Andrea Indini's Blog, page 160

January 12, 2014

Renzi dà 15 giorni al governo: "Cosa ha fatto in questi mesi?"

"Il governo andrà avanti per tutto il 2014, ma non così". Dalle pagine del Corriere della Sera Matteo Renzi sferra un nuovo, durissimo attacco al governo. Niente di nuovo, a livello politico. Quella del segretario piddì è una strategia logorante. Di un eventuale rimpasto del governo se ne parlerà solo dopo la chiusura del contratto di coalizione, solo dopo che il programma del sindaco di Firenze sarà stato recepito nell’accordo di maggioranza. Nel frattempo continua la quotidiana presa di distanza da un governo incapace di fare le riforme e di trovare misure economiche efficaci.


All’indomani dell’incontro col premier Enrico Letta, Renzi ha festeggiato nella sua Firenze il trentanovesimo compleanno. Ai suoi avrebbe ribadito che non c’è alcuna brama di poltrone: a contare saranno i contenuti dell’intesa, a partire dalla legge elettorale. Ma l’argomento rimpasto resta sul tavolo e nel mirino dei renziani finiscono i dicasteri di Economia, Giustizia, Lavoro, Sviluppo e Istruzione. Insomma, un governo da rivedere completamente. Lo stesso Letta non è certo in cima alle figure più apprezzate. Non a caso, nell'intervista al Corriere della Sera, l'ex rottamatore gli ricorda che occorre essere "più decisi, più concreti, più rapidi nelle scelte". Per quanto riguarda il rapporto col premeier, però, assicura che è Letta a non fidarsi di lui. "Ma sbaglia - spiega - io le cose le dico in faccia". "La popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, nè l’emergenza finanziaria - incalza - se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere, ma se mi chiedono cos’ha fatto il governo faccio più fatica a rispondere". Proprio per questo motivo, il messaggio che intende far passare nella trattativa con Letta è il "cambio di passo" a lungo promesso.


Accantonato (per ora) il capitolo rimpasto, Renzi punta ad accelerare sulle riforme. "Vivo l’urgenza come un dramma e mi stupisco che a Roma non si rendano conto della necessità di correre - dice - saranno 15 giorni decisivi". Già la prossima settimana porterà sul tavolo di via del Nazareno la proposta dell’abolizione del Senato e del nuovo sistema di voto che potrebbe essere un Mattarellum corretto. Al momento l’incontro con Silvio Berlusconi è congelato. "Potrebbe anche non esserci - spiega un renziano - dipende da come Letta riuscirà a gestire il via libera al nuovo piano di governo". Solo se ci sarà l’accordo, Renzi dunque considererà la possibilità di inserire alcuni dei suoi nell’esecutivo. Eventualità che non trova contrario nemmeno Letta, a patto che il rimpasto non finisca per sabotare l’intesa con Angelino Alfano. Il sindaco di Firenze continuerà a tenersi le mani libere. "Se non ci sarà un cambio di passo nulla vieta che non si possa andare a votare anche tra sei mesi. Altrimenti - azzarda un deputato - la segreteria del Pd potrebbe anche chiedere proprio a Renzi di guidare un nuovo governo". È uno scenario che il sindaco di Firenze non auspica, ma che non esclude del tutto.


Il segretario piddì boccia Letta: "La fiducia nell'esecutivo è ai minimi storici. Che risultati ha portato a casa?". E già medita di staccare la spina





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Sindaci Pd a Renzi: "Staccare la spina al governo"
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Published on January 12, 2014 10:42

January 10, 2014

La Cina è il primo trader mondiale ma l'America è già pronta a un nuovo boom

La Cina è il primo trader a livello mondiale. Superando gli Stati Uniti sul valore degli scambi commerciali con l’estero, l'impero del Dragone ha segnato una nuova pietra miliare nella sua pluridecennale ascesa nell’economia planetaria. L'impero a stelle e strisce, però, non sta a guardare, non è mica come l'Unione europea che da anni non fa che piangersi addosso. Washington ha già rialzato la testa e si prepara a un nuovo boom economico che potrebbe far impallidire la potentissima Cina.


Sono solo numeri, cifre, virgole, decimali e percentuali, ma rendono bene l'idea dell'impero che allarga la propria rete d'influenza su tutto il mondo. Quello che un tempo era un primato prettamente americano, adesso è un record ad appannaggio della ponenza cinese che, degli immortali Stati Uniti, detengono una vasta fetta di debito pubblico. Secondo i dati diffusi oggi da Pechino, la somma del valore dei beni importati e esportati dalla Cina sull’intero 2013 ha raggiunto 4.160 miliardi di dollari, il 7,6% in più rispetto all’anno precedente. Se andiamo a spulciare nel dettaglio il dato non è così roseo come può sembrare: l’export, che lo scorso dicembre è avanzato del 4,3%, è cresciuto di un più 12,7% di novembre e contro un atteso più 4,9%. "Gli esportatori cinesi - spiega il portavoce della Dogana, Zheng Yuesheng - incontrano difficoltà per l’aumento dei costi, incluso quello del lavoro e l’apprezzamento dello yuan". Per il 2014 il governo di Pechino prevede, infatti, un miglioramento. "Il rafforzamento delle economie sviluppate - conclude Zheng Yuesheng - porterà gradualmente l’economia mondiale fuori dalla crisi finanziaria e questo miglioramento esterno aiuterà le esportazioni cinesi".


