Andrea Indini's Blog, page 131
April 9, 2015
Facebook sospende Salvini: "Non puoi scrivere zingaro"
Matteo Salvini è stato sospeso. Per aver despresso la propria opinione. L'ha detta in modo forte, convinto e deciso. Ha detto che non vuole più vedere in giro i campi rom, non luoghi di non legalità. Has detto, per la precisione: "Cosa farei io al posto di Alfano e Renzi? Con un preavviso di sfratto di sei mesi, raderei al suolo i campi rom". E per queste parole si è attirato addosso gli strali della sinistra e del Vaticano. Le stesse opinioni, poi, le ha gridate su Facebook. Ha usato la parola "zingari". E per questo è stato sospeso dal social network. Cacciato per ventiquattr'ore per un'opinione. Un colpo alla libertà di espressione che difficilmente sarà difeso dai progressisti della parola. Poi il social network ha ammesso l'errore: "Ci scusiamo per il disagio causato dalla rimozione di questo contenuto".
Invocando l’intervento delle ruspe, Salvini è andato giù duro con le parole, anche se la sua idea sui campi nomadi è sempre la stessa da anni. E non è mai cambiata. Per le sue dichiarazioni, il segretario della Lega si è attirato le ire anche del Vaticano. "Sono posizioni estreme, assurde, come quelli che dicono 'I musulmani? Li ammazzerei tutti' o 'I migranti? Vadano tutti a casa loro'", ha commentato il cardinale Antonio Maria Vegliò, capo dicastero vaticano per i migranti. "Cosa vogliamo pretendere da Salvini? Lo fa per scopi elettorali - ha aggiunto - sa che quando dice queste cose la percentuale degli amici aumenta". Un attacco frontale che non sono affatto piaciute a Salvini. "Sentire certe parole in bocca di un vescovo mi fa trstezza - ha replicato a Vegliò - perché il compito di un vescovo è di indirizzarmi sulla retta via e non di insultarmi". E ancora: "Io sto coi parroci di periferia e non con i vescovoni. Se mi becco insulti da qualche vescovone non mi interessa".
Ma la polemica è soprattutto politica. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha definito le parole del leader della Lega "inquietanti", pur ritenendo necessaria un’alternativa ai campi rom. "Sono stupito dello stupore dei giornali, sono cose che dico da tempo", ha risposto Salvini durante una conferenza stampa in cui ha presentato la nuova mobilitazione leghista: una gazebata sabato e domenica in mille piazze per chiedere agli italiani di farsi riconoscere come rifugiati politici nel loro stesso Paese che li discriminerebbe rispetto ai clandestini. "I rom devono avere gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli italiani - ha spiegato così le sue parole sulle ruspe - solo la Boldrini può rimanere inquietante. Anzi, è inquietante che la Boldrini sia presidente della Camera". Un copione, in fondo, già visto. E che probabilmente si ripeterà. "Se andiamo al governo, mando il preavviso di sfratto e poi rado al suolo tutto", ha concluso Salvini chiedendosi dove siano gli assistenti sociali: "Li manderei nei campi rom prima di chiuderli".
Il leghista sospeso dal social network per aver usato la parola "zingaro". Poi replica alla Cei: "Mi fanno tristezza"
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Andrea Indini
Rom, Salvini: "Radere al suolo tutti i campi"I rom denunciano Salvini: "Ci dia 5 milioni di danni"SONDAGGIO È giusto radere al suolo i campi rom?Le ragazzine zingare: "Facciamo mille euro al giorno"La dittatura del buonismo che domina anche internet
April 5, 2015
Se ne è accorto pure Renzi: "Le coop rosse non sono il fiore all'occhiello del Pd"
Piovono tangenti sul Pd e sulle cooperative rosse. E Matteo Renzi, che nell'ultimo anno ha dovuto far fronte a troppe inchieste che hanno colpito troppi esponenti di spicco del Partito democratico, prova a scansarsi per evitare di morirci politicamente. "Le cooperative erano forse il fiore all'occhiello di qualche progenitore del Pd, non nostro - spiega in una intervista al Messaggero - noi abbiamo un sistema molto semplice: avendo abolito il finanziamento pubblico ai partiti, ci finanziamo con le cene e con le feste dell'Unità. Non siamo più la cinghia di trasmissione di nessuno. Ma detto questo non voglio che sia fatta di tutta l'erba un fascio". I sondaggi, nei giorni scorsi, hanno parlato sin troppo chiaro: la nuova ondata di scandali ha penalizzato pesantemente il premier proprio nel momento in cui si trova a dover affrontare una lotta intestina al partito senza precedenti.
