Andrea Indini's Blog, page 154
March 13, 2014
Renzi: "Soldi a maggio o sono buffone"
Lo ha sempre detto di volerci mettere la faccia. E sul taglio delle tasse Matteo Renzi sembrerebbe anche disposto a giocarsi il futuro politico. Da maggio dovrebbero arrivare mille euro in più all'anno nelle buste paga di dieci milioni di italiani. All'indomani del Consiglio dei ministri che ha ridotto l'Irpef a chi guadagna fino a 1.500 euro al mese e, al tempo stesso, ha alzato le aliquote sulle rendite al 26%, il premier va da Bruno Vespa a illustrare il suo piano economico. "Dietro i numeri c’è una vita reale di persone che hanno visto finora le bollette crescere e gli stipendi bloccati - assicura - per la prima volta il governo dà ottanta euro permanenti al mese nella busta paga". E, dopo aver escluso la patrimoniale e un prelievo straordinario sulle pensioni fino a tremila euro, promette che non taglierà l'indennità ai parlamentari ma si batterà per "farli lavorare sul serio".
Dopo lo show a Palazzo Chgi, concede il bis a Porta a Porta: tra annunci altitonanti, cifre roboanti e coperture economiche ancora in forse, Renzi spiega agli italiani il piano che ha in mente per rilanciare il Paese. Tra tagli delle tasse e tagli degli sprechi, il cammino è tutto in salita. Anche perché, aldilà degli annunci ad effetto, permangono molti dubbi sui fondi che al dicastero di via XX Settembre faticano a saltar fuori. Si parte dall'Irpef. Nonostante i dubbi, che serpeggiano anche tra i suoi, Renzi ostenta sicurezza: "Ci siamo dati delle scadenze. Se il 27 maggio queste cose non arrivano sono un buffone...". L'obiettivo è che dieci miliardi di euro all’anno vadano a dieci milioni di persone. In un secondo momento, promette, penserà a "mettere più soldi in tasca ai pensionati". Ma tutto ha un prezzo. Sette miliardi di euro dovrebbero arrivare dalle sforbiciate del commissario alla spending review Carlo Cottarelli, risparmi che vengono dalla fornitura di beni e servizi. Altri 500 milioni dovrebbero essere raccimolati dagli stipendi dei manager pubblici che risultano sproporzionati rispetto ai colleghi tedeschi. Su di loro Renzi è pronto a far calare la mannaia. "La terza voce di bilancio, che è anche il nostro incubo dai tempi di Monti, è lo spread - spiega Renzi - se consideriamo il differenziale tra 250 e 200 abbiamo un risparmio netto di 2,2 miliardi di euro".
La stessa sicurezza, la ostenta anche nel promettere il pagamento di tutti i debiti che la pubblica amministrazione ha ancora con le imprese. Tanto da spingersi a fare una scommessa con Vespa: se riuscirà a pagare tutti i debiti entro il 21 settembre, giorno di San Matteo, il giornalista andrà in pellegrinaggio a piedi da Firenze al santuario in cima al Monte Senario. È uno slogan dietro l'altro, davanti alle telecamere è ancora più esplosivo che a Palazzo Chigi dove dice di sentirsi agli arresti domiciliari. Così, spazia dalle riforme economiche alla legge elettorale, dall'Ue alla spesa per la Sanità. Tutte belle promesse, insomma. Che punta a portare a termine in piena autonomia. "Il premier deve ascoltare tutti, ma i tavoli li fanno gli immobilieri, noi prendiamo decisioni - avverte - ci pagano per questo". La Triplice è avvisata. "Sarebbe bello sapere quanti lavoratori rappresentano i sindacati", chiosa Renzi. Ad ogni modo i molti punti interrogativi restano lì dove sono. "Se perdo la scommessa - ammette Renzi - immagino dove mi possono mandare gli italiani...". Non resta che stare a vedere.
Renzi illustra il piano economico a Porta a Porta: "Per la prima volta il governo mette più soldi nelle buste paga". E sui debiti della Pa: "Se pago entro settembre, Vespa dovrà fare un pellegrinaggio". Ma tutto ha un prezzo: ecco dove va a prendere i soldi
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Andrea Indini
March 12, 2014
Spending review, Cottarelli: "Contributo di solidarietà sulle pensioni più alte"
Dai sontuosi stipendi dei manager pubblici ai costi imperiali della politica, dalle auto blu al corrozzone delle società partecipate. Sprechi, privilegi e spese con troppi zeri finiscono nel mirino del commissario per la spending review Carlo Cottarelli. Che, in audizione al Senato, propone tagli e correzioni per abbassare il pachidermico debito pubblico che da una parte mette un freno alle riforme e dall'altra azzoppa il rilancio del Paese. Nella ricetta rientrano anche riduzioni su trasporto ferroviario, commissioni bancarie, forze di polizia, enti pubblici e acquisti inutili della Pubblica amministrazione. Un intervento poderoso che prevede anche "un contributo temporaneo per le pensioni oltre una certa soglia essenzialmente per consentire l’assunzione di nuove persone" intervenendo sugli "oneri sociali per i neoassunti". Una misura che non toccherebbe l’85% delle pensioni.
