Andrea Indini's Blog, page 136
December 29, 2014
Renzi vuole allenare l'Italia ma così ci farà solo perdere
Un premier ct. Adesso Matteo Renzi punta alla panchina della Nazionale. Si sente un po' come Al Pacino in Ogni maledetta domenica. "Alleno l'Italia e la motivo". La conferenza stampa di fine anno spazia dal Jobs Act ai rapporti con l'Unione europea, dribbla i problemi seri del Paese e gigioneggia su tutto il resto. "La parola del 2015 sarà ritmo", promette. Ma tra metafore calcistiche, echi cinematografici e slogan motivazionali il sistema Italia rischia di perdere una partita fondamentale e retrocedere in serie B. Una sconfitta che non ci possiamo certo permettere nelle sitiuazione economica e sociale in cui ci troviamo.
"Il percorso di cambiamento è partito, sta producendo risultati concerti è sotto gli occhi di tutti. Il ritmo della politica è cambiato". Durante la conferenza di fine anno, Renzi si cala nei panni del coach che motiva i suoidicendo loro che ce la possono fare. Lo fa per gettare fumo negli occhi degli italiani ed evitare abilmente i grandi punti di domanda dul futuro dell'Italia, a partire dalla partita che ci si appresta a giocare sul Quirinale. "Mi colpisce questo senso di frustrazione e sfiducia che non è solo un fatto economico - ha aggiunto Renzi - perché è un grande Paese vivo e sono ancora più convinto di quanto lo fossi a febbraio che l’Italia ce la farà". A sentir parlare Renzi "l'Italia ce la può fare" perché è in mano a un "governo che ha fatto meno leggi e più riforme". Peccato che siano proprio queste riforme che stanno rischiando di far sbandare il Paese. Il Jobs Act, per esempio, era stato presentato come la "rivoluzione copernicana" del mercato del lavoro. Poi, però, al premier è mancato il coraggio di portare a casa il risultato. Non solo. Si vanta pure di aver reso intoccabile il pubblico impiego. "Sono stato io a cancellare la norma...", dice sorridente in conferenza stampa. "La norma sul pubblico impiego va cambiata - promette poi - devono esserci le condizioni per mandare a casa i fannulloni". Se ne occuperà il parlamento. Pilatescamente, Renzi se n'è lavato le mani.
Per il resto, la conferenza stampa alterna buoni propositi per il 2015 all'insofferenza per le domande che gli vengono poste dai giornalisti. Si rifiuta di rispondere sul Quirinale ("Non giochiamo a Indovina chi..."), invita Sky a cambiare titolo e dà del gufo a chiunque mette in dubbio che l'Italia riuscirà a risollevare la testa procedendo lungo la strada tracciata dal governo. Quindi, escludendo l'ipotesi contagio dalla Grecia, passa a pungolare Bruxelles. "Il partito degli euroscettici - dice - crescerà se non cambiamo l’Europa e si prenderà Paesi dalla grande, grande tradizione europea". La parola chiave resta, dunque, riforme. E, ricordando il pil americano al +5%, ci tiene a ricordare che da sole le riforme strutturali non bastano. E qui ritorna a bomba contro l'Unione europea. Il 2015, ad ogni modo, sarà l'anno della Rai, della scuola e della cultura. Per il momento, dunque, niente elezioni all'orizzonte. Nonostante i pessimi risultati incassati fino a oggi, il governo andrà avanti sulla strada tracciata da Renzi. Intanto, il tempo passa. E l'Italia, che è già fuori dalla competizione mondiale, rischia pure di essere eliminata dagli europei. Con buona pace del ct Renzi.
Il premier si sente come Al Pacino in Ogni maledetta domenica: "Alleno l'Italia e la motivo". Peccato che il campionato ce lo scordiamo
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Andrea Indini
"Mi sento come Al Pacino in Ogni maledetta domenica"Renzi si sente Al Pacino: il video del monologo"Il futuro del Colle? Non sono preoccupato per il 2015""Ora voglio cambiare l'umore degli italiani""Il Jobs Act non riguarda il pubblico impiego""Bisogna assolutamente cambiare l'Unione europea"
December 27, 2014
Caso marò, ora la Mogherini alza la "vocina" con l'India
Finalmente Federica Mogherini batte un colpo. Finalmente si espone pubblicamente da Alto rappresentante per la Politica estera dell'Unione europea. Mentre da Nuova Delhi è arrivato l'ennesimo schiaffo all'Italia, l'ex ministro degli Esteri si degna di occuparsi del caso marò. Lo fa rilasciando un'intervista a Repubblica che, se letta attenatmente, lascia l'amaro in bocca. Non solo perché la Mogherini alza appena la "vocina" senza spaventare minimamente il governo indiano, ma anche perché nel difendere il proprio operato di quand'era alla guida della Farnesina non fa altro che raccontare una caterva di bugie, peraltro già smentite.
