Andrea Indini's Blog, page 135
January 16, 2015
Quanto ci è costato il rilascio? È giallo sul riscatto di Greta e Vanessa
Continuano a rincorrersi conferme e smentite, anche tra gli stessi jihadisti, sul pagamento di un riscatto per la liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. Un account Twitter riconducibile ai miliziani siriani del Fronte al Nusra smentisce che il gruppo legato ad al Qaeda abbia ricevuto 12 milioni di dollari dall’Italia. "Il motivo dell'arresto è che molti agenti dei servizi segreti occidentali entrano (in Siria, ndr) come operatori umanitari - ha twittato Abu Khattab al Shami - le due ragazze sono state prese e sono state interrogate. E poi sono state rilasciate". Ma molto di questo scarno comunicato non torna. Oltre cinque mesi per capire che le due volontarie non sono spie? È bastata una pacca sulla spalla e via? Eppure negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno accusato a più ripresi l'Italia di finanziare il terrorismo islamico pagando i riscatti.
La giornata più lunga e difficile è stata domenica scorsa. È stato in quel momento che la trattativa per il rilascio di Greta e Vanessa, intessuta per mesi dagli 007 e dalla diplomazia, è arrivata a un passo dalla conclusione. Ma è stato anche il momento in cui si è temuto potesse saltare. Ora che le due volontarie sono atterrate all'aeroporto Ciampino, l'opinione pubblica pretende di sapere la verità. Si parla di un riscatto milionario pagato dal governo italiano. Ieri sera un account Twitter legato ai ribelli anti regime ha fatto sapere che nelle casse dei jihadisti sono finiti 12 milioni di dollari. Oggi il Fronte al Nusra ha smentito tutto. Anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha assicurato alla Camera che si tratta "solo di illazioni". "Siamo contrari al pagamento di riscatti - ha spiegato - nei confronti degli italiani presi in ostaggio la priorità è indirizzata alla vita e all'integrità fisica". Ma il dubbio resta. E resterà anche dopo l'interrogatorio del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai sostituti Sergio Colaiocco e Francesco Scavo. Al termine delle audizioni i verbali, come da prassi, saranno secretati.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti, le ragazze sarebbero state sequestrate da un gruppo islamista che, avendo la necessità di nascondigli ben protetti e soprattutto di uomini ben armati e in grado di gestire un sequestro di quella portata, si sarebbero subito appoggiati a quelli di al Nusra. "Proprio questo rappresenterebbe l’unico elemento 'positivo' di questi mesi in quanto - sottolineano le fonti - Vanessa e Greta non sarebbero mai finite nelle mani dell’Isis né nei territori da loro controllati". Una circostanza che sarebbe confermata da presunti simpatizzanti dello Stato islamico che in rete, subito dopo la notizia della liberazione, avrebbero accusato quelli di al Nusra di "aver venduto le due donne occidentali". Sin dalle primissime settimane dopo il sequestro l'intelligence italiana erano riusciti a trovare il "canale" giusto con cui parlare. "L’interlocutore - dice una fonte qualificata - è stato sempre lo stesso fin dall’inizio della vicenda". E questo ha permesso ai nostri 007 di "monitorare" costantemente le cooperanti per tutta la durata della trattativa e di avere diverse prove che fossero in vita. "Abbiamo sempre avuto la certezza - aggiunge la fonte - che la trattativa fosse sui binari giusti".
"Se il pagamento fosse confermato - ha tuonato a caldo il leader del Carroccio Matteo Salvini - sarebbe uno schifo". Il leghista non è il solo a voler sapere la verità. Per il momento nessuna fonte conferma ufficialmente che ci sia stato uno scambio di denaro, anche se più d’uno ammette che una contropartita - non solo in soldi, ma anche in termini di scambio di "favori" - c’è stata. Quale che sia, gli ultimi tre giorni sono stati quelli decisivi: quando domenica è arrivato il via libera, Vanessa e Greta sono passate di mano in mano fino ad arrivare, ieri pomeriggio, alla frontiera siriana e consegnate a chi le avrebbe riportate (salve) in Italia.
Gentiloni in Aula smentisce le voci: "Sul riscatto solo illazioni". Ma secondo fonti qualificate una contropartita (non solo in soldi, ma anche in termini di scambio di "favori") ci sarebbe stata eccome. E Roma si trova a essere ancora una volta il bancomat dei terroristi
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Andrea Indini
Liberate le volontarie italiane rapite in Siria"Greta e Vanessa provate dalla lunga prigionia"SONDAGGIO Giusto pagare il riscatto per liberarle?Così gli 007 italiani hanno liberato Greta e VanessaQuante armi compreranno con i nostri soldi?Così siamo il bancomat dei terroristi / Del VigoChe sia l’ultima volta / Livio CaputoGentiloni alla Camera: "Sul riscatto solo illazioni"Gentiloni: "Non dite che se la sono cercata..."Greta e Vanessa sono in Italia: l'arrivo a Ciampino
January 14, 2015
Re Giorgio si è dimesso
Se ne va. Finalemente. È la fine di un imbroglio lungo nove anni. Il golpe bianco, la nomina di tre presidenti del Consiglio mai eletti dagli italiani, i continui strappi ai danni del parlamento. Giorgio Napolitano se ne va e gli italiani si alzano pwer una standing ovation. È una liberazione. Con l'ufficilità delle tre lettere consegnate oggi la Repubblica italiana archivia nove anni di battaglie per nulla super partes che hanno visto nel blitz 2011 per cacciare Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi e mettervi Mario Monti il punto più basso di una presidente della Repubblica che non ha mai nascosto la propria partigianeria per la sinistra.