Tutto dipende da quando il governo deciderà di passare dalle parole alle cesoie. Se la spending review venisse approvata a stretto giro, nel 2014 si riuscirebbe a risparmiare circa tre miliardi di euro. Se le misure fossero state avviate da inizio anno, il dato su base annua sarebbe stato intorno ai 7 miliardi. Ma coi condizionali non si fanno i piani economici né si trovano le coperture per riformare il Paese. Eppure la lista della spesa compilata da Cottarelli stima di risparmiare 18 miliardi nel 2015 che nel 2016 saliranno a 34 miliardi, pari al 2% del pil. Tuttavia, è l'avvertimento di Cottarelli, questi risultati potranno essere raggiunti solo "se ci sarà un pieno sforzo in questa direzione". Sforzo che dovrà fare la politica approvando tagli a trecentosessanta gradi che però non toccheranno l’istruzione e la cultura. Da qui l'imput di rivedere le spese destinate alle cosiddette "leggi mancia" che, nascoste nelle pieghe della legge di Stabilità, servono a finanziare micromisure che difficilmente possono "esser considerate valide se non per interesse personale".
Ieri sera Cottarelli ha presentato le proposte per una spending review efficace al comitato interministeriale per la revisione della spesa. In una settantina di schede viene così individuato dove andare a tagliare gli sprechi della spesa pubblica. Sul fronte delle auto blu, simbolo per eccellenza degli sprechi della casta, viene proposto "un modello misto tra quello inglese e quello tedesco", quindi "auto blu solo per i ministri e un pool di massimo cinque berline per dicastero". I risparmi che potrebbero arrivare dagli immobili pubblici, invece, ammontano a circa 2 miliardi di euro. Un altro capitolo è dedicato alla Rai che per legge deve avere sedi in tutte le Regioni. Nel piano di spending review la televisione pubblica potrebbe benissimo coprire l’informazione regionale anche senza le costosissime sedi regionali. Per quanto riguarda la razionalizzazione degli enti pubblici il Cnel finisce nella black list di Cottarelli.
Il commissario alla spending review ci tiene a sottolineare che, pur preservando "le fasce di reddito più deboli", il piano garantisce "un’attenzione negli aspetti redistributivi". Tuttavia l'indicazione di andare a mettere mano alle pensioni fa subito rizzare le antenne. Perché, per quanto Cottarelli proponga di andare a tagliare solo quelle più alte, si va sempre a prendere ai soliti noti. Se il governo Renzi deciderà un contributo temporaneo, potrebbero essere a rischio coloro che hanno un reddito superiore a circa 2.500 euro al mese, ovvero la soglia fino a cinque volte il minimo.
Cottarelli presenta il piano di spending review. E propone un contributo di solidarietà sulle pensioni oltre i 2.500 euro
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Andrea Indini
March 11, 2014
Il Pd in rivolta contro Renzi: torna lo spettro dei 101
Cento e uno. Sono i voti che sono venuti a mancare all’emendamento che contiene i "pilastri" del patto siglato tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Ovvero, le soglie di sbarramento, il premio di maggioranza e gli algoritmi per la ripartizione dei seggi. Fatte salve le assenze, giustificate e non, il "cuore" dell'Italicum è passato a Montecitorio con 101 voti in meno rispetto alla "maggioranza" che sulla carta sostiene la riforma. Così, dopo la bocciatura dell’elezione di Romano Prodi al Quirinale, che fece capitolare l'ex segretario Pier Luigi Bersani, torna lo "spettro" dei 101 franchi tiratori.
Il voto segreto, l'accordo saltato sulle quote rose, il "tradimento" di una sessantina democrat, la baruffa in assemblea con Rosi Bindi e lo "spettro" dei 101 mancanti. Il Pd è sull'orlo di una crisi di nervi. Dopo che la Camera ha respinto tutti e tre gli emendamenti sulle quote rosa, quello sull'alternanza di genere e i due sui capilista, le deputate piddine chiedono al premier (nonché segretario del loro partito) Matteo Renzi di spiegare "perché sono venuti a mancare i voti del Pd". Una richiesta che punta a "ottenere la garanzia" che la legge venga cambiata al Senato. Così, mentre la giovanissima Giuditta Pini augura l'evirazione a chi ha votato contro le quote rosa, la Bindi scende nell'arena e affrontare Renzi vis à vis: "Il Pd è un partito ferito dai 100 voti mancati per far passare la norma antidiscriminatoria". È un attacco frontale, davanti a tutti, in assemblea. Ma il premier tiene la barra dritta: "Se qualcuno non vuole votare l'Italicum, lo deve spiegare fuori da qui".
