Andrea Indini's Blog, page 157

February 17, 2014

Altro che Sanremo è Sanremo, è solo il Festival della polemica

Perché Sanremo è polemica. Altro che kermesse della musica italiana. Dal 1951 a oggi sul palco dell'Ariston baruffe, gaffe e scandali hanno fatto la storia di un Festival che, a botte di cachet milionari, tiene alto lo share unicamente grazie alle polemiche che vanno a inondare i media nazionali. A dare il via a questa desolante trafila di sensazionalismi è Jula de Palma. La performance di Tua viene tacciata dai benpensanti per l'eccessiva sensualità dal momento che lasciava immaginare l'atto sessuale tra uomo e donna. Dal 1959 al 2013, come d'un soffio. L'anno scorso è toccato a Stefano e Federico, coppia gay prossima al matrimonio a New York, aprire le danze delle polemiche annunciato un bacio omosessuale in diretta tivù. E quest'anno? Le scommesse sono aperte. Con gli organizzatori che, sotto sotto, ci sperano.


Un tempo Sanremo era davvero il Festival della musica italiana. Tanto per capirci: non appena veniva lanciata una nuova canzone, eccola diventare subito una hit e finire sulle labbra canticchianti degli italiani. Allora gli invitati erano un solo contorno. Oggi, invece, sono il sale della kermesse, il fulcro pulsante che fa share scandalizzando e polemizzando. Basta dare un'occhiata agli anni passati per capire cosa balza alla memoria. Sicuramente il super cachet di Paolo Bonolis - un milione di euro tondo tondo ("Questo è il mercato"). Sicuramente la farfalla di Belen - leggiadro spacco inguinale immortalato in prima serata davanti agli occhi sgranati degli italiani e ai grugni invidiosi delle italiane. Sicuramente la grossolana imitazione che Maurizio Crozza fece di Silvio Berlusconi - fischiata dalla platea dell’Ariston con tanto d'intervento della polizia. Quest'anno sarà la stessa solfa.


Ad aprire le danze sono stati, proprio oggi, il consigliere Rai Antonio Verro e il direttore di Rai1 Giancarlo Leone con un duro botta e risposta sul cantante Rufus Wainwright che mercoledì sera sarà ospite all’Ariston. "Non si comprende perchè il palco del Festival di Sanremo debba offrire visibilità ad un artista, come Rufus Wainwright, esclusivamente noto per i toni blasfemi delle sue canzoni - ha tuonato Verro - una televisione di servizio pubblico non dovrebbe puntare su questo tipo di personaggi e polemiche per inseguire maggiori ascolti: altrimenti dove è la differenza con le tv commerciali?". Non importa se Wainwright darà scandalo o meno. Non importa se farà uno spot pro gay o se attacchera la religione cattolica come nella sua Gay Messiah. L'importante è tenere alta l'attenzione. Proprio per questo, sotto sotto, i vertici di viale Mazzini sperano che Beppe Grillo, che avrebbe già acquistato un biglietto di ingresso, possa veramente intervenire in sala o anche solo condizionare la serata inaugurale della 64° edizione del Festival. "Se verrà a vedere il Festival non può che farci piacere - ha aggiunto Leone - mentre quello che farà fuori dall'Ariston non è di nostra pertinenza".


Sanremo si nutre di polemica. Sanremo è polemica. Fotografia di un'Italia litigiosa e famelica. Pronta a polemizzare per la farfalla di Belen e, al tempo stesso, applaudire a Roberto Benigni che, fra il dissacrante e l’affettuoso, apostrofa papa Giovanni Paolo II con "Wojtylaccio". È il solito gusto radical chic che apprezza la conduzione del duo Fazio e Littizzetto (quest'anno finiti nell'occhio del ciclone per lo spot che non piace ai disabili), le ospitate in salsa Carla Bruni e gli show "ambientalisti" di Adriano Celentano. E la musica? Ovviamente passa in secondo piano.


La farfalla di Belen, il mancato bacio gay, i blitz di Crozza, Benigni e Celentano: altro che musica, la kermesse fa share solo con le polemiche. E quest'anno a chi tocca?





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Andrea Indini


Luciana Littizzetto e Fabio Fazio sul palco del teatro Ariston
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Published on February 17, 2014 07:54

February 14, 2014

Letta lascia e già la Merkel ordina: "Adesso dovete fare presto"

"Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato". Alle 13 in punto, poco dopo aver riunito l'ultimo Consiglio dei ministri, Enrico Letta sale al Colle per rassegnare le "dimissioni irrevocabili". Una pura formalità. Perché l'ennesima manovra di Palazzo consuma sotto gli occhi attoniti degli italiani costretti ad assistere al nascere di un governo auto nominato nella sede del Pd e mai passato dalle urne. Un "golpe bianco" che trova anche il plaudo della Ue e della cancelliera Angela Merkel che invitano gli orchestranti del blitz a trovare "una soluzione rapida" che porti Matteo Renzi al più presto a Palazzo Chigi.