Nella lunga intervista al Messaggero, Renzi parla di un mondo che non esiste: "La verità è che c'è un clima nuovo in Italia. E basta fare il pieno o chiedere un mutuo per capire che molto è cambiato". Riesce a chiudere gli occhi davanti ai tragici dati sulla disoccupazione pubblicati in settimana dall'Istat: "Il dato di fatto è che mai come in questo momento assumere conviene. Alla fine dell'anno vedremo se i risultati sono quelli che speravamo o no". E per far dimenticare l'ennesima ondata di scandali che ha travolto il suo partito, prova a rilanciare l'azione di governo: "Dobbiamo continuare sulla strada delle riforme perché dopo tanti sacrifici, e gli italiani ne hanno fatti anche troppi ed è ora che li faccia la politica, ci siamo davvero". Ma, mai come in questo momento, l'ex rottamatore è stato così debole politicamente. All'interno della maggioranza e del governo deve affrontare i malumori delle truppe guidate da Angelino Alfano che, dopo l'addio di Maurizio Lupi e il ministero affidato a Graziano Delrio, chiedono molto in cambio. All'interno del partito, invece, c'è la minoranza che ha promesso battaglia sulla riforma della legge elettorale ricordando al premier che in parlamento i numeri non sono mai tanto scontati.
L'Italicum, dunque. La battaglia è entrata nel vivo. E Renzi non sembra disposto a cedere di un millimetro: "Io sono disponibile a mediare, sempre. Ma deve essere utile per il Paese, non per una corrente del partito. E soprattutto la mia impressione è che tornare indietro rispetto all'accordo di maggioranza di novembre farebbe scattare un bomba libero tutti". Sebbene alla direzione nazionale del Pd sia passata la linea che lui stesso ha imposto, non è così sicuro che lo stesso possa succedere in parlamento. "Se qualcuno pensa di utilizzare una parola drammatica come scissione - aggiunge riferendosi alla minoranza Pd - perché non è d'accordo su un dettaglio, peraltro secondario, di una legge elettorale che è la legge elettorale per la quale il Pd ha combattuto per anni, con ballottaggio, premio di maggioranza, norme antidiscriminatorie e collegi, non è un problema mio". L'eventilità di una scissione, però, non è certo lo spauracchio principale di Renzi. Teme piuttosto di perdere la faccia su una riforma, quella elettorale, su cui ha scomesso molto.
La prossima settimana il governo dovrà affrontare un altro, spinosissimo passaggio: la stesura della manovra economica. Testo che dovrà essere approvato dall'Unione europea. "L'Iva nel 2016 non aumenterà - promette Renzi - credo che annulleremo le clausole di salvaguardia già con le misure contenute nel Def. Ma non esiste nel modo più categorico che ci sia aumento delle tasse". Probabilmente il premier riuscirà, attraverso mille artifici, a non far scattare la clausola di salvaguardia che fa aumentare l'Iva, ma difficilmente riuscirà a non toccare (nuovamente) le tasse. Già se ne sussurrano diverse.
Renzi parla di un mondo che non c'è: "Basta fare il pieno o chiedere un mutuo per capire che molto è cambiato". E per far dimenticare le inchieste rilancia le riforme. Ma è sempre più debole
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Andrea Indini
GermanWings, la Ue sapeva che la Germania non controlla i vettori nazionali
La tragedia del volo GermanWings, schiantato dal folle copilota Andreas Lubitz contro le Alpi francesi, porta l'indelebile marchio tedesco. L'agenzia dell'Unione europea per la sicurezza aerea (Easa) aveva espresso già anni fa preoccupazioni sulla debolezza dei controlli (anche medici) da parte delle autorità tedesche sui vettori nazionali. Non solo. Lo scorso novembre aveva formalmente chiesto a Berlino di porvi rimedio. Evidentemente le richieste sono finite in un cestino e ora sono morti 150 innocenti.
