Andrea Indini's Blog, page 138
November 28, 2014
I soldi (sporchi) della jihad
Contanti, greggio e contrabbando. Tutto gestito al di fuori dei canali bancari legali. Il corridoio meridionale turco, il corridoio nordoccidentale iracheno e il corridoio nordoccidentale siriano sono i passaggi (non segnati) che riforniscono le casse dello Stato islamico. È così che, ogni giorno, viene finanziata la jihad dei sanguinari miliziani islamici che terrorizzano l'Occidente. "Servono enormi somme di denaro per sostenere gli otto milioni di persone che vivono nei territori conquistati dai jihadisti - spiega il direttore dell'Iraq energy institute di Baghdad, Luay al Khatteeb - l'organizzazione finanzia decine di migliaia di miliziani, impegnati in guerra da mesi, e ogni giorno accoglie nuove reclute. Eppure riesce a tenerli tutti sotto controllo, si muove con estrema facilità tra una frontiera e l'altra, e non sembra mai essere a corto di fondi o carburante".
In una inchiesta sulle finanze del Califfato, Newsweek mette a nudo il traffico jihadista che, grazie al contrabbando di petrolio e reperti archeologici, ai rapimenti e alle donazioni private, riesce a mantenere una organizzazione del terrore capace di "guadagnare" fino a sei milioni di dollari al giorno. "Lo Stato islamico ha accumulato ricchezze con una velocità senza precedenti - spiega David Cohen, sottosegretario al terrorismo del dipartimento del Tesoro Usa - le sue fonti di reddito hanno una configurazione diversa rispetto a quelle di altre organizzazioni terroristiche". L'Isis non dipende, infatti, dai trasferimenti internazionali di denaro, ma da attività criminali e terroristiche locali. In testa a tutte la produzione e la vendita di risorse energetiche confiscate. Seguono le tasse, le estorsioni dei civili locali, il sequestro di conti bancari e patrimoni privati, i rapimenti e il contrabbando di reperti archeologici. Infine, non bisogna dimenticare le donazioni e i finanziamenti di ricchi stati petroliferi come Arabia Saudita, Qatar e Kuwait. Da questi Paesi, nel giro degli ultimi due anni, sono arrivati ben 40 milioni di dollari. Queste donazioni sono fatte passare sotto forma di aiuti umanitari: enti benefici non registrati si accordano sui punti di consegna usando la funzione di localizzazione di WhatsApp.
Lo Stato islamico preferisce pagamenti in contanti o armi. "Il denaro o le armi di solito entrano in Siria attraverso il confine turco, che è meno pericoloso - spiega Haras Rafiq della Quilliam foundation - entrare in Iraq o in Siria dal confine saudita è più difficile perché ci sono più controlli". Oltre alle donazioni i miliziani, per foraggiare la guerra e il terrorismo, depredano le banche dell'intera area. Secondo una stima approssimativa che conta il sequestro degli istituti di Mosul e Tikrit, avrebbero sequestrato contanti per 1,5 miliardi di dollari. A Raqqa, invece, hanno aperto una dogana per tassare tutte le merci (medicinali compresi) che entrano ed escono dalla città. Un occhio di riguardo viene garantito ai reperti archeologici che quotidianamente vengono contrabbandati dai 12mila siti archeologici dell'Iraq. "È il saccheggio delle radici dell'umanità - spiega Abdulamir al Hamdani della Stony Book University - i jihadisti scavano nei santuari, nelle tombe, nelle chiese, nei palazzi e nei siti archeologici. Vendono gli oggetti e distruggono il resto". I manufatti più venduti sono le tavolette manoscritte a caratteri cuneiformi, ma c'è mercato anche per bassorilievi, cilindri d'argilla e sculture.
Anche il contrabbando delle materie prime è piuttosto florido. In primis, il petrolio. Poi il grano, l'orzo, il riso e il bestiame. Infine, gli esseri umani. Come spiega Newsweek, tra le conquiste più importanti dell'Isis ci sono sicuramente gli impianti di Hamrin, dove possono contare su 41 pozzi, e Ajil, dove sono attivi 76 pozzi. Poi ci sono i siti petroliferi di Sfaya, Qaiyara, Najma, Jawan, Qasab, Taza e Tikrit. "Il gruppo ha almeno 40mila combattenti e centinaia di veicoli - spiega al Khatteeb - in più deve produrre carburante a sufficiente per la popolazione locale". Per questo gli servono tra i 70mila e gli 80mila barili di petrolio raffinato al giorno. Tutto il resto viene acquistato esternamente (anche dai "nemici" curdi). Secondo l'intelligence americana, però, a lungo andare il Califfato potrebbe avere grossi problemi con la manutenzione dei giacimenti, l'estrazione del petrolio e la raffinazione del greggio.
Nel bilancio va poi tenuto conto la tratta di esseri umani. Il principale approvvigionamento arriva sicuramente dagli ostaggi occidentali. "Steven Sotloff non è stato ucciso per motivi religiosi, e James Foley e Alan Henning non sono stati uccisi per motivi politici - spiega una fonte dell'intelligence americana - sono stati uccisi perché le richieste economiche dei jihadisti non erano state soddisfatte". I riscatti per i sequestri di persona ammontano al 20% delle entrate dei miliziani, ma non sono solo gli stranieri a essere rapiti. Le donne, per esempio. Le yazide, le sciite e le turcomanne sono costrette a sposarsi o a prostituirsi. Il meccanismo è semplice: o si convertono all'islam per poi essere vendute come mogli oppure diventano schiave sessuali. Infine ci sono le persone semplici per le quali arrivano a chiedere riscatti tra i 500 e i 200mila dollari.