"Non possiamo aspettare ancora". È questo il tormentone che ha accompagnato la legislatura, ormai a termine, di Letta. Un tormentone che è risuonato piú volte anche in questi giorni convulsi che hanno portato alla capitolazione dell'ennesimo esecutivo partorito nelle stanze del Quirinale. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano vuole traghettare la crisi di governo in quattro e quattr'otto. Ecco allora che si profilano, secondo quanto riferiscono fonti del Quirinale, consultazioni lampo. La motivazione (di facciata) è "dare alla finanza mondiale un nuovo presidente del Consiglio italiano già lunedì". In realtà, Napolitano e i compagni del Pd non vedono l'ora di scalzare Letta da Palazzo Chigi per insediare Renzi. Anche il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso non si scompone per quello che definisce "un processo democratico interno". In realtà, il passaggio di consegne di oggi ha gli stessi contorni di un "golpe bianco". Renzi è, infatti, l'ennesimo premier nominato dal Colle. Un'investitura che non arriva dalle urne, un gioco di poteri che getta un'ombra sulla nuova era che il segretario del Pd punta a inaugurare.


La crisi di governo non solo è già scritta, ma è anche un bieco déjà vu degli ultimi tre anni. Letta comunica al Consiglio dei ministri le dimissioni e, come da manuale istituzionale, sale al Colle per rimettere nelle mani del capo dello Stato il mandato da presidente del Consiglio. Auspicando "una efficace soluzione della crisi" Napolitano sceglie la strada delle consultazioni lampo per "la delicata fase economica che il paese attraversa" e per "affrontare al più presto l’esame della nuova legge elettorale e delle riforme istituzionali ritenute più urgenti". Decide così di "esautorare" il parlamento e iniziare i colloqui subito per terminarli entro domani. Alcuni partiti confermano di essere stati già allertati per sabato. Oggi Silvio Berlusconi andrà, infatti, in Sardegna per chiudere la campagna elettorale di Ugo Cappellacci e farà ritorno a Roma e non a Milano. Domenica, quindi, Matteo Renzi potrebbe già essere incaricato di formare il nuovo governo, con il giuramento lunedì sera al massimo martedì. Rimangono però due nodi da sciogliere: la necessità o meno che ci sia un passaggio di Letta in Parlamento e come giustificare all'opposizione il terzo premier scelto senza volontà popolare.


Letta si dimette. Napolitano esautora il parlamento: "Non è necessario che Letta passi dalle Camere". Ma come giustificherà agli italiani il terzo premier nominato senza passare dal voto?





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Andrea Indini



Grillo: "Napolitano ci risparmi le consultazioni"Letta sale al Colle da solo sulla Lancia DeltaNapolitano: "È una bella giornata, c'è il sole"Marra: "Da Letta dimissioni irrevocabili"
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Published on February 14, 2014 10:57

Macché maggioranza sicura: al Senato Renzi rischia il flop

"Nel ’64 il sindaco a Firenze era Giorgio La Pira, era serio. Mica come adesso...". Nelle vesti di sindaco, Matteo Renzi scherza con le coppie fiorentine che, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, festeggiano i cinquant'anni di matrimonio. Nel giorno in cui Enrico Letta sale al Colle per rassegnare le dimissioni da premier, il segretario del Pd si prende una pausa dall'arrembaggio a Palazzo Chgi. Lo fa nella sua Firenze, ma con un occhio costante a Roma. Non solo sta cercando di venire a capo con la squadra di governo da sottoporre al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma deve anche sciogliere il nodo delle alleanze per non annegare nel pantano di Palazzo Madama.


Sono 179 i voti su cui Renzi potrebbero contare, almeno sulla carta, al Senato. Il coddizionale è d'obbligo perché nel ramo del parlamento, dove la maggioranza uscita dal voto del 2013 non può contare sull’ampio margine di cui gode invece alla Camera, nulla è scontato. Il segretario piddì dovrà, infatti, trattare con la vecchia maggioranza (senatori a vita compresi) che ha sostenuto, fino a oggi, l’esecutivo Letta. E, quando riceverà da Napolitano l'incarico di formare il nuovo esecutivo, non potrà certo largheggiare con questi numeri, anche se dovrebbero essere ben superiori a quelli della fiducia risicata che, per esempio, ottenne al Senato Romano Prodi il 19 maggio 2006. Solo 165. Quella di Renzi sarà comunque una maggioranza molto lontana da quella che, grazie alle larghe intese, ottenne Mario Monti il 17 novembre 2011. Al Senato si contarono per lui 281 voti favorevoli, 25 contrari e nessun astenuto. Il margine del nuovo governo potrebbe tuttavia allargarsi di un’altra decina di voti, uscendo dalla fascia rossa che ha caratterizzato molti altri esecutivi del recente passato. Voti che il segretario del Pd potrebbe trovare tra qualche dissidente dentro il Movimento 5 Stelle e il Sel di Nichi Vendola. E che potrebbero dargli un sostegno che va da un minimo di sette a un massimo di undici voti facendo così salire il pallottoliere a favore di Renzi di una forbice che andrebbe tra quota 186 e 190.