Quanto emerge da un articolo del Wall Street Journal, poi confermato dagli stessi vertici della Easa, i funzionari europei sapevano che l'agenzia federale tedesca per i trasporti aerei (Lba) soffre di una carenza cronica di personale che mina la sua capacità di eseguire controlli dei velivoli e degli equipaggi, inclusi controlli medici. "Non è chiaro - sottolineano le fonti sentite dal giornale statunitense - se le mancanze identificate dal sistema di controllo tedesco per la sicurezza dei voli abbiano contribuito alla tragedia della Germanwings". Resta il fatto che la Germania ha risposto, in ritardo, alle obiezioni sollevate dall'Unione europea e soltanto adesso i funzionari di Bruzelles stanno valutando la validità del "piano d'azione correttivo" tedesco per far fronte ai rilievi Ue.
Confermando l'articolo del Wall Street Journal, la stessa Easa ha sottolineato che l'agenzia aveva indicato numerosi casi di "non conformità" e che sulla base delle raccomandazioni della Easa la Commissione europea aveva contattato le autorità tedesche alla fine del 2014. Da parte sua, un portavoce della Commissione europa ha precisato al Wall Street Journal che comunque non si tratta di procedure inusuali in questo settore: "Tutti i paesi dell'Unione europea - ha spiegato - hanno ricevuto le attenzioni di Bruxelles per violazioni nel settore dei trasporti aerei".
Da anni l'Ue era a conoscenza della debolezza dei controlli (anche medici) da parte delle autorità tedesche sui vettori nazionali. Lo scorso novembre aveva formalmente chiesto a Berlino di porvi rimedio. La tragedia della GermanWings si sarebbe potuta evitare?
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Andrea Indini
March 25, 2015
Immigrazione, dietro ai barconi libici c'è lo Stato islamico
L'allarme sui contatti tra le organizzazini di trafficanti di immigrati e il terrorismo di matrice islamica c'è, a dispetto di quello che vorrebbe far credere il ministro dell'Interno Angelino Alfano. La procura di Palermo sta lavorando alacramente, e in silenzio, sull'emergenza.
Lo scorso febbraio, al largo di Lampedusa, una motovedetta italiana è stata sotto il fuoco di kalashnikov da parte di alcuni scafisti. Gli inquirenti hanno subito intesificato le attività investigative e la Dda del capoluogo siciliano ha avviato un’indagine per associazione a delinquere finalizzata alla tratta e al traffico di esseri umani. Ci sarebbero elementi che collegherebbero alcuni soggetti "monitorati" per questo tipo di reati a gruppi armati paramilitari operanti in Libia. Non si può escludere al momento che possano essere gruppi riconducibili allo Stato islamico. Si ipotizza che anche attraverso il traffico di esseri umani dall'Africa all'Europa le milizie islamiche traggono un sostentamento economico.
La procura di Palermo ha già individuato alcuni nomi: Ghermay Hermias, un etiope residente in Libia, ritenuto il capo ed organizzatore delle tratte, Jhon Mharay, un sudanese localizzato nella capitale Karthoum, e Abkadt Shamssedhin, latitante di cui non si conosce la posizione. In una intercettazione, Hermias, conferma che la tratta è molto remunerativa. "Con l’ultimo barcone - afferma il trafficante - ho raccolto un milione di dollari". Il rischio di eventuali "infiltrazioni terroristiche" tra i clandestini induce investigatori e inquirenti a vagliare ogni singolo elemento. Il gup di Palermo Daniela Cardamone, intanto, ha spiccato un mandato di arresto internazionale per Hermias, Mharay e Shamssedin. I loro nomi figurano adesso anche sulla red notice dell’Interpol.
Nel mirino della procura di Palermo sarebbero finiti pure contatti (seppur per via telematica) tra soggetti stranieri, di origine medio orientale, che vivono in Sicilia e i tre trafficanti di esseri umani capeggiati da Hermias, il leader di questa banda di paramilitari, armati fino ai denti, che agisce senza scrupoli. La riprova sarebbe la sparatoria avvenuta in pieno Mediterraneo, a metà febbraio. Gli "scafisti" di Hermias pur di riprendersi le imbarcazioni e impedire che venissero affondate non hanno esitato a sparare contro le motovedette italiane. In quel frangente i militari scelsero di non rispondere, pur essendo armati, per salvare centinaia di naufraghi. In mano alle toghe ci sarebbero anche immagini e filmati realizzati da un elicottero militare.
