Andrea Indini's Blog, page 159
January 26, 2014
Legge elettorale, è scontro sulle liste bloccate
La sfida tutta interna al Partito democratico si giocherà domani alla Camera quando arriveranno gli emendamenti al testo base della legge elettorale. L'Italicum, adottato venerdì dalla commissione Affari costituzionali, spacca il Pd di Matteo Renzi in due fronti contrapposti. Eppure il neo segretario è inamovibile nel difendere l'impianto della riforma, soprattutto dinnanzi agli assalti per riavere le preferenze. Sono i listini bloccati il vero grimaldello dei nemici dell’Italicum, che spaziano dalla sinistra piddina ai "partitini", per far crollare l’intesa con Silvio Berlusconi. "Ora presentiamo l’emendamento sulle preferenze, poi proporremo al Pd un contratto di governo per l’emergenza lavoro - minaccia il vicepremier Angelino Alfano - nel 2015 si potrà andare a votare".
"Le preferenze non fanno parte dell’accordo votato anche in direzione: nessuno spazio per iniziative non concordate". Come ricostruisce Repubblica, nei suoi colloqui riservati che hanno preceduto la riunione dei democratche siedono in commissione Affari costituzionali, Renzi ha bocciato l'apertura del premier Enrico Letta. Tuttavia, il segretario piddì sa bene che su ventuno componenti i renziani sono appena otto. E la minoranza è infatti sul piede di guerra e non intende mollare. "Noi — spiega Alfredo D’Attorre — faremo la nostra battaglia alla luce del sole. Se volessimo far fallire la riforma basterebbe un’imboscata con il voto segreto. Gli aut aut di Renzi non servono. Andare alle urne con la legge partorita dalla sentenza della Consulta sarebbe un disastro per la vocazione maggioritaria del Pd. Non conviene neanche a Matteo".
Il fronte piddino anti Renzi è convinto di poter raccogliere l'assist di partitini come il Nuovo centrodestra, il Sel e Scelta Civica. Anche i bersaniani stanno preparando tre emendamenti che puntano tutti a far saltare le liste bloccate: preferenze, collegi uninominali e primarie obbligatorie per legge. Il primo a fornire un assist ai democratici critici è proprio Alfano che, pur avendo sottoscritto il testo base dell'Italicum, sta portando avanti una battaglia tutta sua contro i listini bloccati. Così, dopo aver ricordato che Letta è "espressione del Pd", ha fatto presente a Renzi che se i democratici non sostengono il governo si va dritti al voto. "Il Paese non può pagare le liti interne al Pd", ha incalzato il vicepremier annunciando che il Nuovo centrodestra presenterà l’emendamento sulle preferenze. "I conservatori non mollano, resistono, sperano nella palude - è la risposta piccata di Renzi - ma l’Italia cambierà, dalla legge elettorale al lavoro".
Renzi chiude a Letta: "No alle preferenze". Ma Alfano insiste: "O il Pd sostiene il governo o si vota". Il sindaco lo zittisce: "Vuole la palude"
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Andrea Indini
Brunetta: "O si chiude o si cade già domani"
January 25, 2014
L'inaugurazione dell'anno giudiziario diventa la sfilata delle toghe anti Cav
Nome e cognome non vengono mai fatti. Nessuno dei magistrati intervenuti all'inaugurazione dell'anno giudiziario fa mai il nome di Silvio Berlusconi. Eppure, più e più volte, gli attacchi delle toghe sono indirizzati al leader di Forza Italia. Tanto che il presidente della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio arriva addirittura a lodare la Cassazione per non aver spostato il Rubygate e il processo Mediaset dal capoluogo lombardo a Brescia: "Ha preso una storica decisione".
Nonostante gli interventi del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, continua lo stato di tensione tra le toghe e la politica. I magistrati continuano a ripeterlo allo finimento. Sembra il leit motiv dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. Senza mai mettersi in discussione, le toghe si rimettono al centro dell'agone politico replicando, punto per punto, alle accuse che nelle ultime ore gli sono state lanciate sia dal Cavaliere sia da ambienti vicini al segretario del Pd Matteo Renzi. L'ultimo blitz della procura di Milano, che ha iscritto Berlusconi nel registro degli indagati all'indomani dell'accordo sulla legge elettorale, è apparso ai più per quello che realmente è: una bomba a orologeria per bloccare il processo riformatore. Eppure nessuno dei magistrati è disposto a fare mea culpa. Anzi. Già ieri, in apertura dei lavori, il primo presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce ha spiegato che "lo stato di tensione tra magistratura e politica non accenna a spegnersi". "Il suo persistere, rappresenta una vera e propria spina nel cuore per noi magistrati - ha tuonato - il risvolto più doloroso di questa tensione è una delegittimazione gratuita e faziosa che ha provocato, goccia dopo goccia, una progressiva sfiducia nell’operato dei giudici e nel controllo di legalità che a essi è demandato". L'impianto accusatorio è stato condiviso anche da Canzio che ha accusato la politica di "attacchi personali", "dileggio strumentale" e "infamante gogna mediatica".
