Andrea Indini's Blog, page 171

August 2, 2013

Berlusconi riunisce il partito, il Pdl: "Chiederemo la grazia"

All'indomani della sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, Silvio Berlusconi riunisce il Pdl per mettere a punto le prossime mosse. Non è ancora passata l'amarezza per un verdetto dal sapore politico che punta a decapitare il centrodestra e favorire l'ascesa al governo della sinistra. "La sentenza di ieri si basa sul nulla, sul fatto che non potevo non sapere", ha ribadito con chiarezza il Cavaliere che, nostante la gravità del più duro assalto giudiziario che gli sia mai stato ordito, non vuole prendere soluzioni immediate ma preferisce spendersi per vincere le prossime elezioni. I vertici del Pdl, però, sono fermamente intenzionati a chiedere la grazia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.


Accolto da un lunghissimo applauso dai parlamentari del Pdl, Berlusconi non ha fatto sconti ai magistrati che ieri sera, dopo sette ore di camera di consiglio, lo hanno condannato a quattro anni di carcere. Dietro al verdetto della Suprema Corte, c'è infatti  un teorema che non sta in piedi. Un teorema montato ad arte solo per eliminare il Cavaliere dalla scena politica. Ma Berlusconi non intende affatto mollare. Già ieri lo ha messo in chiaro con un video messaggio che rimanda a settembre il lancio della nuova Forza Italia. D'altra parte l'elettorato del centrodestra non intende mollarlo. Secondo il sondaggio settimanale Swg fatto per Agorà, se si votasse oggi, il primo partito sarebbe il Pdl con il 28,3%. Un vero e proprio balzo in avanti rispetto al 27% di due settimane fa e il 21,6% del voto di febbraio. Secondo partito il Pd (24,7%), in recupero rispetto al 23,5% di due settimane fa ma in netto calo rispetto al 25,4% del voto politico di febbraio. Nonostante i sondaggi siano più che favorevoli, Berlusconi non ha alcuna intenzione di staccare la spina al premier Enrico Letta. Per il momento, si va avanti. Per il momento, il Pdl non farà mancare la maggioranza all'esecutivo, Per il momento, appunto. Prendendo al volo l’assist offertogli ieri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Berlusconi ha rilanciato con forza la riforma della giustizia. "Va assolutamente fatta - avrebbe detto durante la riunione del Pdl - altrimenti è meglio tornare alle elezioni al più presto". La prospettiva delle urne anticipate non è poi così remota. Berlusconi, però, vuole che il partito rifletta su quale sia la strada migliore per raggiungere questo obiettivo. Anche i ministri del Pdl sono pronti a dare un segnale chiaro. "Se c’è da difendere i nostri ideali e la nostra storia - ha assicurato il vicepremier Angelino Alfano - siamo tutti pronti alle dimissioni, a partire dai ministri".


L’assemblea dei parlmentari del Pdl si è conclusa proprio con la rimessione di tutti i mandati istituzionali nelle mani del Cavaliere che, però, vuole che il partito rimetta al centro del dibattito politico l'interesse degli italiani. "Non guardate al mio interesse, ma pensate all’interesse del Paese", ha spiegato frenando l'ipotesi di far saltare subito il governo per andare a elezioni anticipate. Nel frattempo, come anticipato dal capogruppo al Senato Renato Schifani, una delegazione del Pdl chiederà un intervento al capo dello Stato affinché sia "restituita la libertà" all'ex premier ripristinando, in questo modo, la democrazia. "Se alla nostra richiesta di grazia non ci fosse una risposta positiva, tutti sappiamo quello che occorre fare - ha spiegato il capogruppo alla Camera Renato Brunetta - difenderemo la democrazia nel nostro Paese".


Pdl riunito all'indomani della Cassazione. Schifani al Colle: "Ristabilisca subito la democrazia". Alfano: "Pronti a dimetterci dal governo". Berlusconi frena: "Niente soluzioni immediate". Ma all'orizzonte si vedono le elezioni anticipate





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Silvio Berlusconi al termine della riunione del Pdl
Il Cav: "Attacco senza precedenti, ma resto in campo"Il videomessaggio di Berlusconi
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Published on August 02, 2013 13:17

Magistrati e sinistra non possono vietare di tifare ancora il Cav

Non sarà certo una condanna vile e politica a tumulare il popolo del centrodestra nelle fogne della politica. Non saranno nemmeno i parrucconi e i soloni dellla sinistra manettara e giustizialista a dettare dove mettere la croce alle prossime elezioni. I vari Marco Travaglio, Pierluigi Bersani, Beppe Grillo e Antonio Di Pietro devono mettersi l'animaccia in pace: i teoremi messi insieme dai pm milanesi e approvati dai magistrati della Cassazione non basteranno a imbavagliare Silvio Berlusconi. Chi ha creduto in Forza Italia prima e nel Pdl dopo continuerà a seguire il Cavaliere che, subito dopo il verdetto violento e liberticida della Suprema Corte, ha assicurato militanti, fan e supporter che non ha alcuna intenzione di mollare, andrà avanti. E il progetto sarà un ritorno a Forza Italia per guardare al futuro.