La Dda di Palermo: "Dietro agli sbarchi ci sono gruppi armati libici". Alcune milizie sono legate allo Stato islamico Sostieni il reportage
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Andrea Indini
March 19, 2015
Sindone, Expo e Giubileo: siamo davvero al sicuro?
Dopo Parigi, Bruxelles e Copenaghen, gli italiani non si sentono più al sicuro. Dopo la Libia, ormai in mano ai miliziani dell'Isis, e l'Egitto, dilaniato dall'instabilità del dopo Mubarak, anche la Tunisia va ad aggiungersi tra gli Stati a rischio. "Oggi in Italia tutti i livelli di allerta di mobilitazione delle forze di sicurezza sono al massimo e concentrati sulla minaccia terroristica", ha assicurato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ad Agorà precisando, però, che "tecnicamente" siamo in "una fase di pre-massima allerta" terrorismo perché l’intelligence non ha "minacce specifiche". Eppure lo Stato islamico ha più volte minacciato Roma e il Vaticano. E il 2015 è segnato da appuntamenti di primissimo piano che potrebbero richiamare l'attenzione di terroristi e fanatici islamici.
All’indomani dell’attacco terroristico di Tunisi Gentiloni esorta da una parte a non cedere a "nessun allarmismo", ma dall’altra sottolinea che "è chiaro che tutti i meccanismi di allerta in Italia sono al massimo". "Dobbiamo proteggere i nostri confini, i nostri concittadini ed alzare i livelli di sicurezza sui possibili bersagli del terrorismo - ha assicurato il ministro - tutte cose che il ministero interno sta facendo". I servizi di intelligence sono già stati attivati. La Farnesina ha anche rafforzato la presenza navale nel Mediterraneo. "Finora - ha aggiunto - non esistono elementi di connessione tra fenomeno migratorio e terrorismo, ma nessuno può in teoria escluderlo". Alla Farnesina come anche a Palazzo Chigi, nessuno vuole ammetterlo ma la preoccupazione è ai massimi livelli. Nei prossimi mesi l'Italia ospiterà appuntamenti di primo piano che potrebbero attirare l'attenzione di sanguinari jihadisti. Il primo è l'ostensione della Sacra Sindone che, a partire dal 19 aprime, richiamerà fedeli e turisti a Torino per ben 67 giorni. Ad oggi ci sono già oltre 800mila prenotazioni. Il primo di maggio, poi, a Milano apirà i battenti l'Expo che fino al 31 ottobre ospiterà milioni di turisti, curiosi e addetti ai lavori da tutto il mondo. L'8 dicembre, infine, inizierà l'appuntamento più delicato dal punto di vista della sicurezza nazionale: il Giubile straordinario indetto da papa Francesco nei giorni scorsi.
Da gennaio di quest’anno, ha riferito, sono state controllate in Italia 4.432 persone nell’ambito della minaccia di matrice jihadista, sono state fatte 141 perquisizioni domiciliari, 17 persone sono state arrestate e 33 espulse. Proprio tra gli espulsi di queste ultime settimane, diversi quelli di nazionalità tunisina. E non mancano i tunisini tra i 69 foreign fighter che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con l’Italia. Proprio dalla Tunisia si stima siano partiti qualche migliaio di combattenti per andare sotto la bandiera dello Stato islamico nei teatri di guerra siriano e iracheno. L’attenzione è dunque alta sui soggetti a rischio che potrebbero "attivarsi", c’è un massiccio monitoraggio della rete attraverso cui può avvenire la radicalizzazione e lo scambio di messaggi operativi. "Con il decreto che è all'esame in parlamento riguardante le nomre contro il terrorismo - assicura il ministro dell'Interno Angelino Alfano - abbiamo ampliato l'operazione Strade sicure destinando un contingente di 600 ulteriori unità delle Forze armate a disposizione del prefetto di Milano".
