Andrea Indini's Blog, page 176

June 6, 2013

Quelli che vogliono far cadere il governo

C'è una pletora di politicanti di professione, giornalisti, benpensanti e magistrati politicizzati che non vogliono le riforme. C'è un esercito di signor "no" che le stanno provando tutte per far saltare il tavolo, per far cadere il governo Letta, per recidere la temporanea alleanza tra Pdl e Pd. Gli attacchi arrivano da più fronti. Colpi durissimi per destabilizzare un esecutivo. I più accaniti sono senza dubbio certi giudici che vogliono decapitare il centrodestra facendo scattare le manette sui polsi di Silvio Berlusconi. Poi, ci sono i democratici avversi all'ala Letta-Franceschini: da Matteo Renzi a Massimo D'Alema, dai "giovani turchi" a Rosy Bindi le anime piddì si preparano allo scontro finale che si terrà in ottobre. E ancora: la stampa che strizza l'occhio a Beppe Grillo è sempre pronta a tirare bordate per destabilizzare il già precario equilibrio politico che è venuto a crearsi dopo la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale.


"Siamo riusciti a mettere insieme il centrodestra e il centrosinistra ponendo fine a una lunga guerra fredda, ad una guerra civile. Abbiano un governo forte che può fare quelle riforme e che una sola parte non poteva fare". Berlusconi lo va ripetendo da diversi giorni: la situazione è più unica che rara. L'esecutivo, forte di una maggioranza compatta che lo sostiene, può e deve fare le riforme. In primis, approvare un piano economico che da una parte abbatta la pressione fiscale, che coi tecnici è arrivata alle stelle, dall'altra favorisca il mercato del lavoro attraverso una politica di defiscalizzazione per le imprese che assumono i giovani. In secondo luogo, il Cavaliere preme affinché l'esecutivo ammoderni la Costituzione. A partire dall'elezione diretta del capo dello Stato. Se queste misure andasse in porto, il Paese avrebbe solo da guadagnarci. Eppure la fila dei "rottamatori" è davvero lunga. Si dal giuramento di Letta, il Fatto Quotidiano si è schierato in prima linea per far cadere il governo. "Si continua ad accreditare il ridicolo falso di un termine posto dal presidente della Repubblica alla durata dell’attuale governo", ha replicato il Quirinale invitando il quotidiano diretto da Antonio Padellaro a non portare avanti "una polemica chiaramente infondata". Lo stesso Letta, ospite di Lilli Gruber ha assicurato che il governo durerà "quattro anni e 10 mesi, da qui fino a fine legislatura". D'altra parte, il governo non è uno yogurt con la data di scadenza: un esecutivo, se governa bene, dura cinque anni. Come spiegato dal premier, diciotto mesi sono il tempo necessario per fare le riforme istituzionali.


Nonostante l'ottimismo del premier, in molti giocano a far cadere l'esecutivo per far ripiombare il Paese nel caos. Un gioco al massacro che vede, ancora una volta, il sodalizio tra la magistratura politicizzata, certe frange del Pd e gli anti Cav di professione. "Berlusconi dovrebbe garantire una stabilità di due anni al governo, solo così si potranno varare le riforme", ha avvertito il segretario del Pd Guglielmo Epifani in una intervista alla Stampa nella quale ha anche affossato il presidenzialismo. Proprio l'elezione diretta del capo dello Stato è il grimaldello usato da alcune anime del Pd per creare uno scontro con Letta. Non c'è giorno che Renzi non bastoni il governo per accreditarsi alla corsa per la segreteria del partito. "Io spero che Letta abbia successo. Lo stimo, abbiamo un bel rapporto. Apprezzo il suo equilibrio; mi convincerà meno se cercherà l’equilibrismo. Non so fino a quando potremo governare con Schifani e Brunetta, i loro capigruppo. Il governo dura se fa le cose", ha spiegato il sindaco di Firenze in una intervista al Corriere della Sera nella quale svela di "aver fatto voto di non parlare male del governo". Per candidarsi a Palazzo Chigi l'ex rottamatore sa bene che deve prima prendersi il Pd e prendersi il Pd sa bene che dovrà entrare in collisione anche con l'attuale premier. "È un democristiano che democristianizza ancor di più il Pd e finirà per spaccarlo - ha commentato Renato Brunetta - se vincerà lui, cadrà il governo". Ad oggi il nemico peggiore di Legga è il Pd stesso, dilaniato da un caos interno senza precedenti. "Il Pd cambia segretario come le camicie - ha continuato Brunetta - è un partito indeciso su tutto". 


Un altro, pericoloso ostacolo alla tenuta del governo potrebbe essere propriuo l'accanimento giudiziario nei confronti di Berlusconi. Anche all'interno del Pd molti hanno capito che, se il ruolo politico del Cavaliere viene continuamente messo in discussione dagli attacchi di una parte della magistratura, il lavoro del governo rischia di saltare. "Certi giudici stanno ostacolando quella pacificazione che è sempre di più necessaria per il futuro dell’Italia", ha spiegato il coordinatore Pdl Sandro Bondi. Non c’è nessuno più convinto di Berlusconi dell’opportunità che l'esecutivo ha di dare risposte efficaci alla crisi economica e varare le riforme istituzionali. Tuttavia, i vari processi portati avanti dal tribunale di Milano hanno il chiaro sapore della resa dei conti. Proprio per questo il Pd, anziché affondare il governo per regolare i conti interni, dovrebbe lavorare per sostenere l'esecutivo senza paventare a ripetizione la possibilità che il leader del Pdl faccia cadere il governo. "Cosa nasconde l'atteggiamento di Epifani? - si cheide la pdl Deborah Bergamini - certo è che chiunque arrivi a guidare i democratici ha l’obbligo di creare un suo personale 'motivetto' nei confronti di Berlusconi". I veri nemici, infatti, andrebbero cercati da tutt'altra parte.