Si tratta di calcoli puramente teorici. Non è certo un caso se, a pochi minuti dalla sfiducia del Pd al governo Letta, il leader di Ncd Angelino Alfano si sia affrettato a porre paletti ben precisi al progetto renziano, consapevole che il sindaco di Firenze, per andare a Palazzo Chigi, avrà bisogno anche dei voti del Nuovo centrodestra, soprattutto a Palazzo Madama. E, fedele al proprio ruolo di ago della bilancia, Alfano prende tempo e si dice disponibile ad un nuovo esecutivo solo dopo un confronto su programmi e cose da fare. Ad una condizione: che l’esecutivo Renzi non sia un governo politico virato a sinistra. Opzione tutt'altro che peregrini vista la contestuale apertura del sindaco a Vendola. In ogni caso, e prendendo le debite misure, sarebbero altri quindici voti potenzialmente favorevoli al sindaco di Firenze. Restando invece alla base dei partiti che dovrebbero sostenere l’esecutivo, la conta mette insieme 107 senatori del Pd (sarebbero 108 ma Pietro Grasso non vota), 31 delNuovo centrodestra, sette di Scelta civica e dodici popolari. E ancora: dieci senatori delle Autonomie, quattro ex grillini ora passati al Misto (Anitori, Mastrangeli, Gambaro e De Pin), tre senatori di Gal (Scavone, Compagnone e l’ex leghista Davico). In tutto 174 ai quali si dovrebbero aggiungere i cinque senatori a vita: Mario Monti, Renzo Piano, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia e Carlo Azeglio Ciampi. Totale: 179, appunto. Ma sono tutte ipotesi.


Al Senato il sindaco eredita la scalcinata maggioranza di Letta. Per allargarla sonda vendoliani ed ex grillini. Ma Alfano dice no a un governo politico virato a sinistra





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Published on February 14, 2014 03:55

February 13, 2014

Il Pd "lapida" il premier: domani le dimissioni di Letta

Scacco matto. Adesso il governo ha le ore contate. La sfiducia non arriva dal parlamento, ma dalla direzione nazione del Partito democratico. Dopo una violenta inversione di strategia, che ha fatto precipitare la situazione nel giro di pochi giorni, Matteo Renzi rompe gli indugi e dà il ben servito a Enrico Letta: "Serve aprire una fase nuova con un esecutivo nuovo che si ponga come orizzonte la fine della legislatura". Tutto il partito appoggia l'ordine del giorno del segretario. E al premier non resta che rassegnare le dimissioni al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.


Dopo la decisione di non prendere parte alla direzione del Pd, il premier Enrico Letta preferisce rimanere blindato nel bunker di Palazzo Chigi. E così finisce per subire passivamente la diretta della riunione del partito dal proprio studio, insieme ai più stretti collaboratori. Al quartiere generale di via Sant’Andrea delle Fratte, presidiato da camionette e forze dell’ordine in tenuta antisommossa, l'aria che si respira è tesa. A rompere gli indugi, tirati in lungo da un triste teatrino che ha visto Napolitano provare a ricucire i rapporti fino all'ultimo momento, ci pensa Renzi respingendo con forza l'ipotesi della staffetta con Letta e proponendo un "nuovo governo" che duri fino al 2018 e porti a termine quelle riforme a lungo promesse (legge elettorale, impianto costituzionale e snellimento della burocrazia). Se da una parte ringrazia Letta per il lavoro svolto fino a questo momento, dall'altra lo licenzia in tronco invitando i democrat a non aderire a quel patto di coalizione su cui Letta ha deciso di metterci la faccia andando a elemosinare un voto di fiducia che già ieri sapeva non sarebbe mai arrivato. "Mettersi in gioco adesso ha un elemento di rischio personale. Ma chi fa politica ha il dovere di rischiare in alcuni momenti - scandisce Renzi - vale anche per me". Il senso del discorso del segretario piddì è chiaro sin dall'inizio: "Adesso tocca a me".


Il nuovo governo non passerà attraverso le forche caudine delle urne, non sarà eletto legittimamente dagli italiani. Sarà figlio, come già con Monti e Letta, di manovre di Palazzo. Il primo a respingere le elezioni è proprio Renzi. "La strada delle elezioni ha una suggestione e un fascino - spiega - ma ancora oggi non abbiamo una normativa elettorale in grado di garantire la certezza della vittoria". Da qui la proposta di licenziare il governo Letta per formarne uno nuovo che abbia come obiettivo il 2018, ovvero la fine della legislatura. Il tempo necessario a Renzi per calendarizzare le riforme. "Dobbiamo avere la disponibilità a correre il rischio che deve essere preso con il vento in faccia - incalza - avere il coraggio di mettere la faccia fuori e avere il vento contro significa assumere il rischio del cambiamento necessario". Nel chiedere ai membri del "parlamentino" dem "un cambiamento radicale" per "uscire dalla palude", li invita ad assumersi le proprie responsabilità mandando a casa Letta e aprendo una fase nuova con la stessa maggioranza che appoggia anche l'attuale esecutivo.