L'Isis prospera grazie al contrabbando di petrolio, ai rapimenti e alle donazioni: viaggio nella finanzi (criminale) del Califfo
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Andrea Indini
Abu Bakr Al Baghdadi, in una rara immagine che lo ritrae in moschea a Mosul
I riscatti sono un business: così l'Ue finanzia Al QaidaAl mercato delle schiave: così l'Isis vende le donne
November 25, 2014
I soldi di Putin agli euroscettici
C'era da aspettarselo. È partito l'assalto ai partiti euroscettici. Non importa se eletti democraticamente nel segreto delle urne, uno dopo l'altro devono fare i conti col fango che gli "amici" della tecnocrazia europea e la stampa progressista hanno già iniziato a riversargli addosso. Ne sanno qualcosa Marine Le Pen e Matteo Salvini che, nelle ultime ore, sono stati tacciati di andare a braccetto con il nemico numero uno dei penpensanti nostrani: Vladimir Putin. Si parla di finanziamenti (leciti), di triangolazioni nel mondo del trading energetico su petrolio e gas, di tesori nascosti da qualche parte in Siberia. Tanto fumo per stroncare l'avanzata di quella che sulle pagine di Repubblica viene bollata come l'Internazionale Nera.
L'exploit della Lega Nord alle regionali in Emilia Romagna ha segnato lo spartiacque. Matteo Salvini ha dato prova di poter portare il Carroccio a percentuali a due cifre. Questo ha iniziato a far paura. Perché, sebbene con numeri meno consistenti, è lo stesso trend che si sta registrando in Francia. Sabato prossimo si aprirà, a Lione, il congresso del Front National. Inizia così la marcia di Marine Le Pen sull'Eliseo. I sondaggi la danno in testa per le presidenziali del 2017. Due forze, la Lega Nord e il Front National, che terrorizzano chi difende da sempre l'egemonia di Bruxelles sui governi nazionali. Alle europee hanno già dimostrato di saperci fare: per un soffio non sono riusciti a mettere insieme uno straccio di gruppo che li rappresenti a Strasburgo, ma hanno fatto vedere a tutti di avere i numeri per incidere. E così, da alcuni giorni, è iniziato un violentissimo attacco mediatico. L'obiettivo è legare i soldi di Putin alle forze euroscettiche che si ripropongono di ribaltare l'Unione europea dall'interno. Il primo a muoversi è stato il quotidiano online Mediapart che ha accusato il Front National di essersi legato al Cremlino incassando una prima tranche di due milioni di euro sui nove totali ottenuti in prestito dalla First Czech Russian Bank. L'istituto di proprietà di Roman Yakubovich Popov è considerato essere molto vicino a Putin e al premier Dimitri Medvedev.
"Siamo in piena crescita e le prossime scadenze stanno per arrivare - spiega il tesoriere del partito, Wallerand de Saint-Just - da adesso alle presidenziali del 2017 abbiamo bisogno di una cifra tra i 30 e i 40 milioni di euro". Quello che Mediapart non dice è che l'operazione è regolare e alla luce del sole. Tanto che Wallerand non nasconde che avrebbe preferito una banca francese "per una questione di vicinanza e di lingua". Nessuna è stata disposta a dar loro un solo centesimo dopo lo scandalo che investì Nicolas Sarkozy. Nel 2012, dopo che il Consiglio costituzionale gli bocciò i conti, l'ex presidente fu costretto a rinunciare a 11 milioni di euro di rimborsi pubblici. Da qui la scelta di optare per un istituto russo. Scelta che Salvini non disdegna affatto. "Invidio profondamente la Le Pen - commenta il segretario del Carroccio - visto che io di quattrini ne vedo girare pochi...".
Non appena i risultati delle regionali sono stati più chiari, la fuoco incrociato si è subito rivolto contro la Lega Nord. L'Adnkronos parla con una fonte bene informata che legherebbe la recente visita di Salvini a Mosca alla ricerca di finanziamenti in rubli. "Non ha avuto solo valore politico - dice - per confermare la vicinanza del partito italiano alla Russia e quella di Mosca alle posizioni euroscettiche del Carroccio". Dagli incontri di Salvini con i suoi intelocutori russi il mese scorso sarebbero dunque emersi "risultati incoraggianti" sulla possibilità di ricevere aiuti che "a oggi non ci sono ancora". Eppure Repubblica si affretta a legare "il bancomat di Putin" ai lumbard ricordando che la Rossiya Bank di Yuri Kovalchuke Nikolaj Shamalov, bollata da Bruxelles come "la banca personale dei vertici della repubblica russa", è uno dei cinque istituti sanzionati da Unione europea e Stati Uniti. "Finora non è arrivato né un rublo né un euro - ci tiene a far presente Salvini - e non ci interessa chiederlo". Anche se in futuro dovesse arrivare, però, non ci sarebbe nulla di illecito. Eppure Repubblica già tuona allarmata contro l'Internazionale Nera, ovvero quel gruppone di partiti euroscettici e nazionalisti che va dagli austriaci del Partito Popolare all'Ukip di Nigel Farage, dai tedeschi di Alternative für Deutschland ai greci di Alba Dorata. Tutti, appunto, a libro paga di Putin.
