Andrea Indini's Blog, page 156
February 24, 2014
Renzi parla ai senatori prima della fiducia: "Votatemi e vi cancellerò"
"Cari senatori, votatemi e vi cancellerò". Matteo Renzi si presenta nell'Aula di Palazzo Madama augurandosi apertamente di essere l'ultimo presidente del Consiglio a dover chiedere la fiducia al Senato. Un augurio che segna subito il passo del pacchetto di riforme che vuole farsi approvare dal parlamento per governare fino al 2018. Dall'Italicum allo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione, dal taglio del cuneo fiscale alla riforma della giustizia sono solo alcuni dei punti di un piano pretenzioso. Che ha un semplice vizio di forma: manca di consistenza. Perché aldilà del lungo elenco Renzi non va.
"Avremmo preferito un chiaro mandato elettorale, ma propongo che questa sia la legislatura della svolta". Ricorda di non avere l'età, Matteo Renzi, citando Gigliola Cinquetti. Non ha l'età per essere eletto senatore. Un espediente anagrafico che puzza di reverenza posticcia. "Ci avviciniamo in punta di piedi e con rispetto profondo e non formale che si deve a quest’Aula e alla storia del paese che qui ha un simbolo", assicura. Ma è solo forma. Perché, oltre a ricordargli che "presto smetteranno di divertirsi", non manca di sottolineare la propria appartenenza al Pd, "partito che non ha paura di presentarsi" alle elezioni. Tanto che le "scelte radicali" annunciate porteranno proprio quel marchio di fabbrica. "Sulla legge elettorale e le riforme costituzionali si è raggiunto un accordo che va oltre la maggioranza di governo - promette - quell’accordo lo rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite". Non si lascia zittire dai grillini, che provano più volte a urlargli contro, e tira dritto ai punti cardine del programma che spazia dai nodi più alti, come la giustizia, il mercato del lavoro e la riforma fiscale, alle esigenze più local, come l'edilizia locale, le periferie da "rammendare" e gli argini da rifare. Un programma che, agli occhi del neo premier, servirà a rilanciare un Paese "arrugginito" che, mai come oggi, necessita di "sogni e coraggio".
Dopo un ampio preambolo sull'Europa, "troppo spesso considerata come la nostra matrigna", Renzi chiede "un cambio radicale della politiche economiche e provvedimenti concreti". Tra questi ci saranno sicuramente lo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti, una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, la costituzione di fondi di garanzia per sostenere le pmi, la sburocratizzazione del pachidermico apparato pubblico. Misure importantissime che, però, non vuole slegate dalle riforme costituzionali e della giustizia. Proprio per questo, a marzo partiranno contemporaneamente la riforma del Senato e quella del Titolo V. La prima sarà incardinata a Palazzo Madama, la seconda a Montecitorio. "Con quale credibilità possiamo dire che è urgente intervenire sulla legge elettorale - chiede provocatoriamente - e poi perdere l’occasione del contingentamento dei tempi?". E per stare al passo coi tempi programma anche una "revisione organica" della giustizia.
Nel lungo discorso programmatico Renzi sorvola sull’effettiva entità degli interventi dal punto di vista della spesa e della copertura economica. Come se avesse smarrito il foglio Excel di cui ha parlato molto nelle scorse settimane, illustra velocemente tutta una serie di obiettivi (molti anche condivisibili), ma con una preoccupante vaghezza. Non manca, per esempio, di ricordare i marò ingiustamente trattenuti in India, ma si guarda dallo spiegare come intende riportarli in Italia. Lo stesso vale per la riforma della giustizia che il premier cita senza però declinarla. A conti fatti Renzi parla di una angoscia nel rapporto tra politica e cittadini che porta alla sensazione di un'Italia vista come un Paese che ha giocato le tutte le sue carte: "Noi abbiamo deciso di cambiare". Peccato che non si sia sprecato a spiegare come intende fare.
