Andrea Indini's Blog, page 161
December 21, 2013
Ricetta dei prodiani: patrimoniale da 113 miliardi
È sempre il solito, brutto vizio della patrimoniale. Cambiano i governi, ma la ricetta della sinistra per fare cassa resta la stessa. Sul nuovo corso del Pd targato Matteo Renzi incombe l'ombra di Romano Prodi che, attraverso uno studio di Nomisma, scodella un piano famelico per andare a rastrellare il 10% delle ricchezze delle famiglie più abbienti d'Italia.
In piena corsa per le primarie, Renzi aveva assicurato che dev'essere prerogativa della sinistra «chiedere di abbassare le tasse». Uno slogan irreale, lanciato forse per far scordare agli italiani le rapine messe a segno da maestri delle tasse del rango di Amato, D'Alema o Visco. Una volta salito al governo, il Pd ha infatti trovato sempre il modo per andare a colpire le ricchezze. Non stupisce, quindi, se in piena discussione sulla legge di Stabilità il pensatoio vicino a Prodi pubblica uno studio per andare a falcidiare i beni liquidi. Non contento della sfilza di tasse e nuovi balzelli ideati quando sedeva a Palazzo Chigi, il Professore è così tornato in pista per proporre al governo una nuova patrimoniale. Eccola lì la parola magica che fa brillare gli occhi a tutta la sinistra.
Nello studio pubblicato in questi giorni, il presidente di Nomisma Pietro Modiano e il capo economista Sergio De Nardis fanno passare il rilancio dell'Italia attraverso un ineludibile prelievo straordinario. Una patrimoniale, appunto. La società di consulenza ha già fatto una stima del gruzzoletto su cui il Tesoro potrebbe mettere le mani. Calcolando che la ricchezza liquida si aggira intorno ai 2.400 miliardi di euro e che il 47,5% di questo ammontare (ovvero 1.130 miliardi) è posseduto dal 10% più ricco delle famiglie italiane, Modiano e De Nardis propongono di approvare un prelievo una tantum del 10% su questa fascia. Prelievo che, stando ai calcoli, «darebbe luogo a un gettito di entrate per lo Stato di 113 miliardi di euro, sette punti percentuali di Pil, da distribuire alle famiglie più povere e alle imprese» in difficoltà.
In realtà, quello che il pensatoio di Prodi ha in mente non è una vera e propria una tantum. Ma una patrimoniale da ripetere nel tempo. «Se questa tassa sul patrimonio venisse pagata in quattro rate annuali di 28 miliardi - si legge nello studio - il bilancio pubblico potrebbe fornire uno stimolo equivalente nell'arco di un quadriennio all'economia, modificandone il sentiero di crescita». La manovra di prelievo straordinario dovrebbe essere, quindi, avviata nel 2014 per poi essere ripetuta nel triennio successivo, fino al 2017. Secondo gli economisti del centro studi bolognese, «la strada per reperire le risorse necessarie a un rilancio dell'economia italiana passa, dunque, per una mobilitazione straordinaria del risparmio di chi possiede di più a favore delle fasce più povere della popolazione e delle imprese che devono confrontarsi con la competizione internazionale».
I prodiani non sono certo gli unici ad apprezzare la patrimoniale. Sebbene Renzi abbia più volte allontanato la possibilità di praticare questa misura, il suo economista di fiducia, il democrat Yoram Gutgeld, la pensa diversamente. Tanto che nel piano economico da sottoporre a Letta ha infilato un prelievo sugli assegni più alti. Non è da meno il responsabile Economia del Pd, Filippo Taddei, che per recuperare i fondi per gli assegni di disoccupazione vorrebbe tassare i redditi più alti il patrimonio. Insomma, alla sinistra il viziaccio di tassare le ricchezze non passerà mai.
Lo studio di Nomisma: tassare al 10% i più ricchi per aiutare famiglie e imprese. Anche l'economista renziano Gutgeld è favorevole al prelievo sui redditi più alti
Tag:
nomisma
romano prodi
patrimoniale
tasse
Andrea Indini
Il presidente di Nomisma, Pietro Modiano, con l'ex premier e fondatore della società, Romano Prodi
La sanguisuga Prodi al governo: serve patrimoniale da 113 miliardi
Matteo Renzi, non più tardi di qualche settimana fa, aveva assicurato che in Italia è "di sinistra chiedere di abbassare le tasse". Sicuramente si era dimenticato (volutamente o per grossolana sbadataggine) delle rapine messe a segno da Romano Prodi, Giuliano Amato, Massimo D'Alema, Vincenzo Visco o Tommaso Padoa Schioppa. Da sempre la sinistra ha sempre attuato la stessa ricetta: stangare la ricchezza. A spingerlo un odio atavico nei confronti di quei beni che, sebbene guadagnati con il lavoro e la fatica, vengono trasformati nel simbolo dell'ingiustizia sociale. Non contento della sfilza di tasse e nuovi balzelli ideati quando sedeva a Palazzo Chigi, Prodi è tornato in pista per proporre al governo Letta una nuova patrimoniale. Eccola lì la parola magica che fa brillare gli occhi a tutta la sinistra. Nell’editoriale della newsletter di dicembre scritta dal presidente Pietro Modiano e dal capo economista Sergio De Nardis, Nomisma ha spiegato che il rilancio dell’Italia deve passare attraverso un prelievo straordinario del 10% sulla ricchezza finanziaria del 10% più ricco delle famiglie.