"Certo che sono contento di tornare a casa!". C’è un che di liberatorio in questa ammissione che Napolitano ha consegnato ieri a una bimba che davanti al Quirinale gli ha chiesto se non gli dispiacesse un po' lasciare un così bel palazzo. Il presidente della Repubblica uscente non ha mai nascosto il peso dell’età e le difficoltà crescenti a portare avanti i "gravosi" compiti richiesti dalla guida del Quirinale. Nelle ultime ore ha ammesso che al palazzo dei papi "sì, si sta bene, è tutto molto bello ma si sta troppo chiusi, si esce poco". "Quasi una prigione", ha aggiunto forse pensando alla sua amatissima casa al rione Monti dove rientra finalmente oggi dopo quasi nove anni passati al Colle. E a Monti (pochi passi dal Quirinale) sarà festa per il rientro del vicino illustre. Ma la sua prigione è la diventata la prigione di tutti gli italiani. Perché, lasssù al Colle, è stato blindato pure il diritto di scegliere un premier. Da anni, ormai, gli italiani non possono decidere da chi farsi governare. Dopo aver piazzato Monti, che anziché risolvere la crisi economica l'ha fatta esplodere rendendola endemica, Napolitano ha fatto il bello e il cattivo tempo affidando il timone dell'Italia a Enrico Letta e a Matteo Renzi.
Ore 10.43, la firma delle dimissioni. Il segretario generale Donato Marra, che per nove anni è stato l'ombra del capo dello Stato, ha fatto la spola tra il Senato, la Camera e Palazzo Chigi per consegnare le attesissime e graditissim (almeno per gli italiani) lettere. Si libera così il Quirinale. E si apre, al tempo stesso, la partita per il dopo Napolitano. "Gli italiani siano sereni per il futuro - ha ripetuto il capo dello Stato - e soprattutto molto consapevoli della necessità, pur nella libertà di discussione politica e di dialettica parlamentare, della necessità di un Paese che sappia ritrovare, di fronte alle questioni decisive e nei momenti più critici, la sua fondamentale unità". Un addio per nulla formale, solo una breve cerimonia nel cortile del Quirinale. Poi via, con la moglie Clio, a Monti, vicolo dei Serpenti, nel cuore di Roma antica. Gli italiani ne prendono atto, nella speranza che il prossimo non sia partigiano quanto il precedente.
Nove anni di partigianerie ai danni degli italiani: Napolitano lascia dopo un golpe e la nomina di tre premier mai eletti
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Andrea Indini
Il dono della bandiera dopo l'addio al QuirinaleNapolitano torna a casa e saluta col cappelloNapolitano: "Mi dimetto per raggiunti limiti di età"Napolitano lascia il Quirinale
January 11, 2015
Siamo in guerra coi terroristi e la Ue si divide su Schengen
Il trattato di Schengen sul banco degli imputati. A pochi giorni dalla sanguinaria strage alla redazione di Charlie Hebdo e dal doppio sequestro di Parigi e Dammartin-En-Goule, il ministro dell'Interno francese Bernard Cazeneuve mette in discussione la convenzione che garantisce la libera circolazione di persone che risiedono nei Paesi che vi hanno aderito. "Bisogna valutare possibili modifiche al sistema Schengen - ha spiegato - per lottare contro il terrorismo". Una posizione che, però, non trova d'accordo il suo omologo italia. Angelino Alfano si è infatti schierato totalmente a favore: "È una grande conquista di libertà non si può regalare ai terroristi il successo di tornare indietro". Il braccio europeo, insomma, è iniziato.
Il governo francese ospita un vertice straordinario internazionale sul terrorismo. Così, oltre le bandiere a mezz'asta, la commozione, il lutto e i minuti di silenzio, la Commissione Ue reagisce all'odio jihadista annunciando per le prossime settimane un nuovo piano anti terrorismo che preveda anche un miglioramento del trattato di Schengen e una strategia comune per contrastare il fenomeno dei foreign fighter, i jihadisti con passaporto europeo che a migliaia (le ultime stime parlando di 10-12mila) lasciano casa loro per andare a combattere in Siria o in Iraq, a fianco dello Stato islamico. Per poi tornare a seminare il terrore in Europa. Tra le risposte operative a cui la Commissione sta pensando c'è l'elaborazione di un nuovo piano di interventi che vedrà la luce dopo il Consiglio di febbraio. Sul tavolo il miglioramento dell'accordo di Schengen e il rafforzamento della collaborazione tra l'Europol e le strutture della sicurezza dei singoli Stati. Certamente c'è spazio in Europa per avere nuove regole comuni in termini di standard di sicurezza. Tuttavia, come fa sapere l'antiterrorismo europeo, il loro compito non è produrre informazioni, ma solo elaborarle, analizzarle, e se possibile fornire un supporto a chi in ultima istanza si occupa della politica della sicurezza, cioè le strutture dei singoli Stati membri.