Nella relazione per l'inaugurazione dell’anno giudiziario, incentrata sugli "attacchi" subìti dai giudici milanesi di quei procedimenti di "spiccato rilievo politico", il presidente della corte d’Appello di Milano fa, anche senza mai citare direttamente Berlusconi, un riferimento all'istanza di trasferimento del Rubygate e del caso Mediaset. Nel marzo del 2013, infatti, il Cavaliere aveva presentato, tramite i suoi legali, richiesta di spostare i due processi a Brescia per legittimo sospetto. Istanza bocciata dalla Cassazione. Canzio vede, in questa decisione contro il leader di Forza Italia, un motivo di vanto. A tal punto da spendersi in lodi sperticate per l'Alta Corta ringraziandola per aver respinto "il dubbio di una pregiudiziale prevenzione e parzialità dell’intero organo giudicante milanese". "La Cassazione - ha spiegato Canzio - ha scrutinato la 'lampante infondatezza' della richiesta e ha sottolineato il ’commendevole impegno professionale del collegio', profuso 'nel pieno rispetto dei diritti processuali delle parti', al fine di definire i processi in tempi ragionevoli e 'attenti allo scorrere del tempo di prescrizione dei reati'". Canzio ha, quindi, letto la decisione della Cassazione come una "nota di merito" per i giudici milanesi e li ha invitati a "non fregiarsi di questa storica decisione come di una sorta di perenne attestato, acquisito una volta per tutte, bensì, forti della fiducia accordata", di andare avanti nel lavoro fatto fino ad oggi. Un proposito o una minaccia?
All'inaugurazione dell'anno giudiziario il presidente della Corte d’appello di Milano loda la Cassazione: "Su Berlusconi prese una decisione storica"
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Andrea Indini
Canzio: "Contro i giudici infamante gogna mediatica"
January 24, 2014
Il Pd scopre le toghe politicizzate e teme un'offensiva contro Renzi
All'indomani dell'ennesimo assalto giudiziario a Silvio Berlusconi, indagato dai pm di Milano per il "Ruby Ter", i democratici iniziano ad aprire gli occhi. C'è qualcuno in via del Nazarono che sembra prendere coscienza dello strapotere delle toghe e, soprattutto, dell'uso politico che viene fatto delle aule dei tribunali. Il monito al neo segretario del Pd Matteo Renzi, alle prese in questi giorni con la riforma della legge elettorale, arriva da Claudio Velardi. "Occhio, Matteo, il sistema non si lascerà cambiare senza aver combattuto e come al solito si servirà della magistratura per fare a pezzi il riformatore che più lo minaccia. Cioè te". In un'intervista a Qn, l'ex consigliere di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi ammette che il vero ostacolo alle riforme non sono i cuperliani, che puntano solo a riposizionarsi a sinistra, ma "i magistrati che punteranno a far fuori" Renzi.
Il tritacarne giudiziario è già iniziato. Berlusconi, si può dire, ne è abituato. Da vent'anni c'è una folta schiera di toghe politicizzate a perseguitarlo facendolo rientrare in qualsiasi inchiesta pur di screditarlo politicamente. Con la condanna al processo Mediaset e il voto sulla decadenza da senatore, credevano di aver decapitato una volta per tutte il centrodestra italiano facendone fuori il leader. Così, non è stato. I sondaggi danno Forza Italia in ottima salute. Tanto da trainare, in caso di elezioni, l'intera coalizione e portarla al primo o, al massimo, al secondo posto. Non solo. L'intesa con Renzi sulla riforma della legge elettorale non ha fatto altro che accendere i riflettori della procura di Milano sul Cavaliere. Riflettori che, secondo lo spin doctor di D'Alema, potrebbero puntare anche sul sindaco di Firenze. "Da vent’anni non si muove nulla perché ogni volta che qualcuno si azzarda a toccare questo o quell’interesse - ha spiegato Velardi - chi si sente minacciato trova regolarmente nella magistratura il proprio più efficace difensore". Dal momento che Berlusconi Renzi minacciano gli interessi costituiti col fermo intento di cambiare il Paese, la magistratura ha già pronta a muoversi. Anche secondo Berlusconi le procure sarebbero già pronte ad allargare il proprio braccio d'azione provando a colpire Renzi, reo di aver di aperto al leader di Forza Italia la sede del Pd per sottoscrivere un'intesa epocale. Ragionando nelle ultime ore con un parlamentare, l'ex premier avrebbe infatti detto che "Matteo farebbe bene a guardarsi le spalle".