Qualche giorno fa, in un collegamento telefonico con Forza Italia a Como, Silvio Berlusconi aveva attaccato duramente il governo accusandolo di avere come obiettivo quello di "ridistribuire la ricchezza togliendo soldi alla borghesia". L'eventualità è tutt'altro che remota. Nomisma, la società di consulenza fondata da un gruppo di economisti tra cui spicca anche Prodi, ha già fatto una stima sul gruzzoletto su cui il Tesoro potrebbe mettere le mani. Stimando che la ricchezza liquida delle famiglie italiane si aggira intorno ai 2.400 miliardi di euro e che il 47,5% di questo ammontare, ovvero 1.130 miliardi, è posseduto dal 10% più ricco delle famiglie italiane, Modiano e De Nardis propongono di approvare un prelievo una tantum del 10% su questa fascia. Prelievo che, stando ai calcoli forniti, "darebbe luogo a un gettito di entrate per lo stato di 113 miliardi di euro, 7 punti percentuali di pil, da distribuire a favore delle famiglie più povere e delle imprese". "Se questa tassa sul patrimonio venisse pagata in quattro rate annuali di 28 miliardi - si legge nella newsletter - il il bilancio pubblico potrebbe fornire uno stimolo equivalente nell’arco di un quadriennio all’economia, modificandone il sentiero di crescita".
Quello che ha in mente il pensatoio vicino a Prodi è una una tantum che, però, venga ripetuta nel tempo. Una manovra di prelievo straordinario sulla ricchezza e redistribuzione a famiglie e imprese disagiate da avviare nel 2014 e da ripetere nel successivo triennio, fino al 2017. Secondo gli economisti di Nomisma, "la strada per reperire le risorse necessarie a un rilancio dell’economia italiana passa, dunque, per una mobilitazione straordinaria del risparmio di chi possiede di più a favore delle fasce più povere della popolazione e delle imprese che devono confrontarsi con la competizione internazionale. La manovra - conclude il centro studi bolognese - può essere fatta senza aprire contenziosi in Europa e nel rispetto delle regole di bilancio iscritte in Costituzione".
I prodiani non sono certo gli unici ad apprezzare la patrimoniale. Sebbene Renzi abbia più volte allontanato la possibilità di praticare questa ipotesi, il suo economista di fiducia, il piddì Yoram Gutgeld, la pensa diversamente. Tanto che, all'interno delle misure per riformare il mercato del lavoro, vorrebbe introdurre una sorta di patrimoniale sugli assegni più alti. Un'operazione che, a suo dire, "produrrebbe un risparmio annuo fra i 3 e i 4 miliardi". Insomma, alla sinistra il viziaccio di andare a tassare le ricchezze degli italiani non passerà mai. E, in caso di una vittoria elettorale, potrebbe essere la prima ricetta che verrà sottoposta dal prossimo titolare dell'Economia.
Nomisma, la società vicina al Prof, propone un prelievo straordinario del 10% sui beni delle famiglie più ricche
Tag:
romano prodi
nomisma
patrimoniale
ricchezza
governo
enrico letta
Andrea Indini
December 18, 2013
Renzi lancia la sfida alla Cgil: "Neoassunti senza articolo 18"
"Sul lavoro partiamo dal piano del Pd, partiamo da noi e non dalla Cgil che fa un altro mestiere. Ci confrontiamo con tutti ma noi siamo il Pd non la Cgil che fa un altro mesiere". Parlando della riforma del lavoro in occasione dell'appuntamento #matteorisponde su Twitter, il neo segretario del Pd Matteo Renzi annuncia un piano a trecentosessanta gradi da inserire nel piano di coalizione. Una piano che, partendo da un mercato del lavoro in continuo fermento, garantisca maggiori flessibilità per imprese e lavoratori e che, di fatto, estromette la Cgil dalla trattativa. Perché, tra i punti sul tavolo, c'è l'ipotesi di introdurre un contratto a tempo indeterminato per i neoassunti che non prevede l'articolo 18. Una mossa che mette in discussione il totem della sinistra radicale aprendo, di fatto, il braccio di ferro con i sindacati.
Una manciata di minuti prima che Renzi troncasse con la Cgil, Susanna Camusso aveva tentato un ultimo abbocco: "I dialoghi sono per forza possibili. Non esiste l’impossibilità del dialogo ma poi vale il merito delle proposte". E le proproste del neo segretario non sono affatto compatibili con il dna del segretario della Cgil. Il piano a trecentosessanta gradi verrà pronto entro un mese. E verrà sottosposto al premier Enrico Letta. Ci sta lavorando, a tempo pieno, tutto lo staff del sindaco di Firenze. In prima linea c'è Yoram Gutgeld. Il deputato piddì è il vero spin doctor economico: autore del libro Più uguali, più ricchi mixa il pensiero economico di McKinsey alla dottrina renziana. In diverse occasioni è già saltato fuori il suo nome per un eventuale incarico di governo. Renzi lo vedrebbe bene al Tesoro. Tra le priorità di Gutgeld ci sono "l'abbattimento choc da 20 miliardi delle tasse con i proventi delle privatizzazioni di Poste, Ferrovie, Rai, municipalizzate e dei campioni nazionali quotati", la rinuncia all'Alta velocità Torino-Lione, la lotta all'evasione con "l'eliminazione del denaro per i pagamenti tra imprese", l'inezione di 4 miliardi di euro dal ricalcolo delle pensioni sopra i 3.500 euro e, appunto, la creazione di un "contratto unico stabile senza articolo 18 per i lavoratori". A queso sta lavorando anche con la responsabile Lavoro Marianna Madia, il responsabile Economia Filippo Taddei e il responsabile Welfare Davide Faraone. "La stella polare è il modello scandinavo, la flexsecurity, che avevamo già lanciato 4 anni fa alla Leopolda - spiega Faraone al Corriere della Sera - bisogna riformare drasticamente, agendo su due binari paralleli: il lavoro e lo Stato sociale".