In Italia l'opposizione ha già chiesto al governo di sospendere Schengen. Il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha proposto di "sospendere subito il trattato" e di "reintrodurre i controlli alle frontiere". Non sarebbe certo la prima volta che succede. L'Italia lo fece nel 2001 per il G8 di Genova e dopo il terremoto dell'Aquila, la Norvegia dopo la strage di Breivik, la Polonia prima di una conferenza sul clima, mentre altri limiti furono decisi per gli ultrà negli stadi. "E per bloccare i fanatici islamici non si può fare? - si è chiesto Salvini su Facebook - al governo, in Italia e in Europa, abbiamo gente inutile". Per Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia la proposta è interessante, ma ha invitato a non dimenticare che "ogni giorno in Italia sbarcano migliaia di immigrati clandestini dalla Libia che in questo momento è sotto controllo fondamentalista". Per Renzi, invece, "il problema non è Schengen" ma "un radicalismo che fomenta l'odio" e che "va combattuto in modo serio e non con la demagogia". La posizione di Renzi e Alfano non trova man forte in Europa. Sia la Francia sia la Spagna sono, infatti, più propense a rivedere la convenzione. "Vogliamo tornare ai controlli ai confini - ha spiegato a El Pais il ministro dell'Interno, Jorge Fernandez Diaz - se sarà necessario, modificheremo il trattato". Insomma, la lotta al terrorismo si arena già in un'Europa (come al solito) troppo divisa.
Parigi e Madrid pronte a rivedere il trattato. Ma Renzi e Alfano lo difendono. La lotta al terrorismo vede l'Ue già divisa
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L'internazionale jihadista che minaccia l'OccidenteDove e come comprare kalashnikov e lanciarazzi
January 10, 2015
L'incubo della jihad resta
Cinquantaquattro ore d'assedio, tre terroristi giustiziati e una jihadista ancora a piede libero, il sangue di quattro ostaggi innocenti e un intero continente (l'Europa) che adesso non più andare avanti a nascondersi dietro al dialogo. Perché l'incubo della jihad islamica è ancora lì. A blitz finito lo sceicco Hareth al Nadhari, uno dei leader di al Qaeda nella Penisola Arabica, ha intimato alla Francia e a tutti i Paesi occidentali di "smettere di attaccare l’Islam o ci saranno altri attentati". La mattanza alla redazione di Charlie Hebdo, gli 88mila agenti a caccia di due sanguinari fratelli, le "cellule dormienti" pronte a colpire e i contatti col violento mondo musulmano. La guerra qui e ora.
È il 5 febbraio 2002. L'imam Anwar al Awlaki partecipa ad un evento organizzato dal Pentagono, che all’indomani dell'11 settembre cercava probabilmente aperture con il mondo musulmano "moderato". L’imam era già stato interrogato almeno quattro volte dal Fbi pochi giorni dopo le stragi, perché aveva contatti con tre attentatori di al Qaida, Nawaf al Hazmi, Khalid al-Mihdhar e Hani Hanjour. Si tratta di tre dei cinque dirottatori saliti a bordo del volo 77 della American Airlines, quello precipitato proprio sul Pentagono. In realtà, Awlaki altro non è che il "padre" dei lupi solitari, i jihadisti della porta accanto, spesso con il passaporto occidentale. Osama bin Laden lo avrebbe apprezzato molto. Dal 2010 Awlaki è il "delfino" del capo di al Qaeda che viene ucciso nel maggio 2011. È in Yemen che Cherif Kouachi, uno dei due fratelli che hanno ammazzato dodici persone alla redazione di Charlie Hebdo, che incontra l’imam, e a suo dire, riceve i fondi per l’azione di questi giorni. A settembre i droni americani scovano Awlaki in Yemen e lo uccidono. E, sebbene stiamo elencando solo terroristi morti, è bene dire che nulla è finito. I lupi solitari sono liberi di girare in Europa. È proprio nelle nostre città che le cellule dormienti progettano attacchi rimanendo in continuo contatto con le organizzazioni jihadiste di riferimento.