"Per i magistrati l’idea che la politica possa riacquistare la forza perduta è insopportabile". Secondo Velardi Renzi deve stare "attentissimo". A Firenze, stando ai rumors che corrono nei corridoi di Palazzo Vecchio, sarebbe in corso un lavorìo per "trovare un qualche ossicino nascosto nei suoi armadi". Una strategia che fa il paio con il blitz del procuratore Edmondo Bruti Liberati con il terzo capitolo del Rubygate. "Non è certo un caso che come Berlusconi è tornato in campo subito sia ripresa l’offensiva giudiziaria contro di lui", conclude Velardi. Proprio per questo dal quartier generale del Pd fanno sapere di non essere interessati al Ruby Ter. "Siamo concentrati su un altro obiettivo - spiega Davide Faraone, fresco della nomina nella segreteria di Renzi - siamo come quei tennisti così concentrati sul match che non si accorgono del pubblico che grida". Insomma, spiega il renziano, "una cosa è il leader politico del centrodestra, riconosciuto dagli elettori di quella parte politica, e un’altra cosa sono le vicende giudiziarie che hanno riguardato Berlusconi e continuano a riguardarlo".
Toghe all'assalto per far saltare le riforme. I dem temono che, dopo Berlusconi, toccherà anche al segretario piddì
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Andrea Indini
January 22, 2014
Italicum, ecco il testo della nuova legge elettorale
Sembrava già tutto scritto. Invece, il primo stop dell’iter della riforma elettorale arriva quando ancora il testo della legge non è nemmeno stato depositato. A tirare il freno a mano è stato il Pd che ha voluto altro tempo per inserire le modifiche dell'ultimo minuto. Tra queste la cancellazione della clausola "salva Lega", ovvero un dispositivo che permette ai movimenti territoriali di non essere penalizzati dalla ripartizione nazionale dei seggi. Dopo una giornata convulsa di rinvii, veti e controveti, però, la clausola viene cancellata e la bozza della legge elettorale depositata in commissione. Il testo, sottoscritto da Forza Italia, Pd e Ncd, prevede il premio di maggioranza del 18% per la lista o la coaliziona che ha conseguito il 35% delle preferenze.
Il testo dell'Italicum sarebbe dovuto arrivare sui banchi della commissione Affari Costituzionali della Camera nel primo pomeriggio. Ma, dopo un rinvio per le "ultime limature", la presentazione slitta ancora. Un ritardo che genera non pochi attriti tra Forza Italia e i vertici di via del Nazareno. Nel testo dovrebbe rientrare una norma che consenta al Carroccio di superare lo scoglio della soglia di sbarramento. Sebbene Emanuele Fiano, capogruppo piddì in commissione Affari costituzionali alla Camera, faccia notare che già nella precedente legislazione esisteva una norma che consentiva ai lumbard di superare lo sbarramento nazionale qualora avessero raggiunto il 10% dei consensi in almeno tre regioni, i democrat si oppongono fermamente. "Si tratta di un’eredità del porcellum - ha tuonato il piddino Francesco Sanna - non c’è nessuna ragione per riconoscere le aggregazioni interregionali, la Padania non esiste". La clausola "salva Lega" fa storcere il naso anche a quei "partitini" che, essendo presenti su tutto il territorio, non godono di uno zoccolo duro in alcune regioni.
Alla fine dal ddl il codicillo "salva Lega" viene cancellato. Una mossa che non aiuta soltanto a sbloccare il ddl dall'impasse, ma che spinge anche il Nuovo centrodestra a sottoscrivere l'accordo. Secondo fonti parlamentari, infatti, gli alfaniani avevano posto come condizione della sottoscrizione la cancellazione della norma che tutela i partiti territoriali. Il testo base (due soli articoli, in quindici pagine) prevede il premio di maggioranza del 18%, che scatta al raggiungimento del 35% delle preferenze. Alla Camera, seguendo una ripartizione nazionale dei seggi, chi vince al primo turno ottiene 340 seggi, mentre chi invece vince al ballottaggio ne ottiene 327. I restanti 290 seggi vengono assegnati in modo proporzionale. Le soglie di sbarramento richiedono il 12% per le coalizioni (con una soglia interna del 5%) e dell’8% per i partiti che invece si presentano da soli. Fonti autorevoli, però, riferiscono che c'è già un accordo per introdurre, con un emendamento, una clausola che salva il "miglior perdente". Per quanto riguarda gli apparentamenti, non potranno essere sottoscritti dopo il primo turno. La riforma prevede, poi, collegi plurinominali che potranno assegnare da un minimo di tre a un massimo di sei seggi, "fatti salvi gli eventuali aggiustamenti derivanti dal rispetto dei criteri demografici e di continuità territoriale". Le "quote rose" saranno garantite con l'obbligo di inserire il 50% delle donne in lista. Tra le novità anche il divieto delle candidature multiple.