Nel piano, che a partire da domani sarà discusso alla segreteria del Pd, c'è il contratto a tempo indeterminato per i neoassunti svincolato dall’articolo 18. "Nei primi anni i nuovi assunti possono essere licenziati a fronte di un indennizzo certo definito in anticipo e di un supporto alla riqualificazione professionale e alla ricerca di un nuovo lavoro - spiegava Gutgeld in una intervista - credo che bisogna essere realisti. Oggi i contratti a tempo indeterminato non vengono più fatti e l’accettazione delle tutele progressive è l’unico modo per evitare la totale precarizzazione del lavoro". Insomma, un "contratto di lavoro stabile a protezione progressiva" che, pur eliminando il reintegro mantenga l’indennizzo. Eppure, quando ci aveva provato il governo Berlusconi a toccare l'articolo 18, la Cgil aveva fatto il diavolo a quattro e portato tre milioni di persone in piazza. Era il 2001. Da allora la Cgil non è affatto cambiata. Per non scontentare Camusso e compagni, Gutgeld pensa di rispolverare una vecchia proposta del giuslavorista Pietro Ichino, cioè quella di introdurre un sorta di contratto indeterminato di inserimento. "Temi come l’articolo 18 non devono essere più tabù - spiega Faraone al Corsera - è chiaro che possono esserci meno garanzie che in passato, ma come contrappeso ci sarà una rete di protezione più ampia".
Lo staff di Renzi lavora al piano per riformare il lavoro. Yoram Gutgeld, spin doctor del segretario, propone un contratto indeterminato per i neoassunti svincolato dall’articolo 18
Tag:
Matteo Renzi
articolo 18
lavoro
Yoram Gutgeld
contratto
Andrea Indini
Renzi sfida Quirinale e Letta: rimpasto di governoIl Cav si "allea" col leader Pd: sta alla larga dal Colle
December 17, 2013
Quell'accordo tra Ue e Stati Uniti che limita la sovranità nazionale e dà potere alle multinazionali
E se a comandare fossero le multinazionali? Sul tavolo dei lavori in corso tra l'Unione europea e gli Stati Uniti è finito un plico contentente una clausola di non poco conto che rischia di mettere nelle mani dei colossi mondiali decisioni che muovono svariati milioni di euro in entrate fiscali. Un potere che, fino ad oggi, è stato sempre gestito da politici e giudici, ma che potrebbe ora essere avvocato alla Banca Mondiale. Come anticipava l'Huffington Post lo scorso aprile, l’Unione europea e gli Stati Uniti stanno, infatti, valutando di introdurre nel trattato di libero scambio la investor-state dispute resolution, una sorta di arbitrato sovranazionale che garantisce alle multinazionali la possibilità di impugnare le leggi che bloccano il business. "Stiamo buttando via la nostra sovranità", ha avvertito la direttrice della Beuc, Monique Goyens.
La norma è tutt'altro che un'ipotesi. Dopo uno primo round svoltosi a giugno, i negoziati tra l'Unione europea e gli Stati Uniti sono ripresi lo scorso 11 novembre e puntano sfoltire centinaia di leggi che ostacolano il libero scambio tra i due continenti. Nei meandri dell'accordo rientra anche la investor-state dispute resolution. L'arbitrato fu messo a punto proprio per proteggere gli investimenti realizzati in Paesi a rischio. "Una sorta di assicurazione nei confronti di rivoluzioni ed espropri", spiega Stéphane Alonso del Nrc Handelsblad ricordando come nel 2013, "senza che intervenisse un solo magistrato, all’Ecuador è stato imposto di pagare 1,3 miliardi di euro a una società petrolifera statunitensi". Ma cosa potrebbe succedere se la stessa norma venisse adottata anche nel Vecchio Continente? "È inaccettabile che le aziende possano essere in grado di esercitare questo tipo di potere a porte chiuse", ha avvertito l’europarlamentare laburista britannico David Martin. Un portavoce dell'ufficio del Commercio estero americano ha spiegato ai microfoni dell'Huffington Post che ai negoziati è al vaglio "l'inclusione di procedure spedite, giuste e trasparenti di risoluzione delle dispute tra Stati e investitori". Un meccanismo che, stando a quanto trapelato fino ad ora, dovrebbe comunque rimanere "soggetto a un'appropriata salvaguardia e protezione dei legittimi interessi regolamentari dei governi". Perché permettere alla Banca Mondiale di sanzionare quei Paesi che vanno contro gli interessi delle aziende, rischia seriamente di limitare il bene pubblico e la sovranità nazionale.