"Il continuo rinvio di una soluzione alla questione dei due marò italiani può anche incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l’Ue è fortemente impegnata". Nell'intervista a Repubblica, la Mogherini avverte così Nuova Delhi sulle possibili conseguenze dello stallo. Un avvertimento che non spaventa nessuno. Non sortirà alcun effetto. Rientrerà, piuttosto, nel lungo elenco di ministri, premier e sottosegretari che dal governo Monti in poi hanno promesso di impegnarsi per riportare in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. "Le aspettative finora sono andate deluse - ammette - ma aspettiamo di vedere se vi sono margini perché questa situazione è dolorosissima per i due marò, le loro famiglie e l'Italia". Viene da chiedersi cosa abbia fatto la Mogherini quando era alla Farnesina e cosa stia facendo da quando siede all'Unione europea. Non può certo tirarsi fuori.
Per quanto riguarda il lavoro svolto al ministero degli Esteri, la Mogherini è subito pronta ad auto assolversi. "Come ho sempre detto in parlamento, ho usato i mesi da ministro degli Esteri per completare le procedure preliminari all'arbitrato, che hanno richiesto più tempo e lavoro del previsto - assicura - oggi, nella mia nuova posizione, continuo a seguire da vicino questa vicenda che mi sta molto a cuore, in contatto con il governo italiano". Peccato che non sia vero. Il 24 aprile aveva sì annunciato l'apertura di una "procedura internazionale" con l'invio di una nota verbale all'India, ma si è trattato soltanto del primo passo che, seza esiti concreti, potrebbe sfociare nell'arbitrato intrenazionale. Questo, però, non è mai stato attivato. Il 27 maggio era stato, infatti, assoldato per l’ex capo del servizio giuridico del Foreign office, il baronetto britannico Daniel Bethlehem. Fino ad oggi non ha fatto praticamente nulla. Eppure, come spiegava al Giornale Angela Del Vecchio, docente di diritto internazionale alla Luiss di Roma, "l’arbitrato potrebbe essere attivato". "Il ricorso era stato preparato dalla commissione che si occupò dei marò all'inizio della vicenda - spiegava la giurista - bisogna solo presentare la richiesta al Tribunale internazionale del mare".
"Troppi rinvii, sono in gioco le relazioni tra l'Ue e l'India". Ma sull'arbitrato mente e non ammette le proprie colpe
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Andrea Indini
December 23, 2014
Ora Renzi copre i No Tav: "Nessuno parli di terrorismo"
L'incendio alla stazione centrale di Bologna porta il vergognoso marchio dei No Tav. È il quarto assalto alla circolazione ferroviaria nel giro di un mese. Eppure il premier Matteo Renzi non vuole sentir parlare di terrorismo. Dalla Val Susa l'ondata violenta degli antagonisti No Tav è scesa nel cuore del Paese per colpire l'Alta Velocità proprio nel giorno in cui, da Nord a Sud, gli italiani si spostano per raggiungere i propri famigliari. Lo Stivale spezzato in due alla vigilia delle feste natalizie e il presidente del Consiglio si prende il lusso di coprire i violenti.
In una escalation via via più violenta la protesta No Tav è arrivata a ferire il Paese proprio a ridosso del Natale. Nessuna bomba, nessun ferito. Un incendio doloso messo a segno con dinamica rudimentale, ma mirato ed efficace, pensato per creare il massimo disagio e bloccare la circolazione ferroviaria sul nodo di Bologna, uno dei principali in Italia, alla vigilia della vacanze di Natale. Il blitz allo snodo di Santa Viola ha, infatti, interessato i treni ad alta velocità della tratta Milano-Bologna e i treni della linea Bologna-Verona. Renzi si è subito affrettato a minimizzare: "Non torniamo a rievocare parole del passato, è in atto un’operazione di sabotaggio". L'obiettivo è ridimensionare le parole del ministro ai Trasporti Murizio Lupi che, poche ore dopo l'assalto dei No Tav, ha chiaramente parlato di "atto terroristico". "Si è verificato purtroppo ciò che temevo, un nuovo atto terroristico con la Tav, questo e non altro è l’incendio doloso di questa mattina a Bologna - ha commentato Lupi - ma non ci fermeranno nella strada di innovare e cambiare l’Italia".