Già con questi risultati, la Cina è riuscita a segnare una nuova pietra miliare nell'ascesa nell’economia mondiale. Secondo uno studio riportato dal Financial Times, gli Stati Uniti pubblicheranno dati analoghi a quelli presentati oggi dal governo cinese solo a febbraio, tuttavia il report sui primi undici mesi del 2013 indicavano un valore totale sugli scambi pari a 3.570 miliardi, il ché rende praticamente certo il sorpasso del Dragone. In realtà, secondo alcuni storici, si tratta di un controsorpasso dal momento che il Celeste Impero sarebbe già stato il Paese con i maggiori scambi globali durante la dinastia Qing, che si è protratta dal 1644 al 1912. L’ascesa è avvenuta velocemente, con un raddoppio dei volumi ogni quattro anni negli ultimi tre decenni. La Cina è il maggior paese esportatore dal 2009: gli scambi, che nel 2000 rappresentavano il 3% di quelli globali, ora sono al 10%. A cambiare è stata anche la tipologia delle merci esportate: dai prodotti tessili e petroliferi a quelli tecnologici.


Quello che, però, i numeri non dicono è che mentre la tendenza della Cina è negativa, quella degli Stati Uniti è positiva. Dopo la bolla dei mutui subprime, dopo il crollo di Wall Street, dopo la crisi economica, la Terra dell'Abbondanza è tornata ad avere un prodotto interno lordo che migliora le sue performance, avanza del 4%. Nel frattempo Pechino non solo rallenta, ma arriva addirittura a delocalizzare il comparto tessile proprio in America, dove produrre costa meno. Non è da meno per il settore tecnologico: dopo anni di trattative Apple ha concluso l'accordo di partenariato sulla vendita dell’iPhone con China Mobile, il più grande operatore mondiale di telefonia mobile. Laddove tutto era iniziato, alla Borsa di New York, il cerchio si è già chiuso: Wall Street ha infatti chiuso un 2013 pieno di record, il migliore dal 1997, con i principali indici che nell’ultima seduta dell'anno si sono attestati ancora una volta ai massimi livelli di sempre. Il Dow Jones si è congeda dal 2013 oltre i 16.576 punti, mai così in alto da diciassette anni. Su livelli da primato anche l’indice S&P500, che superando i 1.848 punti ha segnato la migliore performance degli ultimi sedici anni, e il Nasdaq che ha inaugurato il 2014 sopra i 4.176 punti. L'impero a stelle e strisce è più vivo che mai.


Nel 2013 Pechino è la prima potenza commerciale a livello mondiale. Ma l'America si prepara a un nuovo boom economico: il pil galoppa e Wall Street è ai massimi da 17 anni





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Andrea Indini

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Published on January 10, 2014 07:33

January 9, 2014

La poltrona di Saccomanni traballa: pure i renziani vogliono la sua testa

"Prima si deve firmare l’Impegno 2014, poi casomai si parla di rimpasto". La linea resta sempre la stessa, ma gli obiettivi in casa piddì iniziano a divergere come non mai. Da Palazzo Chigi e da via del Nazareno la road map tracciata per spiegare le prossime mosse collima, ma difficilmente si può desumere che dietro alle dichiarazioni d'intenti si annidi la stessa visione dei prossimi passaggi che attendono governo e maggioranza. E la figuraccia sui tagli agli stipendi dei professori ha riportato il dicastero dell'Economia al centro di una lotta intestina. Tanto che i renziani hanno deciso di partire alla carica. "Come regola generale il ministero dell’Economia deve essere guidato da un politico - ha sentenziato l'ex vicesindaco di Firenze, Dario Nardella - perché abbiamo visto che l’esperienza dei tecnici non ha funzionato bene".


Dopo un vertice a tre a cui ha convocato i ministri dell’Economia e dell’Istruzione, fiaccato dal pasticcio degli aumenti da far restituire agli insegnanti, Palazzo Chgi ha provato ad abborracciare scuse spiegando che questa storia kafkiana è figlia della gestione Tremonti-Gelmini, transitata nel governo Monti ed "esplosa" in mano a Fabrizio Saccomanni. Un castello di sabbia costruito ad arte che non è certo bastato a diradare le nuvole che si addensano sul capo del numero uno di via XX Settembre che molti all'interno della maggioranza criticano apertamente. Da ultimo anche il neo segretario del Pd Matteo Renzi ha, infine, licenziato Saccomanni per interposta persona. La "sfiducia" è toccata a un renziano di ferro. Il deputato Nardella, appunto, che ha chiesto un politico al Tesoro. Una richiesta che Silvio Berlusconi aveva avanzato già mesi fa. Adesso, però, un rimpasto non basta più. "Non c'è più spazio per cambi volanti - ha commentato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri - tutto il governo è al capolinea, ormai c’è solo da calare il sipario". Lo dimostra la frettolosa ritrattazione di Nardella arrivata un paio d'ore dopo la stoccata contro Saccomanni: "Non scherziamo e cerchiamo di essere seri! Non ho mai chiesto le dimissioni del ministro...".