La investor-state dispute resolution è tutt'altro che una novità. Dal 1994, anno in cui sono entrati in vigore i Trade Agreements, gli Stati Uniti ne fanno ampio uso. Negli ultimi vent'anni si contano almeno cinquecento arbitrati che hanno visto litigare aziende e Stati. Solo nel 2012 ne sono celebrati oltre sessanta nuovi. D'altra parte la risoluzione permette a qualsiasi Paese di appellarsi al trattato per far cambiare la legislazione di un altro Stato. "Per farlo è sufficiente che appenda su un edificio di quel paese una targhetta d’ottone con il nome di una sua azienda", spiega Alonso. In questo modo, fa notare Cecilia Olivet del Transnational Institute, l’arbitrato può essere usato ad hoc contro quelle leggi che mettono tutta una serie di paletti al libero mercato. Nel 2011, per esempio, non appena il governo tedesco ha approvato la chiusura delle centrali nucleari in seguito al disastro di Fukishima, è partito l’ordine di sborsare 700 milioni di euro alla Vattenfall, società energetica svedese con cui Berlino aveva sottoscritto un protocollo bilaterale. Insomma, un'arma a doppio taglio che non fa altro che sfavorire gli Stati che la sottoscrivo. Vieni, quindi, da chiedersi per quale motivo l'Unione europea sia disposta a firmare un trattato che contenga questo tipo di arbitrato. "Senza le garanzie fornite da questo meccanismo non si troveranno investitori - spiega un fonte vicina alla Commissione europea - questo meccanismo ha dimostrato di essere efficace. Dopo tutto, non si tolgono i semafori soltanto perché si verificano meno incidenti".
Stati Uniti e Unione europea stanno lavorando sottobanco a un accordo che conferirà alle multinazionali il potere di impugnare le leggi che ne bloccano gli affari
Tag:
ue
Stati Uniti
libero scambio
arbitrato
multinazionali
sovranita
Andrea Indini
December 16, 2013
Lunedì nero per gli italiani: doppia stangata Imu-Tares
Un lunedì nero per i contribuenti e per le imprese. Gli italiani si accalcano in banca per pagare la seconda rata dell’Imu, mentre si prepara all'orizzonte una nuova stangata per le famiglie: la Tares, la tassa sui rifiuti e i servizi. Oggi scade, infatti, il termine per saldare l'imposta sulla seconda casa. Se, almeno per il 2013, non bisognerà sborsare l'Imu sulla prima casa, il vantaggio rispetto al 2012 rischia di essere azzerato dall’aumento della Tares che peserà, secondo i calcoli della Uil, 305 euro a famiglia con un aumento di circa 80 euro, pari al 35,4%.
L'Imu non è un capitolo chiuso. A dispetto delle (troppe) promesse del tandem Letta-Alfano, l'imposta sulla casa resta un cantiere aperto. E rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo già sull'iniziare del 2014. Se oggi si chiude la partita sul saldo sulle seconde case e sulle pertinenze sulla prima, nella legge di Stabilità (al vaglio della Camera) potrebbe arrivare un rinvio del pagamento della "mini-rata" dal 16 al 24 gennaio e scomparire a partire dal prossimo anno l’obbligo di pagamento per i fabbricati rurali dedicati ad uso strumentale. Così, mentre gli italiani tirano ancora una volta la cinghia, tornano a respirare le casse pubbliche che, a fine giornata, dovrebbero incassare oltre 16 miliardi di euro, frutto dei pagamenti dei proprietari di abitazioni di lusso, seconde e terze case, nonchè dei proprietari di prime abitazioni dotati di più di una pertinenza, sia essa garage, solaio o cantina. Pagheranno anche coloro che hanno concesso in uso abitazioni secondarie ai propri familiari. Nella somma complessiva arriveranno anche i pagamenti che verranno effettuati da chi deve saldare la tariffa rifiuti, comprensiva da quest’anno di una parte "servizi".
Come se non bastasse la stangata targata Imu, il combinato con la Tares fa tremare gli italiani. Secondo i calcoli della Uil, la tassa sui rifiuti e i servizi dovrebbe portare nelle casse pubbliche 9,9 miliardi di euro a fronte dei 7,6 miliardi di euro del 2012, con un incremento di 2,3 miliardi di euro (il 30,3%). Ad oggi 89 città sulle 90 che hanno già pubblicato le tariffe sui propri siti internet hanno deciso aumenti rispetto allo scorso anno, mentre soltanto a Varese la tassa è stata diminuita del 2,9%. "Se sommiamo gli aumenti della Tares con quelli delle addizionali comunali Irpef - avverte il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy - il rischio è, soprattutto per i lavoratori dipendenti e pensionati, non solo di non aver benefici dall'abolizione dell’Imu sulla prima casa ma anche di non avere il sollievo necessario dalle mini detrazioni Irpef stabilite in Legge di stabilità". Rispetto al mix fiscale di Imu e Tares la Cgia di Mestre ha calcolato aumenti del 10% della prima sui capannoni e della seconda per negozi (+34,5%) e ristoranti (+31%). "Rispetto a quando si pagava l’Ici, i proprietari di capannoni hanno subito nel 2012 un incremento medio del 100%, con punte che in molti casi hanno toccato il 154%", spiega il segretario Giuseppe Bortolussi.
"Il 2013 si chiude davvero male sul piano della tassazione immobiliare e il 2014 si aprirà ancora peggio, visto che la tassa sull'abitazione principale ritorna sotto altro nome, Tasi - ha commentato il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone - parte così l'attacco alle tredicesime degli italiani, alla loro fiducia, alla loro propensione al consumo". A gennaio altri 13 milioni di italiani dovranno, infatti, mettersi nuovamente in coda per saldare la "mini-rata". Il pagamento dal 16 gennaio potrebbe venire spostato al 24 gennaio, ma resta la certezza di una nuova, inesorabile stangata. Una batosta che, nei giorni scorsi, il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni ha attribuito all'esigenza di restare dentro ai vincoli imposti dall'Unione europea. "La scadenza del 16 gennaio - ha spiegato il titolare del Tesoro in Senato - è stata fissata il più tardi possibile compatibilmente con la necessità di contabilizzare le entrate nel 2013".