Ma siamo davvero al sicuro? Per quanto riguarda l'Expo fonti di intelligence fanno sapere che l'area rossa sarà circondata da un anello di sicurezza che sarà presidiato da agenti e metal detector. Per quanto riguarda il Giubileo straordinario, invece, la situazione è più complicata. In primis perché non si sa ancora se sarà articolato in giornate tematiche come avvenne nel 200 o spalmato su più chiese e, addirittura, più città. In secondo luogo perché gli organizzatori si aspettano oltre 25 milioni di pellegrini e fedeli in arrivo a Roma. "L'Italia - ha assicurato Gentiloni - è un Paese sicuro che deve essere in allerta nei confronti delle minacce terroristiche, ma non deve sentirsi un Paese in guerra".
Gentiloni: "Non siamo in guerra". Ma nel 2015 l'Italia sarà pericolosamente esposta agli attacchi. E Renzi tentenna. Sostieni il reportage
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Andrea Indini
March 14, 2015
Le mani degli islamici sulla Rai: "Assumere subito giornalisti musulmani"
Le mani dell'islam sulla Rai. La manovra è già in atto. Ovviamente con la benedizione del Partito democratico. Intervistato da Klaus Davi per il programma su YouTube KlausCondicio, il presidente dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia (Ucoii), Izzeddin Elzir, ha intimato ai vertici di viale Mazzini di assumere al più presto giornalisti musulmani. "Paghiamo il canone ma non siamo rappresentati - spiega - sarebbe bello avere una Lilly Gruber mussulmana". Una richiesta che ha trovato subito terreno fertile con Francesco Verducci, vice presidente della commissione di Vigilanza Rai, che ha accusato la tivù pubblica di "ignorare il contributo degli immigrati".
Mentre il premier Matteo Renzi si appresta a riformare la televisione di Stato, la comunità islamica avanza pretese sulle reti nazionali e, in modo particolare, sull'infomarzione. Chiede giordalisti di fede musulmana. Ovviamente, meritevoli. In modo da "aprire l'Italia a una cultura diversa". Elzir, che ha avanzato questa rischiesta, presiede l'Ucoii, un'associazione direttamente collegata ai Fratelli musulmani che vogliono applicare la sharia, che rappresentanto l'islam più radicale, che sono conservatori e in molti casi estremisti. E, proprio per tutti questi motivi, sono stati cacciati dal generale Al Sisi in Egitto e sono messi al bando in vari Paesi. In Italia, invece, trovano ampio spazio. A fine febbraio, per esempio, sette rappresentanti dell'Ucoii sono stati ricevuti dal ministro dell'Interno Angelino Alfano al Viminale per fare il punto sull'emergenza che sta attraversando il Paese.
L'Ucoii fa leva sul numero dei musulmani in Italia, oltre 1,5 milioni. Un numero in continua crescita e che, a dire di Elzir, deve essere rappresentato anche in Rai. "Avere conduttori e giornalisti di fede islamica sarebbe un grande passo avanti verso l’integrazione - spiega - permetterebbe anche al servizio pubblico di dialogare con una comunità di oltre 1 milione e 600mila persone". Il presidente dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia fa leva proprio sulla riforma di Matteo Renzi per riuscire a mettere un primo piede a viale Mazzini. La vede come l'occasione buona per farsi un po' di spazio: "Noi mussulmani rappresentiamo una bella fetta della società italiana ma non abbiamo neanche un programma che parla tramite noi della nostra fede. Sarebbe bello avere una Lilly Gruber mussulmana".
Oltre che su Alfano, l'Ucoii può contare anche sul Partito democratico che, all'interno della commissione di Vigilanza Rai, ha espresso Verducci. Quest'ultimo è convinto che la tivù pubblica "ignora il contributo degli immigrati" e che la Rai dovrebbe "raccontare tutte le sue voci molto più di quello che riesce a fare oggi". "La mission del servizio pubblico è rafforzare il multiculturalismo, il dialogo e lo scambio reciproco, la convivenza che sta alla base del nostro essere comunità - conclude - nella tv bisogna potersi riconoscere, questo è un pezzo fondamentale della rivoluzione Rai".