Per quanto Renzi si sbracci per dire che il partito garantirà ugualmente la rappresentanza femminile, il Pd ne esce con le ossa rotte. Tanto che l'emendamento sulle soglie, cuore dell'accordo siglato con Berlusconi, passa con solo 315 voti favorevoli. E, se si sommano i 416 voti potenziali a disposizione dei quattro gruppi che hanno sottoscritto l’accordo (Pd, Forza Italia, Ncd e Scelta civica), mancano sulla carta, considerando anche gli assenti in Aula, 101 "sì". Si riaffaccia lo spettro dei franchi tiratori che silurando Prodi dalla corsa al Quirinale ha obbligato Bersani a lasciare la leadership del partito. L'estenuante braccio di ferro sulla riforma elettorale rischia seriamente di logorare il governo e Renzi che in parlamento non gode certo di una maggioranza piena. E, se alla Camera i numeri sono stati risicati, al Senato la prospettiva è di gran lunga peggiore.
Aldilà del riottoso sostegno a una legge elettorale senza parità di genere, la minoranza del Pd si prepara a dar battaglia alla direzione di settimana prossima. Il malcontento è generalizzato. Maino Marchi si dimette da capogruppo in commissione Bilancio. Dimissioni che fanno male perché arrivano al termine di un'incendiaria assemblea di partito segnata dall'insurrezione della minoranza piddina e da un Renzi sempre più nell'angolo. "Ha preferito mantenere il patto con Berlusconi piuttosto che rispettare un principio come quello della parità di genere", accusa Stefano Fassina. Non è certo l'unico a pensarla così. Tanto che dal voto di ieri sera la forza di Renzi ne esce ridimensionata. Il feroce battibecco con la Bindi è la dimostrazione che l'ala di minoranza ha trovato il pretesto per rialzare la testa. "Abbiamo un’idea diversa della democrazia di un uomo solo che fa le cose buone", tuona la pasionaria.
Renzi chiama a raccolta i deputati: "Votate compatti". Ma in Aula vengono a mancare 101 voti. Torna lo spettro dei franchi tiratori che fecero fuori Prodi
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Andrea Indini
Fassina: "Il Pd ha dato priorità all'accordo col Cav"Civati attacca Renzi: "La smetta di dire 'o così o niente'"Zoggia avvisa Renzi: "Oggi votiamo, poi direzione"Quote rose, Cuperlo: "Ieri giornata negativa"
Tasse, debiti e Jobs Act: Renzi alle prese con l'abaco
Matteo Renzi spinge perché la riduzione da 10 miliardi delle tasse ci sarà sia siglata già domani, quando il Consiglio dei ministri sarà chiamato a varare una sventagliata di provvedimenti: "Per la prima volta sarà messa nelle tasche degli italiani una significativa quantità di denaro". Ma, se per il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione, l’edilizia scolastica e il piano casa è tutto pronto, per la riduzione della pressione fiscale i nodi da sciogliere sono ancora molti. Innanzitutto, per le coperture. Con una sorpresa: tra le forbici del governo potrebbero finire le spese militari e gli aerei da guerra F-35. In secondo luogo, il derby tra Irpef e Irap. Come spiega in una lettera al Corriere della Sera, per il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi la misura ideale sarebbe "la riduzione del cuneo fiscale pagato dalle aziende" e non l’intervento annunciato dal premier a favore delle famiglie con "qualche decina di euro in più in busta paga".
"Bisogna agire subito". Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non ha alcun dubbio. E lo ha ripetuto pure ieri a Bruxelles: "I risultati saranno crescenti nel tempo e probabilmente veramente significativi in 3-4 anni". Nessuna incertezza sulla volontà di intervento, quindi, ma il governo deve fare i conti con le compatibilità tecniche delle scelte da fare. Che la riduzione delle tasse si concentri sull’Irpef, invece, appare oramai scontato. Scelta che non fa impazzire gli industriali. "Occorre intervenire sul cuneo fiscale - tuona Squinzi - è il fattore che più ci penalizza rispetto alle economie avanzate". Più di 35 punti di svantaggio competitivo rispetto alla Germania sono, infatti, un abisso che gli industriali italiani non riescono più a colmare. Per Squinzi, "un miglioramento di competitività di costo si tradurrebbe immediatamente in effetti positivi sia sull’occupazione sia sulla competitività d’impresa". Anche sul fronte del taglio dell'Irpef, tuttavia, la partita resta aperta. Perché il governo deve ancora decidere come possa essere attuata, ad esempio se attraverso le detrazioni sul lavoro o quelle per i famigliari a carico. I sindacati premono per interventi in favore dei lavoratori e il leader della Cgil Susanna Camusso chiede risorse per il mondo del lavoro, anche sul capitolo degli ammortizzatori sociali, minacciando proteste. Se le scelte saranno concentrate sui redditi fino a 15mila euro il bonus mensile potrebbe arrivare anche a 200 euro, se si sale a 20mila euro l’importo si dimezzerebbe. Sul tappeto ci sarebbero ancora anche la possibile riduzione dei contributi sociali, che impattano sulle buste paga ma anche sui costi dei datori di lavoro.