Al termine di una direzione nazionale senza colpi di scena, l’ordine del giorno con cui Renzi chiede un nuovo governo passa con 136 voti favorevoli, 16 voti contrari e due astenuti. Fino all'ultimo l'ex viceministro Stefano Fassina prova a convincere Letta a fare un passo indietro subito, per evitare una sfiducia tanto plateale. Ma il premier non ci sente: trincerato nel bunker decide di andare fino in fondo. E, dopo essere stato lapidato dall'85% del Pd (solo i suoi uomini si oppongono andandonando i lavori), getta la spugna e annuncia che domani salirà al Colle per rassegnare le dimissioni a Napolitano.


Renzi boccia l'ipotesi della staffetta e dà il ben servito al governo: "Non andiamo nella stessa direzione". E detta le proprie condizioni: "Patto di legislatura per dare risposte reali". A Letta non resta che fare un passo indietro: domani salirà al Colle per dimettersi





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Andrea Indini



Il mercato delle poltrone: Letta va all'Economia?Renzi: "Grazie Letta, ora serve un nuovo governo"Renzi al Pd: "Serve ambizione per uscire dalla palude"Renzi cita L'attimo fuggente: "Bisogna mettersi in gioco"Renzi e l'sms da La7: "Aspettaci, siamo in pubblicità"Civati: "L'era Renzi inizia sotto una brutta stella"Civati attacca Renzi: "Sembra di stare in Shining"Cuperlo: "I modi di questa svolta non mi sono piaciuti"Casaleggio a Renzi: "Letta va sfiduciato in parlamento"Alessandra Moretti, Kyenge e Civati: tutti i big in direzione
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Published on February 13, 2014 13:34

February 12, 2014

Sanremo, la Corte dei Conti: "Ridurre i costi del Festival"

La tagliola della Corte dei Conti si abbatte sui vertici della Rai. Dopo anni di insanabili sprechi, viale Mazzini dovrà ridurre i costi pachidermici della struttura, a partire proprio dal Festival di Sanremo. A pochi giorni dall’apertura, che verrà celebrata in pompa magna martedì prossimo, sulla kermesse cala la mannaia della magistratura contabile che, nella "Relazione sulla gestione finanziaria per gli esercizi 2011-2012", invita mamma Rai a ridurre i costi, partendo appunto dalle produzioni più "ricche" come il Festival di Sanremo e le fiction, e a tagliare inefficienze e sprechi. "È mancata una manovra che potesse consentire di contrastare il sensibile calo dei ricavi - si legge nel report - riducendo drasticamente e razionalmente i costi della gestione".


"Nel 2011 la capogruppo ha chiuso il bilancio con un utile di 39,3 milioni di euro, mentre nell’esercizio 2012 con una perdita di 245,7 milioni di euro", riferisce la Corte dei Conti spiegando che nel biennio si registra uno sbilancio negativo tra ricavi e costi di produzione, "segnale preoccupante per la situazione economico-patrimoniale e finanziaria" della Rai. A preoccupare non è tanto il costo del personale che, "cresciuto nel 2011 del 2,7%, si è ulteriormente incrementato nel 2012 anche in ragione di un accantonamento di 62 milioni" per il piano di esodo agevolato. Sotto la lente d'ingrandimento delle toghe sono le spese pazze di viale Mazzini. Dal Festival di Sanremo alle fiction, fino alla programmazione finanziata con fondi diversi da quelli derivanti dal canone. In questa prospettiva si inserisce la liquidazione o l’incorporazione di società controllate come RaiSat, Rai Trade, Rai Net e Rai Corporation, per le quali viene chiesta "una rigorosa verifica della attuale necessità".


Per quanto riguarda Sanremo, viale Mazzini ha subito fatto presente che, nelle ultime due edizioni, un contenimento della spesa per il Festival di Sanremo c’è già stato. Per quanto riguarda l’edizione 2011, condotta da Gianni Morandi, Belen Rodriguez ed Elisabetta canalis, i dati mai ufficializzati dalla Rai parlano di un costo intorno ai 23 milioni di euro. Dell'edizione 2012, che aveva portato sul palco dell'Ariston Adriano Celentano il cui ingaggio suscitò aspre polemiche, i conti della Rai parlano di un esborso di 20 milioni di euro. Anche questo caso non c'è niente di ufficiale. Analoga cifra è stata indicata lunedì scorso dal direttore di RaiUno Giancarlo Leone per i costi di quest’anno: 18 milioni di euro circa, di cui 7 di convenzione con il Comune. Una cifra che quest’anno, sempre secondo i calcoli di Leone, sarebbe già stata coperta prima dell’inizio del Festival dalla vendita degli spazi pubblicitari e dagli sponsor. Tanto che, ha annunciato Leone, "non è escluso che alla fine del festival il rapporto spesa-introiti del festival possa portare ad un utile".