Nelle prossime ore il premier Enrico Letta tornerà a impegnarsi nella stesura di "Impegno 2014", il patto di coalizione che nell'immaginario di Palazzo Chgi dovrebbe ridare unità alla maggioranza. Domani dovrebbe essere in programma l’incontro con il vicepremier Angelino Alfano, mentre non è stato ancora fissato il colloquio con Renzi. In Transatlantico i rumors davano l’incontro come "non imminente". "Prima Renzi vuole chiudere un po' di consultazioni sulla legge elettorale, solo dopo vedrà Letta", ha spiegato un deputato vicino al leader Pd. "Il nostro obiettivo - hanno aggiunto fonti governative - è chiudere questo primo giro di incontri informali prima della missione del premier in Messico". A questo minuetto sui tempi dei colloqui si intrecciano i nodi veri dei rapporti tra l'esecutivo e il Partito democratico: contratto di coalizione e rimasto. Letta punta stringere la maggioranza a un cronoprogramma capace di mediare le diverse anime che la compongono. Solo con un impegno certo sui temi posti dal Pd Renzi, che fino a poche settimane fa non aveva scartato l’idea di un ingresso di suoi uomini nell’esecutivo, potrebbe accettare di "mettere la faccia" sul governo Letta. Non a caso il premier, che fino a poche settimane fa aveva rifiutato l’idea di un rimpasto, ora non o esclude a priori: "Se le forze di maggioranza lo chiedono, lo valuteremo". "Il Partito Democratico non ha mai chiesto nè ha intenzione di chiedere rimpasti o la sostituzione di questo o quel ministro", ha assicurato Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria piddì. Eppure già girani i nomi dei ministri da rottamare: oltre ad Annamaria Cancellieri e Flavio Zanonato (da tempo sotto osservazione), spicca (oggi più che mai) Saccomanni.


Renziani all'assalto: "Al Tesoro serve un politico". Ma Guerini assicura: "Non chiediamo rimpasti". Il Pd è in tilt





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Andrea Indini


Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni
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Published on January 09, 2014 06:34

December 29, 2013

Ora Renzi disconosce Letta: "Niente in comune con lui"

La strategia è semplice, eppure corrosiva. Da quando ha scalato i vertici del Partito democratico, Matteo Renzi non ha fatto altro che alzare il livello dello scontro, un pressing costante e sfinente su Palazzo Chigi per arrivare gradualmente alla caduta di Enrico Letta. Se non è la richiesta di accelerare sulle riforme, è la presa di distanza dalle mosse del governo: il neo segretario piddì non ne lascia più margini di manovra al premier. Fino a ricordargli, in una intervista alla Stampa, di non aver niente in comune con lui e con il suo vice Angelino Alfano. Una presa di distanza che mette una pietra sopra la premiership di Letta che, stando a un retroscena pubblicato dal Corriere della Sera, avrebbe iniziato a valutare la possibilità di cambiare la squadra di governo, in concomitanza con la firma del contratto di coalizione. Potrebbe essere questa l'occasione per dare un segnale di discontinuità facendo fuori figure tecniche come il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni o il Guardasigilli Annamaria Cancellieri.


I toni si stanno scaldando. I renziani non nascondono più i propri maldipancia nei confronti di un esecutivo che non solo non ne ha mai imbroccata una, ma che nelle ultime settimane ha inanellato una serie di pasticci e figuracce da farsi ridere dietro da tutti. Proprio per questo dalle colonne della Stampa Renzi ci tiene a ricordare di essere "totalmente diverso" da Letta e Alfano. "Le cose bisogna raccontarle per come stanno - spiega - Enrico è stato portato al governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente. Alfano al governo ce l’ha messo Berlusconi, quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze". Il segretario del Pd sventola in faccia al premier il "mandato popolare" che gli è stato conferito alle primarie dell'8 dicembre lasciando intendere che il governo in carica non è stato voluto dagli italiani, ma dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una differenza non da poco che, con l’anno nuovo, intende far pesare il più possibile. "Si passa dalle chiacchiere alle cose scritte", assicura indicando il job act e le riforme come "i due temi capitali" su cui confrontarsi. L’idea di Renzi è di continuare a sostenere il governo, a patto che faccia quel che deve: "Potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose. E la faccenda della nomina da parte di Alfano di diciassette nuovi prefetti è soltanto la ciliegina sulla torta...".


Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare di rimpasto. Lo ha chiesto a gran voce l'ex premier Mario Monti, lo hanno lasciato intendere alcuni renziani. Il sindaco di Firenze, a suo dire, non vuole sentirne parlare: "Quella parola non l’ho mai pronunciata e mai la pronuncerò". "Non ho alcun interesse a mettere pedine e scambiare caselle - assicura - chiedo solo che si cambino stile e velocità nel governo". Epperò di rimpasto continua a parlarsi. Da Palazzo Chigi fanno sapere che "la squadra non si cambia". Tuttavia, stando a quanto riporta il Corsera, Letta ci starebbe pensando su: "Si parlerà di tutto a gennaio con il contratto di coalizione". Intanto, nei corridoi dei palazzi capitolini, iniziano a girare i nomi dei "rimpastabili". Stando all'Huffington Post, nella black list di Letta sarebbero finiti il ministro del Lavoro Enrico Giovannini e il collega allo Sviluppo economico Flavio Zanonato. Non sela passa bene nemmeno ma anche Massimo Bray (Beni culturali) che, dopo l'ultima sconfitta di Massimo D'Alema, è rimasto senza referenti politici. Ma i nomi di peso si guardano tutti dal farli ad alta voce. In primis, la Cancellieri, ancora sub iudice per l'affaire Ligresti. E, poi, Saccomanni, inviso sia a Renzi sia ai sindacati. Due nomi che continuano a passare sotto traccia, sebbene il malcontento sia generalizzato. "E non solo perché Saccomanni lo ha messo e lo vuole lì lui, Napolitano, come la Cancellieri, peraltro – spiega un ministro all'Huffington – ma anche perché, poi, chi ci mettiamo, al posto suo? Monti? Ma suvvia!".