Un altro nodo da sciogliere è sicuramente quello delle coperture. Per il 2014 basterebbero 7-8 miliardi di euro, cinque dei quali arriverebbero dalla spending review. Nel paniere delle risorse rimangono anche l’intervento sulle rendite finanziarie, i minori esborsi per gli interessi dovuto al calo dei rendimenti sui titoli di Stato e il rimpatrio dei capitali, per il quale è previsto il varo di un ddl da approvare velocemente con le modifiche che spianerebbero alcuni nodi tecnici emersi nel confronto con la Svizzera. Ma c’è poi la sorpresa del taglio alle spese militari. Nel mirino della contraerea del governo sono finiti gli F-35. Lo Stato italiano, che prevede di spendere 14,3 miliardi in quindici anni, ha già ridotto il programma da 131 a 90 aerei.
Anche i contenuti del Jobs Act non sono certo meno fumosi. Per il momento sono stati presentati i ddl per semplificare il mercato del lavoro e riformare gli ammortizzatori sociali. Tutti interventi che non richiedono risorse. Le misure onerose saranno invece coperte coi fondi Ue vincolati a progetti di sviluppo. Al Consiglio dei ministri di domani il Tesoro porterà le norme che consentono di sbloccare 60 miliardi di euro di debiti. L'obiettivo di Padoan è di alimentare gli incassi Iva contribuendo alla copertura del taglio del cuneo. Varo sicuro anche per le norme che sbloccano i fondi (circa 2 miliardi di euro) già in possesso dei comuni per ristrutturare le scuole. "Nessuno sa davvero quante e quali sono le scuole se cui dobbiamo intervenire, né conosce i fondi disponibili", tuona l sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi che, intervistato da Repubblica, accusa il premier di "sparare razzi nel cielo". Senza contare che, accanto all'edilizia scolastica, c'è da varare pure il piano casa. Una lista della spesa infinita, insomma. Per far quadrare tutto Renzi si spacca la testa sull'abaco. Ma i conti continuano a non tornare. "Matteo alza le aspettative per un risveglio di fiducia e fa anche un po' di movida nel Paese - lo avverte Pier Luigi Bersani - è una cosa che comporta dei rischi".
Domani Cdm di fuoco. Renzi punta all'Irpef: tensioni coi sindacati sulle detrazioni. Squinzi: "Ridurre il cuneo pagato dalle aziende". E Reggi smonta il piano scuola
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Andrea Indini
Il premier Matteo Renzi col ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan
Sul cuneo fiscale c'è aria di truffaDa sindacati e Confindustria fuoco incrociato su Renzi
March 10, 2014
Il derby tra Irpef e Irap mette in difficoltà Renzi
Il buon proposito c'è. Ed è quello di tagliare le tasse. Come, dove e quanto, però, sono i nodi ancora da sciogliere. Perché, sebbene Matteo Renzi tiri dritto nel promettere una riduzione della pressione fiscale, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e i suoi uomini corrono contro il tempo per trovare le coperture economiche e sciogliere, una volta per tutti, il derby tra Irpef e Irap che potrebbe incidere sulle tasche degli italiani. Intervistato da Fabio Fazio, il premier ha lasciato intendere che punta a dare una sforbiciata a vantaggio delle famiglie, e quindi esclusivamente all'Irpef. Nelle ultime ore, però, il viceministro dell'Economia Enrico Morando ha accelerato nella direzione opposta: quella del taglio all'Irap.
Nel merito dell’intervento fiscale il premier non si sbilancia, se non osservando che un taglio diviso a metà tra Irpef e Irap non funzionerebbe. "Non ha funzionato in passato - ha spiegato a Che tempo che fa - Prodi fece una riduzione teoricamente molto importante, ma poi alla fine nessuno se ne accorse". Come spiega Repubblica, se indirizzati solo all'Irpef, come preferirebbe per Renzi, i 10 miliardi "cadrebbero sulle buste-paga a un ritmo di 80 euro netti al mese, che si avvicinerebbero a 100 se si tiene conto che una mini-manovra di riduzione dell’Irpef in busta paga è già stata varata del governo Letta e che, ad aprile, quando scatterà l’operazione arriveranno circa 15 euro in più". L’effetto congiunto delle due misure potrebbe, dunque, portare un migliaio di euro circa in busta-paga all'anno. Tutt'altro discorso se i 10 miliardi venissero divisi a metà tra Irap e Irpef. "Il pacchetto di misure lo presentiamo mercoledì con le entrate e le uscite - ha spiegato Renzi - non ritengo giusto che ne parli oggi ma trovo abbastanza imbarazzante che per anni si sono aumentare le tasse, ora che si stanno abbassando sono iniziate le polemiche". Le polemiche, però, sono tutte interne al governo. Perché, se da una parte deve far fronte alle pressioni di Confindustria e parti sociali, dall'altra deve tener testa alle divisioni interne al Tesoro.