Renzi presenta il programma di governo al Senato: "Sia legislatura di svolta per il futuro". E punta a restare a Palazzo Chigi fino al 2018. Nel piano lo sblocco dei debiti alle imprese, il taglio del cuneo fiscale, i fondi di garanzia per le pmi e la riforma della giustizia
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Andrea Indini
Renzi spiazza Alfano: sul tavolo ius soli e unioni civiliRenzi arriva a Palazzo Madama in auto bluRenzi: "In Senato in punta di piedi, non ho l'età"Renzi: "Se perdiamo questa occasione, è colpa mia"Renzi contro i grillini: "Orgogliosi di essere democratici"Renzi ai grillini: "Il Pd non ha paura delle elezioni"
February 23, 2014
Merkel, Bce e Bankitalia in campo: è già iniziato il pressing su Renzi
"Nella mia esperienza di amministratore le tasse le ho sempre ridotte. Niente promesse, ma ci proveremo". È la prima domenica di lavoro all'indomani del giuramento al Quirinale e già Matteo Renzi si lancia in promesse che sicuramente non manterrà. Ai suoi due predecessori, Mario Monti e Enrico Letta, non è andata bene: non solo non hanno ridotto la pressione fiscale, ma si sono addirittura inventati nuovi balzelli. Il neo premier vuole infondere speranza. E così inizia la giornata con un tweet #buonadomenica. Noi, però, non vogliamo fare la fine di Letta che è stato illuso e tradito con un tweet che passerà alla storia: #enricostaisereno. Per questo al nuovo presidente del Consiglio, che da subito ha dato i primi segnali inquietanti, rispondiamo con un altro tweet #matteononstiamosereni.
Renzi si lascia già a andare a promesse che sono fumo negli occhi. Sul taglio delle tasse si sono incartati sia Monti e Letta. A dispetto delle promesse fatte al momento di insediarsi a Palazzo Chigi, si sono fatti entrambi prendere la mano. Tanto da inventarsi nuove sigle (vedi Imu e Tasi, per fare un esempio) per stangare gli italiani. Bisogna andare indietro al governo Berlusconi per trovare un effettivo taglio della pressione fiscale. Come annunciato in campagna elettorale, il Cavaliere aveva infatti cancellato l'Ici, l'odiosa imposta sulla casa. Balzello poi reintrodotto da Monti. Adesso anche Renzi si è messo al lavoro per ridurre le tasse. Dice di averlo sempre fatto, quando si trovava in Provincia e poi in Comune. Dice che partirà da Irpef e Irap. Dice ancora: "Non annunci spot, ma visione alta e concretezza da sindaci". Eppure al suo sottosegretario Graziano Delrio basta che Lucia Annunziata gli metta davanti un microfono per iniziare a cantare annunciando che presto sarà inasprita la tassazione delle rendite finanziarie. Andranno a mettere mano anche sui Bot.
I primi, inquietanti segnali sono già nell'aria. Non c'è da sperare niente di buono. L'oscuro messaggio lanciato ieri dal commissario agli Affari economici Olli Rehn al neo ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan fa venire la pelle d'oca. "Il nuovo ministro dell’Economia sa cosa deve essere fatto", ha detto dal G20 di Sydney. Non gliel'ha detto in faccia: ha aspettato che Padoan salisse sull'aereo per Roma per concedere una battuta tranchant all'agenzia Bloomberg. Lo stesso hanno fatto oggi il governatore della Bce Mario Draghi e il numero uno della Banca d'Italia Ignazio Visco rivolgendosi direttamente a Renzi: "Sono in molti a sapere cosa fare...". La perentorietà dei moniti, il tempismo spiazzante e le precedenti intromissioni di Bruxelles ci fanno temere che le nuove tasse sulle rendite finanziarie possano essere solo l'inizio. Non a caso proprio oggi pomeriggio si è fatta sentire al telefono anche la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Dopo il pizzino di Rehn anche Draghi e Visco avvertono: "Sa bene cosa deve essere fatto...". Telefonata con la Merkel
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Andrea Indini
Il governo indiano gela Renzi: "Sui marò niente compromessi"
Il governo indiano gela Matteo Renzi. All'indomani del giuramento al Quirinale, il ministro della Difesa indiano A.K. Antony torna a sfidare Palazzo Chgi negando l'ipotesi di qualsiasi cedimento dell'esecutivo di Nuova Delhi sul processo ai marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. "Stiamo andando avanti su questa vicenda in base alle leggi indiane", ha spiegato assicurando che non ci sarà alcuno spazio per "compromessi". Insomma, l'India non pensa affatto di faremo marcia indietro: "Saranno processati con le leggi del nostro Paese".