Alle ultime elezioni quasi nove milioni di italiani hanno votato per Berlusconi. Il 25% dell'elettorato, tanto per capirci. Non quattro manigoldi, evasori fiscali, sfruttatori delle donnacce e chi più ne ha più ne metta, come vorrebbero invece farci credere i compagni della sinistra. Uno su tutti? Bersani che, ancora con la bava alla bocca per la scoppola incassata alle politiche, ha invitato il Pdl a far fuori il Cavaliere. "Dopo la condanna vorrei che si chiedesse al Pdl se intende essere guidato da chi è stato condannato per evasione fiscale - ha detto l’ex segretario del Pd - il Pdl deve mostrare se è una formazione politica o se è un raggruppamento che vive solo col capo". La dichiarazione ha suscitato l'ovvia indignazione delle schiere pidielline che hanno assicurato la leadership di Berlusconi. Qui, però, c'è un piccolo particolare che sfugge ai più. Berlusconi è leader non perché ha l'imprimatur della sinistra o perché i vertici del Pdl lo vogliono alla guida del partito ma perché svariati milioni di italiani credono in lui, per la sua storia, per il suo progetto politico, per l'impegno e i risultati ottenuti in vent'anni da statista e in una vita da imprenditore. Questo è indubbio. Nemmeno Gianfranco Fini riuscì, tramando in parlamento, a scalzarlo da Palazzo Chigi e, soprattutto, dalla guida del centrodestra. Adesso il Movimento 5 Stelle già freme per sbatterlo fuori da Palazzo Madama. Nichi Vendola arriva addirittura a intonare il requiem: "A questo punto deve fare un passo indietro dalla scena pubblica". Roberto Saviano passa subito agli insulti: "Ci toccherà ascoltare un martire relegato in una villa da dove consiglierà i suoi o nei servizi sociali attivo al fianco dei deboli". Sono gli anti Cav di sempre: non gli sembra vero che l'infausta profezia di Nanni Moretti si sia (quasi) avverata.


Certo, la condanna fa male. Fa male a Berlusconi e al centrodestra. Ma soprattutto fa male alla democrazia e alla giustizia, entrambe martiri del verdetto della Cassazione. "E adesso?", si chiedono quei dieci milioni di italiani che anche alle ultime elezioni hanno creduto nel Cavaliere. La sinistra crede di aver sconfitto l'eterno nemico, assapora la vittoria alle prossime elezioni e medita come far cadere il premier Enrico Letta. Ma è davvero tutto già scritto? Macché. Alle ultime elezioni i sondaggisti davano il Pdl intorno al 10%, poi se ne è uscito dalle urne col 25%. Mica male per un partito moribondo. La notizia del ritorno di Forza Italia con la data di settembre non è un mistero, ma il fatto che Berlusconi, nel giorno della condanna definitiva a quattro anni di reclusione, rilanci con ancor più vigore il progetto per un nuovo centrodestra ha un significato specifico: non solo che il Cavaliere non ha nessuna intenzione di farsi da parte e fare il condannato agli arresti domiciliari chiudendo il lungo capitolo della sua vita politica, ma che anzi ha un piano ben preciso. Tornare ai fasti di Forza Italia con se stesso come unico deus ex machina del movimento. Nessuno potrà arginare Berlusconi. Non ci riusciranno i magistrati, non ci riusciranno i grillini e i democratici, non ci riusciranno presunti (mezzi) leader improvvisati all'ultimo momento. Nessuno di loro potrà mai vietare al popolo del centrodestra di seguire Berlusconi.


I grillini brigano per buttar il Cav fuori dal Senato. Il Pd invita il Pdl a cambiare leader. Ma milioni di italiani credono ancora in Silvio. E continueranno a farlo





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Silvio Berlusconi saluta i suoi simpatizzanti davanti villa San Martino ad Arcore
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Published on August 02, 2013 06:11

July 31, 2013

Marchionne boccia il sistema Italia e fa infuriare il governo

Ed è ancora braccio di ferro. Questa volta non con i sindacati. Ma con il governo che non ha gradito la denuncia lanciata ieri da Sergio Marchionne al sistema Italia. È bastato che l'ad del Lingotto dicesse quanto di più ovvio si possa dire sull'economia nostrana, e cioè che fare industria è pressoché impossibile, perché il ministro del Lavoro Enrico Giovannini andasse in escandescenze e si mettesse a difendere un Paese dove le imprese vengono spolpate dal Fisco e gli imprenditori perseguitati dalla burocrazia e dall'Agenzia delle Entrate. "Ci sono molte imprese che in queste condizioni stanno continuando a investire, a crescere, a creare profitto e posti di lavoro - ha spiegato l'ex presidente dell'Istat - questo nonostante le indubbie difficoltà".