"Niente mezze misure nel 2014 o tutto sull'Irap o tutto sull'Irpef. L'anno prossimo il contrario". In una intervista al Messaggero, il piddì Morando propone una sorta di taglio delle tasse a rotazione. Con una preferenza netta per l'Irap: "Eliminerei il costo totale delle buste paga dall'imponibile Irap". "Se consideriamo come priorità combattere la disoccupazione giovanile e femminile, il taglio dell'Irap ha certamente effetti migliori - ha spiegato - l'irap è l'imposta più nemica dell'occupazione che ci sia". Sulla stessa linea anche il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda (Scelta civica): "Il taglio dell’Irap alleggerirebbe il carico record sulle imprese consentendo alle aziende di investire e rimettere in moto crescita e occupazione". Da qui l'avvertimento per Renzi: "Se le aspettative rimangono negative, un taglio dell’Irpef rischia di indurre le famiglie a risparmiare invece di consumare". Pur preferendo optare per un taglio dell'Irap, il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha provato a fermare il dibattito definendolo uno "sterile derby". In questo dualismo fiscale rischiano di perdere i contribuenti. Come sempre.
Il governo non sa se aiutare imprese o lavoratori: Renzi punta al taglio dell'Irpef, ma nei ministeri tira tutt'altra aria
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Andrea Indini
March 7, 2014
Fini sputa sulla destra: "A Fiuggi bambini viziati che scimmiottano la storia"
"Fa riflettere il modo con cui i dirigenti di Fratelli d’Italia tentano di far risorgere Alleanza Nazionale. Dopo aver furbescamente inserito il simbolo, seppur in formato bonsai, nel loro logo elettorale celebrano questo fine settimana il congresso nazionale a Fiuggi". Sin dall’incipit Gianfranco Fini fa capire su quali corde si sviluppi la sua riflessione, affidata al sito dell'associazione Liberadestra, sul congresso di Fratelli d’Italia. Un "saluto" ben diverso da quelli rituali per occasioni del genere: "Mi sembrano bambini cresciuti, e viziati, che vogliono imitare i fratelli maggiori senza capire che le condizioni in cui si trovano sono completamente diverse".
Delfino di Giorgio Almirante, poi leader di Alleanza nazionale, quindi cofondatore del Pdl, infine inutile sodale della sinistra nel tentativo di far fuori Silvio Berlusconi dalla scena politica. Non ce l'ha fatta, Fini, a eliminare il Cavaliere che per ben tre volte lo portò al governo. Riuscì, invece, a cancellare An prima, la destra poi. E con sé, a fondo, trascinò uno stuolo di ex missini e futuliberisti della prima ora. Tutti trombati per voler di popolo, tutti cacciati col sacrosanto imprimatur delle urne. Oggi scrive libri, strizza l'occhio ai salotti progressisti e scrive articolesse al fiele. È tutto uno sprizzare cattiverie contro quelli che furono i suoi colonnelli, compagni di un cammino politico segnato dall'odio dei compagni e dalla ghettizzazione della società. Eppure gli ex nemici sono diventati amici. E gli ex amici nemici. Applausi alla Festa democratica, fischi e insulti ai funerali di Pino Rauti. Triste epilogo di un politigo che fu di destra e che oggi se la prende con chi, la destra, non l'ha mai dimenticata e spera di tornare a farla splendere - anche se con un sussulto nostalgico. "Rischiano di far piangere, di rabbia e non certo di commozione, chi venti anni fa era consapevole di quel che stava accadendo a destra - accusa il "leader" del Fli - anche per questo non comprendo come un uomo come Ignazio La Russa, che nel 1994 c’era e con un ruolo da protagonista, non abbia ricordato a Giorgia Meloni, che all’epoca aveva 17 anni, solo poche verità".