Letta assicura: "Il governo dura fino a fine legislatura". Ma Epifani accusa il Cav: "Garantisca due anni di stabilità". In realtà i detrattori sono altri





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Andrea Indini


Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Enrico Letta
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Published on June 06, 2013 04:37

June 5, 2013

La Fed pronta a comprare il debito italiano. Così la Germania perde l'egemonia sull'Ue

Nella geopolitica mondiale qualcosa sta cambiando. Per il momento si tratta solo di indiscrezioni non confermate (ma neanche smentite), mezze verità e dichiarazioni d'intenti che lasciano ipotizzare in rinnovato interesse dell'amministrazione statunitense per il Vecchio Continente e, in particolar modo, del Belpaese. C'è già qualcuno che ipotizza un nuovo Piano Marshall, ma più che agli aiuti gli Stati Uniti sembrano pensare le modalità con cui aumentare la propria influenza sull'Unione europea. Secondo rumor riportati ieri da Milano Finanza, la Federal Reserve sarebbe infatti pronta a comprare il debito italiani svaligiando i Btp decennali sul mercato secondario.


"Che l'America sposti il fulcro dei suoi interessi dal Medio Oriente ad altre fonti, come il Pacifico e il Sud America non ci sono dubbi - spiega Vittorio Dan Segre - è stanca dell'incapacità dei leader delle due zone di prendere delle decisioni". Tutt'altro discorso se la Casa Bianca e Wall Street iniziano a guardare all'Unione europea con occhi famelici. "Se in parallelo gli Stati Uniti compreranno il debito europeo è ancora tutto da vedere - avverte Segre - tuttavia è tecnicamente possibile". La Fed di Ben Bernanke è, infatti, pronta ad avviare quell'operazione che da mesi i governi europei chiedono che venga messa in cantiere dalla Bce. D'altra parte è stato proprio Bernanke a spiegare che "la Fed ha l’autorità per acquistare sia debito pubblico nazionale sia debito pubblico straniero". "Nulla può fermare la Fed dal fare il lavoro che la Bce si rifiuta di fare", spiega il capo economista di Ubs Andreas Hoefert ricordando, tuttavia, che l’economia americana non è ancora del tutto uscita dalla crisi economica che lei stessa ha fatto esplodere con il buco creato dai mutui subprime. Anche perché, qualora la Fed dovesse entrare a gamba tesa sui mercati del Vecchio Continente, deve sganciare euro che, al contrario di come fa coi dollari, non può stampare. Aldilà della validità dell'operazione che gli analisti di Bernanke stanno studiando, l'interesse del lettore deve spostarsi sui motivi che spingono l'amministrazione Obama a spostare l'interesse dal Medio Oriente, carico di petrolio ma instabile politicamente, al Vecchio Continente, che da anni non è più un luogo strategicamente interessante da dover impegnare le proprie risorse politiche, diplomatiche ed economiche. La risposta dovrebbe essere cercata nei disordini che hanno trasformato il Mediterraneo in una vera e propria polveriera. La primavera araba in Egitto e Tunisia, la guerra civile in Siria e in Libia e le sempre più scarse prospettive d'ingerenza in Iran hanno spinto il presidente Barack Obama a lavorare perché l’Unione europea riesca ad uscire definitivamente dalla crisi economica e, al tempo stesso, entri sotto la sfera egemonica americana. Un'operazione che potrebbe togliere lo scettro alla cancelliera tedesca Angela Merkel che da anni fa il bello e il cattivo tempo con i Paesi economicamente azzoppati dalla recessione. La preoccupazione maggiore degli Stati Uniti, però, è legata all'appoggio che i singoli Paesi Ue sono in grado di fornire all'esercito americano in caso di conflitti bellici. Nelle ultime occasioni (dall'attacco sferrato alla Libia di Gheddafi all'intervento in Mali), la Germania si è dimostrata refrattaria a intervenire.


Che lo strapotere tedesco a Bruxelles non faccia piacere alla Casa Bianca, non è certo un mistero. In questo senso va infatti letta la batosta firmata in settimana dagli analisti del Fondo monetario internazionale che non solo hanno dimezzato le stime di crescita del pil tedesco, ma anche lancia un rischio recessione per l'intera economia. Mentre il governo di Berlino punta a rafforzare politicamente e, soprattutto, economicamente l'Ue e Francoforte, l'intervento della Fed sui debiti pubblici dei Paesi periferici dell’Europa, in primis Italia e Spagna, sposterebbe violentemente il baricentro dei poteri. Il risultato? Da colonia tedesca l'Italia rischierebbe di diventare una colonia americana. "Una mossa del genere non potrà certo lasciare indifferente la Bce che, tendenzialmente, rimarrà nel limbo fino alle elezioni in Germania", spiega l'analista Ulisse Severino ricordando come le difficoltà europee stiano "zavorrando" tutto il mondo. "Grazie al suo sistema finanziario-federale - spiega Segre - l'America può stampare tutti i dollari che vuole senza che nessuno la controlli". Tuttavia, l'iniziezione eccessiva di moneta potrebbe anche svalutare il dollaro nei confronti dell'euro, con il risultato che l'export dall'Europa costerebbe di più rispetto a quella dall'America. Dal momento che, dall'inizio dell'anno, il Giappone ha preso a svalutare lo yen, la parallela svalutazione del dollaro rafforzerebbe la moneta unica sfavorendo, in questo modo, le aziende che producono in Europa e dall'Europa esportano. Un esempio su tutti: il settore automobilistico. Con un euro forte la Volkswagen, il più grosso gruppo nel Vecchio Continente, avrebbe difficoltà a vendere le proprie vetture in Asia e, in particolar modo, in Cina. D'altro canto, comprare euro per pagare titoli di Stato farebbe aumentare la circolazione dei dollari sul mercato. "Se la massa di dollari dovesse apparire agli americani eccessiva - continua Segre - non avrebbero difficoltà a inventare un nuovo dollaro che ingloberebbe parte del vecchio debito". Al tempo stesso, l'operazione eviterebbe che i prezzi del petrolio e delle materie prime schizzino alle stelle. "Il fatto che gli Stati Uniti, grazie al loro sviluppo tecnologico, si siano trasformati da maggiore importatore di petrolio dall'estero a probabile maggiore produttore di petrolio el prossimo futuro - conclude Segre - trasforma radicalmente la situazione finanziarie e il debito degli Stati Uniti".