L'Ucoii, associazione vicina agli estremisti Fratelli musulmani, punta alla riforma di Renzi per arrivare in Rai: "Paghiamo il canone ma non siamo rappresentati"
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Andrea Indini
March 11, 2015
La minoranza torna all'attacco: "Renzi rifletta, è in gioco il Pd"
Solo quando la legge elettorale arriverà in Aula, si capirà se la minoranza piddì fa sul serio. O se, come accade ormai ogni volta, urla, sbraita e minaccia ma poi si allinea (testa bassa, coda tra le gambe) al diktat di Matteo Renzi. All'indomani del via libera al ddl Boschi, che riforma il titolo V e cancella il Senato, i ribelli democrat tornano ad alzare la voce. "In gioco c’è la tenuta e l’unità del Pd - sbotta Gianni Cuperlo intervistato dal Tg3 - ci pensi bene il presidente del Consiglio". Palazzo Chigi, però, non gradisce le esternazioni dei malpancisti. "Non credo sia utile continuare a manifestare ogni giorno rischi di tenuta per il partito", replica Lorenzo Guerini.
Cuperlo passa in rassegna i giornali di questa mattina. "La minoranza viene descritta in maniera spregiativa - si lamenta - come chi protesta, ma poi è sempre là. È faticoso, molto faticoso". A sentir parlare il leader di SinistraDem è in ballo l’unità e la tenuta del Pd. Ma la sua è una lamentela a cui ormai Palazzo Chigi si è abituato. Come una lagna in sottofondo. Il rischio per Renzi, però, è che a questo giro la lagna diventi grido di battaglia. Anche Pippo Civati, che ieri dalle colonne del blog aveva bacchettato la minoranza dem per rinviare la battaglia sempre a un episodio successivo, ha condiviso la necessità di accettare anche i punti di vista degli altri: "Mentre Renzi sta ingaggiando una sfida con tutti quelli che lui chiama dissidenti o gufi...".
A Renzi la minoranza chiede maggior dialogo. Ma il premier non è molto propenso a conceederglielo. Minacciano di non votargli l'Italicum. Massimo D'Alema si dice "molto preoccupato perché c’è una cattiva riforma del bicameralismo". E boccia la strada del referendum bollandola come "una finzione, una sorta di plebiscito". Quindi che faranno? Faranno cadere il governo per tornare al voto? Oppure lasceranno il Nazareno per formare un nuovo partito? Roberto Speranza allontana subito l'ipotesi della scissione: "Lavoreremo tutti a partire da Renzi per costruire un clima unitario". Lo stesso fa Pierluigi Bersani: "Il Pd è casa mia, è casa nostra. E Renzi, che è il segretario, ha il dovere di tenere conto della sensibilità di tutti". L'ex segretario non nasconde, quindi, il marcato "disagio di cui bisogna prendere atto, senza rispondere sempre tiriamo dritto". Peccato che proprio lui sia uno di quelli che tirano sempre dritto. "Capisco il disagio - fa eco Civati - non la coerenza di alcuni...".
A questo giro - al momento di votare la legge elettorale - c'è il rischio che la minoranza piddì faccia sul serio. In tal caso per Renzi si metterebbe davvero male.
Ancora guai per Renzi. Cuperlo: "In gioco la tenuta del Pd". Bersani allontana la scissione: "Ma Matteo ascolti il disagio". E Guerini: "Basta proteste"
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Andrea Indini
La Troika è viva e vegeta: ora si chiama Brussels Group ma fa lo stesso sporco lavoro
Il negoziato tecnico che ricomincia oggi a Bruxelles cambia formato. Dalla vecchia Troika si passa al Brussels Group. Un nome diverso per un'istituzione che sarà chiamato a fare lo stesso "sporco" lavoro. A Commissione europea, Bce e Fmi, cioè i grandi creditori pubblici dello Stato ellenico, si affiancano anche i rappresentanti del Fondo salva stati Esm e della Grecia.
