della democrazia. Sono vent'anni che aspettano questo momento: Silvio Berlusconi fuori dal parlamento. Quello che non gli è riuscito democraticamente alle elezioni, se lo sono presi calpestando la Costituzione, sputtanando il regolamento del Senato e sputando in faccia a dieci milioni di italiani. Loro, gli anti Cav della prima ora, i poteri forti rappresentati dagli euroburocrati e dal New York Times, gli antagonisti del Popolo viola e i cittadini pentastellati. Loro, i livorosi alla Guglielmo Epifani che non gli sembra vero di essere riusciti laddove i vari Massimo D'Alema, Romano Prodi, Walter Veltroni e Pier Luigi Bersani hanno fallito, i democratici che non hanno mai smesso la bandiera con la falce e il martello.
Non appena l'Aula del Senato ha approvato la decadenza, le agenzie stampa, i talk show e i social network sono stati invasi da sinistri politici che avevano fretta di appuntarsi sul petto la spilla dell'antiberlusconismo militante. È una gara a chi spara l'insulto più pesante, a chi getta più fiele su una nefanda pagina della storia repubblicana. "I conti col berlusconismo non sono ancora cominciati - ha commentato Nichi Vendola - non ce ne libereremo facendo un esorcismo". Il Pd, invece, è un tripudio di dichiarazioni di soddisfazione. Dal capogruppo Luigi Zanda al responsabile Giustizia Danilo Leva, i democrat sgomitano per infierire. Non sono da meno i grillini. "Oggi i cittadini hanno potuto vedere un grande risultato che è stato possibile grazie all’impegno del M5S, perché altrimenti nulla sarebbe avvenuto in questi termini", ha esultato Michele Giarrusso intervistato da Mentana nello speciale del TgLa7. I sodali del Cinque Stelle gli hanno dato man forte srotolando sulla facciata di Montecitorio uno striscione con la scritta "Fuori uno. Tutti a casa". Negli uffici della presidenza del gruppo della Camera Paola Taverna e compagni si sono fatti immortalare in un "cin cin" con le bollicine. "È un modo per sciogliere la tensione accumulata", si è poi giustificata la grillina.
Poco più in là, nell’aula Giulio Cesare del Campidoglio, si è alzato un applauso improvviso e inaspettato appena è passata la decadenza. E ancora: in piazza delle Cinque Lune il Popolo Viola ha festeggiato stappando lo spumante e intonando Bella ciao. "In galera, in galera!" hanno gridato i militanti riuniti da Gianfranco Mascia. Su Twitter, invece, Gad Lerner ha lasciato parole lapidarie: "Era ora! Vent'anni dopo Berlusconi torna fuori dalle istituzioni che lo avevano accolto e subìto a dispetto della legge". Il suo ghigno può essere solo immaginato. È l'amalgama, volgare e sbraitante, degli antiberlusconiani. Un popolo informe che esulta perché crede di aver sconfitto il nemico di sempre. Sono gli stessi violenti che avevano insultato il Cavaliere davanti al Quirinale in quel nefasto 14 novembre del 2011, quando era salito al Colle per rimettere le dimissioni nella mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sappiamo bene cosa è venuto dopo. Agli italiani è stato strappato il diritto di voto: prima è toccato al tecnico Mario Monti, adesso alle larghe intese di Enrico Letta. Oggi il cerchio si è chiuso. Il tutto col benestare di chi nelle ultime settimane ha voltato la spalle al Cavaliere pur di mantenere una poltrona al governo. "Ora tocca agli altri!", ha gridato su Twitter Beppe Grillo.
E così, in questa giornata nera per la democrazia italiana, gli odiatori di professione si trovano uniti a festeggiare. Il sito del New York Times ha dato ampio risalto alla notizia. In un pezzo dal titolo Berlusconi espulso dal Senato italiano, Jim Yardley ha così ricordato che dopo mesi di ritardi procedurali e "melodramma politico", Berlusconi "non ha potuto evitare l’inevitabile". "Il Senato d’Italia lo ha spogliato del suo seggio parlamentare - ha scritto il Nyt - un’espulsione drammatica e umiliante, anche se altri problemi si profilano al suo orizzonte". A Firenze per ritirare il Pegaso d’oro, massimo riconoscimento della Regione Toscana, lo scrittore cileno Luis Sepulveda non ha trattenuto la propria soddisfazione: "Ora mi aspetto che Berlusconi scompaia dalla vita politica italiana, dopo 20 anni di scandali e corruzione in cui ha fatto dell’Italia un paese ridicolo agli occhi del mondo. Questo tempo deve finire e deve finire oggi".
Popolo Viola in piazza: spumanete e Bella ciao. I grillini brindaco al Senato. Gad Lerner esulta su Twitter. Così gli anti Cav festeggiano la decadenza
Tag:
Silvio Berlusconi
decadenza
M5S
brindisi
Pd
gad lerner
popolo viola
Andrea Indini
Andrea Indini's Blog