Governo sempre più appeso a un filo. Renzi tira la corda e si prepara alla spallata: "Con Letta e Alfano non ho niente in comune". Rimpasto sempre più vicino: in bilico le poltrone di Cancellieri e Saccomanni, ma Napolitano le difende. Ecco chi rischia di saltare





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Andrea Indini

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Published on December 29, 2013 03:49

December 28, 2013

Così il super euro mette in ginocchio l'Italia

Ieri sera, quando sono state chiuse le contrattazioni, l'euro è tornato sotto la quota monstre di 1,38 dollari. In giornata la moneta unica era volata ai massimi da due anni sulla scia degli acquisti di fine anno delle banche. Si avvia così alla chiusura un 2013 profondamente negativo per l'Eurotower che ha visto la propria valuta fare la voce grossa con le divise delle principali potenze finanziarie mondiali mettendo letteralmente in ginocchio le economie locali dei Paesi Ue. La settimana di Natale vede, infatti, l'euro passare di mano a 1,3789 dollari, dopo aver toccato un massimo di 1,3894. La stessa scena si è vista sullo yen che viene scambiato a 144,76 yen dopo essere schizzato al top da cinque anni toccando i 145,69 yen.


Anche se gli attuali bassi livelli di inflazione registrati nell’Eurozona giustificano la politica estremamente accomodante a livello di tassi di interesse da parte della Bce, in una intervista alla Bild il presidente della Deutsche Bundesbank Jens Weidmann ha invitato la Bce a "stare attenta ad aumentare di nuovo i tassi di interesse al momento giusto una volta che le pressioni sui prezzi dovessero salire". La Bce ha da ultimo ridotto il costo del denaro a inizio novembre, tagliandolo di un quarto di punto al nuovo minimo storico dello 0,25%. Il numero uno della Buba ha giustificato i ripetuti tagli dei tassi di interesse decisi dal Consiglio direttivo guidato da Mario Draghi sottolineando come l’Eurozona "si stia riprendendo solo lentamento dalla più pesante crisi economica del Dopoguerra" a fronte di "rischi di inflazione limitati". Tuttavia, l'eccessivo potere dell'euro e il tasso d'inflazione sotto al livello che la Bce vorrebbe tenere sono un boomerang per le economie interne dei Paesi dell'Unione europea. Se si dà un'occhiata ai principali indicatori economici, appare chiaro che questo sistema colpisce soprattutto imprese e industrie che non sono più competitive sui mercati esteri. E a farne le spese è, soprattutto, il Belpaese.


Nel 2013 il dollaro si è svalutato del 4,2% rispetto all'euro. Il biglietto verde non è certo l'unica divisa a perdere terreno. Mentre la moneta unica è andata rafforzandosi sempre di più, le principali divise hanno via via perso valore. Questo vale per lo yuan cinese (-2%), per il rublo russo (-13%) e per il real brasiliano (-19,7%). Ma anche per lo yen giapponese, che si avvia a chiudere l'anno con un -22% sull'euro. Ieri la Borsa di Tokyo ha chiuso la settimana di contrattazione toccando livelli record, proprio grazie alla debolezza dello yen. L’indice Nikkei 225 delle blue chip è, infatti, salito di 164,45 punti a quota 16.174,44 punti (+1,03%). La piazza giapponese on veleggiava su questi livelli dal novembre del 2007. Anche la lira turca, che risente della crisi politica che ha travolto il premier Recep Tayyip Erdogan, ha perso il 24% sull'euro. La lira è infatti precipitata nonostante la decisione della Banca centrale turca (Tcmb) di vendere parte delle proprie riserve di dollari per sostenere la divisa, già indebolita dalla stretta monetaria della Federal Reserve statunitense. La Tcmb intende, infatti, iniettare sul mercato 450 milioni di dollari al giorno fino al 31 gennaio per sostenere il corso della lira. La stessa politica aggressiva messa in atto quest'anno dalla Fed di Ben Bernanke, che ha immesso sul mercato la bellezza di mille miliardi di dollari, e della Banca del Giappone, che tutti i mesi inietta yen per circa 70 miliardi di dollari. Insomma, l'esatto opposto delle politiche portate avanti dalla Bce.


In questo quadro a soffrire maggiormente sono i Paesi dell'Unione europea che con l'euro così forte non sono più in grado di essere competitive nell'esportazione dei prodotti. Con dei distinguo. Spagna e Francia, per esempio, ne risentono meno perché metà dell'export viene venduto ai Paesi comunitari. Ne fa ne spese maggiormente il Belpaese che, stando alle griglie dell'Eurostat, vende fuori dai confini europei beni per 231 miliardi (ovvero il 59% del suo export totale e il 15% del pil) contro i 216 miliardi di euro di beni acquistati. Se da una parte l'Ue impone all'Italia ferree misure di austerity che vincolano la crescita economica, dall'altra la Bce azzoppa le esportazioni gonfiando il valore della moneta unica e rendendo i Paesi dell'Eurotower non competitivi in un mercato sempre più globalizzato.