Gli Usa spostano l'attenzione sulla Ue e valutano la possibilità di comprare il debiti dei Paesi in difficoltà (come l'Italia)





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Andrea Indini

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Published on June 05, 2013 09:50

June 4, 2013

Grillo insulta, l'Annunziata querela. E scoppia un caso sull'olio di ricino

"A certi attori darei l’olio di ricino". Secondo il resoconto stenografico della Camera, l'intervento in Aula della deputata grillina Laura Castelli è stato accolto da un sonoro applauso dei colleghi stellati. "Mi riferivo alla mafia nelle grandi opere di cui parlava un quotidiano", specifica più tardi, quando ormai la polemica è deflagrata. Ma le sue parole colgono però a pieno l'odio contro la stampa che serpeggia all'interno del movimento fondato da Beppe Grillo. Odio che, a suon di insulti e accuse infondate, è stato montato nel tempo dello stesso leader. A furia di insultare a destra e manca, però, il comico è andato a sbattere il grugno. Lucia Annunziata non ha preso bene le sparate sulla sua passata collaborazione all'Eni e adesso vuole portarlo alla sbarra. Prima o poi, era destino che il guru pentastellato trovasse qualcuno incapace di digerire insulti, parolacce e dietrologie diffamanti e che gli chiedesse conto davanti a un giudice. Il leader del M5S se ne infischia e sul blog arriva a lanciare un sondaggio sulle televisioni "faziose".


"L’Annunziata ci vuole sbranare, perché sa che noi sappiamo...", ha spiegato il comico genovese a suoi. Che l'Annunziata sia più abituata a stare dalla parte dei leoni affamati che da quella dei gladiatori indifesi, lo hanno vissuto sulla propria pelle gli oltre dieci milioni di elettori del Pdl quando, intervistando il segretario del Pdl Angelino Alfano, la conduttrice di In mezz'ora li ha definiti "impresentabili". Un insulto inqualificabile che le è costato appena una ramanzina dai vertici di viale Mazzini. Adesso, per una volta, la giornalista si è trovata all'angola: bersaglio facile di Grillo, vittima di durissimi attacchi durante il comizio a Piazza Armerina. Da un po' di giorni il guru pentastellata va in giro a prendersela coi giornalisti. Tuonate da dittatore del Sud America. Minaccia di mettere le mani sulla Vigilanza Rai e di far chiudere i battenti a Porta a Porta e Ballarò, se la prende con Milena Gabanelli accusandola di "esserglisi rivoltata contro", scaccia in malomodo i cameramen e attacca l'Annunziata e il direttore di Rai 3 Andrea Vianello. Per gli insulti alla conduttrice di Report, Grillo se l'è cavata con una semplice ramanzina. "Ognuno è libero di dire ciò che vuole, non mi presto a polemiche che giudico inutili - ha commentato la Gabanelli - sono abituata a ricevere insulti. Ognuno fa il proprio mestiere e io continuo a fare la giornalista". Di tutt'altro avviso l'Annunziata che, ieri sera, è stata accusata di aver ricevuto, quando diregeva il Tg3, 150mila euro dall’Eni per una performance teatrale a Milano e altri 150mila euro per la gestione del giornalino interno. "Grillo continua la sua personalissima campagna di demonizzazione dei giornalisti confondendo e sovrapponendo - ha replicato in serata l'Annunziata - non so quanto non volutamente, informazioni che non stanno insieme tra loro". La direttrice dell’Huffington Post non è capace di fare come la Gabanelli, non riesce proprio a farsi scivolar via le accuse. E così, punto per punto, smonta il teorema esposto nel comizio di ieri a Enna. Ma non si ferma certo al botta e risposta. "Se questo significa che sono 'pagata dall’Eni', pratica di corruzione e come tale infamante, Grillo dovrà dimostrarlo con molto più di queste insinuazioni - tuona la giornalista - dovrà dimostrarlo davanti a un giudice".


Dopo la batosta elettorale il comico non ride più. E nemmeno fa ridere. Si è infatti risvegliato dalla strigliata alle amministrative parecchio nervoso. E uno dopo l'altro si è messo ad attaccare amici e nemici. Se l'è presa anche con quello Stefano Rodotà che, fino a qualche settimana fa, voleva portare al Quirinale. Lo ha definito "ottuagenario miracolato dal web". Ne è seguito un durissimo botta e risposta a distanza. Poi è stata la volta delle invettive di fuoco contro i giornalisti, senza mai abbandonare la cattiva abitudine di insultare tutti gli avversari politici. Non contento dello schiaffone dell'Annunziata, sul blog pentastellato appare il sondaggio Il microfono di legno per votare "la rete più faziosa, il direttore di rete più schierato, il conduttore di talk show più in mala fede". Insomma, la solita provocazione che lascia il tempo che trova. Intanto, alle Camere, la famosa rivoluzione a Cinque Stelle si rivela sempre più inconcludente. Il classico fumo negli occhi che un comico del rango di Grillo è solito gettare in faccia alla folla.


Continua la campagna grillina contro i giornalisti. Lucia Annunziata querela Grillo. Lui replica con un sondaggio: "Vota il giornalista peggiore"





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Andrea Indini



Grillo evoca la dittatura poi caccia i cameramenGrillo, i media e il linguaggio golpistaLaura Castelli (M5S) invoca l'uso dell'olio di ricinoLa richiesta di Grillo di spegnere le telecamere
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Published on June 04, 2013 10:52

June 2, 2013

Lavoro, la proposta di Alfano: "Niente tasse per chi assume"

Nel giro di soli cinque anni l’industria ha assistito, inerme, alla perdita di 674mila posti di lavoro. Altri 123mila rischiano di andare in fumo da qui alla fine dell'anno. La cifra, già di per sé drammatica, potrebbe salire ad almeno 300mila unità se si considera la cassa integrazione ordinaria. È un vero e proprio bollettino di guerra quello tracciato dalla Cisl nel rapporto Industria, contrattazione e mercato del lavoro. Secondo i dati pubblicati questa mattina dalla Confederazione di via Po, dal 2008 al 2012 in Italia si è perso il 2,4% dell’occupazione, il 6% del pil, il 4,3% dei consumi delle famiglie, il 20% degli investimenti. Per contrastare questa emorragia il governo intende mettere in cantiere un nuovo piano per il lavoro che vada a riudurre il cuneo fiscale in base all'età per ridurre la disoccupazione giovanile sotto la soglia del 30%. "Se queste azioni funzioneranno - ha assicurato il vicepremier Angelino Alfano - potremmo avere una bella speranza per la seconda metà del 2013".