"Come possiamo noi non combattere chi attacca il nostro profeta, insultano la nostra religione. È meglio per voi smettere di attaccare i musulmani - ha dichiarato Hareth al Nadhari - in modo che possiate vivere in pace. Ma se desiderate solo la guerra, allora non avrete più pace fino a quando continuerete a fare la guerra ad Allah e al suo profeta". Una dichiarazione di guerra, appunto. Una rivendicazione della strage è arrivata anche da Mosul, la città irachena occupata dall'Isis. "Abbiamo iniziato con l’operazione in Francia, per la quale ci assumiamo la responsabilità - ha dichiarato l'imam Abu Saad al-Ansari durante un sermone - domani toccherà alla Gran Bretagna, l’America e ad altri, è un messaggio a tutti i Paesi che partecipano alla coalizione internazionale guidata dagli Usa che ha ucciso militanti dello Stato islamico". Non importa quale sia il vero mandante. Perché al Qaeda e Isis hanno iniziato a collaborare dalla fine di settembre quando Jabhat al Nusra denunciò gli attacchi in Siria degli alleati occidentali "una guerra contro l'islam" che richiedeva "una risposta comune". Da quel momento le due organizzazioni hanno smesso di combattersi in Siria. Al loro fianco si sarebbe schierato anche il misterioso gruppo Khorasan considerato dai servizi americani la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale perché "impegnato a preparare attentati imminenti".
Ora l'Europa si interroga sulle falle al sistema di sicurezza. Che oggi pare ancora più clamoroso, dopo la notizia che dall’Algeria sarebbe arrivata un'allerta per un imminente attacco il giorno prima dell’irruzione dei terroristi a Charlie Hebdo. Al momento la notizia non ha trovato conferme, ma è bastata per riaccendere la polemica sulla sorveglianza dei soggetti a rischio e in particolare delle cellule jihadiste collegate con il Maghreb. Come quella basata nel 19° arrondissement di Parigi, battezzata "filiera delle Buttes Chaumont", dal nome del grande parco del quartiere, a cui erano collegati sia Cherif Kouachi sia il sequestratore di Parigi Amedy Coulibaly. In realtà la Francia è l'Europa. Nell'informativa alla Camera il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha riferito che Cherif Kouachi "era noto anche alle forze di polizia italiane". Ma nessuno ha mosso un dito. Fra quanto un altro pazzo sanguinario a piede libero, ben noto ai servizi segreti occidentali, deciderà di aprire il fuoco contro innocenti o farsi saltare in aria in un posto affollato? Potrebbe anche accadere oggi, magari in Italia. E solo dopo ci diranno: "Ci era noto".
L'incubo terrorismo non è affatto finito. Nuovi jihadisti della porta accanto, spesso con il passaporto occidentale, sono pronti a colpire. Le cellule dormienti progettano attentati in Europa
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Andrea Indini
L'Algeria aveva avvertito: "Vi colpiranno il 6 gennaio"I legami tra la cellula francese e il jihadismo ingleseLa lotta interna all'islam per conquistare l'UmmaL'imam Anwar al Awlaki, il "padre" dei lupi solitariL'imam del terrore Abu Hamza estradato negli UsaLa lista nera degli jihadisti: ecco i prossimi obiettiviEcco i volti dei terroristi più ricercati al mondo
Ecco i nomi dei foreign fighters che minacciano l'Italia
Sono quattro i foreign fighters di passaporto italiano. Uno di loro è il genovese Giuliano Delnevo, morto in Siria nel 2013. E gli altri tre di cui ha parlato il ministro dell'Interno Angelino Alfano durante l'informativa alla Camera chi sono? Dopo la strage di Parigi, il Viminale si prepara a mettere in campo controlli stretti non solo sui siti istituzionali, ambasciate e consolati dei Paesi più esposti, luoghi di culto e Vaticano, ma anche su sedi di giornali, tv e personalità pubbliche che potrebbero entrare nel mirino dei terroristi islamici. I nomi e i volti della jihad sono ben noti. Ma, almeno fino a oggi, nessuno li ha fatti.
Nell'informativa a Montecitorio Alfano ha riferito che il trentaduenne franco-algerino Cherif Kouachi, uno dei due fratelli ricercati per la strage di Parigi, "era noto anche alle forze di polizia italiane, in quanto implicato nelle filiere di estremisti islamici diretti in Iraq". Non è stato mai stato in Italia, ma faceva la spola dalla Francia allo Yemen come se nulla fosse. L’attacco a Charle Hebdo conferma l’estrema pericolosità del fenomeno dei foreign fighters. Un fenomeno che tocca da vicino anche l’Italia, sebbene in misura minore rispetto ad altri Paesi occidentali. "Sui circa 3mila combattenti stranieri censiti in Europa - ha detto Alfano - risultano 53 le persone finora coinvolte nei trasferimenti verso i luoghi di conflitto, che hanno avuto a che fare con l’Italia". Quattro hanno, appunto, nazionalità italiana. "La quasi totalità di queste persone - ha continuato il titolare del Viminale - è ancora attiva nei territori di guerra, mentre il resto è morta in combattimento o detenuta". Tra di loro Delnevo e un 22enne marocchino naturalizzato. Si tratterebbe, secondo il Fatto Quotidiano, di Donoue M. e attualmente si troverebbe in un altro Paese dell'Union europea. Ci sono, poi, Gianpiero F., un 35enne calabrese già partito per combattere, e Maria Giulia S., "cittadina italiana nata da famiglia italiana originaria di Torre del Greco", e partita per combattere tra le fila dell'Isis.