Per quanto il testo nutra un ampio consenso in commissione la strada è tutt'altro che in discesa. Un altro punto di divisione potrebbe essere, infatti, le liste bloccate contro le quali la minoranza piddina è sempre orientata a dare battaglia. "Puntiamo a un emendamento unitario di tutto il gruppo Pd", ha spiegato il bersaniano Alfredo D’Attore. Almeno per il momento, insomma, non sarebbero previsti di emendamenti di "corrente". Una battaglia che verrà combattuta all'interno del gruppo piddì, dove i renziani non hanno la maggioranza, e che troverà gli alfaniani come maggiori alleati. "Condividiamo l’impianto complessivo della proposta - ha commentato il presidente di Ncd, Renato Schifani - non certo quello dell’inaccettabile metodo di selezione dei candidati attraverso liste bloccate".
Premio di maggioranza al 18% per chi raggiunge il 35%. Soglia di sbarramento al 12% per le coalizioni e all'8% per i partiti che corrono da soli. Niente apparentamenti dopo il primo turno. Cancellata la clausola "salva Lega". C'è lo stop alle candidature multiple
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Andrea Indini
In Commissione Renzi non ha la maggioranzaE Grillo lancia la consultazione on lineSCARICA Ecco il testo base della legge elettorale
January 21, 2014
La legge elettorale spacca il Pd: Cuperlo si dimette da presidente
"Prendere o lasciare, non siamo al bar sport" aveva detto sprezzante Matteo Renzi al termine di una concitata direzione nazionale. Alla fine Gianni Cuperlo ha deciso di lasciare. E lo ha fatto sbattendo la porta in faccia al neo segretario piddino: "Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero".
Che le dimissioni di Cuperlo sia prodromiche a una vera e propria frattura è ancora presto per dirlo. Resta il fatto che lo strappo dell'ormai ex presidente del Pd all'indomani della direzione nazionale innesca una profonda ferita all'interno del Partito democratico. Se da una parte la proposta di Matteo Renzi sulla legge elettorale sancisce l'atto di nascita dell'Italicum, dall'altra segna infatti l'acuirsi della faida delle diverse anime che convivono (forzatamente) al Nazareno. Sebbene la minoranza avesse deciso di astenersi dando così vita all'Italicum senza alcun voto contrario, il botta e risposta non è passato senza conseguenze inosservato. D'altra parte, subito dopo aver incassato il via libera alla riforma della legge elettorale. i renziani sono stati i primi a chiedere la testa di Cuperlo. "Il livore e l'astio che hanno caratterizzato il suo intervento contro il segretario - aveva tuonato ieri sera la senatrice Rosa Maria Di Giogi - rendono evidente che non è in grado di garantire la terzietà richiesta da un ruolo di garanzia, come quello che ricopre".
Così, durante la riunione della minoranza, sono arrivate (puntuali) le dimissioni. Leggendo la lettera scritta al segretario per motivare la decisione, Cuperlo lo ha accusato di essere solito "replicare a obiezioni politiche con attacchi di tipo personale". Non ha mandato giù la stoccata del sindaco quando gli ha proposto di introdurre le preferenze. "Avrei voluto sentirti difendere le preferenze quando sei stato eletto nelle liste bloccate", gli aveva replicato Renzi. Sul momento Cuperlo si era trincerato dietro a un muro di silenzio. Oggi, invece, ha deciso di non lasciare nulla di non detto: "Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso - ha spiegato oggi - voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità". Renzi non si è affatto scomposto. E, ricevute le dimissioni, ha tirato dritto rimettendo al centro del dibattito la riforma della legge elettorale: "Rimettere in discussione i punti dell’accordo senza il consenso degli altri rischia di far precipitare tutto". Non resta che vedere se i "suoi" parlamentari saranno disposti a seguirlo.
Il via libera all'Italicum segna l'acuirsi della frattura interna al Pd. Dopo lo scontro alla direzione nazionale, Cuperlo si dimette da presidente del Pd e attacca Renzi: "Sei solito replicare a obiezioni politiche con attacchi di tipo personale"
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Andrea Indini
Renzi mette in riga il Pd: "Prendere o lasciare"Letta pensa al bis per non farsi esodareNon solo Cuperlo: ecco il "correntino" anti RenziRenzi zittisce Cuperlo: "Sei stato eletto nel listino"Fassina difende Cuperlo: "Da Renzi frase negativa"Zoggia attacca Renzi: "Come fai a fidarti del Cav?"
Cancellieri denuncia: "Ci sono quasi nove milioni di processi pendenti"
Nove milioni di italiani sono rimasti invischiati nei gangli di una giustizia lumaca, incapace di garantire un giusto processo a chiunque varchi la soglia dei tribunali. È un numero che fa impallidire, un buco colossale che tratteggia tutto il fallimentare del sistema giuridico italiano. A metà dell'anno scorso il dicastero di via Arenula contava 5.257.693 processi pendenti in campo civile e quasi 3,5 milioni in campo penale. Quasi nove milioni, appunto. E dietro a ciascuno di questi processi c'è la storia di un cittadino stritolato dall'incompetenza di certi magistrati, dalle lungaggini burocratiche e dai continui rimpalli che allungano i tempi all'infinito.