La nuova strategia dei No Tav (l’attacco al treno di Italo a Ostiense, a quello del Tgv a Vercelli e poi i due atti incendiari di Firenze e Bologna) sono il segno evidente di un attacco di stampo terroristico che mira a creare disagi ai cittadini e tensioni sociali al solo scopo di fermare l'Italia. Solo la magistratura sembra non essersene accorta. Tanto che, la scorsa settimana, la Corte d'Assise di Torino hanno assolto quattro attivisti dall'accusa di attentato con finalità terroristiche per l'assalto al cantiere di Chiomonte del maggio del 2013. "Far vivere nel timore e nella paura le persone comuni è la più grave forma di corruzione del vivere civile - ha assicurato Lupi - ma la loro è un illusione, noi andremo avanti con ancora più forza e serietà".
Come la magistratura anche la sinistra continua a fare sconti ai violenti No Tav. Renzi non è certo il solo a rifiutarsi di guardare in faccia la realtà. "C’è un dissenso che corre sotterraneo - spiega Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Pd - c’è una crisi economica che ha esacerbato gli animi, ma non penso che siamo alle soglie di un nuovo periodo come gli anni piombo". L'intento è minimizzare le colpe e ridimensionare gli attacchi in modo da far passare il terrorismo No Tav in proteste democratiche. Eppure da diverso tempo gli inquirenti sono concordi nel sostenere che una parte di quel movimento abbia intenti terroristici. "È un episodio che ci preoccupa - interviene il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso - dobbiamo fare molta attenzione".
Quattro attacchi alle linee ferroviarie in un mese. Lupi: "È terrorismo". Renzi: "Non evocare parole del passato"
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Andrea Indini
December 17, 2014
Marò, il bluff del governo: ora richiama l'ambasciatore
L’Italia cambia radicalmente strategia di fronte all’ennesimo no della Corte Suprema indiana sulla vicenda dei marò. E si oppone, "per ragioni di salute", alla decisione che impone il ritorno di Massimiliano Latorre a Delhi. Modificato l’ordine del giorno dopo le allarmanti notizie giunte da Delhi, il governo prova a mostrare i muscoli e fa finta di adottare una linea dura contro il governo indiano. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il collega agli Esteri Paolo Gentiloni hanno, infatti, assicurato alle commissioni riunite alla Camera saranno fatti "tutti i passi necessari" per tutelare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che, da quasi due anni, sono ingiustamente trattenuti dall'India. E, come primo segnale, hanno fatto deciso il rientro dell'ambasciatore.
Il timore, più che concreto e terribile, è che della voce grossa del governo non rimanga che un'eco lontana. La fermezza mostrata da Gentiloni e Pinotti alle commissioni Difesa e Esteri di Camera e Senato non possono che essere il primo passo di una strategia più dura. Altrimenti rischieranno di essere insufficienti e deludenti. Parlare di irritazione e di obbligo di reagire, richiamare l'ambasciatore in India per consultazioni non basta. Può essere, però, un primo messaggio da mandare al governo indiano. "Di fronte a un atteggiamento così grave delle autorità indiane - ha spiegato Gentiloni - il governo si riserva i passi necessari a partire dall’urgente richiamo per consultazioni dell’ambasciatore italiano a Nuova Delhi". Il titolare della Farnesina si è però affrettato a rassicurare la comunità internazionale che "non si tratta di rottura delle relazioni diplomatiche".
Come ha spiegato la Pinotti, l'impegno per il pieno recupero fisico di Latorre è "una priorità per il governo". "Nulla sarà fatto - ha assicurato - per mettere a rischio le sue condizioni". E Girone? La posizione del fuciliere è per Gentiloni & Co. "motivo di angosciosa preoccupazione". Almeno così ha detto il ministro degli Esteri ribadendo "l’irritazione del governo italiano" per le decisioni prese dalla Corte suprema indiana. Purtroppo, oltre a rinfacciare alle autorità indiane di aver accumulato una serie "incredibile di rinvii", l'esecutivo non sembra avere nel cassetto un piano per riportare Girone in Italia. Sull'arbitrato internazionale, per esempio, non ha ancora preso alcuna decisione. Lo farà nei prossimi giorni. Intanto, il tempo passa.
