Andrea Indini's Blog, page 125

November 30, 2015

Jet russo abbattuto dai turchi per difendere il traffico di petrolio con l'Isis

Andrea Indini



Negli ultimi otti mesi i tagliagole dello Stato islamico hanno venduto al mercato nero turco petrolio e gas iracheno. Un business che, grazie alla complicità di Recep Tayyp Erdogan, ha fatto fruttare al Califfato 800 milioni di dollari. I raid russi in Siria stanno, però, mettendo i bastoni tra le ruote ai turchi che, comprando l'oro nero a metà prezzo, finanziano indirettamente l'Isis contro Bashar al Assad. "Ankara - ha accusato Vladimir Putin - ha abbattuto un aereo russo per difendere i propri traffici petroliferi con l’Isis".


"Negli ultimi 8 mesi sono stati venduti al mercato nero della Turchia il petrolio e il gas iracheno per un importo di 800 milioni di dollari, in aggiunta il prezzo era la metà rispetto a quello del mercato mondiale - ha spiegato a Sputnik Mowaffak al-Rubaie, ex consigliere per la sicurezza nazionale dell'Iraq e uno dei leader della coalizione parlamentare Stato della Legge - questo è ciò che chiamiamo l'ossigeno che alimenta l'ISIS, se noi fermeremo il flusso d'ossigeno, riusciremo a soffocarlo". Mercoledì scorso il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov aveva già accusato Ankara di aver dato l'ordine di abbattere il bombardiere russo Su-24 dopo gli attacchi dell'aviazione russa contro le infrastrutture petrolifere e le autocisterne del Califfato. Secondo i servizi segreti russi, infatti, Bilal Erdogan, figlio del premier turco, sarebbe azionista della Bmz Ltd, una compagnia di trasporti marittimi che caricherebbe greggio dell'Isis nel porto di Ceyhan e lo venderebbe su mercati asiatici. "Le aziende logistiche di Bilal Erdogan nei porti di Ceyhan (Turchia) e di Beirut (Libano) - si legge su Rossiyskaya Gazeta - hanno dei moli speciali dove le navi cisterna consegnano il petrolio di contrabbando". In rete girano, infatti, diverse foto che ritraggono Bilal Erdogan con alcuni esponenti del Califfato a Istanbul. Tanto che il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem ha accusato apertamente Ankara di aver abbattuto l'aereo russo per difendere gli interessi delle società petrolifere del figlio del premier.


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Secondo un approfondimento dell'Inkiesta, il Califfato guadagna almeno 50 milioni di dollari al mese dall’estrazione e dalla vendita illegale di petrolio a prezzo di saldo. "Il petrolio viene venduto a 10, 20 dollari al barile, massimo a 40 - spiega Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali, a Lettera43 - molto meno del prezzo di mercato. E il guadagno è assicurato". Per lo Stato islamico è comunque un vero e proprio business, anche perché l'approvigionamento del greggio siriano e iracheno avviene soprattutto per via terra. "Lo Stato islamico controlla le strade e alcuni pozzi - spiega l'analista - e gestisce il traffico dei convogli di autocisterne. I trasportatori non sono necessariamente militanti o miliziani. Ormai l'Isis non è solo un movimento terrorista, ma ambisce a controllare territori e popolazioni. A questo punto se a pagare è un imprenditore o il Califfo non c'è molta differenza per chi deve mantenere una famiglia". Una volta entrato in Turchia, il petrolio viene acquistato da società e intermediari grazie a un complicato sistema di scatole cinesi. In cambio dell'oro nero, la Turchia garantirebbe allo Stato islamico armi e supporto logistico.


I jihadisti vendono petrolio e gas alla Turchia al mercato nero. In cambio Ankara fornisce armi e supporto logistico. Ma i raid di Putin interferiscono questo business criminale. Per questo Erdogan ha fatto abbattere un caccia russo





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Published on November 30, 2015 11:29

November 29, 2015

La Parigi no global fa la guerra alla polizia e non ai terroristi

Andrea Indini



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Scontri tra ​antagonisti e...


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L'assalto dei black bloc alla...video
Hollande: "Dopo bombe, incidenti...

Contro i poliziotti che presidiano placce de la Rèpublique piove addosso di tutto. Gli antagonisti che protestano contro la conferenza sul clima devastano gli omaggi alle vittime degli attentati dello scorso 13 novembre e lanciano i supporti in metallo per i lumini. È il volto violento della piazza no global che, anziché scendere in piazza contro i tagliagole dello Stato islamico, assalta le forze dell'ordine in un momento storico in cui la Francia dovrebbe compattarsi contro il fondamentalismo islamico. Dal cielo pieve davvero di tutto: oggetti di ogni genere e bottiglie.