Mario Monti, Enrico Letta e ora Matteo Renzi. Si sono succeduti nell'indifferenza della giustizia indiana che, indifferente al diritto internazionale, sembra puntare a condannare i nostri militari alla pena di morte. Il nuovo inquilino di Palazzo Chigi non ha comunque perso tempo. Sa che tra i tanti dossier in ballo c’è anche quello urgentissimo dei marò e, appena insediatosi a Palazzo Chigi, ha preso il telefono per telefonare in India a Latorre e Girone. Il suo governo - è il messaggio che affida prima a Twitter, poi a una nota ufficiale - è pronto ad affrontare il caso che "considera una priorità, facendo tutto quanto è in suo potere per arrivare il più rapidamente possibile ad una soluzione positiva". Ovvero far tornare a casa i due fucilieri. Ma la telefonata di Renzi non è stata l’unica verso l’India. Nel loro primo giorno da ministri degli Esteri e della Difesa, anche Federica Mogherini e Roberta Pinotti hanno chiamato i due militari, a testimoniare la massima "determinazione" del nuovo esecutivo a fare tutto il possibile per riconsegnarli quanto prima alle loro famiglie.
La vicenda dei due fucilieri di Marina "scotta" dopo i tanti rinvii e passi falsi che hanno lasciato Girone e Latorre da oltre due anni in mano alla giustizia indiana. Antony, il ministro indiano originario del Kerala, dove è avvenuto l’incidente nel febbraio del 2012, non ha alcuna intenzione di ammorbidire la posizione del governo nonostante il collega alla Giustizia abbia sposato l’opinione del titolare degli Esteri sulla inapplicabilità della legge per la repressione della pirateria (Sua Act). Un nuovo pronunciamento è atteso per domani pomeriggio. Dalla Corte di New Delhi però arrivano, ancora una volta, messaggi contraddittori. Secondo il Times of India, solitamente ben informato sul dossier, l’India avrebbe deciso di non applicare il Sua Act escludendo così definitivamente ogni ipotesi, seppur remota, di pena di morte. Ma continuerebbe a sostenere il ricorso alla Nia, la polizia antiterrorismo, e al suo lavoro per la definizione dei capi di accusa. Un altro messaggio controverso in vista dell’udienza di domani, che rischia di tradursi nell’ennesimo "nulla di fatto".
Il ministro della Difesa indiano chiude all'ipotesi di trovare un compromesso sul processo: "Andremo avanti in base alle nostre leggi". Adesso come si muoverà Renzi?
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Andrea Indini
I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
February 22, 2014
Renzi telefona subito ai marò: "Farò semplicemente di tutto"
Il dossier dei marò passa al team di Matteo Renzi. Dopo i clamorosi flop dei ministri che si sono alternati alla Farnesina, Giulio Terzi di Sant'Agata e Emma Bonino, la speranza è che la neo titolare degli Esteri Federica Mogherini riesca a far valere i diritti di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Non solo perché ormai il rientro dei due fucilieri di Marina è improcrastinabile. Ma anche - e soprattutto - perché la nuova scadenza (l’ennesima) della vicenda è proprio per lunedì. Quando la Corte indiana tornerà a riunirsi di nuovo e l’Italia, se si troverà di fronte ad ulteriori meline e rinvii, dovrà dire quel "basta" che da mesi rimbalza non solo nei palazzi ma anche e soprattutto nel Paese. Dopo il giuramento Renzi ha subito telefonato ai due militari e ha promesso loro che il nuovo governo farà "semplicemente di tutto" per riportarli a casa.