"L'Unione sovietica inviava gioielli e bonifici milionari ai partiti comunisti, ai rivoluzionari del Terzo Mondo, qualche volta anche ai terroristi, con il pretesto di difondere la Rivoluzione proletaria - spiega un funzionario del Cremlino - adesso invece aiutiamo tutti coloro che ci aiutano a combattere questa ondata di immoralità del'Occidente. E nella lista non ci sono terroristi ma partiti democraticamente eletti". Fa sorridere che a rinfacciare agli euroscettici di incassare finanziamenti (leciti e regolari) siano quegli stessi che, durante la prima Repubblica, non si sono fatti problemi a riempirsi (illecitamente) le casse di rubli.
Dopo la Le Pen anche Salvini nel tritacarne mediatico. Sotto accusa i finanziamenti del Cremlino. Ma è tutto lecito
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Andrea Indini
Le Pen è già nel tritacarne
November 24, 2014
Base, minoranza e sindacati: parte la resa dei conti nel Pd
"Il dato dell’astensione è molto alto e deve far riflettere tutti i partiti. Ma i risultati vanno molto bene al Pd, ci siamo ripresi quattro regioni del centrodestra". Matteo Renzi parla di "risultato netto" finge di mettere da parte il vero vincitori di questa tornata autunnale di elezioni regionali: l'astensionismo. Va bene, i dem si sono portati a casa Emilia Romagna e Calabria. Va bene, il premier non ha sfigurato le percentuali bulgare incassate alle europee. Va bene, i risultati di due Regioni non fanno l'Italia. Ma c'è un ma che, mentre lo spoglio si faceva via via più concreto, allarma i vertici del Pd. Se da una parte la minoranza dem accusa il premier di "aver sbagliato tutto", dall'altra monta l'incubo della base che, su indicazione dei sindacati, ha tradito il partito proprio nella roccaforte rossa.
Nella terra delle Feste dell’Unità, delle cooperative rosse, dei comunisti che sopravvivono alla rottamazione renziana, i militanti sono rimasti a casa. Una vittoria mutilata, insomma. Che i sondaggisti avevano ventilato da diversi giorni. Perfino Romano Prodi, che in mattinata aveva lanciato un appello alla partecipazione, ha sbottato davanti ai numeri. "È un dato preoccupante...", ha ammesso scuotendo la testa. Il Movimento 5 Stelle, che si era inebriato della vittoria di Federico Pizzarotti a Parma, è un miraggio. Non preoccupa più. Adesso a togliere il sonno a Renzi - anche se non lo ammetterà mai - è la Lega Nord di Matteo Salvini. Il centrodestra che avanza. "Se loro stanno arrivando, noi aspetteremo - dice ai microfoni del Gr1 - mentre il centrodestra discute della propria situazione noi cambiamo l’Italia". Ma il vero nemico del premier è proprio il "suo" Pd. In Emilia Romagna ha perso 700mila voti, facendo così vincere il partito del "non voto". Un malessere profondo che ha unito il 60% dell'elettorato. Così, appare già chiaro le regionali in Emilia-Romagna e Calabria non potranno non avere una qualche ricaduta sulla mappa dei partiti e sullo stesso dibattito politico nazionale.
I motivi dell'elevato astensionismo sono plurimi e contano (anche, ma non solo) le inchieste giudiziarie che negli ultimi mesi hanno martoriato entrambe le Regioni. Dalle "spese pazze" in Emilia-Romagna allo scandalo che, il 29 aprile scorso, costrinse alle dimissioni l’ex presidente calabrese Giuseppe Scopelliti. Vicende che hanno certamente allontanato gli elettori dalle urne ma che non spiegano del tutto un'astensione choc destinata a irrompere nel dibattito politico. All'interno del Pd è già partito il processo al premier. Non è, infatti, un mistero che il leader della Fiom emiliana, Bruno Papignani, abbia ordinato ai suoi il boicottaggio del candidato piddì Stefano Bonaccini. Anche nella Cgil, che in Emilia Romagna può contare su 800mila iscritti, ha voluto punire gli attacchi di Renzi al segretario Susanna Camusso. "La gente non va a votare perchénon si sente rappresentata da nessuno - spiega il leader della Fiom Maurizio Landini - vedo una partecipazione agli scioperi senza precedenti e vedo una domanda di partecipazione che dovrebbe avere una risposta".
"Questi risultati sono disarmanti - tuona il ribelle Pippo Civati - gli elettori di sinistra non si ritrovano più nel Pd". È la fotografia del crollo delle tessere denunciato giorni fa da Repubblica. La stima parla, infatti, di circa 100mila iscritti. Nel 2013, invece, si contavano 539.354 tessere. È la fotografia di un partito che, pur essendo in piena salute in termini di voti, praticamente non ha più base. "Mamma, ho perso la base...", ironizza un piddino in Emilia Romagna. Ma da ridere c'è davvero poco. Lorenzo Guerini, il vice segretario del Pd, fa quadrato attorno al premier. E replica: "Il crollo della partecipazione è un dato che consegna a tutti un elemento di preoccupazione. Ma non vanifica una vittoria netta, con il Pd sopra il 40%". Percentuale che, a differenza di quella incassata alle europee, lascia l'amaro in bocca.