La 21esima Conferenza sui cambiamenti climatici Cop21, in programma a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre, riunirà 196 paesi e attirerà quasi 50mila partecipanti, tra cui 25mila delegati ufficiali di governi, organizzazioni intergovernative, agenzie delle Nazioni Unite, ong e società civile. L'obiettivo è ottenere, per la prima volta in oltre 20 anni di negoziati, un accordo globale vincolante sul clima coinvolgendo tutte le parti e volto a mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2 gradi centigradi. Il fischio d’inizio per i lavori è in programma per domani. Ma già oggi i black bloc hanno dato un assaggio della protesta anarchica e anti-capitalista che potrebbe andare in scena nei prossimi giorni.


Oltre 10mila persone hanno sfidato il bando a manifestare introdotto a Parigi dopo gli attacchi dei terroristi islamici e hanno formato una catena umana lungo il Boulevard Voltaire, proprio accanto a Place de la Republique, per denunciare "lo stato di emergenza climatico". Da qui, poi, le frange più violente, che aderiscono al collettivo "Anticop21", sono partite per attaccare le forze dell'ordine e ingaggiare la guerriglia urbana lanciando sassi e bottiglie. "Stato d’emergenza, stato di polizia - scandiscono i violenti - non ci toglierete il diritto di manifestare". Qualche antagonista col volto coperto dal passamontagna ha anche usato, come "proiettili", le scarpe che i manifestanti pacifici avevano lasciato in piazza qualche ora prima. Altri, invece, hanno tolto di mezzo i tanti omaggi alle vittime degli attacchi del 13 novembre posti attorno alla statua della Marianne. Uno scempio che non solo calpesta il ricordo di 130 innocenti ma addirittura è d'aiuto ai terroristi islamici.


Corteo non autorizzato in occasione della Cop21. Gli antagonisti devastano gli omaggi alle vittime degli attentati dello scorso 13 novembre





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Published on November 29, 2015 13:47

Renzi non bombarda il Califfato ma apre le porte dell'Ue alla Turchia

Andrea Indini



Il governo Renzi si rifiuta di bombardare lo Stato islamico ma si sta adoperando per portare la Turchia dentro all'Unione europea. "Quando la Turchia era fortemente motivata a entrare nell’Unione Europera gli fu dato lo stop dalla Francia di Sarkozy, oggi si riapre questa opportunità - spiega il ministro della Difesa Roberta Pinotti a L’Intervista di Maria Latella su SkyTg24 - per l’Europa è più importante dialogare con la Turchia dall’interno o spingerla in una situazione in cui le relazioni divengono più difficili? Fu sbagliato allora non integrare la Turchia nell’Unione Europea". In realtà la politica estera di Ankara, che fiancheggia indirettamente i miliziani anti Assad, chiude un occhio e sull'andirivieni dei foreign fighter e, soprattutto, il recente attacco militare al caccia russo, è già la prova tangibile che la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan è più sbilanciato sulle posizioni dell'islam fondamentalista che sul dialogo con i Paesi dell'Unione europea.


"È un fenomeno nuovo - spiega la Pinotti- c’è un terrorismo che si fa Stato, conquista territori e maneggia ricchezze e con tali ricchezze addestra, fa propaganda, arma i terroristi per creare terrore sia negli Stati islamici moderati sia nei Paesi: è una strategia ibrida, che dobbiamo studiare per individuare la risposta". Nonostante il governo abbia ben chiaro il pericolo che i tagliagole dello Stato islamico rappresentano per l'Europa e, più in generale, per l'Occidente, Matteo Renzi ha dato il ben servito al presidente francese Francois Hollande che gli chiedeva di bombardare le posizioni dello Califfato in Siria. "I bombardamenti anti Isis sono uno degli strumenti possibili, ma guai a farlo diventare lo strumento - conferma il ministro della Difesa - oggi non c’è questa discussione in campo". L'Italia si limiterà a offrire un appoggio di intelligence. Niente di più. Davanti alle emergenze Renzi gira i tacchi e se ne va lasciando gli alleati da soli. L'unica preoccupazione è economica. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan paventa conseguenze negative sul pil. Non c’è dubbio che gli avvenimenti di Parigi siano una doccia gelata sul clima di fiducia indispensabile per la ripresa. "Parigi - conferma la Pinotti - è come se fosse una nostra capitale, i giovani la vivono così, e che avvenimenti come quello del 13 novembre possano frenare la fiducia è un rischio che potrebbe esserci".