A Fratelli d’Italia Fini non manca di dare lezioni e li invita a smetterla di "scimmiottare la storia". Lui, che alle elezioni politiche del 2013 portò a casa un misero 0,47%, spiega a La Russa & Co. come superare il 4% alle europee: "Serve loro qualcosa di assai più convincente che una scampagnata semiclandestina a Fiuggi. La storia di An, di cui anch’essi fanno parte, non merita di ripetersi in farsa". Lui, che diventato futuliberista si è fatto progressista in tema di immigrazione, cittadinanza e stupefacenti, spiega alla "nuova" destra di cercare "idee nuove e prospettive credibili in materia di integrazione europea, mercato del lavoro e politiche economiche, welfare, legalità e sicurezza, diritti civili". E quello che ha fatto lui, voltando le spalle al Pdl e al suo popolo. L'odio nei confronti di Berlusconi, però, ancora non è riuscito a mitigarlo. Da qui l'ultimo consiglio a Fratelli d'Italia: "Vi serve chiarezza sulle future alleanze. Ancora e ad ogni costo con Berlusconi, perché altrimenti non si entra in Parlamento, oppure il congresso di Fratelli d'Italia indicherà un'altra prospettiva?".
Fini attacca Fratelli d'Italia: "La storia di An non merita di ripetersi in farsa". E getta fiele su un popolo di cui lui stesso fu parte
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Andrea Indini
Padoan rimane col cerino in mano
Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan rischia di rimanere col cerino in mano. Negli uffici di via XX Settembre c'è un grosso affanno per trovare le coperture economiche che andranno a coprire il taglio del cuneo fiscale. Sul tavolo, oltre agli incassi (non ancora cifrati) del rientro dei capitali evasi, il titolare del Tesoro vorrebbe utilizzare i fondi strutturali europei che non vengono spesi. Peccato che il commissario Ue alle Politiche regionali Johannes Hahn sia subito saltato al collo di Padoan ricordandogli che "i fondi della politica di coesione devono essere utilizzati per finanziare nuovi progetti per lo sviluppo". "Quindi - ha messo in chiaro - non possono essere usati per coprire la riduzione di imposte, come quella potenzialmente legata al cuneo fiscale".
Come spiegava nei giorni scorsi, Padoan è al lavoro su due fronti: la spending review e il taglio del cuneo fiscale. Un piano ambizioso che, stando alla "cura choc" elaborata dal premier Matteo Renzi, servirebbe a far ripartire la crescita. Il piano, però, è farraginoso, soprattutto per quanto riguarda le coperture economiche. Puntando tutto sull'effetto strutturale dei tagli alla spesa pubblica, il Tesoro conta di realizzare risparmi per 32 miliardi di euro entro il prossimo biennio. Nel 2014 dovrebbero arrivare già 5 miliardi di euro. Non abbastanza per andare a coprire il piano economico che già settimana prossima dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri. Come spiega il Sole 24Ore, "la trattativa con la Commissione europea verterà sulla possibilità che per rendere immediatamente effettivo il taglio al cuneo fiscale si possano utilizzare, sotto forma di 'anticipo' dei complessivi risparmi di spesa, anche entrate una tantum". E quindi: in primis, Padoan conta di mettere le mani sui capitali esportati illegalmente e fatti rientrare. L'introito, però, è quantomai fumoso. Per questo vorrebbe far rientrare nella partita anche i fondi strutturali europei che non vengono spesi.
Sui fondi strutturali Bruxelles ha subito alzato un muro. E ha caldamente invitato Padoan a non contare sull'utilizzo di soldi che "non possono essere usati per coprire riduzione di imposte". "Stiamo quindi dicendo all’Italia, come a qualsiasi altro Stato Membro dell’Unione, che le regole dei fondi permettono di finanziare con risorse nazionali (prima che i programmi per il 2014-2020 siano adottati dalla Commissione, ndr) progetti concreti per offrire, per esempio, aiuti per lo start up o per l’espansione produttiva e occupazionale dell’industria manifatturiere, o operazioni per ridurre la dispersione scolastica", ha puntualizzato Shirin Wheeler, portavoce del commissario Hahn, ricordando che tutti i progetti saranno sottoposti a una verifica di coerenza con le regole, i criteri di selezione e la strategia. Insomma, sui fondi europei è meglio che Padoan non faccia affidamento.
Per coprire il taglio del cuneo fiscale il ministro conta di usare i fondi strutturali Ue. Ma Bruxelles lo gela: "Non può"
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Andrea Indini
Il giallo sui conti pubblici
"Sui conti pubblici c’è poco da dire...". Il premier Matteo Renzi non ci sta a farsi invischiare in una rissa aritmetica. Eppure dietro al desolante rimpallo sulla salute delle casse pubbliche c'è molto di più che un semplice moto d'orgoglio da parte dell'ex ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni. Il nuovo governo accusa chi l'ha preceduto di aver lasciato i conti in disordine e mette così le mani avanti su eventuali ritardi nell'attuare le manovre promesse o, ancor peggio, su future manovre economiche."È stato addirittura Saccomanni ad avvisarci che le cose stavano in un certo modo - ha detto Renzi alla Stampa - dunque non capisco né gli attacchi né le ironie".