Ieri, durante una conference call con gli analisti finanziari sui dati del secondo trimestre, Marchionne l'ha detto chiaro e tondo: la Fiat potrebbe non investire più in Italia dal momento che "le condizioni industriali rimangono impossibili". Tanto che i nuovi modelli dell'Alfa Romeo potrebbero essere prodotti all’estero. Stando all'analisi dell'ad, infatti, il Lingotto avrebbe già sul tavolo "le alternative necessarie per realizzarli ovunque nel mondo". Parole pesanti che tornano a impensierire un governo che non è ancora riuscito a sciogliere lacci e lacciuoli che imbrigliano industria e impresa. "Rimango open minded, non ho pregiudizi", ha spiegato l’amministratore delegato insistendo sulla necessità che l'esecutivo riempia il vuoto lasciato dalla sentenza della Consulta. Venerd�ì il colosso di Torino ne parlerà con i sindacati e nel pomeriggio ci sarà l’atteso incontro con il leader della Fiom, Maurizio Landini. "Vedremo il risultato...", ha commentato Marchionne lasciando il braccio di ferro in sospeso. Almeno per ora. Perché tutte le problematiche restano. E fanno male, non solo alla Fiat.


Il governo Letta non intende restare a guardare. Le parole di Marchionne non hanno lasciato indifferente Giovannini che, ai microfoni di Rai Radio 1, ha ricordato che esistono molte imprese che "in queste condizioni stanno continuando a investire, a crescere, a creare profitto e posti di lavoro, questo nonostante le indubbie difficoltà". "È chiaro che il tema è caldo, specie dopo la sentenza della Corte costituzionale su Fiom-Fiat - ha proseguito il ministro del Lavoro - in questi mesi io e Marchionne abbiamo discusso più volte di come migliorare le relazioni industriali". Anche il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo ha accusato Marchionne di dimenticare le eccellenze del Belpaese: "Abbiamo due grandi industrie, l’agroalimentare e i beni culturali, e l’Expo sarà una grande occasione per metterle a sistema". Il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato conta di incontrare il manager del Lingotto prima del 10 agosto. Sul tappeto c'è il futuro di due fabbriche importanti, quelle di Mirafiori e Cassino: per entrambe la cassa integrazione è agli sgoccioli, a Torino finirà il 30 settembre, nell’altro stabilimento a fine anno. Se gli investimenti non si sbloccano il futuro di entrambi è ad alto rischio, con risvolti occupazionali drammatici.


Sebbene sia soddisfatto dei conti del gruppo, Marchionne non vede per il mercato europeo dell’auto alcuna svolta fino al 2015, anche a causa della forte competizione tra i costruttori. Mentre il Vecchio Continente ha dimezzato le perdite, la Fiat è riuscita a chiudere il secondo trimestre con un utile netto di 435 milioni di euro, quasi il doppio rispetto all’analogo periodo del 2012, un utile della gestione in aumento del 9% a oltre un miliardo di euro e ricavi in crescita del 4% a 22 miliardi. Il gruppo conferma i target 2013, mentre Chrysler, che chiude il secondo trimestre con un utile netto a 507 milioni di dollari, in aumento del 16%, rivede il target del reddito operativo nella forchetta tra 3,3 e 3,8 miliardi di dollari rispetto all’obiettivo di 3,8 miliardi indicato precedentemente e quella dell’utile netto 2013 a 1,7-2,2 miliardi di dollari dai 2,2 miliardi precedente previsti. "A pesare - ha spiegato il direttore finanziario della società americana, Richard Palmer - il richiamo dei modelli jeep e una riduzione delle consegne di auto".


Marchionne: "In Italia condizioni per l'industria impossibili". Il ministro del Lavoro: "Ci sono aziende che investono". In ballo il futuro di Mirafiori e Cassino





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Andrea Indini



La sentenza Marchionne / Salvatore TramontanoMarchionne accusa: "Impossibile investire in Italia"
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Published on July 31, 2013 06:39

July 29, 2013

Altro che protesta pacifica, adesso lo dicono pure i pm: la lotta No Tav è terrorismo

Volti coperti, spranghe e bastoni, molotov e bombe carta. Azioni molto simili alla guerriglia urbana, ma applicate per i boschi della Val Susa. L'obiettivo degli antagonisti rossi che militano sotto la bandiera dei No Tav è immobilizzare il cantiere di Chiomonte affinché la linea ad alta velocità che dovrebbe congiungere Torino a Lione non venga costruita. È la prepotenza di uno sparuto gruppo di violenti che vogliono imporre il proprio "credo" a un intero Paese. Adesso i pm si sono accorti che non ci troviamo di fronte a una semplice protesta. La guerriglia ingaggiata dai No Tav è terrorismo, sia per i modi con cui i manifestanti attaccano i cantieri e le forze dell'ordine sia per le finalità dell'azione eversiva.