"Le grandi crisi internazionali in atto «non si risolvono con qualche dichiarazione verbale muscolare. Ci vuole un investimento di natura diplomatica", dice Renzi sottolineando che "su questa posizione italiana arriveranno anche gli altri Paesi nei prossimi mesi". Mentre l'Italia chiacchiera, i principali interlocutori della coalizione anti Isis si muovono. Il generale tedesco Volker Wieker, massimo responsabile delle forze armate tedesche, fa sapere che alla missione logistica di appoggio, che la Germania si è impegnata a mettere in campo contro i miliziani dell'Isis, parteciperanno oltre 1.200 i soldati. Intanto il ministro della Difesa britannico Michael Fallon ha ribadito la necessità di allargare i raid della Raf alla Siria: "L'Isis può essere sconfitto solo con la forza". Pur sperando di avere il via libera della Camera "in settimana", Fallon ammette tuttavia che il governo conservatore non ha ancora "una maggioranza certa" se il leader laburista, Jeremy Corbyn, non darà libertà di voto ai deputati dell’opposizione.


L'Italia si rifiuta di bombardare lo Stato islamico ma vuole portare la Turchia dentro alla Ue. La Pinotti: "È un'opportunità"





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Published on November 29, 2015 07:22

November 26, 2015

Renzi diserta la guerra all'Isis: niente aerei contro il Califfato

Andrea Indini






Le forze in campo contro l'Isis


"Uniti contro il terrorismo"

L'Italia e la Francia sono "due nazioni sorelle", anche nella dura prova per far fronte alla sfida terroristica. Pur avendo ribadito, al termine di un incontro all’Eliseo con il presidente francese Francois Hollande, l'impegno italiano per l'obiettivo comune, "la distruzione di Daesh (Isis, ndr)", Matteo Renzi diserterà la guerra contro i tagliagole dello Stato islamico.


Renzi ha riaffermato la volontà di agire al fianco dell’Ue e della Francia in campo diplomatico, militare ma anche culturale. "La coalizione sia sempre più ampia e inclusiva possibile", ha esortato il presidente del Consiglio invitando a dare "la massima priorità al dossier sulla Libia perché rischia di essere la prossima emergenza". Tuttavia la collaborazione italiana non andrà oltre i controlli di polizia e intelligence. Il governo si limiterà, infatti, a rafforzare il contingente italiano in Libano per permettere all'Eliseo di alleggerire il carico militare colpiti dagli attentati del 13 novembre scorso. "Siamo impegnati a livello militare in molti casi assieme alla Francia nella coalizione in Afghanistan, in Libano, nel Kosovo, in Africa dove è molto forte l'impegno dei nostri amici francesi e dove anche noi abbiamo alcuni interventi a partire dalla Somalia - ha messo in chiaro Renzi - pensiamo però che ci sia necessità di uno sforzo sempre più inclusivo, di una coalizione sempre più ampia". Ma, stando alle voci raccolte dall'Huffington Post, Hollande si sarebbe aspettato qualcosa di più tanto che "è uscito dall’incontro con un po’ di gelo addosso".


Fortunatamente non tutti i Paesi Ue diserteranno la guerra ai tagliagole del Califfato. Dopo aver promesso di inviare 650 soldati in Mali per alleggerire i francesi, Angela Merkel ha, infatti, fatto sapere che invierà i cacciabombardieri Tornado in Siria per missioni di ricognizione. Il contributo tedesco potrebbe concretizzarsi nell’invio di una fregata, aerei cisterna per somministrare combustibile ai caccia e anche nell’utilizzo di satelliti. Finora la Germania aveva, invece, concentrato i propri sforzi nella formazione e nell’equipaggiamento dei combattenti curdi. Anche il premier britannico David Cameron ha chiesto al parlamento di poter bombardare in Siria: "Il Regno Unito non può delegare la sua sicurezza ad altri Paesi". Il voto di Westminster potrebbe arrivare già la prossima settimana. Quello di Renzi, invece, sarà un aiutino. Niente più. "Nella coalizione anti-Isis il nostro contingente è di gran lunga il più consistente tra i paesi europei - ricorda il ministro Roberta Pinotti in una intervista al Sole 24Ore - diventeranno presto 750 uomini sul terreno contro i 90 tedeschi e gli 80 francesi".