Nella relazione annuale sull'amministrazione della Giustizia, il Guardasigilli Annamaria Cancellieri ha denunciato il cattivo funzionamento del sistema giudiziario che continua a essere "in sofferenza" nonostante "i numerosi interventi introdotti negli ultimi anni". "È sotto gli occhi di tutti l’eccessivo carico di lavoro che affligge gli uffici giudiziari", ha spiegato il ministro svelando che sono quasi nove milioni i processi pendenti. Ritardi che i cittadini pagano due volte: sulla propria pelle, ogni qual volta si trovano a varcare la soglia di un qualsiasi tribunale, e sui propri risparmi, dal momento che lo Stato ha contratto con le vittime della giustizia lumaca un debito di trecentoquaranta milioni di euro. In base alla legge Pinto del 2001, chi vede i propri processi superare i tempi ragionevoli di durata può chiedere allo Stato di essere indennizzato per ogni anno di ritardo. Nel 2012 il governo Monti ha fissato l'entità dei rimborsi (da 500 a 1500 euro all'anno) e la durata "ragionevole" dei processi: tre anni per il primo grado, due per il secondo, uno per la Cassazione. Tempi che, soprattutto nel settore civile, non vengono vengono quasi rispettati. Il monte complessivo dei risarcimenti accumulati fino al 2013 corrisponde a un ritardo totale di seicentottantamila anni. Il ministero di via Arenula ha, tuttavia, certificato, rispetto al 2012, un "calo" delle pendenze (per tutti i gradi di giudizio) del 4%, che arriva al 6% in Corte di appello.
A Montecitorio il Guardasigilli ci ha tenuto sottolineare "la riduzione del 20% in tema di ricorsi in materia di equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi". Tuttavia, basta leggere le mail dei lettori del Giornale.it per comprendere la drammaticità della situazione. Invitati a scrivere la propria storia di mala giustizia, a centinaia hanno raccontato di ritardi decennali, sviste grossolane, ingiustizie, rimpalli o, più comunemente, errori che hanno trascinato i processi all'infinito. La Cancellieri, però, non ci sta a mettere in discussione l'operato dei magistrati. Anzi, ha ricordato che sono "i primi in Europa per produttitività". Piuttosto ha incentrato la sua relazione sull'attuazione della riforma della nuova geografia giudiziaria che, a suo dire, potrebbe avere "un’importanza strategica" nel miglioramento del sistema giurico italiano. Invece, per quanto riguarda l'emergenza carceri, ha rimadato alle Camere "la responsabilità di scegliere se ricorrere" all'indulto, a lungo invocato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e "rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni" dell'Unione europea.
Sistema giudiziario sofferente. Cancellieri promuove i magistrati: "Primi in Europa per produttività". Ma in Italia sono quasi nove milioni i processi pendenti. Racconta la tua storia a malagiustizia@ilgiornale-web.it
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Andrea Indini
Il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri riferisce in Aula
Cancellieri: "Ci sono 9 milioni di processi pendenti"
January 20, 2014
Dopo Mediaset anche il Ruby3? Nuovo assalto delle toghe al Cav
La longa manus del tribunale di Milano incombe ancora su Silvio Berlusconi. Dopo il voto sulla decadenza da senatore, le toghe si sono ritirate a Palazzo di Giustizia ma sono già pronte a sferrare l'ennesimo attacco giudiziario. Con un sincrono che fa impallidire i migliori orologiai svizzeri, all'indomani dell'accordo con Matteo Renzi sulla riforma della legge elettorale i giudici milanesi hanno subito affilato le armi. Così, mentre il tribunale di Sorveglianza di Milano mette il turbo per discutere sull'affidamento di prova ai servizi sociali, la procura guidata dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati si prepara a iscrivere il Cavaliere nel registro degli indagati per il "Ruby Ter". Una mossa che, stando ai rumors che corrono a Palazzo di Giustizia, punterebbe a far saltare l'accordo sulla legge elettorale.
La magistratura si è rimessa in moto. La tempistica è quantomeno singolare, non c'è che dire. Poche ore prima che iniziasse la segreteria del Partito democratica, convocata da Renzi per presentare la riforma della legge elettorale messa a punto col leader di Forza Italia, il tribunale di Sorveglianza di Milano ha fissato all'11 aprile l’udienza in cui verrà discusso l’affidamento di prova ai servizi sociali di Berlusconi, condannato a quattro anni di carcere nel processo Mediaset. Il provvedimento di fissazione dell’udienza è stato notificato ai difensori proprio oggi. E fa il paio con un'indiscrezione che, trapelata dagli uffici del tribunale meneghino, è stata immediatamente riportata da Dagospia. Si tratta solo di rumors che, almeno per il momento, la procura guidata da Bruti Liberati non smentisce. Tuttavia, il condizionale è d'obbligo quando si ha a che fare coi giudici milanesi che, dopo svariati mesi passati a passare gli atti del processo Ruby al quarto piano di Palazzo di Giustizia, sarebbero pronti ad "annunciare l'iscrizione sul registro degli indagati" di Silvio, proprio mentre questi si appresta a siglare con Renzi un accordo storico di riforma costituzionale.