Da troppi anni la Val Susa è in mano ad un manipolo di violenti che sta ritardando i lavori alternando cortei pacifici a incursioni brutali. È la strategia della tensione. Da tutta Italia il popolo no global si riversa in Piemonte per sfogare il proprio odio contro le forze dell'ordine che presidiano il cantiere di Chiomonte e le maestranze che lavorano per costruire la Torino-Lione. Il volto dei "pacifici" No Tav è quello di Bruno Marco che a febbraio dello scorso anno era andato a un palmo dal naso di un poliziotto per schernirlo: "Che pecorella sei? Non c'hai un numero o un nome, niente? Sei un illegale". Il volto dei "pacifici" No Tav è anche quello dei brigatisti ed ex terroristi di Prima Linea arrestati l'anno scorso che negli scontri del luglio 2011 ferirono oltre duecento poliziotti. Il volto dei "pacifici" No Tav è sempre coperto da bandane, passamontagne e sciarpe. Eppure soltanto oggi, dopo anni di violenze, ad alcuni attivisti No Tav è stata contestata l’accusa di attentato per finalità terroristiche o di eversione. Ed è stato sulla base di questa "nuova" accusa che i pm hanno disposto perquisizioni a tappeto. L’accusa degli inquirenti fa riferimento all’assalto dello scorso 10 luglio quando le forze dell’ordine furono costretti a uscire dalle reti del cantiere per poi essere bersagliati con bombe carta, petardi e pietre lanciati ad altezza d’uomo. Secondo la procura di Torino, questa modalità di attacco configurerebbe "finalità terroristiche ed eversive".


Terrorismo, dunque. E non più semplici cortei. "Non si deve più tollerare questa ondata di inaudita violenza - ha commentato il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri - servono risposte drastiche: carcere e incriminazioni adeguate alla condotta criminale da tempo in atto". Davanti a un'accusa del genere la sinistra parlamentare. Non una parola dai grillini che, all'indomani dell'arrivo alle Camere, hanno organizzato una gita in Val Susa per dare il proprio appoggio ai No Tav. Lo stesso Beppe Grillo è stato indagato dalla procura di Torino per aver violato i sigilli della casetta costruita dai dissidenti a Maddalena di Chiomonte, posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria come abusiva. Nemmeno il governatore della Puglia Nichi Vendola ha preso le distanze da un movimento violento che da anni mette a ferro e fuoco la Val Susa. Durante le perquisizioni di oggi sono stati sequestrate bombolette di gas urticante, manuali per fabbricare molotov, razzi, apparecchiature elettroniche e telefonini. E, guarda caso, i dodici indagati sono tutte persone vicine agli ambienti dei centri sociali di Torino.


Il modus operandi è sempre lo stesso, ma la procura di Torino se ne accorge solo adesso. Dopo anni di violenze, gli attacchi dei No Tav vengono considerati "eversivi"





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Andrea Indini

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Published on July 29, 2013 05:35

July 26, 2013

Un ddl per togliere i poteri alle Province. Forse è la volta buona che le cancellano

Forse questa è la volta buona. Forse il governo riesce, una volta per tutte, a far piazza pulita delle Province. Forse, dopo il colpo della Corte costituzionale che ai primi di luglio aveva bocciato il riordino voluto da Mario Monti, il Consiglio dei ministri riesce a rimettere la politica al centro approvando il disegno di legge che riguarda "Città metropolitane, Province, Unioni e fusioni di Comuni". Un provvedimento teso a rivedere e, al tempo stesso, svuotare parte dei poteri delle Province in vista dell’abolizione dalla Carta costituzionale.


La Provincia è il vero immortale tra gli enti dello Stato. Sopravvive sempre. Adesso, però, sembra che l'esecutivo voglia fare sul serio e, con tre mosse, cancellare quello che per molti non è altro che un inutile e costoso cuscinetto tra i Comuni e la Regione. Nonostante la determinazione bipartisan di cambiare la Costituzione, le Province sono riuscite a riprodursi nel corso degli anni. Manco avesse la bacchetta magica, il legislatore è riuscito a farle passare dalle 58 istituite nel 1861 alle 89 del secondo dopoguerra alle 110 attuali. Con un piccolo accorgimento: si ragiona su 107 Province dal momento che Aosta, Bolzano e Trento sono di fatto Regioni. Come promesso qualche settimana fa dal premier Enrico Letta, il ddl è solo la prima di tre mosse che dovrebbero portare alla cancellazione definitiva dell'ente cuscinetto. Il condizionale è d'obbligo. Perché finché non saranno sbianchettate dalla Carta, le Province continueranno a esistere e, soprattutto, a costarci un capitale. "Si è annunciato troppe volte in questi mesi l'abrogazione delle province - aveva spiegato lo stesso Letta - ma fino a che la parola rimane in Costituzione l'intervento finisce in un vicolo cieco. Noi cancelliamo la parola stessa". Proprio per questo bisognerà mettere mano al primo comma dell'articolo 114 della Costituzione. Si passerà dalla formulla "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato" a "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Regioni e dallo Stato". Tutto qui? Non proprio. Perché bisognerà modificare tutti i commi della Costituzione (e sono ben tredici) in cui vengono anche solo menzionate le Province.