Renzi all'Eliseo: "Ampliare la coalizione". Ma l'Italia non muoverà un dito in Siria. Hollande non la prende bene. Intanto prende forma la coalizione anti Isis, la Merkel manda Tornado e navi da guerra e Cameron chiede il via libera ai raid





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Published on November 26, 2015 10:22

November 23, 2015

Allarme terrorismo in Italia: così i jihadisti passano da Bari

Andrea Indini



Cinque passaggi di presunti jihadisti sono stati registrati al porto di Bari in un arco di tempo tra febbraio e agosto di quest’anno, in un periodo precedente quindi agli attentati di Parigi. Dall'inchiesta, condotta dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo pugliese, emerge come Bari stia diventando sempre più il punto di passaggio sulla rotta verso la Grecia (e ritorno). Per il momento non sarebbero emersi collegamenti con gli attentati terroristici di Parigi. I presunti terroristi si sarebbero recati in Siria. Tra i passaggi sotto inchiesta non c'è quello di Salah Abdeslam che risale ad agosto e di cui si è avuta notizia nei giorni scorsi.


Tra le persone che avrebbero attraversato l’Italia prima di raggiungere il Nord Europa ci sarebbe anche Salah Abdslam. Che, in macchina con Ahmed Dahmani, 26enne belga di origini marocchine membro del commando che dieci giorni fa ha attaccato Parigi, avrebbe raggiunto Bari lo scorso luglio. E da qui, il primo agosto, avrebbe preso il traghetto per Patrasso. "Hanno una carta di credito prepagata che utilizzano per effettuare il rifornimento di carburante e pagare i pedaggi autostradali - spiega ancora Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera - in Grecia non la usano, per quattro giorni di loro non c’è alcuna traccia. Il sospetto è che siano andati ad incontrare qualcuno per prendere ordini, forse addirittura la pianificazione della strage di Parigi. Potrebbero essersi spinti fino in Turchia, addirittura in Siria. L’ipotesi che possano aver incontrato Abdelhamid Abaaoud non trova al momento conferma". In quei giorni, secondo le verifiche effettuate nelle ultime ore, il kamikaze belga indicato come la "mente" dell’operazione sarebbe stato infatti in Belgio. Il 5 agosto Salah Abdeslam e Ahmed Dahmani sono di nuovo a Bari per rifare il viaggio all’inverso da Sud verso Nord. Dall'Italia escono passando per Conegliano Veneto. "La carta segnala almeno tre rifornimenti, le spese non superano mai i 60 euro- si legge sul Corriere della Sera - il 6, ultimo avvistamento con un controllo della Stradale in provincia di Padova e dopo poche ore sono fuori dall’Italia". I servizi di intelligence accertano, quindi, altri pagamenti in Belgio. La carta rimarrà, poi, attiva fino a poche ore prima degli attentati di Parigi.


Le indagini dalla Direzione distrettuale antimafia sono cominciate nei mesi scorsi e riguardano una decina di soggetti transitati dal porto di Bari sui quali sono in corso verifiche. Gli uomini della Dda stanno cercando di risalire alla destinazione di questi soggetti per capire le finalità di quei viaggi e, soprattutto, se si trovino ancora in Puglia. "Al momento - assicurano fonti inquirenti - non risulterebbero individuate sul territorio pugliese cellule terroristiche o gruppi di persone sospettate di essere vicine a cellule jihadiste". Bari, spiegano, è "un territorio da tenere sotto controllo con particolare attenzione soprattutto perché luogo di passaggio". Qui, per esempio, erano stati arrestati nel 2008 Bassam Ayachi, imam di origine siriana responsabile di un centro religioso islamico di Molenbeek, e Raphael Gendron, ingegnere informatico francese convertito all'islam. "A Parigi - diceva - colpiamo lì...la sera...quando saranno tante persone".


I rilievi dell'intelligence e della Dda dimostrano che l'emergenza è elevata. Solo Angelino Alfano sembra non accorgersene. "Prima di Parigi non erano ricercati, non erano uomini in fuga da bloccare: quando cittadini hanno passaporto europeo possono girare liberamente in Europa", minimizza a Repubblica Tv il ministro dell'Interno, vantandosi che "comunque le nostre forze dell’ordine hanno avuto la capacità di individuare" il passaggio di Salah su un traghetto a Bari.


Occhi puntati su Bari: cinque terroristi passati dal porto tra febbraio e agosto. E poi c'è il caso di Salah Abdeslam e Ahmed Dahmani. Alfano minimizza: "Sono cittadini europei non possiamo fermarli". Ma sale l'allerta terrorismo





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Published on November 23, 2015 09:15

November 16, 2015

Abdelhamid Abaaoud, il leader della cellula che ha attaccato Parigi

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Parigi brucia focus


Andrea Indini






La mente dell'attacco si vantava sulla rivista dell'Isis


La gioia folle dei jihadisti dopo l'attacco

La porosità totale di Moleenbek ne fa il nascondiglio ideale per chi arriva da fuori e vuole passare sotto traccia. Ooltre a una precedente amministrazione comunale, guidata per 20 anni dal socialista Philippe Moureaux, che è stata profondamente lassista nei confronti della comunità islamica per averne i voti. E così sono arrivati i predicatori estremisti e la radicalizzazione: dalla moglie di uno dei killer del comandante Massoud sino a Sharia4belgium, e ora i jihadisti dell’Isis.