"Il debito più pesante che stiamo contraendo, reiterando gli sbagli delle generazioni che ci hanno preceduto, è nei confronti dei giovani. Un errore imperdonabile", ha spiegato il presidente del Consiglio Enrico Letta rispondendo, in una lettera pubblicata dalla Stampa, ad Antonio Cascio che, nella rubrica di Massimo Gramellini intitolata ieri Brutta ciao, aveva raccontato la storia di un amico costretto a lasciare l’Italia per costruirsi un futuro migliore. Annunciano esuberi o eccedenze anche aree considerate solidamente "protette" come i ministeri (7.576), l'Enel (4mila), le Poste (oltre 3mila), Finmeccanica-Selex (2.529) e il settore bancario. Proprio negli istituti di credito 20mila posti di lavoro sono stati persi tra il 2008 e il 2011, altri 20mila sono a rischio da qui al 2017. Numeri che confermano come il presunto recinto di "protezione" dei contratti standard sia sempre più messo in discussione. "Dati così drammatici che possiamo aggiungere solo che rischiamo di diventare una Repubblica fondata sul non lavoro", ha commentato il leader della Cisl Raffaele Bonanni invitando il governo a uno "choc fiscale", un provvedimento straordinario per dimezzare le tasse, far ripartire la nostra economia e sollevare i salari ed i consumi. Da settimane Silvio Berlusconi sta, infatti, invitando le forze politiche che sostengono l'esecutivo a lasciare da parte, almeno per il momento, le grandi riforme costituzionali per concentrarsi pittosto sul piano economico necessario a far ripartire la crescita e ad abbattere il tasso di disoccupazione.


Il dato più allarmante, più e più volte ribadito dall'Istat, è sicuramento quel numero a due cifre che indica la disoccupazione. Con i tecnici al governo, è infatti schizzata al 40%. Percentuale che va sicuramente ritoccata se andiamo a considerare i 2,2 milioni di giovani che non solo non studiano né lavorano, ma non si spendono neanche per fare diversamente. Chiuso il capitolo del finanziamento pubblico ai partiti, Letta accelera su sviluppo e lavoro. L’obiettivo dell’esecutivo è varare un decreto a settimana. Si dovrebbe cominciare con quello sulle semplificazioni, poi il 15 giugno dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri il decreto sviluppo e, infine, il 21 quello sul mercato del lavoro. Queste le tappe programmate. Il principio da cui si partirà è appunto quello della staffetta generazionale.  "L’obiettivo è quello di far scendere la disoccupazione giovanile nei prossimi anni, possibilmente sotto il 30% - ha sottolineato Letta - se avessi la bacchetta magica la userei per far calare il drammatico dato sulla disoccupazione giovanile. Se facciamo questo c’è speranza per il futuro e anche famiglie ritrovino fiducia". Come spiega il sottosegretario allo Sviluppo economico Simona Vicari, saranno messe in cantiere misure fiscali per le imprese giovanili, con la defiscalizzazione dei giovani fino a 25 anni per chi assume a tempo indeterminato. "Le aziende che assumono ragazzi - ha spiegato Alfano - non devono pagare quelle tasse che fin qui hanno rappresentato disincentivi all’assunzione".


Il decreto sul lavoro arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri prima del prossimo Consiglio europeo di fine giugno. Come anticipato da Repubblica, Letta chiederà a Bruxelles di anticipare il programma Youth graduatee per poter utilizzare i 500 milioni di euro, che spettano all'Italia, anziché distribuirli nell'arco di sette anni. I fondi, che saranno destinati alla formazione e alla riqualificazione, non potranno tuttavia coprire il taglio del cuneo fiscale che ha in mente il premier. Per dare una sforbiciata alle tasse sul lavoro, i tecnici di via XX Settembre dovranno infatti far saltar fuori all'incirca un miliardo di euro. Da qui la cautela del ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni a dare per certa l'abolizione dell'aumento dell'aliquota Iva dal 21 al 22%.


Nel 2013 a rischio 123mila posti di lavoro. Il governo prepara il pacchetto lavoro. Letta: "Misure per i giovani". Alfano: "Coi nostri interventi ripresa entro fine anno"





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Andrea Indini

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Published on June 02, 2013 07:45

June 1, 2013

La corsa delle donne manda in tilt il traffico

Venerdì sera, ore 21: le vie del centro sono congestionate dal traffico. Le auto in folle rombano inutilmente, i motorini zigzagano spericolati pur di cavarsi fuori dall'ingorgo. Qualcuno esce dall'auto innervosito e, chiacchierando con il vicino, prova a buttare lo sguardo più in là per cercare di capire cosa crea l'intoppo: viale Melchiorre Gioia, una delle arterie più importanti di Milano che dalla periferia Nord porta fino al centro storico, è transennata per permettere alle migliaia di donne in arancione di partecipare alla corsa «We own the night» organizzata dalla Nike. «Ma com'è possibile paralizzare la città il venerdì sera?», chiede stizzito un trentenne in giacca e cravatta al ghisa che scuote la testa per evitare storie.
Da Porta Nuova a via Cenisio è un serpentone infinito. Qualche clacson strombazza nella vana speranza di far muovere la coda: c'è chi vuole tornare a casa dopo la giornata in ufficio e chi spera di raggiungere gli amici al ristorante o chi impreca perché il film al cinema non aspetta. I più non sanno che la città è paralizzata per permettere a qualche centinaio di signorine di correre. «We own the night» è il nome dell'iniziativa targata col baffo, «La notte appartiene a noi». Appunto. Tutti gli altri, fermi in code che arrivano oltre il chilometro. Da Porta Volta alla Stazione Garibaldi i vigili faticano a coordinare il traffico. Qualcuno tenta spericolate inversioni a «u» intasando anche il senso di marcia opposto. Oltre le transenne, invece, donne di ogni età, strizzate in tutine arancioni fluo, corrono sorridenti. Qualcuno applaude, i più imprecano. Nemmeno i lampeggianti della polizia locale stempera gli animi degli automobilisti. «Fermi la corsa, non è una competizione ma un evento amatoriale», implora una signora che deve tornare a casa perché la babysitter minaccia di piantarle il figlio a casa da solo. Ma le lamentele non smuovono i vigili: �Dovete aspettare che passino tutte quante...».