Da una parte l'Ue impone ferree misure di austerity che vincolano la crescita, dall'altra l'euro ai massimi rende i Paesi dell'Eurotower non competitivi nelle esportazioni





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Andrea Indini

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Published on December 28, 2013 07:30

Ultimatum del Pd a Letta: "Serve un cambio o si muore"

L'assalto alla presidenza del Consiglio è iniziato. Nelle ultime ore Palazzo Chgi è finito sotto il fuoco incrociato delle truppe democratiche. Il pasticciaccio sul decreto "salva-Roma", prima approvato, poi ritirato e infine copiato e incollato nel Milleproroghe, ha minato e non poco la credibilità dell'esecutivo. Se da una parte il capo dello Stato Giorgio Napolitano è disposto a graziare il premier Enrico Letta, il neo segretario piddì Matteo Renzi non è disposto a mollare di un millimetro: non solo vuole vedere approdare in parlamento, nel più breve tempo possibile, le riforme promesse, ma pretende anche un rimpasto di governo. Ma una nuova squadra di ministri che dia il segno del cambiamento non è abbastanza per una buona fetta democrat. "Questo Pd non può permettersi questo governo e i suoi errori - tuona Davide Faraone, responsabile Welfare nella squadra dell'ex rottamatore - non basta un ritocco, un 'rimpasto', o si cambia radicalmente o si muore".


A Palazzo Chgi tira una brutta aria. I vertici del Pd hanno deciso di non lasciare più margine d'azione al premier e al governo. E nell'aria l'ipotesi delle elezioni anticipate sembra farsi via via più concreto. A guidare le fila nell'assalto a Letta c'è Renzi che, da quando ha preso in mano il timone del Partito democratico, ha iniziato a far salire l'intensità del pressing su Palazzo Chgi e Quirinale. "I tre milioni di persone che hanno votato alle primarie mi hanno dato un mandato in nome del cambiamento e dell'efficienza della politica - ha messo in chiaro il segretario piddì - il pasticcio del 'salva Roma' va in un'altra direzione". Proprio per questo nel patto di governo, che sarà siglato entro il 15, dovranno confluire la riforma della legge elettorale, l'abolizione del Senato, il job act e le misure a sostegno della cultura. Ma, secondo una ricostruzione fatta da Repubblica, le riforme non sono sufficienti a tenere in vita l'esecutivo. "Il tema del rimpasto esiste eccome - ha continuato Renzi - solo che non voglio essere io a proporlo". Dalla sua avrebbe anche l'ex premier Mario Monti che, nelle ultime ore, avrebbe chiesto un riequilibrio dei ministri.


Un semplice rimpasto non sembra accontentare tutto il Pd. C'è chi chiede qualcosa di più, un vero e proprio "cambio di rotta". Farone, per esempio è su tutte le furie. Elenca gli errori e le figuracce del governo: "Dal giorno dell’elezione del nuovo segretario ad oggi viene fuori un filotto impressionante: una legge di stabilità di 'galleggiamento', le slot machine, gli affitti d’oro, il provvedimento su Roma capitale". E ancora: "Si nominano nuovi prefetti, portati a 207 quando le prefetture sono la metà, si 'abbonano' 400 milioni a Roma quando tutti i comuni soffrono". E poi i fondi europei parcellizzati per il Sud Italia e per far fronte all'emergenza lavoro senza alcuna strategia, con il solo obiettivo di non perderli. O, infine, le deroghe al patto di stabilità per i Comuni non virtuosi. Insomma, da via del Nazareno il governo Letta-Alfano è un fallimento a 360 gradi.


In caso di un riequilibrio dei ministri, i primi a rischiare sarebbero due ex montiani. "Ci sono due rappresentanti centristi nell'esecutivo, Mauro e D'Alia - è il ragionamento dei renziani - dopo la loro scissione, entrambi stanno con Casini. Non va bene". In realrà le poltrone traballanti sono molte di più. Come ricostruisce Libero, il sindaco di Firenze vuole la testa del ministro del Lavoro Enrico Giovannini e del Guardasigilli Annamaria Cancellieri. All'interno del Pd, invece, c'è chi preme per far saltare i ministri che rispondono ad Angelino Alfano. Il Nuovo centrodestra occupa cinque poltrone di governo. "Sono troppi - mormorano in via del Nazareno - considerata la scissione del Pdl". A gennaio, la resa dei conti.


Renzi avverte il premier: "Riforme e rimpasto". Ma alla segreteria piddì il rimpasto non basta: "Serve un cambio"





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Andrea Indini

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Published on December 28, 2013 07:19

December 27, 2013

Napolitano grazia Letta

Il premier Enrico Letta prova a mettere una pezza al brutto pasticcio fatto col decreto "Salva Roma". E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è già disposto a graziarlo. Giusto una tiratina d'orecchie a parlamento e governo e l'invito a tenere il "massimo rigore" nel decidere l’ammissibilità degli emendamenti ai decreti legge nel corso del loro esame in parlamento. Ma sull'ammissimibilità del Milleproroghe è disposto a chiudere un occhio. Tanto da andare contro anche alla Corte costituzionale.