Nella rossa Emilia Romagna il Pd brucia 700mila voti. I militanti si interrogano: "Dov'è finita la base?". A influire anche il boicottaggio dei sindacati e il crollo delle tessere
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Andrea Indini
Affluenza, dato storico: Calabria batte EmiliaIl partito di Landini è già nato / SignorePd, Guerini: "Preoccupa l'astensione"
November 21, 2014
Vilipendio, Storace condannato per le critiche a Re Giorgio
Guai a toccare Giorgio Napolitano. Guai a dir male di lui. Almeno finché sarà protetto dal blasone di presidente della Repubblica. Poi, va da sé, ci sono critiche di serie A e critiche di serie B. O meglio: ci sono critici di serie A e critici di serie B. Sebbene Beppe Grillo e i suoi parlamentari stellati non perdano un sol giorno per apostrofare l'uomo del Colle, finisce che a pagare per tutti sia Francesco Storace. Il giudice del tribunale di Roma, Laura D’Alessandro, ha infatti condannato il leader della Destra a sei mesi di reclusione (come chiesto dal pm) per il reato di offesa all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica in relazione alle dichiarazioni rese il 13 ottobre del 2007. Per il leader della Destra, cui sono state concesse le attenuanti generiche, è stata disposta la sospensione della pena e la non menzione nel casellario giudiziale.
Vilipendio. Una condanna fuori dal mondo che si accanisce su una parola di troppo che, a conti fatti, altro non era che un fallo di reazione. Perché tutto era partito dallo stesso Re Giorgio che aveva bollato "indegno" l'attacco di Storace ai senatori a vita. Il leader della Destra li aveva definiti "stampelle del governo". Alla reprimenda di Napolitano, Storace aveva replicato definendo, a sua volta, indegno il capo dello Stato. A stretto giro erano arrivate pure le scuse. Ma la giustizia italiana, che qualche settimana fa ha trascinato il più alta carica dello Stato a testimoniare sul rapporto tra mafia e istituzioni, si accanisce contro Storace accusandolo di aver ferito con le sue parole la Repubblica intera. Un tantino eccessivo. "Sono l’unico italiano condannato per questo reato - sbotta, a caldo, l'ex governatore della Regione Lazio - questa è una sentenza su commissione". Anche perché l'imperativo di tutelare l'uomo del Colle viene rispolverato da quegli stessi giudici che non ci mettono né uno né due a infangare qualsiasi carica, istituzione o politica pur di portare avanti il proprio disegno politico. Storace paga per tutti. Ma soltanto per oggi. "Ieri il Pd ha bloccato per voce della Finocchiaro al Senato ogni possibilità sull’abrogazione o modifica di questo reato anacronistico - denuncia il leader della Destra - sarà contento Napolitano...".
La vicenda inizia nel 2007. Dal sito web della Destra Storace sferra un attacco a Rita Levi Montalcini accusandola di aiutare col suo voto a Palazzo Madama l'allora governo Prodi. Il Quirinale accusa l'ex governatore di "mancare di rispetto, infastidire, tentare di intimidire" la Montalcini che "fa e ha fatto tanto onore all’Italia è semplicemente". E per questo gli dà dell'indegno. "Napolitano non ha «alcun titolo per distribuire patenti etiche per disdicevole storia personale, per palese e nepotistica condizione famigliare, per evidente faziosità istituzionale - la replica - è indegno di una carica usurpata a maggioranza". In quei giorni al ministero della Giustizia c'è Clemente Mastella. È lui che dà il via libera a procedere in 48 ore. Non importa che Storace abbia scritto una lettera la capo dello Stato ammettendo di aver alzato troppo i toni, la giustizia è andata fino in fondo. E, ancora una volta, non si è fatta mancare una condanna "indegna".
Guai a criticare il capo dello Stato. Storace condannato a sei mesi di carcere per vilipendio: "Napolitano sarà contento..."
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Andrea Indini
Tutti insultano Napolitano ma solo Storace pagheràSe la vera "boiata" è il reato di vilipendioLa libertà di criticare. Anche Napolitano
November 19, 2014
Salvini sbarca nel Sud Italia ma senza simbolo della Lega
La Lega Nord sbarca al Sud. In pieno feeling con il sindaco-sceriffo Vencenzo De Luca, che lo riceve a Palazzo di Città, Matteo Salvini raccoglie gli applausi delle oltre 350 persone stipate nel salone del Comune e i fischi di una quarantina di esagitati dei centri sociali. Fuori gli antagonisti gli urlano insulti di ogni genere e lo accolgono al grido "Fascista, fascista!", in sala invece fa il pieno dei consensi. Alcuni sostenitori lo aspettano per scattare fotografie insieme e lo salutano scandendo il suo nome. È un assaggio del nuovo orizzonte del Carroccio che si prepara a correre alle regionali, ma senza lo storico logo della Lega Nord.