A fine giornata il combinato di Imu e Tares porterà nelle casse pubbliche 16 miliardi di euro. E a gennaio 2014...
Tag:
Imu
tares
stangata
saldo
Fabrizio Saccomanni
caf
imposta
tasse
Andrea Indini
La pagina del modello F24 alla voce Imu
Tares, cittadini occupano il municipio a Rapallo
December 13, 2013
Per rispettare i diktat dell'Ue il governo non abolisce l'Imu
Lunedì prossimo inizierà quello che il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone, non fatica a bollare come il mese della vergogna. Si andrà avanti fino al 16 gennaio, quando il governo Letta chiuderà il capitolo sull'Imu. Il brutto pasticcio sulla mancata abolizione dell'imposta sulla casa inaugurerà l'anno nuovo con una stangata su oltre 10 milioni abitazioni i cui proprietari saranno costretti a pagare parte dell'Imu 2013, nonostante le reiterate promesse spese dal premier Enrico Letta e dal vicepremier Angelino Alfano. Il tutto perché il governo non ha avuto il coraggio di sforare i vincoli imposti dall'Unione europea. "Il 2013 si chiude davvero male sul piano della tassazione immobiliare - tuona Capezzone - il 2014 si aprirà ancora peggio, visto che la tassa sull’abitazione principale ritorna sotto altro nome e in maniera addirittura più incisiva e gravosa".
Nel corso dell’audizione in Commissione Finanze del Senato, il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni ha fatto sapere che il governo non ha abolito totalmente la seconda rata dell’Imu per non sforare il tetto del 3% del rapporto deficit/pil. "Per finanziare un completo sgravio sarebbe stato necessario reperire risorse aggiuntive da contabilizzare nel 2013 al fine di mantenere il disavanzo entro la soglia del 3% del pil", ha spiegato facendo presente che la scadenza per il versamento è stata fissata il più tardi possibile, "compatibilmente con la necessità di contabilizzare le entrate nel 2013". Ricordando che l'indebitamento netto deve restare entro la soglia imposta da Bruxelles, Saccomanni ha fatto presente alle Camere che il disavanzo strutturale deve tendere verso il pareggio e il peso del debito deve ridursi: "Raggiungere questi risultati è interesse priroitario del nostro Paese". Insomma, il governo preferisce colpire i contribuenti pur di non scontentare l'Unione europea. Non ha rispettando gli impegni presi, la soluzione adottata dal governo per evitare l’integrale compensazione delle risorse a carico del bilancio statale è un pasticcio che va a colpire oltre 10 milioni di contribuenti. "Ci possono essere anche atteggiamenti discutibili da parte degli amministratori, come chi ha aumentato all’ultimo momento l’aliquota - ha commentato Alessandro Cosimi dell'Anci - ma le grandi città lo hanno fatto per necessità e ad alcuni si è chiesto di portare le aliquote al massimo".
Saccomanni non abolisce totalmente la seconda rata per non sforare il tetto del 3% del deficit/pil imposto da Bruxelles
Tag:
Fabrizio Saccomanni
ue
Imu
seconda rata
abolizione
governo
Andrea Indini
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni
December 10, 2013
Il team di Renzi detta l'agenda: reddito minimo e giustizia. Si sentono già a Palazzo Chigi
Mentre buona parte della stampa britannica e non solo saluta l’elezione del sindaco di Firenze a nuovo segretario del Pd definendolo il "Blair italiano", il Financial Times si augura che lo diventi effettivamente. Perché, scrive Bill Emmott sul quotidiano britannico, "qualunque cosa si pensi di Blair, l’elezione del 38enne sindaco di Firenze è un raro momento di speranza per l’Italia, e quindi per l’Europa". Per capire quale piega prenderà la politica democrat, basta dare una scorsa ai principali quotidiani italiani che hanno fatto la gara per accaparrarsi un membro della nuova segreteria piddì. All'indomani della vittoria di Matteo Renzi, tocca infatti ai tredici "nominati" fare l'elenco delle priorità che dovrà assumersi il governo.
"Occorre cambiare il volto dell’Italia attraverso scelte importanti per una società che sta a sua volta cambiando rapidamente. Adesso con Renzi alla guida del Pd c’è una forte spinta nuova". La governatrice del Friuli-Venezia Giulia Debora Serracchiani, responsabile delle Infrastrutture nella segreteria piddì, concede due interviste ad Avvenire e Gazzettino per fissare quelli che per lei devono essere i punti cardine dell'azione di governo, e cioè le riforme istituzionali e il taglio dei costi della politica. Punti da i quali il premier Enrico Letta non può svicolare. Altrimenti il governo rischia grosso. Letta e Renzi sono già incontrati ieri sera, a Palazzo Chigi: volenti o nolenti, sembrano aver trovato uno straccio d'intesa sui prossimi appuntamenti che attendono l'esecutivo e la maggioranza di cui il Pd è, a conti fatti, l'azionista di maggioranza. Al centro della road map ci sono appunto le riforme: quelle economiche e, in primissima battuta, quelle istituzionali. Un tema quest’ultimo che, a cominciare dalla legge elettorale, sarà al centro di un confronto di maggioranza che sarà avviato nei primi giorni di gennaio. "Un incontro lungo, positivo e fruttuoso che conferma il nostro comune impegno. Lavoreremo bene insieme" è stata la scarna nota dettata alle agenzie da Letta e Renzi. Dietro a queste poche parole la consapevolezza per entrambi che, se non per amore, è comunque interesse comune condividere i prossimi passaggi. Quale, però l'orizzonte? Mentre il neo segretario guarda alle elezioni anticipate, il premier spera di arrivare indenne al 2015.