C'è chi aspetta il nuovo assalto giudiziario da almeno una settimana. Secondo Dagospia, però, l'annuncio dei pm milanesi potrebbe arrivare domani. Il blitz di Renzi e Berlusconi sulle riforme ha spiazzato a tal punto la procura da farla correre ai ripari? È la risposta delle toghe all'Italicum inviso alla sinistra radicale e alla vecchia guardia del Pd? "I primi effetti delle sentenze Ruby1 e Ruby2 dovevano essere una nuova inchiesta su presunte false testimonianze di Olgettine e altri testimoni in favore del Cavaliere - fa notare Francesco Bonazzi su Dagospia - nelle motivazioni del Ruby2, depositate a fine novembre, si ipotizzava anche il reato di corruzione in atti giudiziari per via di quegli stipendi corrisposti mensilmente da Arcore alle ragazze del bunga bunga". L'apertura formale del terzo filone d'inchiesta legato al Rubygate era attesa addirittura prima di Natale o, al più tardi, entro i primissimi giorni dell'anno. L'accelerata di Berlusconi e Renzi per trovare un'intesa sulla riforma della legge elettorale deve aver spiazzato le toghe che adesso si affrettano a indagare per "corruzione in atti giudiziari".
L'iscrizione nel registro degli indagati metterebbe a rischio le riforme? Impossibile dare una risposta. Se da una parte il leader di Forza Italia ha le spalle grosse per incassare l'ennesimo assalto della magistratura, dall'altra il vecchio establishment piddino sarebbe svelto nel saltare alla gola di Renzi accusandolo nuovamente di "stringere accordi con un pregiudicato". Se così fosse, insomma, le riforme rischierebbero (ancora una volta) di rimanere appese al cappio della giustizia politicizzata.
I pm di Milano starebbero per iscrivere Berlusconi nel resgistro degli indagati per il "Ruby Ter". Un blitz per far saltare l'accordo con Renzi sulla legge elettorale?
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January 17, 2014
De Girolamo in un'Aula deserta: "Sono vittima di un complotto"
"Vengo con determinazione a spiegare i motivi per cui, mai e poi mai, ho abusato del mio ruolo di deputato e mai ho violato la Costituzione". Quando Nunzia De Girolamo inizia a rispondere alle interrogazioni del Pd e del Nuovo centrodestra, l'Aula di Montecitorio è semideserta. Pochissimi deputati tra i banchi ascoltano il ministro alle Politiche agricole mentre spiega il proprio coinvolgimento nelle vicende della Asl di Benevento, l’azienda su cui il procuratore Giuseppe Maddalena e il pubblico ministero Giovanni Tartaglia Polcini hanno aperto un’inchiesta con l’obiettivo di fare luce sulla gestione di nomine e appalti. "La mia vita di politico, di persona e di donna - ha spiegato - è stata travolta da un linciaggio e un accanimento senza precedenti".
"Questa vicenda è kafkiana - dice la De Girolamo in Aula - a leggere i giornali sembra che sia io ad essere sotto inchiesta ma la realtà è diversa, io non sono indagata, indagato è Pisapia e l’intercettazione è abusiva". A chiamare in causa il ministro alle Politiche agricole, all’epoca dei fatti coordinatore provinciale del Pdl, è Felice Pisapia, ex direttore amministrativo della Asl, accusato di truffa e malversazione. Nell’ordinanza con la quale è stato disposto nei suoi confronti l’obbligo di dimora il gip scrive che esiste un "direttorio politico-partitico" che avrebbe condizionato e influenzato le scelte nella Asl di Benevento. Un direttorio che, scrive il giudice, "si occupava, in funzione di interessi privati e di ricerca del consenso elettorale, con modalità a dir poco deprimenti ed indecorose, di ogni aspetto della gestione della Asl". Il manager ha registrato una serie di colloqui avvenuti nell’estate del 2012 nella casa del padre della De Girolamo, all’insaputa di tutti i partecipanti. Conversazioni che alla Camera la De Girolamo ricorda riguardare anche aspetti e considerazioni di carattere privato che sono state rese pubbliche. Proprio per questo devobo essere considerate "illecite". Le verifiche sui colloqui, che Pisapia ha consegnato in procura, sono state comunque assegnate alla Guardia di Finanza che ha già consegnato un’informativa in cui si sostiene che all’epoca non si ravvisavano elementi penalmente rilevanti.