"Sono contento, anche emozionato di aver trovato una sala come questa, sono abituato a trovarla a Bergamo, non qui". A Salerno per una intervista pubblica con Bruno Vespa e Giorgio Mulè nell’ambito della manifestazione Panorama d’Italia, Salvini non si lascia guastare la serata dai soliti no global. I fischi non mancano, le contestazioni neppure. "Se la contestazione è civile e non violenta fa parte del gioco - chiosa - in democrazia ognuno è libero di non essere d’accordo". Ma è in sala, dove il clima è decisamente più pacato, che dà quell'annuncio ormai atteso da diverse settimane. La Lega sarà presente con proprie liste in tutte le regioni del Sud Italia dove si voterà a primavera. Da novembre l'eurodeputato riprenderà a girare per il Sud per preparare liste alternative della Lega alla prossime regionali. Non ci sarà il nome della Lega Nord. Potrebbe esserci quello di "Lega dei popoli" oppure "Lista Salvini". "L'importante - si affretta a precisare - sarà la convergenza su cinque o sei punti che comprendono la tassazione flat al 15-20%, l’abolizione della legge Fornero, lo stop all'immigrazione selvaggia e la difesa del made in Italy".
Partendo da questi punti Salvini lavorerà a tessere le alleanze all'interno del centrodestra. Ma non certo col Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. "Il ministro del Mare nostrum non potrà fare parte della coalizione - mette in chiaro - se la linea è la coerenza, non puoi decidere di chiamarti Nuovo Centrodestra per poi governare col centrosinistra". A chi gli fa notare che in Veneto e in Lombardia l'alleanza con Ncd è già realtà, Salvini risponde secco: "Chi vivrà vedrà, del resto penso ci saranno molti cambiamenti. Non penso che avremo a che fare con la stesse categorie politiche di oggi".
Salvini accolto tra gli applausi a Salerno. Feeling col sindaco sceriffo De Luca. Ma viene contestato dai centri sociali
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Pronto il nuovo simbolo per correre anche al Sud
November 18, 2014
Il Campidoglio contro Marino: "Dimissioni, te ne devi andare"
Otto multe per un totale di 1.021 euro. Alla fine il sindaco di Roma Ignazio Marino le ha pagate lo scorso venerdì. Dopo un imbarazzante tira e molla che gli ha fatto perdere la faccia con i romani, che la scorsa settimana sono scesi in piazza urlandogli "Pinocchio, vattene!", il primo inquilino del Campidoglio ha deciso di darci un taglio e pagare le contravvenzioni staccate dal 25 giugno al 25 luglio, il mese in cui la Panda rossa del sindaco risultava "sguarnita" del pass per il centro. Oggi si è presentato in Aula Giulio Cesare per provare a fare tabula rasa delle polemiche che lo stanno travolgendo. E, invece, si è trovato schiacciato da contestazioni, urla e fischi.
Agli occhi dei romani, e dell'Italia tutta, un sindaco senza più tricolore, sotto il fuoco nemico e amico. Perché, dietro al malcontento, non c'è solo la figura "barbina" delle multe. A farlo sbandare del tutto è soprattutto l'allarmante situazione di degrado in cui vessano le periferie della Capitale, in primis Tor Sapienza e Infernetto. Sebbene lo spettro delle elezioni anticipate, come richiesto da più parti, sembrerebbe esser stato allontanato (almeno per il momento), le urla "Dimissioni, dimissioni!" e "Te ne devi andare" in Campidoglio la dicono lunga del livello di esasperazine raggiunto dai romani nei confronti di un sindaco che non riconoscono più tale. E lo si è capito non appena ha messo piede in Comune tra i fischi e le urla. D'altra parte, come fa sapere anche Dagospia, il faccia a faccia avuto col vicesegretario piddì Lorenzo Guerini prima di riferire in Aula è finito a pesci in faccia. Col sindaco che ha voluto fare il duro col braccio destro di Matteo Renzi opponendosi a cambiare radicalmente la Giunta. E così, in Aula, ha dovuto fronteggiare sia le opposizioni sia i democrat (renziani) inferociti.
Da una parte cori "Marino, dimettiti!" e cartelli "Vergogna" e "Roma senza guida", dall'altra una sparuto gruppo di sostenitori con la bandiera "Daje sindaco". Le contestazioni, Marino se le trascina dietro. I fischi e le urla di Tor Sapienza sono stati solo un assaggio. E, quando ha provato a difendersi assicurando di "voler mettere la faccia" sullo scandalo delle multe ("Le ho pagate anche se non dovevo"), in Aula è volato di tutto. "Ho detto agli uffici, che pur mi comunicavano che non ero tenuto a farlo, che volevo pagare le multe. Mi sono state indicate le somme ed ho pagato", ha detto il primo cittadino accusando l'opposizione di aver trattato la Panda rossa "manco fosse un cacciabombadiere". Una sfrontatezza che non ha fatto altro che far ulteriormente infuriare le opposizioni. "Dimissioni, dimissioni!", hanno continuato a urlare. E il sindaco ha continuato a ridergli in faccia: "Non ci sono dimissioni né elezioni in vista".