Durante la conferenza stampa tenuta al termine del Consiglio dei ministri, Letta ha in qualche modo prevenuto il capo dello Stato spiegando che "l'ingorgo" che si è creato nell’attività legislativa degli ultimi giorni dimostra che "il processo legislativo in Italia non è all’altezza di una democrazia moderna, in grado di funzionare come si conviene". "Il 2014 è l’anno in cui bisogna dotare il paese di un processo legislativo più lineare - ha spiegato il premier - servono riforme che tengano conto delle difficoltà nel rapporto tra il governo e i due rami del parlamento". Ma per Napolitano le promesse di Letta non sono sufficienti. Così, in un messaggio alla Camera letto in Aula dalla presidente Laura Boldrini, ha preso spunto dall'ultima figuraccia fatta dall'esecutivo col "Salva Roma" e i suoi "dieci articoli aggiunti per un totale di novanta commi" per ricordare che il limite nella reiterazione di norme nel decreto Milleproroghe è "individuato nell’insorgere di nuovi motivi di necessità e urgenza". Dopo aver citato sentenze della Consulta e propri precedenti interventi in materia, ha quindi rinnovato l’invito ad "attenersi nel valutare l’ammissibilità di emendamenti ai decreti legge a criteri si stretta attinenza all’oggetto del provvedimento, anche adottando opportune modifiche dei regolamenti parlamentari".


La difesa d'ufficio del capo dello Stato ha messo in allarme l'opposizione che, nelle ultime ore, sono tornate a chiedere chiarezza su quanto accaduto fra il 23, giorno della fiducia sul decreto, e il 24 dicembre, giorno dell’annuncio del ritiro dopo un teso faccia a faccia tra Napolitano e Letta. Per Renato Brunetta il ritiro del decreto "Salva Roma" e la riproposizione di alcune sue norme nel Milleproroghe è, infatti, il segno di un "collasso logico" del governo. "Non era mai accaduto nella storia della Repubblica che un decreto fosse lasciato decadere il giorno dopo aver incassato la fiducia", ha detto ai cronisti il presidente dei deputati azzurri ricordando che la reiterazione è proibita dalla Corte costituzionale. Uno strappo istituzionale che spingerebbe la Lega Nord a sostenere l’impeachment del capo dello Stato invocato da Beppe Grillo. La diffida a Napolitano arriva da Roberto Calderoli che lo ha invitato a "non firmare decreti con contenuti uguali a norme di dl decaduti o ritirati".


Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha chiesto che i criteri che il Colle ha indicato sui Dl "siano rigorosamente rispettati". In caso contrario, ha detto: "Non esiterò a dichiarare improponibili,per estraneità della materia, emendamenti di qualunque provenienza, anche se presentati dai relatori o dal Governo o già approvati dalla Commissione con i pareri favorevoli dei relatori e del Governo".


Il Colle benedice il Milleproroghe: "Reiterazione motivata dall'urgenza". Brunetta lo inchioda: "Proibito dalla Consulta". Grasso: "Bene il Quirinale"





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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Enrico Letta
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Published on December 27, 2013 11:45

December 26, 2013

Ius soli, la Kyenge torna alla carica: "Chi nasce o cresce qui è italiano"

La sinistra è pronta al blitz per cambiare le leggi che regolano l'immigrazione. Obiettivo del nuovo anno: smantellare la Bossi-Fini e riformare la cittadinanza. Le immagini del trattamento antiscabbia al Centro di prima accoglienza di Lampedusa e la protesta degli immigrati al Cie di Ponte Galeria diventano così il grimaldello per dare l'assalto definitivo. Chiesto a gran voce dalle diverse anime del Pd, da Matteo Renzi a Gianni Cuperlo, il premier Enrico Letta ha annunciato alla conferenza stampa di fine anno che la riforma arriverà al più presto: "Non ho dubbi che la revisione della Bossi-Fini sarà uno dei temi di discussione a gennaio, mentre da subito ci metteremo al lavoro per la revisione dei Cie e del sistema di accoglienza nel suo complesso". E non finisce qui. Il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge ha lanciato da Twitter il suo obiettivo per il nuovo anno: "2014 verso una nuova cittadinanza: chi nasce e/o cresce in Italia è italiano".


"Il futuro è investire nell’accoglienza", aveva spiegato nei giorni scorsi il ministro all'Integrazione dopo essere finita nel fuoco incrociato del Pd che la accusava di dividersi tra convegni e cene benefiche senza riuscire a mai risolvere l'emergenza immigrazione. Adesso la Kyenge è pronta a passare al contrattacco e a portare la battaglia per lo ius soli in parlamento. Lo stesso Letta è disposto a spendersi in prima persona a cambiare la normativa che regola la cittadinanza italiana. "Sono sempre stato convinto che una normativa diversa sullo ius soli sia necessaria, non a caso rivendico la scelta di un ministro come Cecile Kyenge - ha spiegato il premier lunedì scorsi - proporrò e lavorerò, dunque, perchè una riforma della cittadinanza e dello ius soli faccia parte del contratto di governo che scriveremo insieme a gennaio". Il governo mette, così, la revisione della Bossi-Fini e del sistema di accoglienza nell’agenda del 2014. Secondo fonti vicine a Palazzo Chigi sarebbe già in via di preparazione un provvedimento - potrebbe anche essere un decreto - che abbassa dagli attuali 18 a due mesi il tempo massimo di permanenza degli immigrati nei Cie ed aumenta le commissioni che esaminano le domande di asilo per affrontare il sovraffollamento dei Cara, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo. Ma il giro di vite che ha in mente la sinistra si limiterà a cambiare la regolamentazione dei centri di prima accoglienza.