La lista è davvero lunga. Ci sono Mehdi Nemmouche, il franco-algerino autore della strage al Museo ebraico di Bruxelles, e Abdelhamid Abaaoud, il cervello della cellula di Verviers ancora latitante. E ancora: Amedy Coulibaly, che ci ha comprato le armi per il massacro all’Hypercacher, e Ayoub El Khazzani, l’autore della mancata strage sul treno Thalys Amsterdam-Parigi. Ultimi, i kamikaze del Bataclan. E proprio in questa lunga lista va cercata, secondo i servizi francesi, la mente di tutto il blitz che ha messo in ginocchio la Francia e l'Occidente. Abdelhamid Abaaoud, 28enne marocchino entrato nelle fila dello Stato Islamico in Siria e considerato uno dei carnefici più sanguinari sarebbe appunto lo sponsor di attentati a Parigi. Secondo Rtl, avrebbe supervisionato l’operazione nella capitale francese mantenendo un contatto diretto con i jihadisti.


All’inizio del 2015 i servizi di intelligence hanno perso le tracce di Abdelhamid Abaaoud mentre si stava dirigendo in Grecia. Da quel momento è latitante. Secondo le informazioni dei servizi segreti iracheni rivelate all'Associated Press, il gruppo di fuoco per colpire Parigi"era composto da 24 elementi, 19 con il compito di effettuare gli attentati, addestrati a Raqqa, e altri 5 per il coordinamento e la logistica". In altre parole individuare i nascondigli e procurare armi ed esplosivi. Lo "squadrone della morte" dell’Isis ha poi preso contatto con una "cellula dormiente" d’Oltralpe che "ha facilitato il compimento della missione". Tra gli autori della strage ci sono Salah Abdeslam, Ibrahim Abdeslam e Bilal Hadfi. Il primo è ricercato in Francia e in Belgio dopo che è sfuggito, alle 8 di sabato mattina, a un controllo alla frontiera franco-belga. Abitava nel quartiere di Molenbeek a Bruxelles insieme a un fratello morto negli attentati. Ibrahim Abdeslam, 31 anni, si è fatto esplodere venerdì sera all’interno di un caffè affollato, mentre il fratello 26enne, Salah Abdeslam, avrebbe affittato una macchina che ha usato per attaccare Parigi e poi per fuggire. La polizia francese ha stretto il cercio attorno a un uomo noto come Samy Animour, 28enne di Parigi che vive con la famiglia nella banlieue di Seine-Saint-Denis. Insieme ad altri due kamikaze, fra i quali Omar Mostefai, si è fatto saltare all’interno del teatro Bataclan.


Gli 007 francesi ora rischiano di finire davvero nella bufera. Dovranno chiarire, loro e tutte le intelligence europee, come lo "squadrone della morte" jihadista sia riuscito a penetrare nelle maglie della sicurezza europea. Degli otto terroristi entrati in azione a Parigi almeno quattro sono foreign fighter. Tre francesi e un belga. Potrebbero essersi mescolati al fiume di centinaia di migliaia di migranti in fuga dalla guerra siriana. Anche se questa rischia di essere una falsa pista, creata ad arte dal Califfo per minare la politica europea di accoglienza dei rifugiati già al centro di un furioso scontro tra e all’interno dei Paesi Ue, il "passaporto siriano" con i dati personali di un certo Ahmad Almohammad apre un nuovo, allarmante scenario. "Il passaporto - spiegano gli 007 Usa - non è stato rilasciato da Damasco". Forse acquistato in Turchia. Ahmad sbarca in Grecia il 3 ottobre a Lero, ma è costretto a riprendere un barcone per arrivare a Kalymnos (diverse miglia più a sud), perchè il traghetto della Blue Star Ferries non parte per il Pireo in quei giorni. Infine Atene (il 6 ottobre), la Serbia (il 7) e il giorno dopo la Croazia. Poi è scomparso. È uno dei terroristi di Parigi o un’ignara pedina della guerra militare e politica di Baghdadi contro i suoi "nemici"?