Dibattito in Campidoglio sulle multe. Il sindaco: "Ho pagato le sanzioni anche se non dovevo". Ma l'Aula lo contesta
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Andrea Indini
Protesta in motorino contro il sindaco MarinoMarino evita le dimissioni: bagarre in Campidoglio
November 17, 2014
La protesta dilaga: Tor Sapienza caccia il M5S
Dilaga la protesta conto il degrado. Di periferia in periferia. Tor Sapienza da polveriera diventa la miccia che innesca altri roghi. E adesso c'è la concreta preoccupazione che più zone della periferia romana possano esplodere. Da Roma est a Roma sud, da Tor Sapienza all'Infernetto, dai palazzoni alle villette. Ma l'inferno è sempre lo stesso. Anche qui, infatti, sono arrivati alcuni minori trasferiti in fretta dal centro di via Morandi dopo l’assalto a suon di bombe carta e bottiglie. "Noi non ce li vogliamo", mettono subito in chiaro i residenti.
Imparato l'errore commesso a Tor Sapienza, dove ha tardato a lungo a incontrare i cittadini esasperati da una situazione esplosiva, il sindaco Ignazio Marino si è subito fiondato nel quartiere, non appena ha sentito soffiare i primi venti di rivolta. Ha provato a giocarsi la carta del dialogo e dell'accoglienza per convincere i residenti a parlare con gli immigrati "che non sono pacchi da spostare e hanno anche storie di dolore e guerra". La solita litania buonista, insomma. All'Infernetto, però, i residenti non si sono lasciati abbindolare da un sindaco che subisce passivamente le politiche migratorie fallimentari del governo Renzi. In tutta fretta è stato organizzato un sit in in via Solorno. Qui si trova, infatti, la struttura che ospita i rifugiati. Qui, da quando sono arrivati gli immigrati trasferiti da Tor Sapienza, hanno iniziato a scaldarsi gli animi. "Noi qui non ce li vogliamo, vadano via - dicono i romani, gentili ma compatti - ogni giorno ci sono furti negli appartamenti e nelle ville, questi nuovi arrivi non faranno altro che incrementare la criminalità". È lo stesso malcontento di Tor Sapienza. Perché, in molti troppi casi, immigrati uguale criminalità. I toni, almeno per il momento, sono diversi, più pacati. Per il resto lo scenario è uguale: polizia e carabinieri sorvegliano il centro, per ora blindato, e i ragazzi della struttura guardano dalle finestre scossi e forse impauriti.
A infuocare il clima all'Infernetto ci si mette anche la notizia (girata sui social ma presto rivelatasi falsa) secondo cui i rifugiati fossero ospitati in un centro che si occupa di malati di Alzheimer e inaugurato da poco. In realtà i diciotto ragazzini, tutti tra i 14 e 16 anni, sono stati trasferiti in uno dei tanti casali, in tutto otto, dell’area della struttura rimasti inutilizzati. Insomma sono separati dal centro diurno di cura. E a struttura stessa ci tiene ad assicurare: "Sono di transito". Per trovare posto magari in case famiglia visto che molti sono richiedenti asilo. Da loro è andato, a sorpresa, Marino. Ha voluto parlare con i ragazzi del centro: "Ho ascoltato le loro storie...". Una trovata politica che non incanta i romani. Che non ne possono più. Non a caso a Tor Sapienza i cittadini hanno chiesto ai parlamentari stellati di non farsi vedere in giro. "Il M5S - hanno detto - fa parte di uno Stato che non ci rappresenta. E per questo non sono graditi". E, quando nonostante l'avvertimento la grillina Paola Taverna si è presentata con un paio di consiglieri del V Municipio, gli è stato sbarrato l'ingresso all'assemblea pubblica. "Il quartiere è abbandonato da quarant’anni e mo si fanno vedere tutti - hanno detto - non vogliamo l’accattonaggio dei voti".
Le comparsate di Marino non riscono a spegnere la miccia che ormai è innescata. Altri comitati di quartiere si stanno organizzando per protestare contro il degrado. Proteste che la sinistra bolla con "razziste e fasciste", ma che è sbagliato a classificarle come tali. Il comitato residenti di via Alessandrino, per esempio, ha dato voce a insistenti voci sull'eventuale spostamento degli immigrati di Tor Sapienza in un edificio vuoto di via Casilina. Si parla di "400, forse 600 persone", anche se al centro di via Morandi erano in tutto 45. "Siamo preoccupati - spiegano - perché si sconvolgerebbe un tessuto sociale già difficile, precario, una realtà quotidiana dove i furti sono all’ordine del giorno e le forze dell’ordine stentano a mantenere il controllo". E avvertono: "Ci opponiamo a qualunque ingresso di centinaia di persone che di fatto verrebbe a stravolgere qualsiasi regola di convivenza civile. Il risultato sarebbe di far esplodere un’altra periferia romana. È davvero questo che si desidera?". Tor Sapienza e l'Infernetto hanno già fatto scuola.