Nessuno dei quattro foreign fighters di cui ha parlato Alfano si troverebbero in Italia. Ma in certi casi il condizionale è d'obbligo. Secondo l'Huffington Post, Gianpiero F. sarebbe detenuto in un carcere a Baghdad dopo essere divenuto un miliziano dell'Isis giurando combattere "l'oppressione dell'Occidente fino all'estremo sacrificio". "Non abbiamo in questo preciso momento - ha ribadito il titolare del Viminale - segnali che indichino l’Italia o gli interessi italiani come esposti a specifiche ed attuali forme di rischio», ma è stato disposto «l’immediato rafforzamento dei dispositivi di protezione e vigilanza". Monitorate moschee e luoghi di culto islamici: sono state censite 514 associazioni e 396 luoghi di culto, tra cui le quattro moschee di Roma, Milano, Colle Val d’Elsa e Ravenna. Ma, ha fatto notare lo stesso Alfano, "in molti casi il culto viene praticato in locali di fortuna e ciò può favorire zone di ombra nelle quali sono più difficili gli accertamenti". Non vengono poi trascurati i flussi di immigrazione, "possibile veicolo di infiltrazione dei movimenti terroristici". Tutto sapendo che le frontiere italiane sono un colabrodo.
Sono quattro i foreign fighters di passaporto italiano. Uno di loro è il genovese Giuliano Delnevo, morto in Siria nel 2013. Ecco chi sono gli altri tre
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Andrea Indini
Maria Giulia, 27enne italiana che ha sposato la jihadRapper di Brescia e studente genovese: jihad italiana
January 9, 2015
Assalto delle teste di cuoio: ammazzati i fratelli Kouachi
Francia in ginocchio, senza più fiato. Per sette lunghissime ore è stata tenuta sotto scacco da un doppio sequestro. A Dammartin-en-Goele, cittadina a pochi chilometri da Parigi, i fratelli Cherif e Said Kouachi, che hanno massacrato dodici persone al settimanale satirico Charlie Hebdo, si sono asserragliati in una tipografia. A Porte de Vincennes, periferia est della Capitale francese, Amedy Coulibaly ha preso cinque ostaggi in un piccolo negozio di alimentari ebraico. Tre sanguinari terroristi legati alla stessa cellula jihadista, Buttes-Chaumont, dal nome del parco parigino del XIX arrondissement in cui si radunavano i reclutatori per la guerra in Iraq. L'incubo è finito solo nel tardo pomeriggio quando le teste di cuoio hanno fatto scattare un blitz congiunto ammazzando i tre attentatori e liberando parte degli ostaggi.
Da mercoledì mattina, quando alle 11:30 il commando jihadista ha fatto fuori coi kalashnikov dodici innocenti per imbavagliare la libertà di espressione, è partita la più imponente caccia all'uomo della storia. Decine di migliaia di agenti a zonzo per il Nord della Francia a cercare i due macellai. Armati, con casco e uniforme nera, gli uomini hanno pattugliato strade, controllato veicoli, perlustrato giardini, case, condomini, villaggi, fino ad arrivare alla stamperia. È il fallimento dell'intelligence francese che in questi anni ha agito come se i fratelli Kouachi non fossero da anni sulla black list degli Stati Uniti perché sospettati di terrorismo, come se i loro nomi non comparissero nella no-fly list delle autorità aeroportuali americane che vieta di prendere voli da e per gli Stati Uniti, come se non sapessero che il più giovane (Said) fosse stato addestrato in Yemen da al Qaeda. Li hanno lasciati liberi di attaccare. E di ammazzare. Prima di asserragliarsi in una piccola tipografia a Dammartin-en-Goele, un piccolo villaggio nel dipartimento di Seine-et-Marne a pochi chilometri dall'aeroporto Charles de Gaulle, i terroristi hanno ingaggiato una sparatoria con la gendarmerie ferendo una ventina di persone. "Siamo pronti a morire da martiri" è stato il grido diretto alle forze di polizia. E così è stato. Quando, dopo sette ore di trattative, è scattato il blitz delle teste di cuoio per i fratelli Kouachi non c'è stato nulla da fare. Si è, invece, salvato l'ostaggio, il 27enne responsabile della stessa stamperia: si sarebbe nascosto e i fratelli Kouachi non si sarebbero nemmeno accorti di lui.