Spetterà a Matteo Renzi e ai tre ministri che fanno parte della task force marò decidere la reazione, il passo, la decisione. Per una svolta. "La vicenda dei marò è la nostra prima preoccupazione ed il primo pensiero che dobbiamo avere", ha assicurato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, lasciando il Quirinale dopo il giuramento. Per il momento Renzi non ha ancora anticipato granché. Ma potrebbe non mancare, a sorpresa, un asso nella manica. Nei giorni scorsi il presidente della commissione Difesa del Senato Nicola Latorre, ha annunciato che Renzi starebbe valutando "nuove iniziative". Tra queste anche l'arbitrato internazionale, già "esplorato" dalla task force dell'ex premier Enrico Letta solo qualche giorno fa. Come, tra le righe, si potrebbe desumere dalle parole della Mogherini, che qualche settimana fa ha sottolineato la necessità di "risolvere la controversia nel pieno rispetto del diritto internazionale, giungendo al riconoscimento della giurisdizione italiana sul caso in qualità di 'Stato di bandiera' della nave operante in acque internazionali". "I marò sono nel mio cuore e nel cuore di tutti gli italiani - ha assicurato il ministro della Difesa Roberta Pinotti -dobbiamo con forza riportarli a casa".
Dall’India intanto continuano a rimbalzare indiscrezioni stampa. L’ultima, riferita dal Times of India, vuole il governo indiano deciso ad abbandonare definitivamente il progetto di incriminare Latorre e Girone con l’uso della legge anti-pirateria (Sua Act), ma pronto a chiedere lunedì alla Corte Suprema di mantenere la polizia Nia (di solito usata in casi di terrorismo) per la presentazione dei capi d’accusa. Una situazione, che non farebbe rischiare la pena capitale neppure se riconosciuti colpevoli della morte dei due pescatori. Ancora una volta, un messaggio contraddittorio.
Dopo i flop di Monti e Letta, il neo premier promette maggior impegno per liberare i nostri militari. La Pinotti: "Tornino subito a casa"
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Andrea Indini
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Il pizzino della Ue a Padoan: "Sa cosa deve essere fatto"
"Il nuovo ministro dell’Economia italiano sa cosa deve essere fatto". Il pizzino a Pier Carlo Padoan, in volo a dodicimila metri d'altezza per rientrare dall'Australia, arriva proprio dal G20 di Sydney. Non dice altro il commissario agli Affari economici Olli Rehn ai microfoni di Bloomberg: si limita a una fredda dichiarazione che suona sinistra perché indirizzata al neo ministro che per conto del governo Renzi dovrà far quadrare i conti del Paese, decidere se e dove tagliare e, soprattutto, valutare come andare a racimolare nuovi introiti per le malconce casse pubbliche. Dal canto suo il titolare dell'Economia ha già messo in chiaro che farà subito una verifica sui conti pubblici.
Il nuovo numero uno del Tesoro si trovava in Australia come responsabile economico dell’Ocse. Pur avendo preso il primo aereo disponibile per affiancare Matteo Renzi nella nuova squadra di governo, non ha comunque fatto in tempo a partecipare al giuramento con gli altri ministri. La sua strada è tutta in salita. Di fatto Padoan assicura la necessaria "copertura" a livello internazionale alla politica economica di Renzi. La garanzia di una continuità in questo senso, chiesta e ottenuta da Bankitalia, Bce e Quirinale, è scritta nel suo curriculum. A partire dall’ultima esperienza, quella appena lasciata, di vice segretario generale e capo economista dell’Ocse. Al G20 era fianco a fianco a quello stesso Rehn che, appena spiccato il volo per Roma, gli ha intimato perentorio: "Padoan sa cosa deve essere fatto". Proprio ai tecnocrati di Bruxelles Padoan dovrà esporre la nuova fase di politica economica che, secondo indiscrezioni di palazzo, potrebbe annoverare anche una patrimoniale.
Tra le riforme annunciate ce ne sono due "nodali". Il Jobs act non riguarda direttamente Padoan. Ma l’altra, la riforma fiscale, è sicuramente materia del suo dicastero. Nel corso della carriera da economista Padoan si è più volte espresso sui temi più caldi. Sostenendo, ad esempio, che "le tasse che danneggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà, come l’Imu, mentre le tasse che, se abbassate, favoriscono di più la ripresa e l’occupazione sono quelle sul lavoro". Un’indicazione importante mentre si continua a parlare di taglio del cuneo fiscale, ma dai toni drammatici perché non nasconde la fregola di andare a raschiare sempre nei resparmi degli italiani. Nella prefazione al rapporto dell’Ocse presentato al G20 finanziario di Sydney, ha infatti individuato quattro priorità per il Tesoro. Tra questi anche gli aggiustamenti salariali per ridurre il costo del lavoro, inclusa la riduzione del cuneo fiscale e lo spostamento della tassazione sui consumi, sulla proprietà immobiliare e sulle successioni. Appunto.