Dopo l’odierno passaggio in Consiglio dei ministri, il ddl che in 23 articoli "svuota" i poteri delle Province e che prevede la nascita delle città metropolitane e la riorganizzazione delle unioni e delle fusioni dei comuni passerà all’esame della Conferenza unificata e, dopo quel vaglio, tornerà nuovamente al Consiglio dei ministri per il varo definitivo. "Il testo ha l’obiettivo di sistemare e gestire la transizione in attesa che il Parlamento approvi il ddl di abolizione delle province - ha spiegato Letta - il percorso di riforma costituzionale è complesso e prende tempo, nel frattempo ci sono alcuni avvenimenti in corso che hanno bisogno di essere gestiti". L'erario pubblico dovrebbe, invece, trarre subito i primi benefici. Secondo i conti fatti dal ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio, con l’eliminazione delle Province si risparmierà oltre un miliardo. Il personale politico vale 120 milioni di euro di risparmi, mentre con l’accorpamento delle funzioni i risparmi saranno subito di circa 700 milioni.


Dopo il colpo di mano della Consulta, il governo approva il ddl che rivede e, al tempo stesso, svuota parte dei poteri delle Province in vista dell’abolizione dalla Carta costituzionale. Via libera alla nascita delle città metropolitane. Ma il sì definitivo è ancora lontano





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Andrea Indini

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Published on July 26, 2013 04:16

July 25, 2013

Ora lo dice anche il Garante: Raitre megafono della sinistra

Non che ci fosse il bisogno dell'imprimatur del Garante. Che la Rai, e in particolar modo Raitre, funga da megafono per la sinistra è un dato di fatto. Basta fare un rapido zapping da un talk show all'altro, da un telegiornale all'altro, da un salotto all'altro per respirare l'aria che tira. Da In mezz'ora a Ballarò, da Che tempo che fa all'Arena. È un turbinio di militanza rossa. Nemmeno la grande migrazione a La7 di Michele Santoro, Marco Travaglio, Vauro e compagnia bella ha dato un po' di respiro agli studi di viale Mazzini. Tanto che oggi l'Agcom è arrivato a lanciare un appello netto ai programmi di Lucia Annunziata e Fabio Fazio affinché garantiscano "una maggiore presenza di esponenti del Pdl" nel ciclo 2013-2014. Nella speranza che, una volta invitati, non vada a finire come quando la direttrice dell'Huffington Post si è trovata davanti al segretario del Pdl Angelino Alfano e, presa dal livore, ha definito tutti gli eletti del Pdl "impresentabili".


In seguito all'esposto del capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta, il consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni ha pubblicato l’esito dell’istruttoria avviata per "verificare il rispetto dei principi di parità di accesso e pluralismo politico" nei programmi In mezz’ora, Che tempo che fa e Ballarò nel ciclo di programmazione 2012-2013. Se da una parte ha giudicato la trasmissione condotta da Giovanni Floris "non lesiva dei principi di pluralismo", dall'altra l'Authority ha ordinato ai vertici di viale Mazzini di riequilibrare gli altri due programmi garantendo una maggiore presenza di esponenti del Pdl. Basta dare un'occhiata ai numeri per capire che Raitre viene usata come una vera e propria passerella per gli esponenti della sinistra. Se si prendono in esame tutte e 29 le puntate della trasmissione domenicale della giornalista campana, emerge un'impressionante "impar condicio": ben quattordici sono state dedicate a un ospite democrat. Dall'ex segretario piddì Pierluigi Bersani a Rosi Bindi, dal sindaco Matteo Renzi, che ha anche bissato, a Dario Franceschini, da Fabrizio Barca all'ex Cgil Guglielmo Epifani. Per il Pdl due sole presenze di Alfano. Una di queste macchiata dagli insulti della Annunziata. Insulti che non sono mai stati puniti dal direttore generale Rai Luigi Gubitosi. Non solo. Gubitosi aveva addirittura negato l’evidenza durante l’audizione in commissione di Vigilanza. "Del resto non ha garantito, con una condotta irrispettosa, nemmeno il diritto di replica a chi è stato oltraggiato durante i comizi televisivi della Annunziata al servizio della sinistra", ha commentato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri invitando la Rai a "porre fine al massacro mediatico del centrodestra attuato da programmi-propaganda ben protetti e strapagati". Proprio per questo, il Pdl chiederà a breve una riunione della Vigilanza per raffrontare il negazionismo dei vertici di viale Mazzini. 


"Quella di oggi è una vittoria di tutti i cittadini italiani che pagano il canone e hanno diritto a un'informazione equilibrata e completa". Brunetta ha incassato con soddisfazione la decisione dell'Agcom. D'altra parte, sono anni che Silvio Berlusconi denuncia la faziosità della televisione pubblica. Dai telegiornali ai talk show l'anti berlusconismo militante è un fil rouge che la Vigilanza non è mai riuscita a recidere. "La prima battaglia è stata vinta - ha concluso Brunetta - ora continuerò a difendere il pluralismo, la par condicio e la trasparenza che nel servizio pubblico radio televisivo devono diventare la regola e non più l'eccezione".