"Mai e poi mai - sottolinea la De Girolamo alla Camera - il mio nome è coinvolto in una truffa che riguarda altre persone, una delle quali ha costruito un dossier contro di me frutto di un complotto ai miei danni". Nelle ultime ore la procura ha disposto anche l’acquisizione di un colloquio che risale al novembre 2012 e che non è agli atti dell’inchiesta. "Attenta, il Pd locale ti vuole inguaiare - dice Pisapia alla Di Girolamo - vogliono arrivare a te tramite me". Emerge quindi un vero e proprio complotto orchestrato da Umberto del Basso De Caro (oggi deputato del Pd), Michele Rossi (direttore generale Asl) e Roberto Prozzo (avvocato politicamente impegnato), per "inguaiare" la De Girolamo. Che, in Aula, ci tiene a ricordare come le stesse carte degli inquirenti mettano in luce la "pericolosità dei soggetti coinvolti". Confermando di aver tenuto riunioni in casa, perché soffriva di "una particolare patologia post partum", il ministro avverte che in questo complotto sono state estrapolate espressioni che, "collegate tra loro, offrono un suggestivo richiamo giornalistico", ma che non rappresentano la verità. "Mi è stato chiesto, anche da persone autorevoli, di intervenire per amici, mogli, compagni e fratelli - spiega - ho sempre detto 'no' e oggi mi fanno pagare anche questo".
Il ministro: "Non ho mai violato la legge". E condanna le intercettazioni: "Frasi estrapolate che stravolgono la realtà". Ma l'Aula resta semideserta
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Andrea Indini
Le parole nel vuoto del ministro De GirolamoLa De Girolamo arriva in Aula alla CameraDe Girolamo: "Mai abusato del mio ruolo"De Girolamo: "La mia è una situazione kafkiana"De Girolamo riferisce alla Camera ma l'Aula è vuotaBoccia in Aula per ascoltare la moglie NunziaSel interrompe la De Girolamo: esposto cartello in Aula
January 16, 2014
Nel 2013 Alfano indagato e archiviato per una casa in affitto
Le accuse, le indagini, l'archiviazione della pratica. È passato tutto sotto traccia. Il vicepremier e ministro dell'Interno Angelino Alfano è stato indagato per "finanziamento illecito" per una casa a due passi da Campo de' Fiori che gli è stata affitata a soli 500 euro al mese da un imprenditore vicino al boss Matteo Messina Denaro. La notizia è rimasta dentro alle mura della procura capitolina che, dopo aver ricevuto il dossier dai pm di Milano, ha deciso di archiviare il caso e prosciogliere dalle accuse il leader del Nuovo centrodestra.
Nell'indagine, pubblicata solo dal Corriere della Sera, è acclarato che il reato non c'è stato, ma i pm di Roma hanno dimostrato che lo sconto di 5-6mila euro c'è stato eccome. Ma andiamo con ordine. Nel 2012 la procura capitolina riceve da Milano un fascicolo. Si tratta di una costola di una più complessa indagine su certi imprenditori che investono nei parchi eolici. Nell'occhio del ciclone c'è Roberto Saija che, insieme al "re del vento" Vito Nicastri e a Gaetano Buglisi (entrambi indiziati), avrebbe avuto a che fare con quei 13 miliardi di euro generati da una maxi truffa allo Stato legata ai contributi pubblici per il settore eolico. In questo brutto affare, che sembra portare dritto dritto a Messina Denaro, spuntano anche alcune mail che tirano in ballo Alfano. Secondo un rapporto delle Fiamme Gialle, infatti, Saija aveva dato in affitto all'attuale vicepremier "un appartamento nel cuore di Roma a meno di 500 euro al mese per una casa sui 60 metri quadrati dietro Campo de' Fiori". Il contratto d'affitto, stipulato tramite una società di Saija, risale al triennio 2006-2008. Al tempo Alfano non era ancora arrivato al dicastero della Giustizia. Nel 2009 gli sarebbe, quindi, subentrato uno del suo staff ministeriale.
Domani inizieranno a Milano i dibattimenti sul processo che vede alla sbarra Saija, Nicastri e Buglisi per i loro rapporti con Messina Denaro. I tre imprenditori sono accusati dai pm meneghini di "aver ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa di gran parte di un 'fondo nero' di 12,9 miliardi, profitto di una truffa realizzata ai danni del Fisco" sull'ammontare di una plusvalenza sparita tra Lussemburgo e Malta. In un secondo tempo sarebbero stati effettuati trasferimenti di denaro dai paradisi fiscali vuoi per "finanziare soci" vuoi per "pagare competenze professionali", al solo scopo di "far rientrare le somme in Italia". Nel 2012, indagando proprio sui fondi neri dei tre imprenditori, i pm di Milano avevano messo gli occhi sull'appartamento di Campo de' Fiori che la Immobiltel (società riconducibile a Saija) aveva preso in leasing da Banca Italease e che "da metà febbraio 2006 alla fine del 2008" affittò appunto ad Alfano. Sentito dagli inquirenti, l'imprenditore di Messina ha privilegiato l'attuale ministro dell'Interno con un canone favorevole in rapporto a stime medie fra i 1.400 e i 2.000 euro sia perché l'appartamento veniva occupato solo pochi giorni alla settimana sia perché c'era l'impegno a liberarla subito libera qualora fosse stato necessario.