Il neoministro dell'Economia di ritorno dal G20: all'interno del governo curerà gli interessi di Bce e Bankitalia. E già avverte: "Farò una verifica dei conti pubblici"
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Andrea Indini
Padoan, il tecnico rosso che parte già rassegnatoPrepariamoci, con Padoan ci sarà la patrimoniale
February 21, 2014
Ecco i ministri del governo Renzi
La squadra è formata. Dopo tre lunghissime ore di faccia a faccia con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il premier incaricato Matteo Renzi scioglie la riserva e scodella un governo di sedici ministri, per metà in rosa. Pur perdendo la vicepresidenza del Consiglio, Angelino Alfano la spunta sugli Interni e resta ben ancora allo scranno del Viminale. Saltano invece i due ministri vicini a Re Giorgio, Saccomanni e Cancellieri. Alla Giustizia arriva il piddì Andrea Orlando, mentre l'Economia tocca al vicesegretario dell'Ocse Pier Carlo Padoan. "Molti di noi si giocano qualcosa di più della carriera, si giocano la faccia", avverte Renzi che si tiene al suo fianco il plenipotenziario Graziano Delrio che entra a Palazzo Chigi come segretario.
"Dovendo fare un governo di quattro anni - ha spiegato Renzi - l’aver impegnato due ore e mezzo è un tempo di messa a punto ben investito". La squadra, che è arrivata al Colle con pochissimo anticipo rispetto all'incontro tra il premier e il capo dello Stato, è composta per metà da donne. Alla Difesa arriva l'ex diesse Roberta Pinotti, già sottosgretario con Mario Mauro durante il governo Letta. L'Istruzione va, invece, al segretario di Scelta civica Stefania Giannini. Allo Sviluppo economico approda l'ex presidente dei giovani di Confindustria Federica Guidi. Il premier incaricato ha tenere vicini a sé due dicasteri importanti: alla fedelissima e giovanissima Maria Elena Boschi (33 anni) toccano così le Riforme, mentre Federica Mogherini (ex diesse e oggi responsabile agli Affari internazionali nella segreteria piddì) scalza Emma Bonino dalla Farnesina. Dalla squadra piddina arriva anche l'ex pupilla di Veltroni, la 33enne Marianna Madia, che si accaparra la Semplificazione e la Pubblica amministrazione. Gli Affari regionali, infine, saranno "gestiti" dalla civatiana Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco anti 'ndrangheta.
A sorridere è sicuramente Alfano che difende fino allo strenuo le tre poltrone targate Ncd. Oltre al Viminale, potrà infatti contare su Beatrice Lorenzin, che viene confermata alla Sanità, e su Maurizio Lupi che continuerà a guidare le Infrastrutture. "Non potevamo chiedere o desiderare di più", twitta il titolare del Viminale. Poi aggiunge: "Per l'Italia". Non va male nemmeno a Dario Franceschini che trasloca dal ministero per i Rapporti col parlamento ai Beni culturali. Va al piddì anche il ministero alle Politiche agricole dove arriva Maurizio Martina. A Giuliano Poletti di Legacoop toccherà un dicastero di peso, quello del Lavoro. Nell’esecutivo c’è un solo altro over 60: Gianluca Galletti, classe 1951 e già sottosegretario all'Istruzione con Maria Chiara Carrozza, passa invece all'Ambiente.
Adesso a Renzi, che domattina giurerà al Quirinale, non resta che vedere se ha i numeri per governare: "Puntiamo al 2018 ma puntiamo domani mattina a fare subito le cose che vanno fatte, altrimenti l’impressione è la conservazione per la conservazione". La fiducia, già fissata alla Camera per martedì mattina, è un passaggio tutt'altro che scontato. Di oggi sono i malumori dei popolari di Mario Mauro che, rompendo coi centristi di Scelta civica, hanno fatto sapere che non appoggeranno il nuovo governo. Di oggi anche il presagio di Silvio Berlusconi che smaschera i franchi tiratori piddì, senatori e deputati vicini a Pier Luigi Bersani e a Massimo D'Alema che faticheranno ad accordare la fiducia al neo premier. Insomma, la strada del nuovo governo è tutta in salita.