Nell’ottobre scorso, all’indomani della tragedia di Lampedusa, lo stesso Letta aveva ipotizzato un confronto nel governo sulla Bossi-Fini, non nascondendo le difficoltà derivanti dal fatto che le forze che compongono l’esecutivo hanno storicamente posizioni diverse su questo tema. Adesso i rapporti di forza all’interno della maggioranza sono cambiati. Renzi ha impresso una forte spinta assicurando che il Pd farà di tutto per "cambiare la Bossi-Fini". Tanto che, alla conferenza di fine anno, il presidente del Consiglio ha pronunciato parole più impegnative. Prima ha ricordato la "pressione senza precedenti" degli immigrati arrivati nel 2013 in Italia, più che triplicati rispetto al 2012 (43mila contro 13mila), in un "anno difficile tra tagli e spending review". Poi ha chiarito che, comunque, "è obbligatoria una revisione complessiva del sistema di accoglienza", il tutto "in una logica di attenzione alla sicurezza dei cittadini". L’ultimo riferimento intende venire incontro alle posizioni del ministro dell’Interno Angelino Alfano, contrario ai richiami dei democrat sulla necessità di rivedere la Bossi-Fini. Già da un paio di mesi una bozza di testo che interviene sui Cie è stata messa a punto da un tavolo costituito dalla Kyenge, dal viceministro e dal sottosegretario all’Interno, Filippo Bubbico e Domenico Manzione. Nei giorni scorsi la stessa bozza è stata ripescata e arricchita. Ma la riforma dei Cie è solo il punto di partenza. Il vero obiettivo della Kyenge è arrivare a modificare le leggi che regolano la cittadinanza italiana.


Il ministro su Twitter rilancia la riforma della cittadinanza italiana: "Chi nasce o cresce qui è italiano"





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Andrea Indini


Il ministro all'Integrazione Cecile Kyenge al Centro Astalli di Roma
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Published on December 26, 2013 04:11

December 23, 2013

Letta nasconde crisi e tasse: "Ora rivedremo la Bossi-Fini"

"Fra un anno tutte le riforme saranno compiute". "L'Italia ce la farà perché abbiamo dietro le spalle la parte più complessa di questa crisi". E ancora: "L'anno prossimo questa nuova generazione darà una svolta all'Italia". Nella conferenza stampa di fine anno, il premier Enrico Letta fa il bilancio dei primi otto mesi di governo allineando una sequela di buone intenzioni e candidi auspici per un 2014 di prosperità e gioia. Nasconde ad arte il peso della pressione fiscale, che il suo governo ha contribuito ad aumentare, e sorvola sulla crescita economica, che a lungo ha promesso ma che il Belpaese non ha ancora toccato con mano. Dalla legge elettorale alla giustizia, dal mercato del lavoro alla delega fiscale è solo un lungo elenco di desiderata per l'anno nuovo. Intanto, però, la ripresa non è ancora iniziata. E finora gli italiani hanno visto solo tasse.


"L'Italia è come un incidentato che ha avuto un incidente pesante e duro, poi è stato portato al pronto soccorso e in sala operatoria - spiega Letta - abbiamo lasciato pronto soccorso e sala operatorie e siamo alla fisioterapia". Non una parola sul vortice di tasse introdotte da una legge di Stabilità che difende unicamente gli sprechi di Palazzo e tutela i soliti. Non una parola sui principali indicatori economici che tragicamente descrivono un'Italia in affanno dove gli imprenditori non riescono a pagare le tredicesimi a propri lavoratori e le aziende chiudono i battenti perché stritolate dalla pressione fiscale e dalla burocrazia statale. Non una parola su un governo inconsistente che, di fiducia in fiducia, deve sperare che l'azionista di maggioranza Matteo Renzi non decida di staccare la spina. Letta augura agli italiani un buon Natale e un felice anno nuovo blindando la squadra di governo e sciorinando obiettivi mai raggiunti e promesse che mai manterrà. "Alla conferenza stampa di fine anno 2014 sono convinto che commenteremo dati economici diversi e migliori e commenteremo riforme istituzionali compiute, a partire dalla riforma elettorale", promette Letta assicurando che, già nel 2013, è avvenuta "una svolta generazionale senza precedenti nella storia della Repubblica italiana".


In realtà, della "svolta" millantata non v'è alcuna traccia. Tanto che il discorso del premier è tutto al futuro. A partire dal mercato del lavoro che, ancora oggi, conta cifre da capogiro sul tasso di disoccupazione e che paga un'eccessiva tassazione. Da qui l'impegno, già annunciato in passato ma mai realizzato, di tagliare le tasse (a partire ad quelle sul lavoro) con i proventi che deriveranno dalla spending review e dal rientro dei capitali illegalmente esportati all’estero. "A gennaio inizieremo una discussione - assicura - perché vogliamo creare occupazione buona, ma non occupazione senza diritti". Sulle tasse, però, Letta non la racconta giusta. Da una parte loda i benefici del taglio del cuneo fiscale, dall'altra assicura di aver abbassato la pressione fiscale a partire dall'abolizione dell'Imu sulla prima abitazione. In realtà, non solo la legge di Stabilità ha introdotto nuovi balzelli, ma l'imposta sulla casa (che nel 2013 non stata del tutto abolita) è destinata a tornare nel 2014 sotto il nome di Tasi.