Dopo il "no" della Corte Suprema alle richieste dei due fucilieri detenuti, arriva la finta risposta del governo. Ma la reazione è timida e non c'è un piano per riportare Girone in Italia
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Andrea Indini
L'India rivuole Latorre ma il governo ha un sussultoUn'ingiustizia che si trascina da quasi tre anniCosì il capo della Corte ha fatto carriera in KeralaLa Pinotti: "Latorre deve rimanere in Italia"Marò, Gentiloni: "Ritireremo l'ambasciatore"Marò, Pinotti: "Latorre non può lasciare l'Italia"
Il salvataggio nascosto delle banche tedesche
"Se titoli sovrani di basso rating venissero acquistati dalla Bce, rischi di politica finanziaria verrebbero messi in comune dalla Banca centrale europea, aggirando governi e parlamenti". Dietro alle parole del presidente della Bundesbank Jens Weidmann a Repubblica c'è molto di più di quello che dice. Da mesi, infatti, la recrudescenza degli attacchi della Germania a Paesi come l'Italia e la Francia ha portato lo scontro in seno a Bruxelles ai massimi livelli. La cancelliera Angela Merkel e il fidato ministro delle Finanze Wolfgang Schauble continuano a pestare duro contro il quantitative easing sostenuto dal governatore della Bce Mario Draghi. In realtà, al contrario di quanto vorrebbe farci credere la propaganda di Berlino, la Germania è stato ed è tutt'ora il Paese membro che più facilmente è riuscito e riesce tutt'ora ad aggirare governi e parlamenti per portare avanti i propri affari.
Qualte tempo fa il Wall Street Journal era riuscito a mettere le mani sui verbali segreti di una riunione al Fondo monetario internazionale. In quell'occasione si spiegava, con estremo candore, come il salvataggio della Grecia sia stato "concepito solo per salvare i creditori", cioè le banche tedesche. Perché tornare lì? Innanzitutto perché il governo di Atene è nuovamente entrato in una fase di forte incertezza politica ed economica: se i partiti non riusciranno a scegliere il successore di Karolos Papoulias nel corso di tre votazioni, infatti, il parlamento verrà sciolto e si andrà alle elezioni politiche anticipate, forse già il 25 gennaio. In secondo luogo, perché da un po' di tempo a questa parte il nemico principale della Merkel è diventato proprio l'Italia a cui viene ricordato (un giorno sì, e l'altro pure) che non fa abbastanza per tenere in ordine i conti pubblici. La crisi greca e il fallimento dell'Unione europea hanno le stesse radici.
Quando la Troika staccò il piano di salvataggio da 240 miliardi di euro, il governo ellenico fu costretto a stornarlo per tappare i debiti con le banche creditrici. La bellezza di 160 miliardi andarono così a istituti tedeschi e francesi, mentre solo 46 miliardi vennero usati per abbattere il debito pubblico. Il tutto a fronte di misure lacrime e sangue che hanno imposto alla popolazione sacrifici senza precedenti. Lo stesso è successo in Irlanda e in Spagna. Dal 2010 a oggi il governo di Dublino ha ricevuto, sempre dalla Troika, aiuti finanziari per 67,5 miliardi di euro. Di questi ben 55,8 miliardi sono andati a finire nelle casse delle banche straniere che vantavano con l'Irlanda pesanti debiti. Anche in questo caso, guarda un po', gli istituti che ne hanno beneficiato sono in gran parte tedeschi e francesi. La Spagna, infine. Quello che la International financing review ha denunciato essere "un salvataggio nascosto delle banche tedesche", ci è costato ben 100 miliardi di euro.
Come denuncia Tino Oldani su ItaliaOggi, "la Troika è stato il grande alle alleato delle banche tedesche: i suoi interventi sono stati infatti decisivi per il loro salvataggio, mentre ben poco è rimasto ai paesi aiutati". Paesi come la Spagna, l'Irlanda e la Grecia sono stati infatti costretti a riforme devastanti per ottenere aiuti economici che sono, poi, finiti nelle casse di istituti stranieri. Perché lo stesso destino non tocchi anche all'Italia, è necessario spezzare una volta per tutte le prepotenze tedesche.
La Troika ha sempre "aiutato" i Paesi europei in crisi con un unico fine: risolvere i problemi finanziari della Germania
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Andrea Indini
December 16, 2014
L'India rivuole Latorre. Il ministro Pinotti: "Non può tornare"
L'ennesimo schiaffo, a pochi giorni da Natale. La decisione della Corte suprema indiana di respingere le istanze per chiedere l'attenuazione delle condizioni della libertà provvisoria, è solo l'ultimo sgarbo istituzionale che calpesta i diritti umanitari dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e umilia lo Stato italiano che, ancora una volta, se ne resta zitto, con la coda tra le gambe. Matteo Renzi, dopo tutto, non è così diverso da Mario Monti. Aldilà delle pompose dichiarazioni, i vari premier che si sono successi a Palazzo Chigi non hanno saputo far riportare a casa i due ufficiali di Marina. Tanto che la giustizia indiana si sente in diritto, per l'ennesima volta, di calpestare i due militari, simbolo del nostro Tricolore.