Dopo tre ore di faccia a faccia con Napolitano, Renzi presenta la squadra: "Mi gioco la faccia". Ncd non molla le poltrone: Lupi resta alle Infrastrutture, Lorenzin alla Salute. Federica Guidi allo Sviluppo economico. Mogherini agli Esteri al posto della Bonino
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Andrea Indini
Napolitano: "Grandi novità, nessun braccio di ferro""Federica Guidi, un'industriale allo SviluppoSCHEDA / L'età media? 46 anniRenzi twitta dal Quirinale: "Arrivo, arrivo"Napolitano: "Nessun braccio di ferro"Renzi comunica la lista dei ministri
Blitz dei No Tav al Giornale
Un blitz in piena notte. Lo spray nero a imbrattare il portone d'ingresso della sede milanese del Giornale. È solo l'ultimo gesto intimidatorio dei No Tav che nelle ultime settimane hanno alzato il tiro per tenere sotto scacco il nuovo governo. Escalation che vedrà il suo culmine domani quando la protesta tornerà a occupare la Val Susa e oltre quaranta città d'Italia. La nuova mobilitazione del movimento antagonista è "contro l’accusa di terrorismo e la criminalizzaizone di chi lotta" perché l'Alta velocità Torino- Lione non venga mai ultimata. Le minacce dei misteriosi Nuclei Operativi Armati (Noa) che hanno firmato la lettera recapitata all’agenzia Ansa, vengono considerate con la massima attenzione dagli inquirenti torinesi. Tanto che a Palazzo di Giustizia è stato aperto un fascicolo di indagine gestito di persona dal procuratore reggente, Sandro Ausiello.
Da questa mattina le scritte "No Tav" campeggiano su tutta la facciata del Giornale in via Negri 4. La sede storica è stata infatti presa d'assalto nella notte da alcuni antagonisti che hanno imbrattato il portone principale e la vetrina all'ingresso. Ma non è l'unico obiettivo finito nel mirino degli antagonisti: sono state colpite, infatti, anche le sedi del Sole 24Ore in via Monte Rosa, di radio Deejay in via Massena, del Corriere della Sera all’ingresso di via San Marco e dell’Espresso in via Nervesa. Un assaggio di quella che sarà la mobilitazione di domani. Centro nevralgico della protesta saranno la Val di Susa, con una manifestaizone intorno al cantiere di Chiomonte, e Torino, con un corteo che parte dalla centralissima piazza Castello. "Non comprendo, visti i noti precedenti, come si possa permettere l'ennesima manifestazione nel cuore di Torino - commenta il coordinatore torinese di Fratelli d’Italia Roberto Ravello - il corteo, che potrà contare sulle solite scorribande dei gruppi antagonisti, dovrebbe essere vietato". Intanto continua a salire il numero di adesioni alla giornata nazionale di mobilitazione: l'elenco delle città sedi di manifestazioni supera ormai la quarantina.
A spingere i No Tav a una recrudescenza negli attacchi è stata la nuova strategia della procura di Torino che lo scorso agosto ha indagato per "attentato con finalità di terrorismo" quattro antagonisti. "Sono stati sottoposti a misure restrittive per una delle tante passeggiate di lotta contro il cantiere di Chiomonte", si legge nel volantino del movimento. Ma quella che i No Tav definiscono una "passeggiata" per la procura torinese è stato un attacco in piena regola al cantiere con finalità terroristiche. Secondo i giudici del Riesame di Torino che mesi fa hanno riconfermato l’arresto di quattro No Tav, in carcere dal 9 dicembre scorso, l’assalto di cui si sono resi responsabili nella notte tra il 13 e il 14 maggio era frutto di una "organizzazione strategica assimilabile a quella militare" connotata "dall'utilizzo di plurime armi da guerra e congegni esplosivi, e, quindi, di portata tale da porre in grave pericolo la vita o l’incolumità dei lavoratori". Anche la lettera del Noa è presa sul serio dagli inquirenti. Non si tratta, infatti, di una generica invettiva contro i giornalisti "pennivendoli" o i magistrati "malati di protagonismo", ma di un discorso che propone - in un linguaggio che mescola elucubrazioni da vecchie Br e terminologie del nuovo anarchismo - la "lotta armata di liberazione" a chi ha maturato una "consapevolezza rivoluzionaria".