La protesta dilaga: sit in anche all'Infernetto. E a Tor Sapienza i residenti cacciano i grillini. Intanto Marino ascolta le storie dei richiedenti asilo e si dimentica dei romani
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Andrea Indini
Altro che fascista, la rabbia di Tor Sapienza è rossa A Tor Sapienza i grillini perdono la verginitàTaverna cacciata da Tor Sapienza: "Nun sei 'a Caritas"Taverna cacciata da Tor Sapienza
November 16, 2014
Niente carcere per furti e truffe Così Renzi velocizza la Giustizia
Prendete Renato Vallanzasca. Nei giorni scorsi è stato connato a dieci mesi di carcere per aver rubato un paio di mutande e alcuni oggetti da giardinaggio. La sinistra si è subito affrettata a spiegare che il gesto è stato dettato dalla fame, dal disagio sociale, dalla crisi economica. Ebbene se il decreto legislativo che il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha trasmesso al parlamento fosse già stato convertito legge, il bel René non si sarebbe fatto nemmeno quei mesi di carcere. Perché, per "snellire" le Aule dei tribunali, il governo Renzi sta pensando bene di non perseguire i "piccoli" reati. Niente processo, insomma, per truffe, furto o lievi forme di abuso d'ufficio o peculato. E la vittima? Rimarrà col cerino in mano.
È il soliti brutto vizio della sinistra. Giustizialisti e manettari solo quando conviene. Perché c'è furto e furto. A seconda della convenienza. Li chiamano reati "bagatellari", ma pur sempre di reati si tratta. Tanto che ad oggi, in Italia, vengono comunque perseguiti in ossequio al sacrosanto pricncipio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Adesso il Guardasigilli ha scritto cinque articoletti, riuniti sotto un unico decreto legislativo, per depenalizzare i reati "batellari". Ladri e truffatori se la caveranno con un buffetto. Nemmeno la ramanzina. Perché, dovesse diventare legge, "nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale". Difficile districarsi nel "giuridichese" di Orlando. Ma quello che introduce la bozza del provvedimento è "l'improcedibilità per tenuità" del danno arrecato.
Le truffe, i furtarelli, gli abusi d'ufficio di lieve entità e il peculato d'uso potranno essere chiusi subito, senza andare a processo. E, quindi, senza essere condannati. Ci sarà, insomma, l'archiviazione per il vecchietto che al supermercato ruba un formaggio e per il rom che ti trancia la catena e si porta via la tua bicicletta. Perché, nascondendosi dietro alla "esigenza di alleggerimento del carico giudiziario", Orlando punta a introdurre il "principio di proporzione" in modo da tutelare il ladro o il truffatore di turno per non essere "costretti a sopportare il peso psicologico del processo a suo carico". E le vittime? Rimarranno senza giustizia. Certo, chi ha subito il danno potrà far valere le proprie ragioni in sede civile. Entro dieci giorni potrà anche prendere visione degli atti in modo da opporsi, qualora lo volesse, alla richiesta di archiviazione del pm. Ma chi deciderà se archiviare il ricorso alla archiviazione del pm? Un altro giudice. Con un margine di discrezionalità che, all'occorrenza, non tutela mai le vittime.
Con un decreto legislativo il Guardasigilli Orlando archivia i piccoli reati: niente processo. E le vittime? Potranno fare ricorso. Ma l'ultima parola spetterà sempre a un giudice
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Andrea Indini
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando
November 15, 2014
L'invasione degli immigrati ci costa 55 milioni al mese
Quasi due milioni di euro al giorno. Poco più di 55 milioni al mese. Oltre 660 milioni all'anno. Benvenuti nel bilancio preventivo dell'esodo degli immigrati in Italia. Sono numeri da capogiro quelli che, in nome della tanto decantata accoglienza, sborsiamo per il mantenimento dei 61.238 stranieri che, a oggi, sono ospitati dalle strutture messe a disposizione dal nostro Paese. Numeri tenuti al ribasso, ma che nella realtà lievitano vertiginosamente.
Perché se è vero che il Viminale stanzia 30 euro al giorno per dare vitto e alloggio a ogni straniero, è pur vero che molto spesso la cifra è più alta. «Fino al 31 agosto scorso abbiamo avuto una convenzione con un'associazione di Ragusa, quindi con il ministero dell'Interno, che ci rimborsava 80 euro pro capite a immigrato per tutta la gestione del centro. Dal primo settembre, invece, la Prefettura ci ha fatto la proposta di rimborsarci soltanto 35 euro», tuonava nel settembre scorso Luigi Ammatuna, sindaco di Pozzallo, uno dei comuni più «colpiti» dall'emergenza immigrazione. «Già abbiamo avuto cali in fatto di immagine e di presenze turistiche - spiegava il primo cittadino - non possiamo mettere soldi che non abbiamo e che sarebbero debiti fuori bilancio».
Come aveva svelato Ammatuna, ogni extracomunitario ospitato dall'hotel Italia arrivava anche a costare 80 euro al giorno. Cifra che fa indignare se paragonata agli «altri» 80 euro, il bonus tanto sbandierato da Renzi. Solo che agli italiani toccano una volta al mese. I soldi spesi nel centro di prima accoglienza di Pozzallo coprono i pasti, la scheda telefonica e un kit che contiene un paio di tute, alcune magliette, il ricambio di mutande, lo spazzolino e il dentifricio, il bagnoschiuma e l'asciugamano. Si capisce, quindi, come siamo ben lontani dalla media dei 30 euro al giorno su cui abbiamo calcolato i 660 milioni di euro sborsati in un anno.
Nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, per fare un altro esempio, ci sono quasi 4mila persone che attendono che venga evasa la richiesta. Un'attesa che, però, può durare anche più di un anno e che costa al giorno circa 34 euro a persona.