Le riforme, dunque. "Adesso il nuovo segretario dovrà spiegarci qual è la sua idea di Pd", bofonchia l’ex segretario democratico Pier Luigi Bersani. Se non Renzi in prima persona, ci pensa la sua squadra a elencare il programma del "nuovo" Pd. Si parte dall'economia. In una intervista all’Unità Federico Taddei, responsabile Economia nella segreteria di Renzi, mette al primo punto la riduzione dell’Irpef tagliando la spesa senza toccare "i capitoli che hanno a che vedere con welfare, scuola e ricerca". Per Marianna Madia, responsabile lavoro, bisogna invece introdurre il "reddito minimo garantito" e correggere la legge Fornero risolvendo la questione degli esodati e tutelando "chi versa contributi per carriere discontinue". Per quanto riguarda il fronte della giustizia tocca ad Alessia Morani, intervistata sia da Repubblica sia dalla Stampa, fare il punto sulle priorità del Pd. "Amnistia e indulto sono provvedimenti che non risolvono il sovraffollamento carcerario, creano nei cittadini l’idea che non esistano pene certe e fanno venire meno la funzione fondamentale del carcere, cioè la rieducazione - spiega l'ex bersaniana, ora responsabile giustizia - bisogna fare riforme strutturali per tenere insieme i diritti dei detenuti con i diritti delle persone violate". Quindi l'elenco delle priorità: riformare la giustizia civile, combattere il sovraffollamento delle carceri e mettere fine all'abuso della carcerazione preventiva.
Dalle correzioni alla legge Fornero alla riduzione dell'Irpef: la squadra di Renzi detta le priorità al governo. Serracchiani: "Letta dura se fa le riforme"
Tag:
Matteo Renzi
riforme
giustizia
reddito minimo
legge fornero
pensioni
Pd
Andrea Indini
Il diktat di Renzi a Letta: "Alle riforme ci penso io"Il "consiglio" di Bersani: Matteo non usi la clavaGeloni a Madia: "Come intendi il cambiamento?"Cacciari contro Madia: "Reddito minimo? Puttanata"I fiorentini a Renzi: "Adesso dimettiti da sindaco"La segreteria del Pd di Renzi
Viaggio nella polizia: gli agenti stanno coi Forconi?
Da Torino a Genova, da Milano a Gela i Forconi hanno fermato l'Italia e obbligato la politica ad ascoltare l'urlo di dolore di milioni d'italiani strozzati dalla crisi economica e dalla recessione. Nonostante i soliti infiltrati (antagonisti per professione) abbiano dato sfogo alla propria indole violenta, non sono riusciti a zittire quella che è una protesta lecita e tutt'altro che cruenta. Protesta a cui sembrano essersi uniti anche alcuni poliziotti che, in più occasioni, hanno tolto il casco e si sono messi a marciare al fianco dei manifestanti (guarda: video 1 - video 2). "Anch’io ho tolto il casco, molto volentieri - spiega al Corriere della Sera un agente scelto del reparto mobile della polizia che ieri a Torino si è tolto il casco tra gli applausi della gente - i motivi della protesta li viviamo anche sulla nostra pelle. E se la situazione non cambia, la disobbedienza civile rischia di dilagare anche fra le forze dell’ordine".
Le immagini dei poliziotti che marciano accanti ai Forconi hanno subito fatto il giro dei media. Frame che colpiscono perché riassumono bene la ferita aperta di un Paese in ginocchio. "Il nostro gesto è stato strumentalizzato", si affretta a chiarire ai microfoni di TMNews uno dei nove poliziotti che ieri presidiava l'Agenzia delle Entrate in corso Bolzano a Torino. In nove per tenere sotto controllo oltre trecento manifestanti. "Cosa avremmo dovuto fare? Ci siamo tolti i caschi come ha ordinato il nostro superiore, come gesto distensivo verso la folla inferocita", racconta il giovane che viene da fuori Torino e che oggi è in servizio davanti a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte, dove sono venuti a manifestare operai della Fiom in cassa interazione e studenti universitari. "Ieri abbiamo lavorato tredici ore di seguito senza quasi bere o mangiare - continua - abbiamo fatto straordinari che non ci verranno pagati. Fa parte del nostro lavoro. Certo che anche noi poliziotti vediamo le cose che non vanno in questo paese, siamo lavoratori come gli altri, padri di famiglia spesso". Proprio per questo molti solidarizzano con la protesta. D'altra parte sono lavoratori come gli altri. Ieri sera, la questura di Torino ha escluso che dietro al gesto di togliersi il caso ci sia "la condivisione delle istanze dei manifestanti". Poliziotti, carabinieri e finanzieri si sarebbero tolti i caschi antisommossa solo dopo che "sono venute meno le esigenze operative che ne avevano imposto l’utilizzo". "Anche se è un gesto che qualche volta si usa fare per stemperare il clima - ribatte l'agente intervistato dal Corsera - in questo caso, quando è arrivato un ordine in questo senso, lo abbiamo fatto davvero con piacere".