Lo "squadrone della morte" in contatto con una cellula dormiente d’Oltralpe che ha facilitato il compimento della missione. Tra gli autori della strage ci sono Salah Abdeslam, Ibrahim Abdeslam e Bilal Hadfi. Ma la mente è Abdelhamid Abaaoud, cervello della cellula di Verviers


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Published on November 16, 2015 01:39

November 15, 2015

L'Iraq avvertì la Francia: "L'Isis è pronto a colpirvi"

Speciale: 

Parigi brucia focus


Andrea Indini



Dietro alla strage islamista di Parigi, che ha lasciato senza vita oltre 130 innocenti, ci sarebbe Abu Bakr al Baghdadi in persona. Il Califfo dello Stato islamico avrebbe, infatti, dato ordine ai musulmani che vivono in Occidente di colpire i Paesi della coalizione impegnati nei bombardamenti in Iraq e Siria con "bombe, omicidi e presa d'ostaggi". Da quanto apprende l'Ap, che ha visionato il documento dei servizi, gli 007 iracheni avevano avvertito i governi occidentali, in particolar modo la Francia, il giorno prima degli attacchi. Non certo un caso che, come riportano fonti della sicurezza di Ankara, la Turchia abbia sventato un potenziale attacco terroristico a Istanbul venerdì scorso, lo stesso giorno degli attentati di Parigi.


Il gruppo di fuoco per colpire Parigi era composto da 24 elementi. Diciannove, addestrati a Raqqa, la "capitale" del Califfato in Siria, avevano il compito di effettuare gli attentati. Ad altri cinque era, invece, affidato il coordinamento e la logistica: in altre parole individuare i nascondigli e procurare armi ed esplosivi. Lo "squadrone della morte" dell’Isis ha poi preso contatto con una cellula dormiente d’Oltralpe che, secondo i servizi, "ha facilitato il compimento della missione". Come riporta il New York Times, che cita fonti investigative americane e francesi, gli attentatori di Parigi erano in contatto con alcuni membri dello Stato islamico in Siria con cui hanno comunicato prima di sferrare gli attacchi. Secondo funzionari americani, infatti, l'Isis avrebbe creato un'unità al proprio interno dedicata esclusivamente alla pianificazione e realizzazione di attentati all'estero, in particolare in Europa occidentale e negli Stati Uniti. "Le comunicazioni sarebbero avvenute attraverso l’uso di tecnologie criptate - affermano le fonti sentite dal quotidiano - senza spiegare se si tratti di canali di comunicazione che erano tra quelli monitoriati dalle intelligence occidentali oppure se si tratti di canali più sofisticati che sfuggono all’attività di vigilanza".


Il ministro degli Esteri di Baghdad, Ibrahim al Jaafari, precisa che l’Iraq ha informato della minaccia imminente al più tardi giovedì scorso non solo la Francia ma anche l’Iran e gli Stati Uniti, e che il warning "riguardava tutti i Paesi europei" della coalizione anti Isis. "Non ci hanno ascoltato", incalza Baghdad. Questa rivelazione spiegherebbe non solo la strage di Parigi, ma anche lo sventato attacco a Istanbul. Dietro a quest'ultimo ci sarebbe Aine Lesley Davis, un presunto jihadista britannico di alto profilo fermato proprio venerdì a Istanbul insieme a un gruppo di persone di cui non si conoscono le generalità. La cellula stava pianificando un attacco simile a quelli di Parigi nella metropoli sul Bosforo. L’uomo sarebbe legato al boia dell’Isis Jihadi John. Fonti dell’intelligence francese, ad ogni modo, si sono difese affermando che "minacce di attentati imminenti arrivano ogni giorno". L’ultima, più clamorosa, a metà settembre quando il premier iracheno Abadi aveva paventato un attentato nelle metro di Parigi e New York. In quel caso era sembrato un falso allarme, ma quello di giovedì scorso ha lasciato sul campo le vite di almeno 132 persone, in gran parte ragazzi e ragazze.


Gli 007 francesi, che ora rischiano di finire davvero nella bufera, dovranno chiarire come lo "squadrone della morte" jihadista sia riuscito a penetrare nelle maglie della sicurezza europea. Degli otto terroristi entrati in azione a Parigi almeno quattro sono foreign fighter. Tre francesi e un belga. Potrebbero essersi mescolati al fiume di centinaia di migliaia di immigrati in fuga dalla guerra siriana. Anche se questa rischia di essere una falsa pista, creata ad arte dal Califfo per minare la politica europea di accoglienza dei rifugiati già al centro di un furioso scontro. Attorno al "passaporto siriano", con i dati personali di un certo Ahmad Almohammad, c'è un alone di mistero. "Il documento - spiegano gli 007 americani - non è stato rilasciato da Damasco". Forse acquistato in Turchia. Ahmad sbarca in Grecia il 3 ottobre a Lero, ma è costretto a riprendere un barcone per arrivare a Kalymnos (diverse miglia più a sud) perché, in quei giorni, il traghetto della Blue Star Ferries non parte per il Pireo. Quindi passa da Atene (il 6 ottobre) alla Serbia (il 7). E il giorno dopo è in Croazia. Poi scompare. È uno dei terroristi di Parigi o un’ignara pedina della guerra militare e politica di al Baghdadi?