Escalation di violenze degli antagonisti. Imbrattata la sede del Giornale. Domani nuova mobilitazione in tutta Italia
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Andrea Indini
February 20, 2014
Ue, l'austerity della Merkel non basta: la Bundesbank vuole le patrimoniali di Stato
L'austerityi a cui ci ha abituati l'Unione europea ancora non basta. Per quanto molti Paesi colpiti dalla crisi economica abbiano compiuto evidenti passi avanti, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ipotizza un'altra stagione lacrime e sangue con una raffica di patrimoniali di Stato.
"Lo slancio riformatore non dovrebbe diminuire", spiega il numero uno della buba. E fra le strade possibili da intraprendere cita anche quella delle patrimoniali. "Prima di chiedere aiuti agli altri e alla banca centrale - è il ragionamento - in un paese minacciato dall’insolvenza si potrebbero tassare i patrimoni una tantum, anche perché in più di un caso gli stati sovraindebitati sono quelli che detengono un alto patrimonio privato". Weidmann non cita l’Italia esplicitamente, ma è difficile che, rispondendo così alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, non ci abbia proprio pensato. D'altra parte, anche nel Belpaese, troverebbe la sponda giusta per andare a mettere le mani nei conti correnti degli italiani. Lo stesso Fabrizio Barca, sondato per andare a fare il ministro dell'Economia, ha detto chiaramente che servirebbe un prelievo di circa 400 miliardi per andare ad appianare i conti dello Stato. Una posizione che trova la sponda tra le frange estreme della sinistra. "Bisogna andare a prendere i soldi dove sono - ha detto il segretario della Fiom, Maurizio Landini, alla Telefonata di Belpietro - e se si vuole davvero dare un elemento di cambiamento bisogna anche dire che chi in questi anni ha pagato meno, e al limite ha avuto dei vantaggi per il tipo di situazione che si è determinata, adesso è il momento di chiederli se davvero vogliono fare qualcosa per il paese che se ne facciano carico". Per il momento l'ipotesi della patrimoniale è stata scartata da Filippo Taddei. "Il nostro obiettivo è offrire una riduzione del carico fiscale che sia duratura e certa - ha spiegato il responsabile Economia del Partito democratico - la dobbiamo finire con le operazioni straordinarie e i fantomatici gettiti da rientro dei capitali".
Ai tedeschi le politiche lacrime e sangue, che hanno messo in ginocchio molti Paesi dell'Eurozona, sembrano non bastare mai. Come se l'austerity sfrenata portata avanti a oltranza dalla cancelliera Angela Merkel non avesse già fatto troppi danni. Sul fronte della crisi dell’eurozona Weidmann, che da mesi si scontra pubblicamente con il presidente della Bce Mario Draghi, ha riconosciuto i passi avanti compiuti: "Ci sono progressi in alcuni Paesi, ma c’è ancora bisogno di agire". "Le ragioni della crisi vengono da lontano – ha concluso – e non può meravigliare che servano alcuni anni per superarle". Insomma, per il numero uno della Buba sarebbe sbagliato abbassare la guardia. Il ché significherevve, inevitabilmente, un'altra sonora batosta.
Alla Bundesbank la politica lacrime e sangue che hanno messo in ginocchio i Paesi Ue non basta: "Tassare i patrimoni"
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Andrea Indini
February 18, 2014
"Così ho ingannato Barca e smascherato De Benedetti"
A La Zanzara un finto Vendola, interpretato da Andro Merkù, mette a nudo le pressioni dell'Ingegnere su Renzi: ecco come ha fatto
Andrea Indini
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A La Zanzara un finto Vendola, interpretato da Andro Merkù, mette a nudo le pressioni dell'Ingegnere su Renzi: ecco come ha fatto - a cura di Andrea Indini
Il finto Vendola telefona a Fabrizio Barca
February 17, 2014
Barca smaschera De Benedetti: "Trama per scegliere i ministri di Renzi"
Mentre Matteo Renzi lavora alla nuova squadra di governo, un'ombra cala minacciosa sul totoministri. Chi tira davvero le fila ora che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato indebolito dallo scoop di Alan Friedman e dalle repentine dimissioni di Enrico Letta? L'ex ministro del governo Monti Fabrizio Barca non ha dubbi nel puntare il dito contro Carlo De Benedetti, "il padrone della Repubblica" che, attraverso un suo giornalista, starebbe facendo scouting per arruolare i ministri che lavoreranno col sindaco di Renzi.