"È una enorme ingiustizia nei confronti di due uomini, nei confronti dei loro cari, dei militari e nei confronti di tutto il popolo italiano". Le parole di Paola Moschetti, compagna di Latorre, pesano sulla coscienza dei tre governi che, da quel 19 febbraio 2012, si sono alternati a Palazzo Chigi. Lo schiaffo di oggi è, infatti, solo l'ultimo di una serie interminabile. La Corte Suprema, infatti, non ha accolto le istanze presentate dai nostri marò volte ad attenuare della libertà provvisoria permettendo a Latorre un prolungamento della permanenza in Italia e a Girone un rientro in Puglia per trascorrere le festività natalizie insieme alla propria famiglia. Quarto caso nell’agenda odierna, le petition dei militari sono state illustrate dall’avvocato Soli Sorabjee, accompagnato da K. T. S. Tulsi, a un tribunale di tre giudici presieduto dal presidente della stessa Corte, H. L. Dattu. Quest’ultimo ha assunto, sin dalle primissime battute, un atteggiamento visibilmente in disaccordo con le richieste formulando nei confronti di Girone e Latorre numerose obiezioni.
L'istanza di Girone per un rientro in famiglia per un periodo di tre mesi, in concomitanza con le vacanze natalizie, è stata poco dibattuta. Quasi tutto il tempo del dibattito, una trentina di minuti circa, si è infatti concentrato sui quattro mesi chiesti da Latorre per continuare il percorso terapeutico necessario dopo l'ictus e sottoporsi il prossimo 8 gennaio a un intervento cardiaco. Il presidente della Corte suprema, che in Aula rappresenta il governo indiano, ha ascoltato la difesa per poi discutere anche con i giudici a latere. Pur non essendo completamente contraro a concedere l'estensione della permanenza in Italia per Latorre, ha eccepito su vari punti della richiesta sorprendendosi del fatto che nella petizione venisse sollevato anche il problema della giurisdizione. "Allorché le indagini non si sono concluse e i capi d’accusa non sono stati presentati - ha osservato - come posso io concedere l’autorizzazione agli imputati?". E ha, poi, aggiunto: "Se concedessi questo ai due richiedenti, dovrei farlo anche per tutti gli imputati indiani. Anche le vittime hanno i loro diritti".
L'ennesimo schiaffo ai militari e al nostro Paese ha risvegliato l'orgoglio dei nostri politici. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso "forte contrarietà", mentre il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha assicurato che il governo darà al più presto una risposta. "Oggi per noi è una giornata difficile", ha chiosato. E nella registrazione della puntata di Porta a Porta ha aggiunto: "È stata una doccia gelata, una decisione incomprensibile che non riesco a spiegarmi. Questa situazione va risolta e l’Italia non può fare altro che reagire. Anche da un punto di vista umanitario la richiesta doveva essere accettata - continua il ministro - Stiamo seguendo con il ministro
degli Esteri, e con il presidente del Consiglio questa questione e faremo un punto politico domani mattina in Parlamento. Latorre si deve curare e non vedo come possa tornare in India - sottolinea - lo dicono i medici e da questo non ci muoviamo".
Oltre alle dichiarazioni, la speranza è che a questo giro l'esecutivo si impegni seriamente e faccia qualcosa per fare giustizia e liberare due militari, due italiani, ingiustamente detenuti in un altro Paese.
L'ennesimo schiaffo dell'India ridesta i nostri politici. Ma, oltre alle dichiarazioni, faranno qualcosa di concreto?
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Andrea Indini
Un'ingiustizia che si trascina da quasi tre anniBuonanno interrompe Juncker: "Marò liberi subito"
Napolitano svicola dai problemi
Come se niente fosse. Come se la crisi economica non bruciasse ricchezza, posti di lavoro e imprese. Come se il premier Matteo Renzi non fosse dilaniato da una lotta intestina al Partito democratico che puntualmente ne mina l'autorità in Aula. Come se il governo non fosse in balia di una maggioranza traballante che sulle riforme più calde non riesce a imporsi e a seguire una linea comune. Come se le voci di dimissioni nell'immediato non avvolgono la già ingarbugliata situazione politica in una spettrale nebbia di instabilità. Giorgio Napolitano augura a tutti buon Natale. Tutti i problemi del Paese possono aspettare. Lui, Re Giorgio, li svicola abilmente e rimanda tutto al 2015.
Nel saluto alle alte cariche dello Stato Napolitano tiene il punto e prende tempo. Non una parola sul suo addio al Quirinale. Non era in programma. Ma, forse, un'attenzione maggiore ai (troppi) problemi del Paese avrebbe anche potuto mettercela. E, invece, no. Si limita a tirare le orecchie a quelle forze politiche a quelle forze politiche che, nelle ultime settimane, si sono fatte sotto a chiedere elezioni anticipate. Al voto, per ridare la parola agli italiani visto che da Mario Monti in poi il Belpaese si è visto passare davanti ben tre governi non eletti. Ma, dal momento che di questi tre esecutivi il presidente della Repubblica è anche il padre putativo, si rimette a fare da argine al voto. "Non possiamo essere ancora il Paese attraversato da discussione ipotetiche, se e quando e come si voglia e si possa puntare su elezioni anticipate su scissioni - avverte - è solo un confuso agitarsi che torna ad evocare lo spettro della instabilità".