Al Baghdadi in persona ha dato ordine di colpire i Paesi della coalizione impegnati nei bombardamenti in Iraq e Siria. Gli 007 iracheni avevano avvertito i governi occidentali, in particolare la Francia, il giorno prima degli attacchi





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Published on November 15, 2015 12:57

November 13, 2015

Ora Alfano condanna gli italiani: "Delinquono più degli stranieri"

Giuseppe De Lorenzo
Andrea Indini



Adesso Angelino Alfano condanna gli italiani. "Sembra un paradosso - dice in una intervista a Qn - ma da quando abbiamo avuto l’esplosione dei flussi migratori, la percentuale di reati commessi da stranieri rispetto agli italiani è diminuita". In realtà al ministro dell'Interno dovrebbe sapere (anche se finge di non saperlo) che la realtà è ben diversa. Perché, se vuole dire davvero le cose come stanno, dovrebbe guardare al dato relativo e non alle semplici percentuali stilate dal Viminale. D'altra parte sono gli stessi bollettini delle Questure d'Italia a smentirlo.


"Abbiamo davanti nuove tipologie di delinquenti stranieri", dice Alfano che definisce gli immigrati, che vengono in Italia a delinquere, "più sofisticati e più violenti" tanto da aver determinato addirittura l’elaborazione a livello comunitario della categoria della "criminalità itinerante". In effetti, ammette lo stesso Alfano, "il fenomeno è molto diffuso in tutta Europa e si stanno studiando misure adeguate". Eppure a sentir parlare il numero uno del Viminale in Italia non ci sarebbe un'emergenza sicurezza: non importa se giusto ieri hanno arrestato una cellula jihadista, che da Merano progettava attentati in tutta Europa, o se sempre ieri un folle ha accoltellato un ebreo ortodosso per le strade di Milano o se qualche giorno fa due ladri romeni hanno massacrato di botte una signora. "C’è una asimmetria tra la realtà e la percezione della sicurezza tra i cittadini - dice Alfano - questa asimmetria, purtroppo, è anche alimentata da quelle forme di populismo che speculano sulle paure e scommettono sulle sconfitte dello Stato per un mero ritorno elettorale".


I dati snocciolati da Alfano nell'intervista a Qn sono molto distanti dalla realtà. "Nel 2014 - dice - sono diminuiti del 7 per cento rispetto all’anno precedente e, nei primi sei mesi del 2015, di un altro 10 per cento rispetto al semestre dell’anno prima". In realtà, la cronaca nera di ogni giorno racconta tutt'altro. E, nonostante il governo abbia depenalizzato una quantità imbarazzante di reati (tra cui anche quello di clandestinità), Alfano assicura che "il prossimo pacchetto sicurezza sarà orientato alla sicurezza dei luoghi" e "avrà come obiettivo di rendere sicuri e fruibili i luoghi dove la gente vive, si incontra e svolge le sue principali attività". E assicura: "Sarà un bilanciamento tra intervento di tipo amministrativo in capo ai sindaci, il cui contributo è indispensabile per rendere sicure le città, e quello securitario dell’apparato statale della sicurezza, che comunque privilegerà la prevenzione rispetto alla repressione". Intanto gli italiani continuano a subire. Non è, infatti, vero che a commettere più reati sono gli italiani. Certo, se si parla in termini assoluti sono più i detenuti italiani e i criminali nostrani. Ma è normale: siamo in Italia. Bisogna infatti guardare al dato relativo. I cittadini stranieri sono solo l'8,2% della popolazione residente (gennaio 2015), ma (come certifica l'Istat) i reati commessi dagli immigrati sono più del 24% del totale. Non solo. Nel 2014 i detenuti stranieri nelle carceri italiane sono pari al 34,9%.