Per testare la veridicità dei conti Rai bisognerà aspettare la relazione sulla gestione finanziaria per gli esercizio 2013-2014. Intanto la magistratura contabile suggerisce all'azienda di andare a rastrellare dove possibile. A partire, ovviamente, dal canone. La Corte dei Conti ha infatti invitato i vertici di viale Mazzini a "promuovere efficaci interventi finalizzati a contrastare l’evasione dal pagamento del canone".


La magistratura contabile bacchetta i vertici di viale Mazzini: "Nel 2011 e 2012 troppi sprechi e pochi ricavi". E li invita a battere cassa col canone





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Published on February 12, 2014 09:08

Letta resiste, Renzi incalza: la lista dei ministri è pronta

"Ora si va alla guerra". Nella frase di uno dei più stretti collaboratori di Enrico Letta, pronunciata al telefono da Palazzo Chigi, c’è tutto il senso della strategia che il premier è fermamente motivato a mettere in campo. La resa dei conti iniziata: questa mattina Matteo Renzi si è presentato a Palazzo Chigi per il faccia a faccia finale, forte dell'appoggio di una buona fetta del Pd che chiede a Letta di fare un passo indietro per aprire una nuova stagione politica. Ma il presidente del Consiglio non molla e punta ad andare avanti con la fiducia del parlamento su una nuova squadra e un nuovo programma, del quale annuncia ad horas la presentazione. "Troppo tardi", si mormora in buona parte del Pd. Tanto che Renzi avrebbe già pronta la sua squadra di governo.


Sul futuro del governo, e soprattutto su chi dovrà sedere a Palazzo Chgi, "la parola è al Pd". L’efficace sintesi di quanto sta accadendo nella maggioranza viene da Giorgio Napolitano che in meno di ventiquattr'ore ha consultato i principali contendenti. A questo punto il redde rationem si sposta a via del Nazareno: spetta a Letta e a Renzi chiarirsi. Da Palazzo Chigi fanno sapere che il vertice con Renzi è finito con un "nulla di fatto", mentre da via del Nazareno giurano che l'incontro è stato "positivo". "Quello che devo dire, lo dirò domani in direzione - ha assicurato il sindaco - in streaming, a viso aperto". Il Quirinale guarda alla stabilità del Paese e, avendo ricevuto assicurazioni dal segretario piddì che non si andrà - almeno per ora - a elezioni anticipate, assiste da spettatore in attesa della segreteria dem di domani. Intanto Letta prova il tutto per tutto rilanciando il patto di coalizione nel tentativo (vano) di disincagliare l’esecutivo dalle secche di questa logorante guerriglia tutta interna al Pd. Qualora i democrat dovessero assegnare un mandato forte al segretario per un nuovo esecutivo, andrà "parlamentarizzata" la crisi di governo. Anche tra i renziani, però, c'è chi sottolinea il pericolo di un braccio di ferro in direzione e in parlamento. "Sfiduciare Letta davanti a tutti provocherebbe un danno d’immagine al partito, chiaramente si darebbe l’impressione di una divisione forte", spiega un deputato che non ha condiviso l’accelerazione del sindaco di Firenze.


"La batteria del governo è scarica, dobbiamo decidere se va ricaricata o cambiata - ha spiegato ieri Renzi di fronte all’assemblea dei deputati piddì - se avessimo uno smartphone è come se avessimo consumato il 19% della batteria. Ora dobbiamo decidere se ricaricarla oppure cambiarla". Il segretario del Pd ha già un'idea ben precisa sul da farsi. Tanto che, stando alle indiscrezioni riportate dal Corriere della Sera, avrebbe già "compilato" anche la squadra dei ministri da sottoporre al capo dello Stato. Nel nuovo organigramma il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano verrebbe drasticamente ridimensionato: i primi dicasteri a saltare sarebbero il Viminale e le Infrastrutture. L’Interno andrebbe a Graziano Delrio, mentre al ministero dell'Economia potrebbe arrivare l'ad di Luxottica Andrea Guerra, nome che Renzi aveva già fatto a Letta al momento di comporre l'esecutivo lo scorso aprile. Per occupare la poltrona di via XX Settembre scaldano i motori anche Lorenzo Bini Smaghi, di Pier Carlo Padoan e Fabrizio Barca. Ci saranno anche dei politici, naturalmente. Le ipotesi si sprecano. E i nomi volano. Anche se i fedelissimi del sindaco fanno intendere che la squadra sarà ridotta a solo dodici teste per risparmiare "qualche centinaio di euro". Da giorni gira il nome del presidente di Eataly Oscar Farinetti. Secondo Libero, la fedelissima Maria Elena Boschi occuperebbe le Riforme, mentre la franceschiniana Chiara Braga punterebbe all’Ambiente. E ai Beni culturali c'è chi vedrebbe bene Alessandro Baricco.