La manifestazione nelle arterie più affollate del venerdì sera


Andrea Indini


"Nikee We Own The Night", la corsa notturna di 10 km
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Published on June 01, 2013 22:13

I giovani turchi contro Renzi: "Pensa alla sua convenienza". E lui va a pranzo con Briatore

Dopo le polemiche che hanno accompagnato le sue parole nei giorni scorsi, Matteo Renzi sceglie di non commentare il via libera del Consiglio dei ministri al ddl sui rimborsi elettorali e si concede, lontano dalle telecamere e dagli obiettivi delle macchine fotografiche, un pranzo con Flavio Briatore. Ma il Pd è incandescente e lo scontro che è andato in scena per tutta la settimana non è ancora terminato. Troppo, però è stato detto e troppi sgarbi sono stati fatti per metterci una pietra sopra. Tanto che, ascoltando le dichiarazioni di fiele pronunciate dai "giovani turchi" nelle ultime ore, è facile presupporre che sgambetti, imboscate e pugnalate alle spalle andranno avanti fino al congresso.


"La cosa più importante adesso è aiutare a ricostruire il Pd, il che è cosa ben diversa dall’andare a presentare un libro in giro per l’Italia. Temo che ci sia qualcuno che cerca di vivere una fase così delicata del partito come gli conviene", ha dichiarato Matteo Orfini attaccando il sindaco di Firenze dalle colonne del Corriere della Sera. Come stanno facendo tutte le anime del piddì, anche i "giovani turchi" stanno scaldando i motori preparandosi alla sfida finale. Ieri la componente dem, che fa capo a Matteo Orfini e Stefano Fassina, si è riunita nella sala Berlinguer alla Camera dopo aver chiamato a raccolta i parlamentari e tutti gli uomini di cui dispone negli enti locali e negli organismi dirigenti periferici. "Non vogliamo fare i 'commentatori' come fa Renzi, ma chiediamo una riflessione sulla politica, non sulla carta di identità - ha detto Orfini - il congresso si deve tenere a ottobre senza rinvii e servono primarie aperte. Dalla direzione di martedì ci aspettiamo da Epifani un segnale forte di discontinuità, che è l’unica cosa che gli abbiamo chiesto, e la definizione del percorso congressuale". Insomma l’attesa è quella dell'azzeramento dell’attuale segreteria.


Intanto il sindaco di Firenze non perde occasione di lanciare bordate contro il premier Enrico Letta. In giro per l’Italia per il lancio del libro Oltre la rottamazione, Renzi ha pranzato con Briatore in un ristorante a Firenze. Secondo il Corriere fiorentino, a organizzare il faccia a faccia sarebbe stato Lucio Presta, manager di Roberto Benigni, in ottimi rapporti con il primo cittadino di Firenze. "Quando il Pd vincerà, sarà come lo vogliamo noi", ha spiegato, ieri sera, l'ex rottamatore durante la tappa partenopea. Qualcuno, dal pubblico, gli ha urlato: "Perché non prendi in mano il partito?". Una domanda che, nelle ultime settimane, si stanno chiedendo molti elettori democratici. "Non sono interessato a tutto il gioco delle trappolone politiche romane", ha assicurato Renzi rispondendo ai cronisti che gli domandano se stia studiando da segretario del Pd. Tuttavia, dopo averlo escluso per mesi, ha inziato a riflettere seriamente sull’opportunità di scendere in campo al congresso di ottobre. Con Letta a Palazzo Chigi, l’ex rottamatore vede allontanarsi la corsa per la candidatura a premier alle prossime elezioni; da segretario avrebbe maggiore spazio di manovra. Tutto, però, dipende dalle regole del gioco e, in particolar modo, se la poltrona del segretario sarà diversa da quella del candidato a Palazzo Chgi. Renzi, va da sé, punta a prendersele entrambe perché sa che diventare presidente del Consiglio senza avere in mano la segreteria è come sedere su una polveriera pronta a saltare in aria.


La decisione non è stata ancora presa. Parlando coi suoi, però, il sindaco di Firenze avrebbe apertamente ventilato la possibilità di candidarsi. Del resto la richiesta gli era arrivata da molti dei parlamentari a lui vicini, consapevoli del pericolo di rimanere schiacciati da un lato dall’asse governativo Letta-Franceschini e dall’altra dalla nuova maggioranza che uscirà dal congresso. La partita resta ad alto rischio. L’elezione di Renzi alla segreteria sarebbe una spallata al governo e alla fine potrebbe ritorcersi contro di lui. "Io sono il primo tifoso di Matteo - ha detto Letta nel tentativo di smorzare i toni - ha solo il difetto di essere di Firenze mentre io sono di Pisa".


Nel Pd continuano le imboscate. Renzi: "Ogni volta che parlo succedono casini...". E Letta: "Anch'io tifo per Matteo, anche se è fiorentino"





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Andrea Indini


Il sindaco di Firenze Matteo Renzi durante la presentazione del suo libro
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Published on June 01, 2013 08:32

May 31, 2013

Adesso Grillo inveisce contro i tagli ai partiti

Adesso l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti è realtà. "Passiamo dall’età toleimaca all’età copernicana". Alla conferenza stampa a Palazzo Chigi, il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello plaude al risultato ottenuto questa mattina dal Consiglio dei ministri: "Da un finanziamento pubblico fornito a prescindere si passa a un finanziamento pubblico sottoposto a due condizioni: la volontà della scelta dei cittadini e il fatto che i partiti siano una struttura fondamentale della vita democratica, strumenti del funzionamento delle istituzioni". Eppure c'è chi è già pronto alle barricate. Nonostante abbia fatto dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti una bandiera, adesso Beppe Grillo è pronto a schierarsi contro accusando il governo di prendere in giro i cittadini.