"Non amo gli assalti... Sono sotto pressione, Nichi. Una pressione che è crescente. Ma io non ci penso proprio, tanto per essere chiaro. Ma proprio proprio...". Peccato che il "Nichi" sia il fake di Vendola messo in campo dalla Zanzara per stanare l’ex ministro piddì. Che, in una roccambolesca telefonata mandata in onda su Radio24, inguaia De Benedetti lasciandosi andare in giudizi piuttosto disincantati sulla partita in corso. "Ho parlato con Graziano e pensavo, 48 ore fa, di averla stoppata questa cosa... - svela Barca - se fallisce anche questa è un disastro, però non possono pretendere che le persone facciano violenza ai propri metodi, ai propri pensieri, alla propria cultura. Quindi sono stato proprio chiarissimo: evitiamo che nasca una cosa alla quale vengo forzato". Solo allora sarebbe entrato in campo il "padrone della Repubblica". Barca non lo nomina mai. Il nome e il cognome, Carlo De Benedetti, non si sentono mai. Eppure c'è lui, l'Ingegnere tessera numero uno del Partito democratico, dietro alla partita che sta portando avanti Renzi. Partita che ha avuto il via con le interviste di Friedman a Mario Monti, Carlo De Benedetti e Romano Prodi sulle trame di Napolitano per far fuori Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi. Le dimissioni di Letta da premier sono un altro, durissimo colpo per il presidente della Repubblica che questa mattina ha incaricato il segretario piddì di formare un nuovo esecutivo.
"Lui (De Benedetti, ndr) non si rende conto che io più vedo un imprenditore dietro un’operazione politica più ho conferma di tutte le mie preoccupazioni. Un imprenditore che si fa sentire...". Al finto Vendola, che gli chiede dettagli, il vero, Barca chiarisce che il "padrone della Repubblica" non solo avrebbe messo in campo un "forcing diretto di sms, attraverso un suo giornalista", ma avrebbe addirittura lanciato su Repubblica.it il sondaggio "Chi vorresti come ministro dell’Economia?". Pur bollandoli come "metodi legittimi", l'ex ministro piddì rinfaccia a De Benedetti di non avrergli mai chiesto il piano che avrebbe portato al dicastero di via XX Settembre. "Se io dico che voglio fare una patrimoniale da 400 miliardi di euro, cosa che secondo me va fatta - chiede - tu cosa rispondi? Mi dici che va bene?". Secondo Barca, l'operazione di Renzi è contraddistinta da "un livello di avventurismo" eccessivo. "Non essendoci un’idea, siamo agli slogan - conclude - sono preoccupatissimo perché vedo uno sfarinamento veramente impressionante".
Oltre a De Benedetti, che si è detto "sbalordito" e ha subito negato qualsiasi coinvolgimento, anche Luciana Annunziata avrebbe sondato la disponibilità di Barca. "Vi prego di non farmi arrivare nessuna telefonata", avrebbe replicato l'ex ministro alla direttrice dell'Huffington Post via sms. Secondo Barca, dietro questa insistenza ci sarebbe la volontà del gruppo De Benedetti di avere al governo "pure la copertura a sinistra" dal momento che l'ex ministro piddì è considerato vicino al Sel di Vendola. "Sono fuori - sbotta sul finale - sono fuori di testa!".
Incalzato da un finto Vendola alla Zanzara, Barca smaschera De Benedetti: "Non si rende conto che io più vedo un imprenditore dietro un’operazione politica più ho conferma di tutte le mie preoccupazioni". E tira in ballo anche la Annunziata
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Chi sceglie i ministri di Renzi? De BenedettiDue di picche di Barca a Renzi: "Io ministro? Siete matti"Il finto Vendola telefona a Fabrizio Barca
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