Nel 1968, dopo gli scontri di Valle Giulia, Pier Paolo Pasolini aveva cantato la nobilità del lavoro dei poliziotti, "figli di poveri" che "vengono da periferie contadine o urbane". Non bisogna scomodare Pasolini, né tantomeno farci sorprendere dalle interviste che nelle ultime ore popolano i quotidiani per capire che gli agenti - poliziotti, carabinieri o finanzieri che siano - soffrono lo stesso disagio dei Forconi che nelle ultime ore riempiono le piazze d'Italia e denunciano le ferite della crisi. D'altra parte i problemi sono sempre gli stessi: la pressione fiscale che leva il fiato, gli stipendi bloccati, la crisi economica a cui sono appese milioni di famiglie famiglie e il disagio di non arrivare a fine mese. Ebbene, è questo il disagio che ha spinto alcuni poliziotti a sfilarsi il casco e andare a stringere la mano ai manifestanti. Quegli agenti sono gli stessi che, per 1.300 euro al mese, vanno a prendere sputi in faccia e bombe carta sulla schiena da No Tav e no global, pattugliano le strade per renderle più sicure, rischiano la propria vita per assicurare la nostra incolumità. "Viviamo una situazione di estrema difficoltà, quando facciamo ordine pubblico stiamo tutto il giorno in strada - racconta un agente - ci tagliano gli straordinari. La verità è che anche noi non ne possiamo più. E se la situazione non cambia, e anche piuttosto in fretta, molti vorranno legittimamente unirsi alla protesta con gesti di disobbedienza civile".
Anche i sindacati non hanno mancato di dare la propria solidarietà agli agenti in servizio. "Condividiamo e plaudiamo al gesto di quei poliziotti che si sono tolti i caschi in segno di solidarietà con quella parte dei manifestanti che ha pacificamente mostrato il proprio disagio per la grave crisi che attraversa l’Italia", commenta il segretario nazionale dell’Ugl Polizia di Stato, Valter Mazzetti. "Togliersi il casco - aggiunge il segretario del Siulp, Felice Romano - in segno di manifesta solidarietà e totale condivisione delle ragioni a base della protesta odierna è un atto che per quanto simbolico dimostra però che la misura è colma".
Stipendi bloccati a 1.300 euro e mangiati dalle tasse, straordinari non pagati e il disagio di non arrivare a fine mese. Gli agenti della mobile senza casco: "La misura è colma"
Tag:
forconi
protesta
polizia
agenti
carabinieri
tasse
stipendi
crisi
Andrea Indini
Se ogni violenza è "fascista" per definizione
December 9, 2013
Letta attacca gli antieuropeisti: "Sono miopi, faranno macerie"
Come se non fosse stata proprio quell'Europa dei poteri forti e dei cavilli burocratici a mettere in ginocchio l'Italia, Enrico Letta se ne va in giro per il Paese a vendere il "sogno europeo". A pochi giorni dalla convention contro la moneta unica, organizzata proprio nella tana del lupo, il presidente del Consiglio attacca a brutto muso quelle spinte popolari che vorrebbero ridare la sovranità alle Nazioni. "Fermarsi a guardare la pagliuzza delle differenze rispetto alla grandezza globale - spiega Letta - è pura miopia che può far vincere una singola campagna elettorale ma alla fine costruire solo macerie".
Il governo è a un passo dal tracollo e Letta se la prende con le spinte anti europee che, di giorno in giorno, si stanno facendo sempre più forti. A Milano, in occasione del convegno A new narrative for Europe, il premier parla di unione bancaria, di un sogno da costruire, di un nuovo ordine di potere che valichi i confini nazionali. Ma è l'unione bancaria quella che più interessa al presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso, anche lui ospite all'incontro. Ad applaudirli, in primissima fila, c'è anche l'ex premier Mario Monti. E così, da Milano, Letta lancia "una sfida politica", una battaglia da combattere anche a rischio di perdere "forza e leadership". "Questa battaglia dobbiamo farla per l'Europa che servirà ai nostri figli", spiega il premier fissando, da qui a dieci anni, l'obiettivo di ottenere l'unione bancaria, fiscale, economica e politica. "Il problema è che manca in tempo di crisi un sogno europeo. Un sogno europeo che c'era e che ora manca", continua spiegando, nel suo intervento all'Ispi, che in questo momento la discussione è fatta di "tecnicismi o di fatti violenti e antieuropei". Per superare questi ostacoli, è il ragionamento del capo del governo, i Paesi dell'Eurozona dovranno unirsi superando le differenze che li dividono e guardando alla "grandezza della sfida globale". "Questo può forse servire a far vincere una singola campagna elettorale - ha sottolineato - ma alla fine porterà soltanto macerie".
Letta se la prende con le spinte nazionaliste che, giorno dopo giorno, trovano terreno sempre più fertile. E, nel giorno in cui i Forconi scendono in piazza in tutto il Paese, se la prende con "chi butta la benzina sul fuoco delle cose che non vanno in Europa". La sparata non è fatta a casa. A maggio 2014 si andrà a votare per rinnovare il Parlamento europeo. La partita è aperta. Silvio Berlusconi e Beppe Grillo hanno già messo in chiaro che a Bruxelles si gioca la prossima partita per svincolare l'Italia dal giogo della Germania e dei poteri forti. Proprio per questo le europee rischiano di essere il banco di prova per il futuro del Vecchio Continente. "Qui non si tratta di essere anti europei - ha sbottato il forzista Maurizio Gasparri al termine dell'intervento di Letta - si tratta di non essere più trattati da scemi. Letta si faccia sentire in Europa e chieda rispetto". D'altra parte allo stesso Romano Prodi, padre del più grande disastro economico italiano (ovvero l'ingresso nell'euro), ammette che l'Ue va rifatta. Eppure, a stare a sentire Letta, non bisogna fermarsi a "guardare la pagliuzza delle differenze". Forse che una politica economica a esclusiva trazione tedesca è una pagliuzza? Lo è anche la mancanza di un intervento nel Mediterraneo a fermare gli sbarchi sulle nostre coste? Ma soprattutto: i 16 miliardi di euro versati ogni anno dall'Italia per ottenerne appena la metà sotto forma di fondi strutturali sono forse una pagliuzza?