È l'ennesimo voltafaccia del comico genovese: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti non gli piace già più. Forse perché a portarlo a casa non è stato lui, ma l'esecutivo di larghe intese contro cui i Cinque Stelle stanno gettato insulti e improperi. Forse perché, oltre a far risparmiare denaro all'erario pubblico, il ddl licenziato oggi dal Consiglio dei ministri regolamenta i partiti attraverso norme volte ad assicurare il tasso di democrazia interna, la trasparenza dei partiti e i controlli sulle relative spese. "Le critiche del M5S? Forse perché abbiamo fatto la legge", ha commentato sarcastico Quagliariello respingendo al mittente i soliti attacchi di Grillo che, sul blog (leggi il post), parla di "presa in giro per i cittadini che continueranno a pagare per far campare i partiti" e lancia l’hashtag #leggetruffa. Sul web la risposta non si è fatta attendere. "Stavolta arrivano davvero i forconi - tuona la pletora pentastellata - questo non deve assolutamente passare dobbiamo scendere in piazza a tutti i costi". "L’importo totale a disposizione dei partiti potrebbe addirittura aumentare - ha incalzato il comico genovese - il finanziamento esce da una parte e entra dall’altra". In realtà, come ha spiegato lo stesso Quagliariello in conferenza stampa, il tetto c’è ed è di 61 milioni di euro, quindi un terzo in meno rispetto al finanziamento attuale. E questo solo nel caso in cui tutti decidessero di dare soldi ai partiti. Ci saranno, infatti, due opzioni: il contribuente potrà scegliere se dare i soldi allo Stato o ai partiti. L’inespresso verrà distribuito in base a queste opzioni.


"A me sembra una cosa chiara, evidente e inequivocabile - ha sottolineato il ministro delle Riforme - dal prossimo anno i partiti prenderanno meno e quello che si risparmia verrà messo in un fondo per diminuire il debito pubblico". E a Grillo: "È libero di protestare, vuol dire che non voleva levare i soldi ai partiti. Sapere che li abbiamo scavalcati è una buona notizia". A infastidire il comico è soprattutto la clausola dello statuto imposto a tutte forze politiche, vera e propria garanzia di democraticità interna come previsto dalla Costituzione. Il ddl presentato dal governo richiede solo che siano garantiti trasparenza e processi decisionali. Ogni partito deciderà come garantirli: il provvedimento lascia la massima libertà. Anche se M5S non ha per ora un vero e proprio statuto di partito, nessuno gli nega di darsene uno. "Se vuole partecipare al consesso democratico - ha concluso Quagliariello - Grillo troverà anche il modo, conservando una forma nuova, originale di partito". Tuttavia, dalla veemenza degli attacchi, sembrerebbe che, oltre a infastidirsi per essersi fatto bagnare il naso da quei partiti che lui stesso bolla come Casta, il guru pentastellato non ha la minima intenzione di trasformare il M5S in una forza politica democratica.


Il governo abolisce i finanziamenti pubblici ai partiti. Grillo s'infuria: "Legge truffa". Ha cambiato idea o è solo invidioso?





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Andrea Indini

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Published on May 31, 2013 09:29

Quale partita gioca Renzi? Ecco l'uomo solo al comando che spaventa Bersani e Letta

Che Matteo Renzi sia tornato all'assalto della diligenza lo si evince dall'estenuante tam tam di dichiarazioni con cui bombarda a ruota libera sia i vertici del piddì sia il premier Enrico Letta. Un fiume in piena che, oltre a destabilizzare i precari equilibri tra i democratici, rischia di minare la tenuta del governo. "Lui presenta il libro, io penso a governare", ha commentato nelle ultime ore il presidente del Consiglio lasciando trasparire un certo nervosisimo per i ripetuti attacchi. Attacchi che, da qui al congresso, si faranno sempre più intensi e violenti. "Non siamo in una caserma ma il momento è delicato", ha avvertito il segretario Guglielmo Epifani chiedendo esplicitamente al rottamatore di "dare una mano per vincere i ballottaggi". Ma Renzi ha in mente un'altra partita.


"Sono nervosi perché hanno capito che Matteo si potrebbe sul serio candidare al congresso", commenta il renziano Angelo Rughetti. L'occasione per tornare alla carica è il lancio dell'ultimo libro, Oltre la Rottamazione. Ieri Roma e Firenze: le prime tappe. Un turbinio di presentazioni, comparsate e apparizioni in cui il sindaco di Firenze non smette di tirare stoccate a destra e a manca. Questa mattina, ai microfoni di Radio Kiss Kiss, è ritornato a pungolare l'esecutivo: "Se un cittadino chiede al proprio governo di fare le cose che deve fare sembra un attacco?". Secondo Renzi, le accuse rivoltegli dall'establishment democratico sono "politica da telenovela". E ha chiosato: "Ho soltanto detto quello che pensa la stragrande maggioranza delle persone". In realtà, sotto c'è molto di più. Secondo fonti vicine a via del Nazareno, infatti, starebbe preparando la corsa alla conquista del partito. Una mossa che spariglierebbe tutti i giochi e che getterebbe una mina contro Palazzo Chigi. "Tutto fa pensare che stia pensando di candidarsi e che cominci a schierare l'artiglieria pesante - spiega alla Stampa un dirigente della vecchia guardia - perché la sua comunicazione è la cosa più forte che ha". Un'eventualità che, all'interno del Pd, spaventa molti, Pier Luigi Bersani lo ha bollagto come "l'uomo solo al comando". Una definizione che dovrebbe spaventare i democratici, ma che non fa altro che dare la carica al sindaco di Firenze. "La sinistra smetta di aver paura della leadership perché è l’idea di un centrosinistra che si mette in gioco", ha spiegato ricordando l'impresa di Fausto Coppi che "si è fatto accompagnare dalla sua squadra fin dove era possibile e poi si è messo in gioco".