I dati del Viminale, aggiornati al 31 ottobre 2014, parlano 61.238 immigrati attualmente presenti sul territorio italiano. Nello specifico, 32.335 sono ospitati in strutture temporanee, altri 10.206 vivono nei Centri governativi per richiedenti asilo, 18.697 occupano invece gli spazi dedicati ai rifugiati (Sprar).
Sin dall'inizio della fallimentare operazione Mare Nostrum, il Viminale ha diviso gli immigrati regione per regione, con evidenti disparità. La Sicilia è quella che ne ospita di più: ben 14mila. Seguono il Lazio (quasi 8mila), la Puglia (quasi 6mila) e la Lombardia (quasi 5mila).
Ma quello che fa più impressione è l'impennata impressionante che, da gennaio a ottobre si è registrata. Se all'inizio dell'anno, gli extracomunitari erano circa 17mila, nel giro di soli nove mesi le presenze nei centri di prima accoglienza sono quasi quadruplicate arrivando così a quota 61mila. Secondo un recente report dell'Eurostat, infatti, l'Italia è sicuramente il Paese più «accogliente» di tutto il Vecchio Continente. Nel 2013 Roma ha respinto il 36% delle richieste di asilo presentate, mentre Berlino ne ha bocciate il 74%, Parigi l'83% e Londra l'82%.
Lascia, poi, l'amaro in bocca vedere che, mentre vengono spesi 660 milioni per mantenere gli immigrati, il governo taglia quasi la stessa cifra al ministero della Difesa e circa la metà al comparto sicurezza.
I dati choc del Viminale: per gli stranieri ospitati nelle strutture di accoglienza spendiamo quasi due milioni di euro ogni giorno. Ma sono cifre destinate a salire
Domenico Ferrara
Andrea Indini
La local tax sarà un salasso
Ce l'hanno venduta come una riduzione delle tasse locali, ma sarà un salasso. La local tax, il contributo unico locale che unificherà l'Imu e la Tasi, rischia infatti di essere un salasso senza precedenti. Ancora una volta il governo si mette a fare cassa sul mattone. "Renzi rischia di portare tassazione casa a 40 miliardi, dagli 11 di Berlusconi", tuona il presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta denunciando "l'inaccettabile patrimoniale" del governo. Perché, come dimostrano le proiezioni di ItaliaOggi, mentre sulle prime case i Comuni potranno muoversi entro un range tra il 2,5 e il 5 per mille (ovvero le stesse aliquote della vecchia Imu di Mario Monti), sulle seconde case gli italiani arriveranno a pagare un'aliquota al 12 per mille. Peccato che quest'anno i due tributi messi insieme non potevano superare per legge l'11,4 per mille.
Matteo Renzi come Mario Monti. Un paragone difficile da digerire. Ma per quanto riguarda le politiche sul mattone il premier, che al G20 sta sbandierando slogan del tipo "meno austerity", si sta comportando proprio come il bocconiano. Una ricetta recessiva che rischia di mettere ulteriormente in ginocchio un mercato già fiaccato dagli ultimi governi. Stando, infatti, alle indiscrezioni che emergono dai continui tavoli tra l'esecutivo e l'Anci, la vecchia Imu, che nel 2013 il governo Letta aveva abolito su pressione di Silvio Berlusconi, rischia di tornare. Sulle prime case, in particolar modo, la local tax avrà lo stesso range di imposizione che oscillerà tra il 2 e il 6 per mille con aliquota al 4 per mille. Insomma, l'Imu uscita dalla porta rientrerà dalla finestra. Ma il vero salasso arriverà per i proprietari delle seconde case. Anche perché i sindaci hanno chiesto a Renzi l'invarianza del gettito in modo da far fronte ai tagli previsti dalla legge di Stabilità.
Il trucco è servito. Da settimane Renzi va in giro a raccontare agli italiani che sta mettendo a punto la più imponente riduzione della pressione fiscale della storia della Repubblica italiana. Peccato che con la legge di Stabilità il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan abbia tagliato altri 4 miliardi ai comuni, pari a circa il 10% della spesa corrente. Per questo i primi cittadini spingono a ritoccare all'insù il tributo immobiliare che potrebbe confluire, con un emendamento ad hoc, nella legge di Stabilità. Dal canto suo, Renzi insiste nel voler unificare tutte le tasse locali sebbene i tecnici stiano incontra numerose difficoltà nell'attuazione. Il tema, comunque, è molto probabile venga rinviato in attesa dell’approdo della manovra in Senato.
Rispetto alla vecchia Imu sarà, invece, asciugato il capitolo delle riduzioni. Come anticipa ItaliaOggi, infatti, nel 2012 l'imposta sul mattone prevedeva 200 euro di detrazione per l'abitazione principale e 50 euro per ogni figlio a carico. Per la local tax, invece, si parlerebbe di 100 euro di detrazione fissa, mentre gli sconti per i figli non sono stati nemmeno contemplati. Si vedrà se, più avanti, il tavolo affronterà il tema. Meno probabile, invece, che esecutivo e Anci convergano sulle riduzioni modulate in base al reddito. Insomma, non una buona notizia.
Altro che risparmio, il tributo unico comunale voluto da Renzi picchierà duro sui contribuenti: ecco quanto pagheremo
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Andrea Indini
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