A iscrivere Alfano nel registro degli indagati è stata la procura di Roma. Ma il vicepremier non è mai finito davanti ai pm per essere sentito. E nel 2013 il caso è stato archiviato perché le toghe hanno valutato che lo "sconto" da 5/6mila euro non è così ingente da "fondare l'esercizio dell'azione penale".
Appartamento a Campo de' Fiori a meno di 500 euro al mese. L'affittuario è Roberto Saija, imprenditore a processo per i suoi rapporti col boss Messina Denaro
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Andrea Indini
January 15, 2014
Vertice con Berlusconi, il Pd contro Renzi: "Mai un pregiudicato nella sede del partito"
La luna di miele di Matteo Renzi è già finita. Gli saltano già tutti al collo. Ad alzare i toni dello scontro è Alfredo D’Attorre. Nelle ultime ore l'esponente dell’ala bersaniana ha sollecitato il segretario ad avere grande cautela nei contatti sulla legge elettorale con Silvio Berlusconi. "Immagino che Renzi sarà cauto su mosse che possano resuscitare politicamente Berlusconi - ha detto il deputato ai cronisti in Transatlantico - e che non incontrerà un pregiudicato nella sede del Pd". Dichiarazione di fuoco che rigettano il partito nel caos pre primarie.
Nella direzione di domani gli esponenti dell’area vicina a Gianni Cuperlo chiederanno a Renzi di dire "finalmente una parola chiara" a sostegno del governo Letta, "perché è il suo governo, innanzitutto". Va bene pungolare l’esecutivo, "incalzarlo" perché non si lasci risucchiare dalle sabbie mobili delle trattative, ma ribadirne ad ogni piè sospinto l’immobilismo equivale a logorarlo, spiegano esponenti della sinistra piddì a Montecitorio. Ma l’atteggiamento nei confronti del governo non è l’unico elemento di critica nei confronti del segretario. La legge elettorale, che domani sarà al centro della riunione dei 120 membri della direzione, è "sbagliata nel metodo prima ancora che nel merito". Nel metodo, perché trovano "controproducente" porsi una dead line come il 27 gennaio se "al 15 gennaio non c’è ancora un testo condiviso in prima commissione". Nel merito perché, detto fuori dai denti, ai democratici proprio non va giù che il segretario del Pd si veda con Berlusconi - il nemico di sempre che, con l'aiuto della magistratura, sono riusciti a cacciare dal parlamento - e con Berlusconi tratti una riforma condivisa.
Eppure, mentre si raffreddano i rapporti con gli alfaniani del Nuovo centrodestra, Renzi ha voluto incontrare Denis Verdini, già sentito nei giorni scorsi al telefono. E l’emissario di Berlusconi avrebbe consegnato al segretario piddì la risposta ufficiale di Forza Italia: disponibili a un accordo sul sistema spagnolo. La soluzione ispanica spaccherebbe la maggioranza e, soprattutto, il Pd. L'ala più a sinistra di via del Nazareno ha, infatti, già indicato nel doppio turno di coalizione il sistema migliore. "La Consulta - spiegano dai vertici del Partito democratico - ha dato vita a un sistema che, con le preferenze, ridà ai cittadini il potere di scelta. A questo punto sarebbe da stupidi fare passi indietro con accordi con Berlusconi per sistemi che mettono il segretario nella condizione di scegliersi i parlamentari". Eppure Renzi non intende affatto accantonare la proposta di Verdini. Né intende accantonare il dialogo con il Cavaliere, con cui non esclude un incontro. Perché, ribadisce, l’obiettivo è "portare a casa" una legge con il più ampio consenso. Un presupposto per niente condiviso dalla maggioranza del partito. "Se siamo seri - spiega ai microfoni del Tg5 - non possiamo non considerare quello che dice Forza Italia".
Al momento nell'agenda di Renzi non sarebbe stato ancora fissato l'incontro con Berlusconi. Tuttavia, fonti vicine al quartier generale di Forza Italia riferiscono che il faccia a faccia potrebbe però esserci entro il prossimo fine settimana. È bastata l'ombra dell'incontro per mandare in escandescenze il partito e a far salatare la tregua armata. I primi ad alzare la voce sono stati i bersaniani. "Immagino che Renzi sarà cauto su mosse che possano resuscitare politicamente Berlusconi - ha tuonato D'Attorre - e che non incontrerà un pregiudicato nella sede del Pd". Secca la replica della senatrice Isabella De Monte, membro della Direzione piddì: "Abbiamo fatto un governo con Berlusconi, incredibile che oggi si contesti un dialogo con Forza Italia, come con tutti gli altri partiti, sulla legge elettorale". Ma la spocchia di D'Attorre è sicuramente condivisa da un'ampia fetta del partito.
A giorni il faccia a faccia. Il Pd attacca Renzi: "Non trattare col Cav". Ma il segretario insiste: "Impossibile non considerare Forza Italia"
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