La squadra, appunto. Il problema è che il Pd non ha squadra. Basta dare un'occhiata alla votazione di mercoledì sulla mozione presentata dal renziano Roberto Giachetti per capire che il partito è in balia delle correnti centrifughe che lasciano le svariate anime che lo compongono. Sono tutti in fermento in vista del congresso. Ieri Epifani ha assicurato che la sfida congressuale si svolgerà entro l’anno, anche se l'asse governativo, che ruota attorno a Letta e Franceschini, lo vorrebbe spostare a gennaio perché a dicembre Renzi dovrà decidere se ricandidarsi alla guida di Firenze. A differenza di Renzi, il segretario piddì la pensa come Bersani sul valore del collettivo più che quello dell’uomo solo al comando. La composizione della segreteria sarà annunciata martedì prossimo, ma stando alle indiscrezioni si capisce che l'organigramma è pensato in chiave anti rottamatore. Mentre vengono confermati il "giovane turco" Fausto Raciti e Roberta Agostini e si attende l'arrivo di Deborah Serracchiani e Matteo Colaninno, è stato deciso che la guida non sarà più affidata a un uomo di Renzi. Potrebbe subentrare, infatti, Davide Zoggia (bersaniano doc) che lascerà a un renziano l'incarico agli Enti locali. Incarico, quest'ultimo, che consente di gestire una rete di 80mila amministratori. E la partita prevede un posto per Luca Lotti.


Secondo un sondaggio realizzato dall’Istituto Swg in esclusiva per Agorà, la fiducia degli italiani in Renzi scende al 49% perdendo cinque punti nel giro di una sola settimana. "In questo momento il sindaco di Firenze è il più esposto - ha spiegato il presidente di Swg Roberto Weber - quindi paga un prezzo molto alto". Ieri sera, alla presentazione del libro, il rottamatore ha ammesso di aver perso la partita delle primarie. Ma è già pronto a scendere di nuovo in campo.


Epifani prepara le regole per il congresso. Un renziano avverte: "Matteo si potrebbe anche candidare a segretario". Così il tour per presentare il libro si trasforma in campagna elettorale





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Andrea Indini

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Published on May 31, 2013 01:56

May 30, 2013

I lettiani impallinano Renzi: "Vuol far cadere il premier"

Non si è arrivati allo psicodramma delle elezioni per il Quirinale, ma quella di ieri è stata un’altra giornata difficilissima per il Pd. La mozione di maggioranza sulle riforme e soprattutto il testo del renziano Roberto Giachetti, che chiedeva un impegno sul ritorno al Mattarellum, hanno spaccato il gruppo democratico alla Camera. Un via libera a Giachetti avrebbe creato non pochi ostacoli al governo, riuscito nella difficile opera di tenere insieme Pd e Pdl cassando dalla sua mozione ogni riferimento a un nuovo modello elettorale. Il blitz di ieri è stato un vero e proprio sgambetto al premier Enrico Letta. "Non sto mettendo fretta all'esecutivo, ma governo e parlamento funzionano se fanno le riforme e non se vivacchiano", ha ribadito oggi il sindaco di Firenze Matteo Renzi che, alla presentazione del libro, ha colto l'occasione per accusare il Pd di aver "preferito andare alle elezioni con la faccia triste".


"Renzi vuole far cadere il governo", è la lettura dei parlamentari vicini al premier e di tutti coloro che, nel Pd, tifano per le larghe intese. In attesa del congresso, i democratici se le danno di santa ragione in parlamentare minando la tenuta dell'esecutivo. Sullo sfondo c'è il duello a distanza tra Renzi e Letta, che si gioca sulla durata dell’esecutivo. "Una parte di liturgia democristiana in politica e nel governo talvolta mi pare eccessiva", ha commentato il rottamatore ai microfoni di Otto e mezzo invitando i compagni che siedono in parlamento a darsi una mossa: "C’è un po' di eccesso di democristianeria, di quella poco buona, nel governo". Alla fine la crisi è rientrata. I deputati hanno appoggiato il documento partorito dalla maggioranza e solo Giachetti ha votato la sua mozione. Ma restano le crepe: renziani, prodiani e bindiani hanno espresso platealmente il proprio dissenso con un documento che ha stigmatizzato la decisione di non mettere nero su bianco l’intenzione di arrivare a una nuova legge elettorale. Malumori circolano anche tra i veltroniani. Le crepe degli ultimi mesi sono tutt’altro che chiuse, tanto che qualcuno parla di un documento precongressuale cui starebbero lavorando diverse "anime" del piddì. Nonostante il segretario Guglielmo Epifani abbia confermato l’impegno per un nuovo sistema elettorale, i tempi si allungano. E su questo è arrivato l’affondo di Renzi. "Non vorrei che facessero melina, che il governo di larghe intese diventasse il governo di lunghe attese - ha detto il sindaco di Firenze - trovino una legge elettorale perché con il Porcellum non si va da nessuna parte". Le ripetute delegittimazioni del rottamatore non sono, però, piaciute a Pier Luigi Bersani che lo accusa di "non saper distinguere fra leadership democratica e uomo solo al comando".


Ieri mattina, nei corridoi della Camera, esponenti del governo, terrorizzati degli effetti dirompenti sul Pd, hanno provato a convincere Giachetti a ritirare la mozione. Ma è stato proprio dai renziani, con l’eccezione di Matteo Richetti critico sull’opportunità di certificare preventivamente il fallimento delle riforme, che è arrivata la linea più dura. Le pressioni non hanno avuto effetto: il deputato renziano ha deciso di andare fino in fondo e si è deciso di votare. Con Giachetti si sono schierati 34 tra renziani, prodiani, oltre a Pippo Civati. Ma alla fine tutti, tranne il diretto interessato, hanno deciso di adeguarsi alla disciplina del gruppo. L’intesa ha tenuto e al voto non si sono registrate altre defezioni, anche se una decina di renziani ha preferito non votare. "Il Pd ha fatto un altro errore madornale", ha spiegato Civati anche alla luce dell’adesione alla mozione sia dei Cinque Stelle sia delle truppe teleguidate da Nichi Vendola. Presupposto di una futura divisione del Pd. "Bisogna portare il partito a fare il centrosinistra o anche la sinistra perché queste forme mediate non si capiscono più - ha concluso Civati - se dopo il 'governissimo' facciamo il 'partitissimo' gli elettori ci abbandonano". D'altra parte le preoccupazioni di Civati sono convise da molti big di via del Nazareno e sono state pure messe, nero su bianco, in un documento. Che la lettura sia trasversale lo dimostra la diversa estrazione dei 43 firmatari: si va da Rosy Bindi a Laura Puppato, dalla renziana Nadia Ginetti a Walter Tocci. Nel frattempo, mentre si attende la convocazione del congresso, Massimo D'Alema, "con tutto il rispetto per Epifani", rilancia la candidatura di Gianni Cuperlo.