Agli occhi dei greci la Troika è considerata un simbolo di colonialismo. Parola del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. Forse anche per questo motivo a Bruxelles si è preferito cambiarne il nome, anche se ne fanno parte sempre gli stessi soggetti di prima. Nelle comunicazioni interne, tra i Palazzo della Commissione Ue e nelle note che si scambiano i ministeri che preparano le decisioni dell’Eurogruppo, da tempo veniva già usato il termine 3I. Acronimo che indica sempre le tre istituzioni che soffiano il fiato sul collo del premier Alexis Tsipras. Anche tra i ministri è in voga lo stesso termine. I più, però, continuano a parlare di Troika. In particolar modo il ministro delle Finanze tedesche Wolfgang Schäuble che continua a evocarla perché vuol far sapere in Europa e anche a casa propria che va difeso il vecchio impianto della Troika e dei memorandum sui programmi di riforme economiche come chiara e netta contropartita dei prestiti.
Oggi, a Bruxelles, debutta quello che alla Commissione europea hanno chiamato pubblicamente il Brussels Group. Riunione a livello tecnico, non politico, come concordato nella riunione dell’Eurogruppo l’altro giorno. Un lavoro che sarà "supportato" da contatti delle stesse 3I con non meglio precisate autorità ateniesi, cioè alti funzionari ministeriali e banca centrale. Sempre a livello tecnico, naturalmente. Dal momento che il Governo greco ha difficoltà a spiegarlo in casa, la Commissione Ue per il momento non darà comunicazione degli incontri o delle attività tecniche che si svolgeranno ad Atene. La nuova definizione del format dei creditori è l'unica vittoria di Tsipras anche se ancora non si sa in che cosa saranno poi diversi i risultati rispetto alla "vecchia" Troika. Ma questo è un aspetto che con la semantica c’entra ben poco.
Nel nuovo gruppo di lavoro anche il Fondo salva stati e i tecnici greci. Aldilà della definizione del format, non si capisce la differenza con la "vecchia" Troika
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Andrea Indini
March 10, 2015
Minoranza Pd allineata a Renzi rimanda lo scontro all'Italicum
Il ddl Boschi fa un passo avanti, il Pd ne fa uno indietro. "Il Patto del Nazareno non c’è più, non si dica che non si tocca niente - mette in chiaro Pierluigi Bersani - o si modifica in modo sensato l’Italicum o io non voto più sì sulla legge elettorale e di conseguenza sulle riforme perché il combinato disposto crea una situazione insostenibile per la democrazia". Dopo aver superato la prova di Montecitorio, dove questa mattina si è chiuso il cerchio sulla riforma costituzionale, Matteo Renzi deve fare i conti con la rivolta interna al partito.
Per il momento la burrasca è passata. Alla fine il grosso della minoranza piddì ha votato il ddl Boschi. Anche i bersaniani si sono accodati. "Questo però è l'ultimo atto di responsabilità - avverte Alfredo D'Attorre - se il governo conferma l'immodificabilità dell'attuale pacchetto riforme io non mi sentirò di assicurare più il mio sostegno e la condivisione a questo pacchetto di riforme". Nel gruppo alla Camera sono venuti a mancare diciotto voti. Renzi si è segnato nomi e cognomi. Dai tabulati della Camera è emerso che tra le file del Pd si sono astenuti in tre, il lettiano Guglielmo Vaccaro, il bersaniano Carlo Galli e Angelo Capodicasa. In quindici, invece, non hanno proprio partecipato al voto: Stefano Fassina, anche Ferdinando Aiello, Demetrio Battaglia, Lorenzo Becattini, Francesco Boccia, Paola Bragantini, Massimo Bray, Maria Chiara Carrozza, Ezio Primo Casati, Pippo Civati, Vincenzo Folino, Francantonio Genovese, Giovanna Martelli, Luca Pastorino, Michele Pelillo. Di questi solo sette sono assenti giustificati. Escludendo Genovese, che è agli arresti, i veri voti di protesta sono quindi sette.