Così, nel Salone dei Corazzieri, in occasione di quelli che con ogni probabilità sono i suoi ultimi auguri alle alte cariche dello Stato, Napolitano fa un vero e proprio endorsement al premier Matteo Renzi. Non risparmia certo critiche alla situazione economica e sociale del Paese, ma si tratta di buffetti. Colpi a salve, niente di più. Dal semestre europeo a guida italiana al Jobs Act, dalle riforme costituzionali ai provvedimenti anticorruzione, nei 26 minuti di intervento si guarda bene dal criticare il governo e, anzi, chiede al parlamento e alle parti sociali di accompagnarlo nel cammino di riforme. "Dobbiamo procedere con coerenza e senza battute d’arresto sulla via delle riforme", dice sottolineando come siano giunti "non trascurabili apporti" alla soluzione di crisi aziendali sia dal ministero dell’Economia sia dal presidente del Consiglio in persona con un’opera di cui "non si può obiettivamente negare la rilevanza e l’efficacia". Il tutto in barba al pil che non cresce, alla disoccupazione giovanile che dilaga e, soprattutto, alle riforme (quelle vere, quelle strutturali) che non vanno a segno. Tutto questo, Napolitano non lo vede. O finge di non vederlo.
Napolitano allontana il voto anticipato e fa un vero e proprio endorsement per l'attività del governo: "Avanti con le riforme". Poi avverte i sindacati: "Dialogate, ma poi rispettate le scelte"
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Andrea Indini
Il presidente della Repubblica Napolitano con Grasso, Boldrini e Renzi
Napolitano: "Rispettare le riforme istituzionali"Il Capo dello Stato sul voto anticipato
Renzi parla d'Europa, nessuno lo ascolta: Aula deserta
"Bisogna vivere la fase che si è aperta come occasione unica: o cambiamo la direzione dell’Europa o abbiamo perduto l’Europa". Il presidente del Consiglio di Matteo Renzi interviene alla Camera sul prossimo Vertice Ue per spiega con enfasi che "siamo in una fase di passaggio straordinariamente delicata e sensibile: l’Europa è al bivio". Parole al vento. Perché l'Aula di Montecitorio è deserta. Qua e là si scorge qualche testa. Ma gli scranni sono quasi tutti vuoti.
Nessun parlamentare è più interessato ad ascoltare le sviolinate di Renzi. Non piace nemmeno ai deputati sentirsi raccontare di quanto è bella e brava l'Europa. Non perdono nemmeno più tempo a sorbirsi l'ennesima autocelebrazione delle prospettive di governo. In quel di Montecitorio, ai discorsoni del premier fiorentino, si sono ormai abituati. E ne hanno le tasche piene. Così non deve stupire se questa mattina, come mostrano i video dell'agenzia Vista, molti dei banchi sono rimasti vuoti. Nonostante sia mercoledì, non c'è stata la calca per ascoltare l'intervento del premier che ha riferito sul Consiglio europeo del prossimo 18 dicembre. Qualcuno ha preferito intrattenersi più a lungo alla buvette, altri hanno deciso sistematicamente di poltrire a casa. A sentire uno dei pochi seduti in Aula, era presente sì e no un centinaio di deputati. A rimpolpare il numero dei presenti all'appello c'erano solo i rappresentanti del governo: il ministro dell'Interno Angelino Alfano, quello delle Riforme, Maria Elena Boschi e Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, più uno stuolo di sottosegretari.
Per il resto, il discorso non è stato altro che il solito elenco di buoni propositi per il governo e di eterne speranze per l'Unione europea. Un déjà vu, insomma. "Siamo in una fase in cui l'Europa è a un bivio", ha attaccato. Poi, citando una frase pronunciata da Luigi Einaudi nel 1947, ha proseguito: "Se non sapremo farci portatori di un ideale umano noi siamo perduti". E ancora: "Possiamo vivere la fase che si è aperta con il rinnovo delle elezioni e con il semestre di presidenza italiana come un'occasione per dire che o torniamo all'ideale o rischiamo tutti noi di aver perduto l'Europa". Secondo Renzi - e non è certo la prima volta che ce lo racconta - la politica dovrebbe "fare il suo mestiere e non lasciare l'Europa ai tecnocrati". Nel 2014 il suo governo non l'ha fatto. Così si ripropone di farlo nel 2015. "Vedremo - dice - se la politica economica dell'Europa unita sarà finalmente centrata sulla crescita o continuerà ad essere una via di mezzo spuria. Credo e spero che con l'aiuto di tutti, anche con quello dei parlamentari italiani, si torni a guardare verso l'Europa della crescita e non solo verso l'Europa dell'austerity". Parole al vento, appunto.