Gubitosi aveva negato l'evidenza. Ma adesso l'Agcom interviene contro Annunziata e Floris: In mezz'ora e Che tempo che fa sono usate come una passerella per la sinistra





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Andrea Indini


Lucia Annunziata intervistata da Fabio Fazio
Annunziata insulta il Pdl
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Published on July 25, 2013 11:38

July 23, 2013

La Consulta: "Niente carcere per gli stupratori"

Accade, nelle carceri italiani, che persone indagate per i reati più disparati vengano sbattute in cella per obbligarle a vuotare il sacco. Accade anche che le chiavi che danno la libertà vengano dimenticate in un cassetto per settimane, se non mesi. In barba al principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio. Tanto che il carcere preventivo diventa una vera e propria tortura ad uso e consumo delle toghe politicizzate. Toghe che con tipi loschi come gli stupratori si trasformano in specchiati esempi di garantismo.


La Corte costituzionale se ne infischia della violenza sessuale di gruppo. Oggi le toghe hanno, infatti, deciso che gli stupratori non dovranno scontare la custodia cautelare in carcere qualora il caso concreto consenta di applicare misure alternative. Nessuna preoccupazione, da parte dei giudici costituzionalisti, che le violenze possanno essere reiterate. La norma bocciata dalla sentenza depositata dal giudice Giorgio Lattanzi prevede che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di violenza sessuale di gruppo si applica unicamente la custodia cautelare in carcere. La Consulta ha, infatti, stabilito che, quando le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, il giudice può applicarle. La beffa maggiore? Nella sentenza, della Corte costituzionale le toghe si premurano di confermare la gravità del reato invitando i giudici a considerarlo tra quelli più "odiosi e riprovevoli". Non abbastanza - a quanto pare - per assicurarsi che lo stupratore non commetta più la brutale violenza di cui si macchia. "La più intensa lesione del bene della libertà sessuale - si legge nella sentenza choc redatta dalla Corte - non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata".


Alla base del pronunciamento della Consulta c'è una questione di legittimità sollevata dalla sezione riesame del Tribunale di Salerno. Richiamando anche precedenti decisioni, la Consulta ricorda come la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del "minore sacrificio necessario". Già nel 2010 la Corte aveva bocciato le norme in materia di misure cautelari nelle parti in cui escludevano la facoltà del giudice di decidere se applicare la custodia cautelare in carcere o un altro tipo di misura cautelare per chi ha abusato di un minore. Insomma, adesso appare chiaro che il carcere preventivo sia una misura "cautelare" pensata ad hoc per far fuori gli avversari politici. Nemmeno per gli stupratori è più prevista.


Adesso è chiaro: il carcere preventivo è una misura per far fuori gli avversari politici. Nemmeno per gli stupratori è più prevista la custodia cautelare in carcere. Il diktat choc della Corte costituzionale: "Il legislatore deve pensare a misure alternative"





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Andrea Indini


La Corte Costituzionale riunita nel palazzo della Consulta
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Published on July 23, 2013 10:37

July 22, 2013

Imu e Iva, governo verso lo stop. Ma stangate in arrivo dai Comuni

Una serie di incontri tecnici bilaterali tra i rappresentanti del Ministero e le forze politiche. Poi un incontro collegiale in cui il governo entro agosto tirerà le somme e deciderà come muoversi. Così proseguiranno i lavori su Imu e Iva secondo il Tesoro.


"L’Imu si pagherà solo sulle prime case di lusso, l’accordo è vicino". In un’intervista alla Stampa, il ministro degli Affari regionali Graziano Delrio svela la road map su cui il governo sta procedendo per abrogare (in parte) l'imposta sulla prima abitazione e per bloccare l'aumento dell'aliquota Iva. In attesa della riforma della tassazione sulla casa, il 2013 passerà, con ogni probabilità, indenne per i proprietari e, come annunciato sabato dal ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, non registrerà nemmeno il temuto aumento al 22% dell’imposta sui consumi. Nel frattempo, però, come dimostra un'attenta analisi fatta dal Sole 24Ore, oltre alla tariffa Tares che manderà definitivamente in pensione la tassa sui sui rifiuti, le amministrazioni comunali hanno già iniziato a ritoccare al rialzo l’Imu e aumentare il prezzo del biglietto dei mezzi pubblici e il canone di occupazione.