I macellai di Charlie Hebdo e il killer di Montrouge si conoscevano molto bene. Tanto che l'intelligence francese non scarta l'eventualità che le azione dei tre terroristi siano legate tra loro. Secondo fonti d'inchiesta, facevano parte della stessa cellula jihadista. E, mentre si trovava barricato nel negozio kosher, Coulibaly avrebbe chiesto "la liberazione dei fratelli Kouachi". La Francia si è così trovata ad affrontare, in casa propria, un doppio fronte: terroristi che avrebbero dovuto essere "attenzionati", ma che sono stati lasciati liberi di agire indisturbati. A legarli sarebbe stato il piano per far evadere Smain Ait Ali Belkacem, il terrorista algerino condannato all’ergastolo per gli attentati del 1995 al metrò veloce Rer di Parigi. I due furono avvistati insieme nel 2010 in occasione di una visita nel Cantal a Djamel Beghal, un altro esponente dell'islam radicale già condannato a dieci anni per aver pianificato un attentato contro l'ambasciata americana e Parigi. Beghal fu poi arrestato proprio per aver pianificato l'evasione di Belkacem. All'epoca finì in manette, con le stesse accuse, anche Cherif. La procura, però, non aveva prove sufficienti per procedere contro di lui, "nonostante i suoi legami con l'islam radicale e l’interesse dimostrato per le tesi a difesa della legittimità della jihad armata".
Dopo una lunga giornata in mano ai jihadisti, le teste di cuoio fanno scattare il blitz congiunto. Morti quattro ostaggi
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Andrea Indini
Terrorismo islamico a Parigi: massacro a Charlie HebdoCaccia infinita ai terroristi: Francia incapace di reagireQuanti flop gli 007 francesi e quanti errori all'EliseoUn poliziotto coinvolto nell'indagine si toglie la vitaI fratelli Kouachi assediati dalle forze specialiCharlie Hebdo, il poliziotto giustiziato per stradaL'attentato a Charlie Hebdo ripreso dal tettoLe operazioni di polizia a Dammartin-en-GoeleSpari e morti nella sede di Charlie HebdoLe vignette anti Islam di Charlie HebdoI terroristi asserragliati a Dammartin-en-GoeleL'esercito porta anche i carri armati
Massacro a Charlie Hebdo, killer asserragliati con ostaggi
Alla fine gli 88mila agenti sguinzagliati dall'Eliseo sono riusciti a braccare i macellai della strage alla redazione di Charlie Hebdo. I fratelli Cherif e Said Kouachi hanno catturato due ostaggi e si sono asserragliati in un'azienda a Dammartin-en-Goele. Ed è in questa cittadina della regione di Seine et Marne, a pochi chilometri dall'aeroporto Charles de Gaulle che le teste di cuoio, dopo aver avvistato i due jihadisti nei boschi, hanno fatto scattare l'assalto finale. In quelle immagini, che evocano più una zona di guerra che la verdeggiante campagna francese, l'Europa guarda attonita e impotente la furia del fondamentalismo islamico che per quarantott'ore ha tenuto sotto scacco un'intera nazione.
Da mercoledì mattina, quando alle 11:30 il commando jihadista ha fatto fuori coi kalashnikov dodici innocenti per imbavagliare la libertà di espressione, è partita la più imponente caccia all'uomo della storia. Decine di migliaia di agenti a zonzo per il Nord della Francia a cercare i due macellai. È il fallimento dell'intelligence francese che in questi anni ha agito come se i fratelli Kouachi non fossero da anni sulla black list degli Stati Uniti perché sospettati di terrorismo, come se i loro nomi non comparissero nella no-fly list delle autorità aeroportuali americane che vieta di prendere voli da e per gli Stati Uniti, come se non sapessero che il più giovane (Said) fosse stato addestrato in Yemen da al Qaeda. Li hanno lasciati liberi di attaccare. E di ammazzare. La lista delle vittime fatte nella redazione parigina si ingrossa: prima di asserragliarsi nell'azienda a Dammartin-en-Goele, i terroristi hanno ingaggiato una sparatoria con la gendarmerie ammazzando due persone e ferendone una ventina.
Alla fine gli 88mila agenti sguinzagliati dall'Eliseo sono riusciti a braccare i macellai della strage alla redazione di Charlie Hebdo. In corso il blitz nel villaggio a nord-est di Parigi. Violenta sparatoria con la gendarmerie
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Terrorismo islamico a Parigi: massacro a Charlie HebdoCaccia infinita ai terroristi: Francia incapace di reagireCharlie Hebdo, il poliziotto giustiziato per stradaL'attentato a Charlie Hebdo ripreso dal tettoSpari e morti nella sede di Charlie HebdoLe vignette anti Islam di Charlie HebdoTerroristi asserragliati nell'azienda a Dammartin-en-Goele
January 8, 2015
Charlie Hebdo, caccia infinita ai terroristi: Francia incapace di reagire
A trentasei ore dal massacro la Francia si scopre sempre più vulnerabibile, sbeffeggiata di terroristi islamici che ieri mattina hanno fatto scorrere il sangue nella redazione di Charlie Hebdo. Mentre un improbabile Hamyd Mourad si è presentato alle forze dell'ordine dopo aver sentito il proprio nome nei notiziari, prosegue tra salti in avanti e smentite imbarazzanti l'impossibile caccia ai fratelli franco-algerini Said e Cherif Kouachi. In un Paese che è letteralmente nel terrore le autorità si sono viste costrette a sguinzagliare 88mila uomini in quella che è la più grande caccia all'uomo di tutti i tempi.