Il premier a Montecitorio per riferire sul vertice Ue. Ma l'Aula è vuota: nessuno vuol più stare a sentire i buoni propositi per il futuro
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Andrea Indini
Renzi riferisce in un'Aula semivuotaRenzi al M5S: "Abbiamo bisogno di voi"Monti torna al Senato per ascoltare RenziI grillini scatenati al Senato: "Renzi assassino!"
December 14, 2014
Pd, Renzi rottama l'Ulivo: "Si sono persi vent'anni"
Pippo Civati che mette un piede fuori dal partito, i deputati della minoranza Pd che si fanno sostituire "con sdegno" in commissione, il sogno delle riforme che si fa incubo per colpa del suo stesso partito. Matteo Renzi ha provato a tirare le fila, davanti ai mille componenti dell’assemblea nazionale del Pd, di un dibattito interno ad altissima tensione. A loro ha chiesto un mandato chiaro su un documento che sia la base per affrontare il tornante "complicato" che attende il governo a nei primi mesi del 2015. "Noto un certo richiamo nostalgico all’Ulivo e ricordo le tesi dell’Ulivo sul superamento del bicameralismo perfetto... - ha detto il premier - quello che non capisco è come si possa aver perso tanto tempo sulle riforme".
La riforma del bicameralismo e del Titolo V ha superato il primo passaggio alla Camera. Ieri sera, poco prima della mezzanotte, la commissione Affari costituzionali ha approvato il testo. Questo consentirà di rispettare la data del 16 dicembre, quale giorno per approdare in Aula, proprio come aveva auspicato Renzi all'inizio dell'iter parlamentare. Al ddl licenziato dal Senato sono state apportate importanti modifiche, comprese alcune richieste dalla minoranza democrat. Questa apertura, però, non è bastata a evitare la spaccatura interna al Nazareno, con la minoranza che è uscita al momento di votare alcuni articoli e che, alla fine, ha lasciare la Commissione. "Renzi vuole andare al voto - ha attaccato Stefano Fassina dalle colonne di Repubblica - ogni giorno cerca di costruire alibi per giustificare il suo obiettivo, ma scaricando la responsabilità sulle spalle degli altri". Per rispondere anche a Fassina, davanti all’assemblea del partito, il segretario ha tenuto il solito discorso infarcito di promesse, fumo negli occhi, battute per strappare gli applausi dei presenti e complimenti al governo. "Pensate che andare al voto sia l’obiettivo di una forza politica che ha detto in tutte le lingue che vuole cambiare il Paese senza cambiare i parlamentari? - ha replicato senza nascondere un punta di fastidio - ha senso, Fassina? Per me non ha senso tornare a votare a ogni intoppo".
Renzi non si è dimostrato per nulla tenero contro chi dall’interno fa una battaglia tutta interna, di parte, quasi congressuale, "sulla pelle degli italiani". Il tutto per dimostrare, con la maggioranza schiacciante a un documento sulle riforme che sta preparando in prima persona, che il partito, come già il 40% degli elettori alle europee, è con lui. "Io non caccio nessuno", ha sempre assicurato Renzi. E non lo ha fatto, neanche questa volta. Saranno gli altri, i ribelli, ad alzare le tende. "Siamo quelli che cambiano l’Italia - ha messo in chiaro - non quelli che si mettono a mugugnare su chi cambia l’Italia".
Durante l’assemblea nazionale del Pd, Renzi ha tracciato una linea per chiarire a chi ha dubbi se rimanere, che il percorso delle riforme non è negoziabile. "Il Pd - ha detto - è il partito della nazione perché vuol bene all’Italia e non si rassegna alla politica che ha stuprato il Paese". Peccato che la cronaca giudiziaria degli ultimi giorni abbia messo a nudo proprio il malgoverno della sinistra: gli affari sporchi delle coop rosse, i contatti del clan di "Mafia Capitale" con il governo e la Giunta Marino, le mazzette per il Mose ad alti esponenti piddì. "Non tutti quelli che votano Pd sono onesti - si è limitato a dire - ma chi non è onesto non può camminare con noi". I disonesti, i tangentari, gli affaristi - a quanto pare - camminano di buon passo dietro al premier. Non gli passa manco per l'anticamera del cervello di staccarsi dal Nazareno. Quelli che, invece, vogliono andarsene sbattendo la porta, sono piuttosto i ribelli. Non per niente all'assemblea non si sono fatti nemmeno vedere. "Non vado a farmi minacciare", ha messo in chiaro Massimo D'Alema. Altri grandi assenti sono stati Pierluigi Bersani ("per mal di schiena") e Rosi Bindi. Insomma, la vecchia guardia gli ha già voltato le spalle.