Dei 6 miliardi necessari quest’anno come copertura economica delle misure (2 miliardi per il mancato gettito di un punto dell'Iva in più per sei mesi e 4 miliardi per le due rate dell'imposta sulla prima abitazione) per il momento il Tesoro ne ha raggranellato soltanto uno, sempre che le Camere non modifichino il testo del decreto lavoro all’esame della Commissioni Finanze e Lavoro del Senato. Il miliardo necessario per rimandare il rincaro da luglio a ottobre è stato coperto con l’aumento degli acconti fiscali. Decisione dalla quale il dicastero di via XX Settembre non sembra intenzionato a discostarsi, sebbene non sia piaciuta al Pdl che è fermamente contrario a qualsiasi incremento (anche minino) della pressione fiscale. Finora di modifiche al decreto non ce ne sono state, ma qualche emendamento potrebbe arrivare anche all’ultimo minuto nel passaggio in Aula. Il voto sul provvedimento è ufficialmente calendarizzato per domani pomeriggio, ma non è escluso che possa slittare di un giorno in attesa di nuovi interventi. Si tratterebbe in ogni caso di aggiustamenti minimi, probabilmente con uno arresto all’aumento degli acconti su Ires e Irap delle società. Da qui al 31 agosto, data entro la quale il governo si è impegnato a risolvere i principali temi economici, il premier Enrico Letta dovrà trovare un altro miliardo a cui aggiungere i 4 per abrogare l'odiatissima Imu. Nodo questo a cui si dedicherà il tavolo tecnico convocato oggi pomeriggio al Tesoro per riprendere le fila della cabina di regia di gioved�ì scorso e per entrare nel merito delle ipotesi di riforma, a partire dalla sostituzione di Imu e Tares con una sola service tax. Dal momento che la nuova imposta sulla casa dovrà incorporare anche la Tares, il governo intende tener conto del numero dei vani.


Se dunque per quest’anno, in attesa della legge di stabilità del 2014, le famiglie riusciranno a salvarsi dalla stangata fiscale, il timore è che un nuovo aumento arrivi dei balzelli imposti dalle amministrazioni locali. A partire dalle addizionali regionali. Negli ultimi vent’anni i tributi locali sono già aumentati di cinque volte e per l’anno prossimo, senza interventi correttivi, si prevede un’ulteriore impennata in media del 36%, a partire dalle Regioni in deficit sanitario. Ma non solo. Anche i Comuni sono pronti a mettere mano ai conti. Un esempio su tutti? Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia potrebbe alzare l'Irpef comunale all'aliquota massima (0,8%). Stesso discorso per l'Imu. Nella Genova del Sel Marco Doria, l'aliquota sulle case affittate a canone concordato passerà dallo 0,76% allo 0,96%.


Esecutivo al lavoro per riformare l'Imu. Delrio: "Paghino solo le prime case di lusso". Si studia la riforma del catasto. Pronta la stangata degli enti locali





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Andrea Indini


La pagina del modello F24 alla voce Imu
Debiti Pa, a settembre accelerazioneImu, il governo lavora a una "service tax"
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Published on July 22, 2013 04:31

July 13, 2013

Ius soli, strappo della Boldrini: "Chi nasce qui è italiano"

Un altro strappo. Il presidente della Camera Laura Boldrini ha scelto la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a 400 bambini stranieri residenti a Lamezia Terme per tornare a difendere lo ius soli e a ribadire la necessità di cambiare le leggi che regolano l'immigrazione. "In tempi di globalizzazione non si può ignorare la realtà e cioè che nel Paese ci sono persone che vengono da altri luoghi ma che fanno parte della nostra società - ha spiegato la terza carica dello Stato - in Italia ci sono oltre quattro milioni di immigrati. Tanti figli di questi immigrati sono nati qui e sono cresciuti con i nostri figli. Bisogna prendere atto del fatto, quindi, che sono italiani".


La visita di lunedì di papa Francesco a Lampedusa ha dato un'accelerata al dibattito sull'immigrazione. La preghiera del Santo Padre per le 20mila vittime dell'immigrazione è stata subito strumentalizzata dalla sinistra radicale per tentare il blitz in parlamento e cancellare il reato di clandestinità, allargare le maglie degli ingressi e, soprattutto, concedere la cittadinanza ai bambini nati in Italia. La prima a cavalcare le parole di Bergoglio è stata proprio il ministro all'Integrazione Cecile Kyenge che, ai microfoni di Radio24, ha proposto uno "ius soli temperato" per i figli degli stranieri nati in Italia: "Deve cambiare la politica dell’immigrazione". A stretto giro è arrivato anche l'appoggio della Boldrini che da tempo ha smesso i panni del presidente super partes per indossare quelli della vendoliana militante. Da qui la scelta di manifestare al Gay Pride e portare all'attenzione dell'opinione pubblica e del parlamento le richieste della comunità omosessuale. Da qui lo schiaffo all'ad della Fiat Sergio Marchionne rifiutando l'invito allo stabilimento in Val di Sangro e accusando il Lingotto di chiudere le fabbriche e di lasciare a casa gli operai. Non stupisce quindi che l'assenteista Boldrini, che poco si cura dei lavori di Montecitorio e troppo si prodiga per portare avanti le battaglie della sinistra radicale, si sia schierata a favore dello ius soli e della proposta avanzata nei giorni scorsi dalla Kyenge.


Ricordando che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha più volte invitato i partiti a considerare i figli degli immigrati parte del tessuto sociale, la Boldrini ha chiesto che la legge sulla cittadinanza venga aggiornata ai tempi. "Nel Paese ci sono persone che vengono da altri luoghi ma che fanno parte della nostra società. Tanti figli degli immigrati sono nati qui e sono cresciuti con i nostri figli - ha concluso - bisogna prendere atto del fatto, quindi, che sono italiani". Insomma, l'offensiva ha già avuto inizio.