I malumori interni al Nazareno sono stati messi nero su bianco dalla SinistraDem. "Siamo davanti a uno slittamento del potere legislativo dal Parlamento all’esecutivo - si legge nel documento subito sottoscritto da 24 piddini - questo avviene in assenza di contrappesi necessari e con una spinta verso un presidenzialismo di fatto che non ha corrispettivi nel resto d’Europa". Nel documento, l’area che fa capo a Gianni Cuperlo chiede di riaprire il confronto sull'Italicum e le riforme costituzionali: "Altrimenti ognuno si assumerà le sue responsabilità. Da parte nostra ci riserviamo fin d’ora la nostra autonomia di giudizio e di azione". La discussione sulla legge elettorale, che arriverà a Montecitorio solo dopo le regionali di maggio, è il campo di battaglia indicato dalla minoranza Pd, ora che sulla riforma del Senato è finita. "Non si capisce perché ogni volta si alzi, nelle settimane precedenti a ogni scadenza, un polverone che poi, alla fine, si posa sul voto immancabilmente favorevole - tuona scocciato Civati - la battaglia da affrontare è sempre la prossima". Così è stato sul Jobs Act, così nei vari passaggi delle riforme. "Così sarà sull'Italicum - conclude - ma poi magari si vota a favore anche su quello".
SinistraDem e bersaniani minacciano Renzi: "Se non cambia non lo votiamo". Civati critico: "La battaglia è sempre la prossima"
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Andrea Indini
Pd mai così unito, mai così diviso: ecco le correntiBersani: "Così la legge elettorale è invotabile"Civati: "Non comprendo il sì di Bersani"D'Attorre: "Voto a favore per responsabilità"Cuperlo: "Le riforme devono essere modificate"Bindi: "La legge elettorale va modificata"
March 9, 2015
Gli ex grillini tentano Renzi: "Facci entrare in maggioranza"
Un pugno di voti in cambio di un cadreghino. Gli ex grillini sono pronti a vendere la propria conversione nel renzismo in cambio di un posticino nel governo. Gli va bene anche un dicastero secondario, magari senza portafoglio, purché sia un affaccio sulla politica che conta. Perché, ora che sono usciti dal cono d'ombra di Beppe Grillo, gli esuli del Movimento 5 Stelle stanno tenando il colpaccio per non finire nel dimenticatoio.
Lorenzo Battista, ex del M5S oggi iscritto al gruppo per le Autonomie, è stato il primo dei transfughi a entrare nella maggioranza. Al suo fianco un'altra senatrice, Fabiola Anitori. Che, dopo l'addio a Grillo, è corsa da Angelino Alfano. Per i numeri risicati che la maggioranza ha a Palazzo Madama, anche due senatori in più fanno la differenza. Ma Battista deve aver meditato a lungo su come strutturare l'operazione per passare all'incasso. Anche perché oggi la pletora di ex che ingrassano il Gruppo Misto è sempre più fitta. Oggi ha, quindi, pubblicato una lunga lettera aperta agli esuli del Movimento 5 stelle, un appello pubblico per "la costituzione di un gruppo che ambisce a entrare in maggioranza con un’eventuale richiesta di avere un dicastero la cui direzione potrebbe anche essere ricoperta da un tecnico. Si è responsabili delle linee politiche di quel ministero".
LETTERA APERTA AGLI EX M5S Cari amici, è passato un anno da quando in quattro fummo espulsi dal gruppo... http://t.co/ihXumVUsbm
— Lorenzo Battista (@lor_bat) 9 Marzo 2015
"Un’eventuale costituzione di un gruppo parlamentare troverebbe modo di dimostrare cosa si è capaci di fare – spiega il senatore triestino – e quindi dovrebbe essere un gruppo che si potrebbe anche proporre come forza di maggioranza e come tale forza di governo". Quella che l'ex grillino ha in mente è una partecipazione alla vita di governo abbastanza sui generis. Tanto che spiega agli ex colleghi di partito come evitare "evidenti storture" ed evitare il voto di fiducia sui decreti: basta non partecipare al voto, "così come ho fatto io sul decreto Ilva che, a mio avviso, poneva la non responsabilità penale del commissario come qualcosa di non digeribile". Non solo. Battista propone ai più "sinistri" tra gli ex a unirsi a Sel: "In questo modo potreste raggiungere un duplice risultato: confluire in un gruppo omogeneo e dare la possibilità al gruppo misto di strutturarsi con una composizione maggiormente rappresentativa della eterogeneità del misto".
Lettera aperta di Battista agli esuli del M5S: "Entriamo in maggioranza". Così potranno avere da Renzi un dicastero
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(Ex) grillini, dalle minacce alle elemosine
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