Parigi ha alzato al massimo il livello di allerta terrorismo. I due jihadisti, probabilmente ancora a zonzo per la Francia e con pericolosi contatti con al Qaeda, sono armati fino ai denti. "I servizi li conoscevano e per questo li controllavano - ha dichiarato il premier Manuel Valls - affrontiamo una minaccia terroristica senza precedenti". I due sono stati avvistati in mattinata a una ottantina di chilometri a nord di Parigi, in Piccardia. Erano a bordo di una Clio grigia, incappucciati: sarebbero stati formalmente riconosciuti dal gestore di una pompa di benzina Avia, a Villers-Cotteret. A bordo l’uomo ha visto dei kalashnikov e quello che sembra essere un lanciarazzi. Nel pomeriggio è trapelata la notizia che i due si fossero barricati in una abitazione a Crepy-en-Valoise. La zona è stata circondata dalle forze speciali, le pattuglie della polizie hanno chiuso ogni accesso alla località e gli elicotteri hanno sorvolato i cieli per ore finché il sindaco non ha smentito tutto. Quindi, è stata perquisita una fattoria nella stessa zona, che sarebbe stata utilizzata come base dai fuggitivi prima di fuggire a piedi. Ma ancora niente da fare: è il fallimento delle misure di sicurezza (non) volute da Hollande, delle operazioni di intelligence degli 007 francesi e, soprattutto, dell'avveniristica tecnologia investigativa a loro disposizione.
Isolato l’Eliseo, le entrate di ingresso a nord di Parigi sono blindate con migliaia di poliziotti armati nella speranza di intercettare i fratelli Kouachi. Ma la verità è che le indagini brancolano nel buio. Anche sull'arresto di Mourad non mancano i dubbi. Il 18enne si è costituito alla polizia di Charleville-Mezières, a un passo dal confine col Belgio, dove era in corso un'operazione che ha portato all'arresto anche di un familiare dei sospettati. Sebbene il giovane resti ancora in stato di fermo, il coinvolgimento nell'attentato sarebbe messo in dubbio da un alibi di ferro: al momento dell'attentato, intorno alle 11.30, il giovane si trovava a scuola. Eppure il reparto antiterrorismo della Direction centrale du renseignement intérieur lo aveva descritto come "soggetto pericoloso" e "autista del commando" che ha assaltato la sede del Charlie Hebdo. Insomma, un altro buco nell'acqua
Mentre l'Eliseo fa i conti con un'innumerevole catena di errori che rendono la Francia sempre più vulnerabile, il Paese si è fermato a mezzogiorno per piangere i dodici morti. Un minuto di silenzio, rotto solo dal rintocco funebre nelle chiese. La redazione del Charlie Hebdo, intanto, ha annunciato che la settimana prossima sarà nuovamente in edicola. Perché la libertà di espressione non muore, nemmeno se la politica è incapace di difenderla.
Le indagini brancolano nel buio. Oltre 88mila agenti non riescono a scovare i terroristi della strage al Charlie Hebdo. Fallimento degli 007 francesi
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Terrorismo islamico a Parigi: massacro a Charlie HebdoHollande sottovalutò l'allarme per non agevolare Le PenCharlie Hebdo, il poliziotto giustiziato per stradaL'attentato a Charlie Hebdo ripreso dal tettoSpari e morti nella sede di Charlie HebdoLe vignette anti Islam di Charlie HebdoIl mondo in lutto grida #jesuischarlie
January 7, 2015
Terrorismo islamico a Parigi: massacro al giornale Charlie Hebdo
Armati di kalashnikov due terroristi hanno assaltato la redazione di Charlie Hebdo. Cinque minuti di sangue e quello che è l'attentato più cruento commesso in Francia dal 1961, ai tempi della guerra di Algeria, fa ripiombare Parigi e l'intera Europa nell'incubo del fondamentalismo islamico. Al grido di "Vendicheremo il Profeta" due uomini incappucciati e vestiti di nero hanno fatto irruzione nella reception del settimanale satirico e hanno aperto il fuoco. A terra i cadaveri crivellati di colpi di dodici persone. Tra questi il direttore Stephane Charbonnier, che firma le vignette Charb, e altri sette giornalisti.
Una raffica di colpi, almeno una trentina, con i mortali AK47. Dodici morti a terra e i giornalisti in fuga sui tetti. Un assalto che porta la firma della jihad islamica. La colpa di Charb e dei disegnatori di Charlie Hebdo? Aver pubblicato vignette satiriche su Maometto. Già nel 2011 la redazione fu distrutta da una molotov. L’attentato, che non provocò vittime, avvenne nel giorno dell'uscita del numero speciale dedicato alla vittoria elettorale degli islamisti in Tunisia. Il titolo "Maometto direttore responsabile di Charia Hebdo" era un gioco di parole sulla sharia. Anche nell'ultimo numero non è mancata la provocazione: in copertina campeggia una foto dello scrittore Michel Houellebecq, al centro di polemiche per il romanzo Sottomissione che racconta l’arrivo al potere in Francia di un presidente islamico.