Il Pd in pieno caos. Il premier mostra i muscoli in assemblea nazionale: "Voglio cambiare il mondo, non andare alla moviola". Ma la minoranza è pronta allo strappo
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December 13, 2014
Le lettera del clan a Renzi: "Più soldi per Mare Nostrum"
"Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende di meno". Le parole di Salvatore Buzzi, ras delle cooperative rosse che facevano soldi con le emergenze grazie a una rete criminale che metteva insieme la politica e la malavita, sarà probabilmente ricordata come lo slogan degli scandali di "Mafia Capitale". Soldi e profughi, un mix esplosivo sulla pelle dei romani che negli ultimi anni si sono visti la città invasa dagli extracomunitari. Le coop rosse lucravano sul traffico di immigrati incentivato dalle leggi della sinistra. E non ne avevano mai abbastanza. Tanto che, poco prima di finire in manette, Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni e ora componente del Tavolo per i rifugiati, aveva scritto al premier Matteo Renzi per chiedere nuove regole e maggiori risorse per l'accoglienza.
La sinistra predicava l'accoglienza, le cooperative di Buzzi incassavano. Paccate di soldi. "Speriamo che il 2013 sia in anno pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori, piovoso così cresce l’erba da tagliare e magari con qualche bufera di neve - scriveva Buzzi ai suoi amici nei messaggi di Natale - evviva la cooperazione sociale". È un sistema ben oliato. Appalti milionari per l'accoglienza dei profughi. Tutto grazie al buonismo del Pd a cui Buzzi era iscritto e alle cui cene partecipava per fare affari. "Noi quest'anno abbiamo chiuso... Con quaranta milioni di fatturato ma tutti i soldi... - spiegava il ras delle coop - gli utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull'emergenza alloggiativa e sugli immigrati. Tutti gli altri settori finiscono a zero". Buzzi era, infatti, riuscito a entrare nel progetto Emergenza Nord Africa attraverso il consorzio Eriches di cui fa parte la coop "29 giugno". Un fiume di denaro pubblico messo a disposizione per accogliere i profughi delle Primavere arabe. L'equazione è semplice: più profughi, più soldi alle coop di Buzzi. Tanto che nel 2013 la Eriches ha chiuso il proprio bilancio con attivo di 3 milioni netti. "Abbiamo vinto il bando promosso da Roma Capitale per 491 immigrati facenti parte dello Sprar - diceva lo stesso Buzzi - una commessa significativa che ci consentirà di stabilizzarci nel settore".
Ma i soldi non erano mai abbastanza. A settembre, quando le richieste di arresto dei pm erano già arrivate sulla scrivania del gip, Odevaine scriveva, in qualità di presidente della Fondazione Integra/azione, a Renzi per chiedergli di aumentare il giro d'affari. Era lui l'uomo del clan che, all'interno del Viminale, curava gli interessi di "Mafia capitale". Per questo incassava uno "stipendio" di 5mila euro al mese. "Aver portato da 3.000 a 20mila i posti destinati allo Sprar, la riduzione significativa dei tempi della prima accoglienza, oltre all'unificazione in capo del ministero dell'Interno delle procedure relative ai minori, punti centrali del documento - scriveva Odevaine nella lettera a Renzi riportata dal Messaggero - avvicinano sensibilmente l'Italia ai Paesi europei più avanzati nelle politiche di integrazione". Passava quindi alle richieste: "Oggi la situazione non è tale da poter pianificare accoglienza ed integrazione in modo razionale. I numeri di questa emergenza stravolgono qualsiasi possibilità di pianificazione". Da qui la richiesta a Renzi di "trovare una sintesi tra emergenza e pianificazione". "E per far ciò è indispensabile che che ognuno faccia la propria parte", concludeva Odevaine chiedendo a Renzi di modificare gli accordi di Dublino e di far partire "operazioni umanitarie che contemplino corridoi umanitari e presidi sulle coste del Mediterraneo". E, ovviamente, chiedeva "risorse adeguate".
Odevaine curava, all'interno del Viminale, gli interessi del clan. A settembre, prima di finire in manette, scriveva a Renzi: "Servono corridoi umanitari". E chiedeva più soldi per l'accoglienza
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