Pd sempre più diviso: renziani, prodiani e bindiani in fibrillazione, malumori tra i veltroniani. I lettiani: "Renzi vuol far cadere il premier". Si preannuncia un congresso di fuoco





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Andrea Indini



Ora Renzi prova a far cadere LettaRiforme, il Pd diviso tenta lo sgambetto a Letta
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Published on May 30, 2013 07:00

May 29, 2013

Legge elettorale e riforme, il Pd diviso tenta lo sgambetto a Letta

Tra riformulazioni, ritiri di firme e nuovi testi le votazioni sulle mozioni e risoluzioni, che fissano il percorso per le riforme costituzionali, sono state segnate dal solito, desolante teatrino di un Pd isterico e incapace di tenere la linea. È bastata una semplice dichiarazione, pronunciata con il consueto tono pacato, e i democratici sono andati nel pallone. "La mozione Giachetti è stata presentata in maniera intempestiva. Deve essere chiara una cosa: non possiamo non trovare una soluzione che ci trovi tutti d’accordo e non possiamo mettere a repentaglio il percorso delle riforme con atti di prepotenza". A pronunciarla Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato. Destinatario Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera. Due esponenti di prima linea del Partito democratico. Oggetto del contendere la revisione della legge elettorale, uno dei punti più importanti della stagione riformatrice che avrebbe dovuto aprirsi con la nascita del governo delle larghe intese.


"Oggi parte un processo costituente che coinvolgerà tutti e che rafforzerà la centralità del parlamento", ha assicurato il premier Enrico Letta nel suo intervento al Senato. La mozione, siglata dai capigruppo della maggioranza e approvata oggi pomeriggio a maggioranza, indica la strada concordata tra Pd-Pdl e Scelta Civica e impegna l'esecutivo a presentare entro giugno un ddl costituzionale che crei un comitato ad hoc, composto dai componenti delle commissioni Affari costituzionali a cui sarà delegata la revisione dei titoli I, II, III e V della seconda parte della Carta. Il frutto del lavoro del Comitato bicamerale passerebbe poi all’esame delle due Camere. "È un'occasione da cogliere fino in fondo", ha spiegato il premier invitando il parlamento a smettere di "litigare sulle riforme da fare" senza mai combinare niente. "Abbiamo la Carta più robusta, ma nonostante che abbia retto bene dobbiamo cambiarla oggi rispetto alle esigenze della nostra società - ha continuato il presidente del Consiglio - le riforme istituzionali sono una delle più importanti riforme strutturali che l’Italia può fare perché attualmente il Paese non ha istituzioni che lo rendono capace di decidere ed essere capaci di decidere è il primo tema all’ordine del giorno". Per l'esecutivo è fondamentale il senso dell’urgenza segni il passo delle riforme al fine di non imbarcarsi in un percorso dai tempi indefiniti. Per Letta, insomma, i tempi devono essere certi: "Diciotto mesi per me sono un tempo giusto".


"La legge elettorale va cambiata - ha avvertito Letta - sarà parte fondamentale del processo di riforme perché l’attuale legge non è giusta per le esigenze". Eppure a dividere le forze politiche che siedono in parlamento è proprio quella riforma della legge elettorale tanto richiesta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Da Giachetti è arrivata la proposta di tornare al Mattarellum. Per questo ha raccolto diverse decine di deputati a sostegno della propria mozione. Un’iniziativa che ha un doppio peso politico dal momento che attorno ad essa si potrebbero creare consensi ben oltre i confini del partito, anche tra le file di Sel e dei Cinque Stelle. All'assalto mosso dalla Finocchiaro, Giachetti ha subito messo le cose in chiaro: "Non ritiro niente". Dalla sua parte si sono schierati renziani e prodiani che hanno votato contro la relazione del capogruppo Roberto Speranza che chiedeva a Giachetti di ritirare la mozione. I veltroniani, invece, hanno preferito astenersi. E così il Pd si è trovato (ancora una volta) spaccato da una guerra fratricida. Tanto da obbligare Letta a scendere in campo intimando al deputato piddì a fare un passo indietro: "Darò parere contrario a quelle mozioni che entrano troppo nel merito". Così, dopo una lunga giornata di scontri, l'Aula di Montecitorio ha affondato il blitz di Giachetti con 415 voto contrari e 139 a favore: non basta l'appoggio, in blocco, dei deputati pentastellati.


Scongiurato lo "sgambetto" sulla legge elettorale, lo psicodramma democratico non si esaurisce comunque. In serata un gruppo di 43 parlamentari, appartenenti a diverse aree, ha infatti sottoscritto un documento per dissentire sull’iter delle riforme e sui contenuti, indicato nella mozione di maggioranza. Tra i firmatari Rosi Bindi, i prodiani Franco Monaco e Sandra Zampa e diversi esponenti della nuova sinistra interna (tra cui Pippo Civati e Laura Puppato). Insomma, il Pd torna a essere una polveriera che rischia di esplodere da un momento all'altro: la pax raggiunta con l'insediamento di Letta a Palazzo Chigi e di Guglielmo Epifani alla segreteria è già finita.


Letta fissa l'iter delle riforme. Giachetti tenta il blitz sulla legge elettorale ma non passa nonostante i voti di renziani, prodiani e grillini. Documento di 43 piddì contro il governo





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Andrea Indini

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Published on May 29, 2013 13:06

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