Sinistra radicale all'assalto per cambiare la politica sull'immigrazione. La Kyenge: "Serve uno ius soli temperato". E la Boldrini : "La legge sulla cittadinanza va aggiornata"





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Andrea Indini

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Published on July 13, 2013 06:28

July 12, 2013

Il M5S apre al Pd e prepara il trappolone per il Pdl e l'Italia

Pier Luigi Bersani, che inseguiva il governo del cambiamento, alla fine ha perso la seggiola di Palazzo Chigi e la leadership del Partito democratico. Il triste epilogo di un matrimonio, capitolato ancor prima del fatidico "sì", potrebbe non finire con la Caporetto dell'ex segretario piddì. Nonostante la pacificazione e le larghe intese, c'è ancora sogna un'intesa con i Cinque Stelle. Tanto che i grillini, che vorrebbero mettere la parola fine al governo Letta, alternano sapientemente gli attacchi violenti alle proposte indecenti.


Mercoledì scorso, dopo che il Pdl aveva bloccato le Camere per protestare contro il blitz della Cassazione al processo Mediaset, i grillini avevano attaccato duramente i democratici. "Bravi, buffoni", avevano urlato a Palazzo Madama. Nel parapiglia pare sia volato anche qualche schiaffone. Una brutta scena, insomma. Eppure è già tutto dimenticato. Buttati alle spalle i bisticci e gli spintoni, qualche pentastellato agogna le nozze per partorire un governo di secondo letto. In barba alle riforme. Il fatto è che le moine dei grillini fanno presa su una certa fetta del Pd che, anziché andare avanti col Pdl, preferirebbe ricucire con il Sel di Nichi Vendola e intraprendere un cammino col Movimento 5 Stelle. Senza, però, sapere dove questo ménage à trois potrebbe portarli. Come se l'Unione di Romano Prodi non gli avesse insegnato quanto siano contro natura certe ammucchiate. A lanciare la proposta di matrimonio, questa volta, ci ha pensato il capogruppo grillino al Senato Nicola Morra. Niente di nuovo sotto il sole. I Cinque Stelle vanno avanti senza cambiare la strategia: intesa sì, ma solo se c'è un programma condiviso. "Non posso escludere la fiducia a un governo con il Pd - ha spiegato Morra - naturalmente passando sempre da un momento assembleare". Lo "spiraglio" aperto dal capogruppo, in una intervista a Repubblica, arriva in un momento piuttosto turbolento: i gruppi del Pd alle Camere non godono di particolare favore della base democratica, le correnti che affollano via del Nazareno strapazzano un giorno sì e l'altro pure il premier Enrico Letta e la stagione congressuale rischia di finire in un vero e proprio bagno di sangue. Scendere a patti con un Pd lacerato dalle contrapposizioni è tutt'altro che facile. Proprio per questo, riuscire a ragionare su "un programma di 5-10 punti", come chiede Morra, è tutt'altro che semplice. Nel calderone il capogruppo stellato ci sbatte il reddito di cittadinanza, la riduzione dei costi della politica e della burocrazia, la defiscalizzazione del lavoro e "la giustizia nella politica per un Parlamento pulito". Insomma, i soliti cavalli di battaglia cari a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Gli stessi che gli ex capigruppo Roberta Lombardi e Vito Crimi avevano proposto a Bersani nel confronto (farsa) mandato in streaming sui pc di mezza Italia. Gli stessi punti sono stati illustrati dal comico e dal guru del web nell'incontro col presidente della Repubblica di mercoledì scorso. "Quando abbiamo parlato con lui di questi punti - riferisce Morra - Napolitano si è detto d’accordo".


La proposta, indecente per il futuro del Paese, è sin troppo chiara. "Se il Pd si presenta da noi con cinque o dieci punti realizzabili, e realizzabili immediatamente - ha concluso Morra - non posso escludere che il M5S possa votare la fiducia e governare insieme ai democratici". Tanto che arriva a proporre di presentare cinque disegni di legge con le firme di grillini e democratici. Una sorta di prova d'amore in vista del futuro matrimonio. E le larghe intese? E la stagione di riforme? Tutto al macero. Per colpire Silvio Berlusconi e il Pdl, sarebbero pronti ad affondare l'intero Paese. Il primo banco di prova sarà proprio il voto (se mai ci sarà) sull'ineleggibilità del Cavaliere. Il Sel e il M5S sono pronti a dare battaglia. Il Pd, invece, non ha ancora fatto i conti con se stesso.


Ribaltone in vista? I grillini provano ad agganciare il Pd proponendo un accordo su un programma di 5-10 punti. Un'alleanza anti Cav che rischia di affondare l'intero Paese





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Andrea Indini


Beppe Grillo coi capigruppo Nicola Morra e Riccardo Nuti
Il Pdmenoelle e il patto del GrilloLa rivolta di 70 senatori Pd: caro Epifani, basta autogol
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Published on July 12, 2013 07:42

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Andrea Indini
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