Il premier prova a sminuire i movimenti nazionalisti: "Atteggiamenti sciovinisti sono una sciocchezza". E difende l'Ue: "Se si ferma, andiamo indietro"
Tag:
enrico letta
ue
euro
unione bancaria
bruxelles
poteri forti
Andrea Indini
Prodi: "In Europa sono arrivati paura e populismo"
December 6, 2013
Pd in ansia da prestazione: Prodi cambia idea e vota ma si teme il flop alle primarie
A quarantott'ore dalle primarie del Pd, Matteo Renzi guadagna tre punti nelle intenzioni di voto e sale al 59%. Secondo il sondaggio realizzato dall’Istituto demoscopico Ixè per Agorà, perde invece due punti Gianni Cuperlo, che fi assesta al 21%, mentre ne guadagna uno Giuseppe Civati, che sale al 14%. Dando per scontato la vittoria del sindaco di Firenze, i vertici piddì iniziano a preoccuparsi (e a litigare) sull'affluenza alle urne. Per i sondaggisti, domenica prossima, potrebbero accorrere 2 milioni di votanti, "o forse anche di più". Anche Romano Prodi ha cambiato idea, all'ultimo, e ha fatto sapere che andrà a votare: "In questa così drammatica situazione mi farebbe effetto non mettermi in coda con tanti altri cittadini desiderosi di cambiamento". Ma il flop del confronto tv su Sky ha gettato un'ombra sull'appeal delle primarie.
C'è chi, come il sindaco di Roma Ignazio Marino, dirà per chi ha votato solo a cosa fatta. Poi c'è chi, come il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che schifa le urne ma che si sente in obbligo di dispensare consigli. Infine, c'è anche chi, come Prodi, che da un giorno all'altro cambia idea e, di ritorno dall’estero, correrà a votare. Prende spunto dai "rischi aperti dalla recente sentenza" della Consulta che lo "obbligano a ripensare a decisioni prese in precedenza". E cioè a partecipare alle primarie. Il Professore torna così alla vita attiva da militante piddì e con una dichiarazione rileva che quel voto dal quale, prima, aveva più volte sottolineato di volersi chiamare fuori, assume "oggi un valore nuovo". E allora, ecco il ripensamento dell'ex premier, con alcune parole chiave. Una è nel passaggio in cui sottolinea che "nella situazione che si è venuta a determinare è infatti necessario difendere a ogni costo il bipolarismo". Un’altra è quella considerazione che accenna a numeri e intenti di quanti si metteranno "in coda" come lui, con "tanti altri cittadini desiderosi di cambiamento". Una presa di posizione che rassicura soprattutto il segretario uscente Guglielmo Epifani che sembra tremare all'idea di un flop mediatico in vista della partita (ben più importante) che si giocherà a maggio, a Bruxelles. "Se andrà tanta gente a votare alla primarie, sarà per la democrazia italiana un fatto positivo", fa eco anche Walter Veltroni secondo il quale, in un momento di instabilità politica, "tutto quello che aiuta a rigenerare la politica va nella direzione giusta".
La chiamata alle armi dei vertici democrat è infarcita della solita retorica. Ovunque abbondano i toni trionfalistici e gli appelli a far vincere la democrazia. Lo stesso Cuperlo invita la base a non mancare all'appuntamento e, con l'occasione, prende di mira (senza mai nominarli) i leader degli altri movimenti politici: "In tempi dove ci sono platee che applaudono al capo carismatico che li arringa che e quando dissentono li espelle, noi siamo l’unico partito che fa esprimere il proprio parere ai propri elettori". Nel frattempo Renzi e Civati passano la giornata a punzecchiarsi sui social per accaparrarsi le simpatie degli indecisi. "Non ho una foto con Mandela e comunque non l’avrei pubblicata", scandisce Civati senza chiarisce chi invece l’abbia fatto. Ma è facile scoprire che si parla del suo competitor fiorentino. Travolto da una valanga di accuse di opportunismo e sciacallaggio, si è visto costretto a togliere l'immagine dal profilo Facebook in seguito a una fulminea polemica. Una schermaglia che la dice lunga sulla tensione che aleggia in via del Nazareno.
"Vogliamo chiedere agli italiani - ha spiegato Renzi - se accettano il rischio del cambiamento fino in fondo, perchè il Pd è il più grande partito italiano e con le primarie creeremo le condizioni perchè il governo faccia cose concrete". In realtà, la cronistoria dell'antivigilia delle primarie dipinge un Pd in ansia da prestazione, diviso tra l'appoggio al governo Letta e la corsa alle elezioni anticipate.
A 48 ore dalle primarie, i dem sono in tilt. Torna in pista pure il Prof che chiama tutti a votare. Intanto Renzi e Civati litigano sulla foto di Mandela
Tag:
romano prodi
Pd
primarie
guglielmo epifani
voto
Matteo Renzi
Andrea Indini
Fassina a Renzi: "La segretario non è un part time"Civati: "Non voglio far cadere Letta"
Andrea Indini's Blog