Il braccio di ferro in corso potrebbe determinare le prossime manovre del Tesoro. Come riporta il Corriere della Sera, l'ex titolare dell'Economia rispedisce al mittente le accuse e getta un'ombra sulla strategia di Renzi. "A pensare male si potrebbe immaginare che l’accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l’economia in ripresa... - ha commentato Saccomanni - a quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via". Le valutazioni sullo Stato dei conti pubblici italiani dopo le osservazioni dell’Ue di ieri e le stesse osservazioni di Bruxelles non sono affatto piaciute a Saccomanni che, in una mail inviata ai giornalisti che lo hanno seguito in questi anni, ha definito questi commenti "incomprensibili e immotivati". A indispettirlo maggiormente è stato proprio Renzi che nei giorni scorsi andva in giro a dire: "Sapevamo che i numeri non erano quelli che raccontava Letta, ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano".
Adesso non resta che vedere come andrà a finire. Perché le male lingue temono che dietro a questo teatrino ci sia una manovra all'orizzonte. Manovra che è stata debitamente smentita ieri da Palazzo Chigi, senza che nessuno gli chiedesse nulla. Certo è che Bruxelles pretende che l'Italia vada avanti con le misure messe in cantiere: revisione della spesa, privatizzazioni, voluntary disclosure, gettito straordinario dalla revisione del capitale di Banca d’Italia. Tre sono già state adottate mentre per la spending review è stata "rimandata" dalla caduta del governo Letta. "L’Italia sa perfettamente cosa deve fare - ha assicurato il premier - lo farà da sola e lo farà non perchè lo dice l’Europa ma per il futuro dei nostri figli".
Braccio di ferro sui conti. Renzi scarica il precedente governo: "È stato addirittura Saccomanni ad avvisarci che le cose stavano in un certo modo". Ma l'ex ministro: "Ci ha fatto cadere perché le cose andavano troppo bene". Un teatrino per nascondere una manovra?
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Andrea Indini
March 6, 2014
Cuneo e spending review: il (fumoso) piano di Padoan
Priorità ai tagli fiscali, risorse (fumose) da spending review e coperture transitorie. Alle fughe in avanti del premier Matteo Renzi, il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan prova a contrapporre ortodossia e rigore. Settimana prossima arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri. E il titolare dell'Economia rilascia la sua prima intervista per delineare il suo programma: "Agiremo concentrando le risorse per un intervento forte". Un orizzonte lodevole che sembra rispondere al giudizio negativo della Commussione europea che ieri ha posto l'Italia al livello di Creazia e Slovenia per "squilibri macroeconomici eccessivi". La risposta che arriverà da via XX Settembre non potrà, però, prescindere da conti pubblici che, lo sa bene Padoan, devono rimanere in ordine. Proprio per questo il ministro dell'Economia ha chiesto più tempo per visionare il Jobs Act e trovare le coperture economiche che dovrebbero arrivare "dalla spending review con 5 miliardi sul 2014 e con misure transitorie come il rientro di capitali".
Renzi ha confermato le prime tappe: Jobs Act, misure per la scuola e piano casa. Saranno "provvedimenti choc". "Ci sono due miliardi di euro per la scuola - ha annunciato ieri il premier -che non sono sufficienti per tutti i Comuni, ma vanno spesi anche per dare un segnale". Poi la riforma del lavoro e degli ammortizzatori, oltre al piano casa. L'imponente piano per uscire dalla crisi economica verrà presentato mercoledì in una "corposa conferenza stampa". Qualche anticipazione, però, potrebbe già arrivare lunedì prossimo, quando Padoan parteciperà alla sua prima riunione coi colleghi europei dell’Ecofin e dell’Eurogruppo. In quell'occasione il ministro potrebbe già esporre il proprio programma. Che non coincide in tutto e per tutto con quello del premier. Negli ultimi giorni ha, infatti, chiesto a Palazzo Chigi più tempo per valutare le coperture della cura choc. Ma niente dualismo: "Ogni volta che vedo il presidente del Consiglio ci chiediamo chi metta in giro queste voci. Una contrapposizione farebbe molto male al governo". In una intervista che oggi apre il Sole 24Ore, Padoan spiega le priorità del suo dicastero mettendo in cima la crescita.