A fare irruzione è stato un commando armato formato da Said e Cherif Kouachi, due fratelli franco-algerini di 32 e 34 anni legati alla rete terrorista yemenita e da poco tornati dalla Siria. Oltre a Charb i due hanno ammazzato otto giornalisti (tra questi Jean Cabut detto Cabu, Tignous, Georges Wolinski, Bernard Maris e Philippe Honoré), il poliziotto Franck D., un ospite della redazione (Michel Renaud) e il portinaio. Tra gli undici feriti c'è il giornalista Philippe Lançon. Dopo il blitz sono scappati a bordo di una Seat guidata dal 18enne Hamyd Mourad. Durante la fuga hanno investito un passante e hanno ingaggiato un secondo scontro a fuoco con le forze di polizia. Immagini di violenza inaudita che sono state riprese dai tetti: l'agente Ahmed Merabet è stato giustiziato con un colpo alla testa mentre si trovava, inerme, ferito a terra. Solo dopo diverse ore le teste di cuoio dei reparti Raid sono riuscite a localizzarli a Reims.
Il presidente francese Francois Hollande ha parlato di "attentato terroristico di eccezionale barbarie, un attentato alla nostra libertà". Un attentato che arriva a stretto giro da altri tre inquietanti attacchi al grido "Allah hu Akbar". Il 22 dicembre a Nantes, nella Francia nord occidentale, un camion è stato lanciato sul tradizionale mercatino natalizio ferendo undici persone. Nemmeno ventiquattr'ore prima a Digione, nel nord est del Paese, un 40enne alla guida di una Renault Clio aveva travolto la folla mandando all'ospedale 13 persone. Sempre al grido di "Allah hu Akbar". Vicende troppo simili e troppo vicine per non metterle in relazione tra loro. A queste va poi aggiunta una terza, quella di Jouè-lès-Tours dove un convertito all'Islam è entrato nel commissariato cittadino e ha aggredito tre poliziotti. Una scia di sangue nel nome di Allah.
Due terroristi fanno irruzione nella redazione di Charlie Hebdo armati di kalashnikov, poi fuggono a Reims. Tra i dodici morti c'è il direttore Charb. Un poliziotto giustiziato per strada
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Andrea Indini
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Ora Renzi straccia la Merkel (ma solo nella disoccupazione)
In Germania il lavoro c'è, in Italia no. Matteo Renzi può fare tutte le alchimie del mondo per far tornare i conti, ma c'è un dato incontrovertibile che dimostra l'inonsistenza della ripresa italiana: la disoccupazione. Mentre nel Paese di Angela Merkel il tasso di dicembre è sceso al 6,5% col numero record di senza lavoro che cala di altre 27mila unità contro le cinquemila attese dagli economisti, il tasso di disoccupazione in Italia è salito al 13,4% a novembre, con un aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,9 punti nei dodici mesi. Con l’Istat che, giustamente, sottolinea che si tratta del nuovo record dall'inizio delle serie storiche.
Superata, surclassata, stracciata. Peccato che l'Italia di Renzi faccia meglio della Germania della Merkel solo nel mercato del lavoro che non c'è. "Le riforme istituzionali sono riforme per la crescita", assicura in un'intervista alla Stampa il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, secondo cui gli effetti delle misure messe in campo si vedranno "già dall’inizio dell’anno". In realtà, in barba alle tante riforme promesse dal governo, il sistema Italia è ancora incartato e difficilmente riuscirà a rialzare la testa se non riparte il mercato del lavoro. Nel report dell'Istat sullo scorso novembre, infatti, il numero di disoccupati ha toccato quota 3 milioni 457mila, con un aumento dell'1,2% rispetto al mese precedente (+40mila) e dell’8,3% su base annua (+264mila). Ancora una volta a preoccupare maggiormente è il dato sull'universo giovanile: il tasso di disoccupazione tra i 15-24enni tocca il nuovo record storico del 43,9%, con un aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti nel confronto tendenziale.
Parlando delle riforme da fare il vicepresidente della Commissione Ue Jirky Katainen ha sottolineato che quella del lavoro è necessaria non solo perché "in alcuni paesi c’è un gap di competitività", ma anche perché "un mercato del lavoro rigido è crudele con chi il lavoro non lo ha". Però quella del lavoro è una riforma da fare con molta attenzione perché "non si deve favorire il dumping sociale" e, quindi, si deve "aver cura di non far perdere il senso di sicurezza quando il mercato del lavoro diventa più dinamico". Il liberale finlandese è arrivato a minacciare addirittura sanzioni per quei Paesi che non dovessero avviare questa riforma. L'Italia, intanto, si tiene il Jobs Act. Che nelle prossime settimane approderà in parlamento. Renzi ci ha messo la faccia, ma c'è il rischio più che concreto di non riuscire a invertire il drammatico crollo dell'occupazione. Intanto la Merkel e i tedeschi se la ridono.
A novembre nuovo record (negativo) in Italia. Tra i giovani la percentuale balza al 43,9%. Intanto la Merkel brinda: la Germania al 6,5% festeggia un nuovo record (positivo)
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