Il premier non vuole mollare Palazzo Chigi. Ma Renzi ha già pronta la lista dei ministri. Da Delrio a Baricco ecco i nomi caldi. Vertice finito col nulla di fatto: ognuno resta sulle sue posizioni





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Napolitano liquida Enrico: "La parola va al Pd"Il Pd ha già deciso: Renzi a Palazzo ChigiLetta alla frutta vuole imitare ProdiGli alfaniani nel panico rischiano di sparireCarfagna: "La staffetta? Così Renzi ci delude"Renzi lascia Palazzo Chigi in Smart bluEcco i possibili ministri di Renzi
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Published on February 12, 2014 05:55

February 11, 2014

Bignardi difende Adriano Sofri: "Orgogliosa di lui, è innocente"

Daria Bignardi passa al contrattacco. Lo fa sul suo blog con un post dal titolo Perché ho taciuto per 10 giorni e ora vi parlo di quella (buona) intervista. Dentro c'è tutto e di più: la replica alle accuse dell'ex gieffino Rocco Casalino, la difesa del suo modo di fare giornalismo ma, soprattutto, l'apologia del suocero Adriano Sofri. "Sono orgogliosa - spiega - di avere come nonno dei miei figli un uomo che ha ingiustamente subito una condanna a 22 anni di carcere per qualcosa che non ha commesso, e che è sempre rimasto la persona straordinaria che è".


La Bignardi torna sulle polemiche che l’hanno investita dopo l’intervista al grillino Alessandro Di Battista nel salotto delle Invasioni barbariche. Intervista che le ha causato un pesante attacco da parte dello stellato Casalino. "Oltre a non avere capito che l’intervista, che lui stesso aveva organizzato, aveva funzionato - scrive - ha dimostrato di non sapere nulla della vicenda che citava, come tanti italiani del resto". Nel lungo intervento sul sito di Vanity Fair, l'ex padrona della Casa più sbirciata dagli italiani non solo garantisce la propria buona fede nel chiedere a Di Battista del padre fascista, ma si lancia in una spericolata arringa difesiva per il suocero condannato a 22 anni di carcere quale mandante dell'omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi. "Non mi ferisce leggere che mio suocero sarebbe un assassino perché non lo è", continua la Bignardi dicendosi "orgogliosa di avere come nonno dei miei figli un uomo che ha ingiustamente subito una condanna a 22 anni di carcere per qualcosa che non ha commesso" e che "è sempre rimasto, nonostante le ingiustizie e tutto quel che di terribile ha subito, la persona straordinaria che è". Insomma, quella che parte con una replica alle accuse che le hanno mosso contro i Cinque Stelle, diventa l'occasione per riportare al centro del dibattito una vicenda giudiziaria ormai morta e sepolta. "Io non sono né un assassino né soprattutto un mandante - aveva replicato lo stesso Sofri sul Foglio - erò lui e molto possono dirlo perché una sentenza li autorizza".


Nel lungo post la Bignardi accusa apertamente i simpatizzanti del Movimento 5 Stelle di averla ricoperta con una valanga di insulti, sessisti e no. Presumibilmente lo stesso trattamento riservato al presidente della Camera Laura Boldrini. "Basterebbe guardare l’intervista all’onorevole Di Battista del M5S per capire - scrive la conduttrice - che era una buona intervista, dove tra l’altro lui aveva fatto una buona figura, e che i responsabili della sua comunicazione avrebbero dovuto esserne contenti". Spiegando che, a suo dire, una buona intervista serve allo spettatore per conoscere "un po' più a fondo la persona" in studio, la Bignardi ha raccontato di aver deciso di chiedere a Di Battista del padre dopo aver letto della sua fede fascista. "Non ho mai pensato di essere scorretta ponendo quella domanda sul padre", continua la presentatrice ricordando che nel libro Non vi lascerò orfani lei stessa ha raccontato di aver avuto un padre fascista che amava moltissimo. Proprio per questo non vuole sentir parlare di malafede, soprattutto sulla scaletta della puntata e sul fatto che l’intervistato successivo fosse Corrado Augias. "È stato un caso - assicura - ha detto quel che gli pareva, e ci mancherebbe che non potesse farlo".


La Bignardi replica alle accuse del M5S: "Non mi ferisce leggere che mio suocero sarebbe un assassino perché non lo è". E rincara: "Ha ingiustamente subito una condanna"





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Published on February 11, 2014 05:08

Di Pietro torna in toga contro Berlusconi: "È come i tempi di Tangentopoli"

Dalla persecutoria stagione di Mani pulite al processo farsa sulla presunta compravendita di senatori. Nel mezzo un "carriera" in sella all'Italia dei Valori, partito-costola della sinistra che gli elettori hanno sonoramente cacciato dal parlamento all'ultima tornata elettorale. Dismessi i panni del politico di professione, Antonio Di Pietro è però tornato a indossare la toga per non uscire del tutto dalla scena. Oggi come allora, il nemico da abbattere è Silvio Berlusconi.