Per il titolare dell'Economia è essenziale "aggredire le cause di fondo della debole competitività delle imprese". Al primo punto c’è, infatti, il nodo dell’eccessivo cuneo fiscale. Come anticipa il Corriere della Sera in un retroscena, ai 2,5 miliardi di euro stanziati dal governo Letta, punta ad aggiungerne altri 7,5 miliardi. L'obiettivo è concentrare l’intervento in una direzione: "tutto sulle imprese, e quindi Irap e oneri sociali, oppure tutto sui lavoratori, attraverso l’Irpef". Purtroppo, quando si tratta di parlare delle coperture economiche, il piano si fa fumoso. Tanto che, nella sua prima intervista alla stampa italiana, il ministro si limita a spiegare che andrà a prendere i danèe dai tagli alla spesa (5 miliardi su base annua) e da misure transitorie come il "rientro dei capitali". Per coprire le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori il ministro punta a "riconsiderare gli strumenti esistenti, utilizzando anche risorse che già vengono impiegate all’interno del sistema di welfare". Anche sulle misure che riguardano competitività e riduzione del debito, non si dimostra più preciso. Si limita solo ad avvertire Renzi: "Sul deficit non dobbiamo tornare oltre il 3%". Per poi ripetere che il debito va abbattuto e "non perché ce lo chiede l’Europa ma per noi" e "per i nostri figli". I soliti slogan che furono già di Monti e poi di Saccomanni. Unica certezza potrebbe essere il provvedimento per lo sblocco di 60 miliardi di vecchi debiti della pubblica amministrazione. Ma, anche in questo caso, il condizionale è d'obbligo.
Il ministro illustra la cura choc: c'è il taglio del cuneo. Ma le coperture sono fumose: "Tutto sulle imprese, e quindi Irap e oneri sociali, o tutto sui lavoratori, attraverso l’Irpef"
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Andrea Indini
Il premier Matteo Renzi col ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan
Lo spettro della manovra (smentita da Palazzo Chigi)
Caro vecchio Jep, da trentenne ti dico
Caro Jep,
un sapore amaro, che mischia il malinconico silenzio alla desolante sensazione di fine, mi rimane addosso (e fatica a lasciarmi) nell'assistere al tuo stanco addio a quella mondanità patinata, inebriata dai fumi dell'alcol e impreziosita da curve e lineamenti che, complice la notte, sembrano copertine più brillanti di quello che in realtà non splendono. Un sapore amaro con cui ho imparato a convivere perché quelli della tua generazione, sessantenni e settantenni, ci hanno sbattuto addosso da sempre, a noi trentenni.
La mondanità non è morta. È solo cambiata. Quella che è morta, semmai, è una certa Italia, quella post sessantottina dei salotti radical chic che ancora scalpitano per non mollare la presa. Lo fanno nei libri e nei film che celebrano questo decadente dissolversi nel nulla di miti, ideali e ideologia che oggi non esistono più. Lo fanno nelle feste caciarone e assordate, tanto egocentriche da farsi paparazzare da Dagospia, disegnando un lento, ma inesorabilmente disfacimento del bello. Lo fanno fagocitando ossigeno e spazi a una generazione ormai schiacciata tra vecchi scalpitanti e giovani sempre più combattivi. Una generazione, quella dei trentenni, che fatica a trovare un luogo in cui esprimersi.
La società non si sta dissolvendo, sta solo cambiando. Cambiano le musiche che i deejay suonano nei locali, come cambiano le mode, i ritmi, i drink, le droghe, i locali e, soprattutto, gli ideali per cui combattere. Ma la mondanità resta, non è in disfacimento. Perché la vita è un'immensa, faticosa festa che riconduce tutti quanti allo stesso punto: all'alba del giorno dopo. Ma perché a questo punto noi trentenni possiamo arrivarci, dobbiamo anche noi poterci sedere al banchetto della vita. A lungo siamo stati abbagliati dal passato. Ci raccontano che tutto è stato testato e digerito. Dall'impegno politico sessantottino al disimpegno della Milano da Bere, dal Miracolo italiano alla crisi finanziaria. Noi, figli della fine del Secolo Breve, abbiamo convissuto con il crepuscolo di una società che sembra dover tirare le cuoia, ma non vuole mai mollare: sta attaccata alla vita e ne succhia linfe vitali.
Francis Scott Fitzgerald, che di mondanità ne sapeva qualcosa, lodava di Gatsby quel suo credere "nella luce verde, nel futuro orgiastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi". "Ieri c'è sfuggito, ma non importa – scriveva nel romanzo che meglio seppe descrivere i ritmi frenetici dell'età del jazz – domani correremo più forte, allungheremo di più le braccia ... e un bel mattino... Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato". Senza dimenticare il passato, dobbiamo vivere il presente. Ora. Non possiamo rimandare.
Caro Jep, tu dici: "Finisce sempre così: con la morte. Prima c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla... È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura. Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla, bla, bla... Altrove c'è l'Altrove. Io non mi occupo dell'Altrove". Io ti dico: l'Altrove è già qui, ora. Quanto per te è passato, per noi è presente. E, oggi come ieri, a seguire la Bellezza non si potrà che andare incontro al Vero.
La società non è in disfacimento. Si sta invece sgretolando una vecchia classe post sessantottina che non vuol mollare la presa
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