Per quanto riguarda le riforme, a partire da quelle costituzionali, Letta si dice "ottimista". A sentirlo parlare sembra che per il 2014 si prepari a fare un'imponente infornata. Sulla giustizia rimanda alle Camere la competenza su indulto e amnistia, ma spinge all'approvazione di norme sulla custodia cautelare. Tuttavia, ci tiene a sottolineare che l’Italia non ha bisogno di "una mega riforma della giustizia", ma solo di alcuni "tasselli". Tra questi anche un'inversione di rotta nella legislatura che regola l'immigrazione. Sul tavolo di Palazzo Chigi ci sarebbero anche la revisione della Bossi-Fini e la riforma dello ius soli. Due punti che potrebbero incrinare maggioramente i rapporti tra le forze politiche che siedono in parlamento. Proprio per questo Letta ha invitato Renzi ad andare avanti a dialogare con Berlusconi: "Le riforme devono essere fatte con una apertura vera fuori dalla maggioranza".


Letta incensa il governo: "Il peggio è alle spalle". Ma la ripresa non è iniziata. E gli italiani hanno visto solo tasse





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Andrea Indini


Letta, Bersani, Epifani e Speranza
Letta: "Questa generazione non può fallire"Letta: "L'Italia ce la farà nonostante le tensioni"Letta: "Ridurremo le tasse sul lavoro"Letta: "Gli italiani non hanno pagato l'Imu"Letta: "Berlusconi non cada nella deriva populista"Letta: "Attacchi a Napolitano fuori ogni limite"Letta: "È necessaria la riforma della cittadinanza"Letta blinda il governo: "Non farò alcun rimpasto"
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Published on December 23, 2013 06:26

December 22, 2013

Ora il Pd vuole più poltrone. E a Letta chiede il rimpasto

Era nell'aria ancor prima che Matteo Renzi mettesse le mani sulla poltrona da segretario. Il Pd non ci sta a dividere le poltrone di governo con il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. È una questione di numeri. I democrat non intendono essere messi sullo stesso piano di un partito neonato che, senza essere mai passato attraverso il fuoco delle urne, i sondaggisti danno tuttalpiù al 5%. È toccato a Gianni Cuperlo, fresco di investitura a presidente dell'assemblea piddì, affrontare il premier Enrico Letta e chiedergli più poltrone nel governo. "Mi sono permesso un suggerimento - ha raccontato - perché a gennaio non allarghi la maggioranza a pezzi della società, ad alcune personalità simboliche disposte a dare il loro contributo alla ricostruzione del paese?". Tradotto in parole povere: a gennaio bisogna fare un rimpasto di governo.


Si sono incontrati ieri, Cuperlo e Letta. Il premier preoccupato a difendere lo status quo, il neo presidente del Pd ad avviare il nuovo corso di un partito che fatica a ingranare la gestione renziana. Cosa si siano detti nessuno lo sa con certezza. Non sono stati diramati comunicati stampa da Palazzo Chgi. Solo Cuperlo ha fatto un dettagliato resoconto ai microfoni di Repubblica. "Esiste troppa distanza tra il governo e il Paese reale", avrebbe detto Cuperlo al capo del governo che, nelle ultime ore, ha agguantato per un soffio la legge di Stabilità. Nuove tasse, pasticci degli dei peggiori tecnici, interessi dei lobbisti difesi fino allo strenuo. Le ultime cronache parlamentari stanno mettendo in ginocchio un esecutivo in affanno. "Guai a precipitare in un Monti bis - avrebbe detto Cuperlo a Letta - a gennaio sarebbe saggio prendere l’iniziativa di allargare questa maggioranza a pezzi della società, a una o due personalità simboliche disponibili a mettersi a disposizione per un progetto di ricostruzione sociale ed etica". Sul rimpasto, però, Cuperlo spiega a Repubblica che spetterà a Letta prendere una decisione. "L’importante è accentuare il legame di fiducia con i cittadini - ha comunque sottolineato - non si governa senza la fiducia".


Sebbene la parola "rimpasto" rimanga ai margini del dibattito, nel Pd cresce la spinta di cambiamento. Come fanno sapere fonti vicine a via del Nazareno, riportate da Libero, a traballare maggiormente sarebbe la compagine economica. Sembra, infatti, che Renzi sgomiti per far fuori il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, finito nel mirino dopo i pasticci fatti sull'abolizione dell'Imu e sulle slot machines. In forse anche il ministro del Lavoro Enrico Giovannini e il collega allo Sviluppo Flavio Zanonato. A chiedere un rinnovo della squadra non è solo Cuperlo. Anche il capogruppo piddì alla Camera, Roberto Speranza, è d'accordo: "È un’impostazione che mi sento di sostenere". "Cuperlo ha colto un problema serio che vediamo in questi giorni per la qualità dei provvedimenti che stiamo votando - ha commentato Ermete Realazzi, renziano della prima ora - l'azione di governo ha bisogno di essere molto rafforzata per parlare al Paese e dare risposte reali". Un'esigenza che il sindaco di Firenze ha posto a Letta all'indomani della vittoria alle primarie.


Adesso la palla passa al premier, ben conscio del fatto che il Pd può staccare la spina quando ha voglia.


Ieri il faccia a faccia tra Cuperlo e Letta. Il presidente piddì: "Nuove personalità o rischia il Monti bis". A Palazzo Chigi tira aria di "rimpastino"?





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Andrea Indini


I candidati alle primarie del pd Gianni Cuperlo e Matteo Renzi
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Published on December 22, 2013 10:21

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