Nell’aula 110 del tribunale di Napoli inizia oggi il processo contro il Cavaliere per la presunta compravendita di senatori che, secondo il teorema montato ad arte dai pm Henry John Woodckock e Francesco Vanorio, avrebbe fatto cadere il governo Prodi. Per l'occasione si è presentato in Aula anche Di Pietro chiedendo di costituirsi parte civile per l’Italia dei Valori. "Rimetto la toga dopo Mani pulite - ha spiegato l'ex pm di Mani pulite - sto per la prima volta dall’altra parte come difensore di parte civile. Ed è anche il primo processo con il Senato parte civile. Mi piacciono le prime, è come i tempi di Tangentopoli". Così, ammaliato dal suono del tintinnar di manette, ha ripreso la crociata contro Berlusconi. Ieri in parlamento, oggi al tribunale di Napoli in quello che si preannuncia un processo caldissimo. Sin dalle prime battute ha, infatti, ingaggiato un vero e proprio corpo a corpo con la difesa del Cavaliere. Non appena Niccolò Ghedini e Michele Cerabona hanno eccepito una serie di presunti difetti di notifica, è subito saltato in piedi sostenendo che a suo avviso c’è stato addirittura un "eccesso" di notifiche: "Si offende l’intelligenza del tribunale se si ritiene che non sia stato notificato l’atto del processo". Schermaglie di inizio processo che la dicono lunga sul bisogno di rivalsa dell'ex Idv e sui toni alti che potrebbero caratterizzare tutto il procedimento penale.


Nella pausa dell’udienza, mentre i giudici si sono ritirati in camera di consiglio per decidere sulle eccezioni della difesa, Di Pietro ha puntato dritto agli obiettivi delle telecamere per concedere interviste a destra e a manca. Microfoni e flash di fotografi e troupe televisive sono stati puntati per tutto il tempo sull'ex pm di Mani pulite. Che non ha appunto disdegnato di concendersi ai microfoni dei cronisti per spiegare, a suo avviso, che le eccezioni della difesa sono "solo un espediente per arrivare prima alla prescrizione". Insomma, sempre il solito show a cui ci ha abituato Di Pietro.


Licenziato dagli elettori, Tonino torna alla ribalta nel processo sulla presunta compravendita di senatori: torna toga per far condannare Berlusconi





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Di Pietro rientra in aula e attacca BerlusconiDi Pietro torna a vestire la toga
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Published on February 11, 2014 03:16

February 10, 2014

Ora il Cav pensa alle europee: Barbara Berlusconi in lista?

Occhi puntati alle europee. La partita per lo scontro elettorale entra nel vivo, proprio mentre sul Quirinale esplode l'intervista dell'ex premier Mario Monti che sul Corriere della Sera mette a nudo le manovre del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per far fuori Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi. Galvanizzato dall'ultimo sondaggio Ipr, che attesta il centrodestra a un passo dal 38% delle preferenze, il Cavaliere è già alle prese con i candidati da mettere in lista. E, stando a un'indiscrezione del Messaggero, tra i nomi forti su cui puntare spunterebbe anche Barbara Berlusconi.


È ancora tutto da scrivere. Non c'è nulla di certo. Anzi, quelle che circolano nelle ultime ore sono soltanto indiscrezioni che circolano, senza conferme né smentite, lungo i corridoi dei palazzi capitolini. Mentre nel Pd è in corso una staffetta suicida tra il premier Enrico Letta e il segretario Matteo Renzi, Forza Italia serra i ranghi e lavora su due piani. Da una parte c'è il tavolo per le riforme, dall'altra la partita per l'Europarlamento. Una partita, quest'ultima, che molti leggono come il banco di prova per il rinato partito del Cavaliere. Per questo i volti da lanciare in campagna elettorale sono tutt'altro che scontati. Un punto di domanda è proprio sul cognome Berlusconi. Perché tra i figli del Cavaliere potrebbe esserci qualcuno disposto a lasciare le aziende di famiglia per impegnarsi attivamente in politica. Stando ai rumor riportati dal Messaggero, Berlusconi sarebbe pronto a puntare su Barbara in modo far comparire il proprio cognome come capolista di Forza Italia in tutte le circoscrizioni. Aldilà delle indiscrezioni degli ultimi giorni, che ancora una volta tornano a tirare in ballo il suo nome, Marina Berlusconi sembra infatti resistere al pressing del padre che, a detta di molti, preferirebbe candidarla alle politiche. La figlia minore, membro del consiglio di amministrazione del Milan, sembra invece ben felice di impegnarsi in Europa.


Il giallo sul futuro di Barbara Berlusconi non è certo l'unico da dipanare nel quartier generale di Forza Italia. Tra questi spunterebbe anche l'opportunità di candidare Giovanni Toti. Se da una parte il Cavaliere sembrerebbe pronto a mandarlo in giro per il Paese e per i programmi tivù a fare campagna elettorale, dall'altra i vertici azzurri frenerebbero nell'incertezza del risultato per la "freschezza" dell'incarico da lui ricoperto. Tra i nomi certi, invece, ecco spuntare il responsabile dei club Forza Silvio, Marcello Fiori, e l'ideatore dell'Esercito di Silvio, Simone Furlan. Quest'ultimo potrebbe ottenere un posto sicuro nella lista del Nord Est. Un'altra certezza è il nome di Iva Zanicchi. "Mi candido con Forza Italia, anche se tutti me lo sconsigliano io sono una testarda", ha spiegato la europarlamentare a Un giorno da Pecora su Radio2. In forse, invece, Raffaele Fitto che, alle europee del 1999, conquistò oltre 100mila preferenze. Nelle ultime ore ha preso, poi, a girare il nome di Adriano Galliani: l'incarico al Milan è in scadenza e il Cavaliere gli avrebbe proposto di impegnarsi a Bruxelles.


Berlusconi vorrebbe candidare Marina alle politiche, ma la figlia frena. Secondo il Messaggero, alle europee punterebbe su Barbara. Sul tavolo anche il nome di Galliani





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Andrea Indini

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Published on February 10, 2014 04:13

February 5, 2014

Le forze anti-euro puntano al 30%: la corsa alle europee è già iniziata

"Sono proteste modeste, marginali". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano liquida con poche parole il blitz leghista all'Europarlamento. Non dà peso all'ondata anti euro che sta spazzando via i principali Paesi del Vecchio Continente. E, affiancato dal fido Martin Schulz, assicura che dall'unione monetaria non si tornerà mai indietro. Il segretario del Carroccio Matteo Salvini lo corregge: "Se si fa un giro, senza scorta, fra giovani disoccupati, cassaintegrati, imprenditori e artigiani rovinati, per dir loro che l’euro è bello e non si tocca, altro che proteste marginali". Dalla Francia all'Italia, dalla Germania all'Olanda, la spinta degli euroscettici punta dritto nel cuore dell'Unione europea e, attraverso le elezioni di fine maggio, spera di conquistare più seggi possibili a Bruxelles.


A poco più di tre mesi dal voto, Repubblica pubblica i primi sondaggi disponibili su quello che, sin dalle prime battute, si avverte essere un passaggio cruciale fondamentale. In ballo non ci sono solo le alleanze politiche, ma il nuovo assetto dell'Europa. Sul tavolo del confronto finiranno inevitabilmente il futuro della moneta unica, le politiche di austerity imposte dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e il ruolo della Bce nelle economie dei Paesi membri. E dalla fotografia scattata da Ipr Marketing appare subito chiaro che un ruolo predominante lo avranno sicuramente quelle forze politiche che sin da subito si sono schierate contro l'euro e contro la Ue. Se, infatti, il Pd rischia di attestarsi, col 27,6% delle preferenze, il partito più votato, Forza punta a portare a casa oltre 24% superando così il 32% delle preferenze se si presenterà in coalizione con Ncd, Lega e Fdi. Il restante 30% andrà, invece, a partiti che possono essere tranquillamente annoverati tra gli euroscettici. Dietro i democrat, si collocano infatti i Cinque Stelle che si attesterebbero oltre il 25%. Sulla stessa scia si incanala anche la Lega Nord, forza anti-europeista per eccellenza che, pur non andando oltre il 5%, all'Europarlamento punta a sottoscrivere un sodalizio col Front National di Marine Le Pen. "Per le euroopee - spiega Salvini - correremo anche al Sud e stringeremo alleanze con tutte le forze che condividono la battaglia anti-euro". Insomma, sommando i voti che andranno a Cinque Stelle, Carroccio a Fratelli d'Italia, gli euroscettici potrebbero superare il 30% delle preferenze portando a Bruxelles quelle istanze che a lungo gli euroburocrati hanno provato a zittire.


Il consenso delle formazioni euroscettiche non cresce solo in Italia. Ma si consolida, di settimana in settimana, nei principali Paesi membri. Come analizzato da Ipr Marketing per Repubblica, anche i sondaggisti stranieri concordano nel quotare intorno al 25-30% le future presenze anti euro sedute sui 751 seggi in palio. Abbastanza da cambiare il volto al futuro parlamento europeo, proprio quando sarà chiamato a eleggere il presidente della Commissione. Lo scorso aprile la Le Pen e l'olandese Geert Wilders hanno unito la destra sotto il vessillo dell'Alleanza europea per la libertà. "L’embrione di un gruppo parlamentare - aveva annunciato - la leader del Front National - è già costituito". Lo scorso gennaio, poi, la Le Pen ha stretto con Salvini un accordo di massima per "fare fronte comune contro l’euro, che è uno strumento criminale, contro l’invasione islamica e contro un’immigrazione incontrollata".


 


Il M5S punta al 25,5%, la Lega Nord al 5%. Un trend generalizzato in tutti i Paesi membri. Anche Le Pen e Wilders nella partita. Euro e Ue reggeranno l'urto?





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Andrea Indini

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Published on February 05, 2014 02:04

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