Il ministro: "C’è una asimmetria tra la realtà e la percezione della sicurezza tra i cittadini". E accusa: "Colpa del populismo che specula sulle paure"





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Published on November 13, 2015 01:17

November 10, 2015

Renzi bandito dalla sua Firenze. E Agnese va dal Papa da sola

Andrea Indini



"Papa Francesco è un esempio grandissimo per tutti noi, la sua visita a Firenze significa riflettere sulla propria origine di città di fede e umanesimo civile, una occasione unica che tutti i cittadini, dai vertici ai più umili, coglieranno". Allo stadio, in tribuna, ad assistere alla Santa Messa officiata da Bergoglio c'è anche Agnese Landini. Accanto a lei ci sono i figlio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti. Il grande assente allo stadio Artemio Franchi è il marito, Matteo Renzi. La first lady minimizza: "Non c’è alcun retroscena, è a Milano per fare il suo lavoro". Ma qualche retroscena c'è. Ed è che il Santo Padre non lo ha voluto a Firenze per non farsi usare politicamente.


Nel 1986 era stato papa Giovanni Paolo II a far visito al capoluogo toscano. Dopo trent'anni papa Francesco ha celebrato la Santa Messa allo stadio Artemio Franchi. Per l'occasione sono accorsi oltre 52mila fedeli. "Accogliamo il Santo Padre - ha detto Agnese Renzi ai microfoni di Tv2000 - è una grande madre, accogliente e calorosa, una persona che crede in quel che dice e lo fa perché ci crede". In tribuna la first lady non è certo l'unica vip. Oltre a Lotti sfilano il capitano della nazionale azzurra Gianluigi Buffon, il presidente della Figc Carlo Tavecchio, il presidente della Fiorentina Andrea Della Valle e l'allenatore dei Viola Paulo Sousa con una delegazione di giocatori. Manca, appunto, il presidente del Consiglio. Che, secondo una ricostruzione del Fatto Quotidiano, sarebbe stato tenuto alla larga dall Santa Sede. A Renzi era, infatti, sembrata un'occasione ghiotta per apparire con la famiglia vicino al Santo Padre, proprio nella sua città, tra la sua gente. Ma il Vaticano non era d'accordo. Così ha fatto trapelare alla presidenza del Consiglio che la presenza di Renzi "non era proprio gradita".


Non appena è arrivata allo stadio Agnese Renzi è stata presa d'assalto dai giornalisti che le chiedevano le ragioni dell'assenza del marito. "Sono qui come mamma - ha detto - volevo che i bambini partecipassero a un evento storico". E, ai microfoni di Tv2000, ha cercato di spegnere le polemiche: "Questa è una festa meravigliosa, con bambini, mamme, nonni, padri per una grande accoglienza". Resta comunque l'assenza di Renzi. Che, dribblando lo sgambetto del Vaticano, si è fiondato a Milano per una photo opportunity col ceo della Apple Tim Cook. I due si sono visti a pranzo da Cracco. Non bucherà come una foto vicino al Papa, ma è meglio che rimanersene a Roma a scartabellare sulla legge di Stabilità.


Il premier aveva provato a mettere il cappello sulla visita di Bergoglio a Firenze. Ma il Vaticano lo aveva tenuto alla larga: "Non è un incontro di Stato". La first lady si è presentata da sola: "Sono qui da mamma"





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Published on November 10, 2015 08:39

October 28, 2015

Roma prigioniera: Marino pronto a ritirare le dimissioni

Andrea Indini



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"Marino riflette sulle dimissioni"


Cantone: "Roma non ha gli anticorpi"

La Capitale prigioniera di un marziano. Ignazio Marino non molla: è pronto alla resa dei conti con Matteo Renzi e quel Partito democratico che gli ha voltato le spalle. E, in questo folle braccio di ferro, a farne le spese sono inevitabilmente Roma e i romani che si trovano stritolati da un sindaco che, nonostante gli scandali, le gaffe e l'incapacità politica, si è ancorato alla poltrona.


"L'Aula non è ancora stata convocata, ma credo siano le ultime ore per le decisioni. Se poi il sindaco ritira le dimissioni, i tempi tecnici non mancheranno". Il vicepresidente dell’Assemblea Capitolina, Gemma Azuni (Sel), non si sbilancia. E a chi le chiede se i consiglieri dem saranno compatti a votare la sfiducia a Marino risponde sibillina: "Anche questo è da vedersi...". D'altra parte in Aula Giulio Cesare i numeri potrebbero anche essere favorevoli al sindaco. Dalla sua ha sicuramente i voti degli uomini di Nichi Vendola. "Secondo me il sindaco Marino farebbe bene a ritirare le dimissioni, non si può uscire così, senza aver minimamente interessato l’Aula - spiega la Azuni - la maggioranza è composta da tre gruppi consiliari che non sono stati mai sentiti". Contro di lui, invece, ci sono tutti i partiti di opposizione. Marcello De Vito, possibile candidato pentastellato in caso di elezioni, invita i consiglieri dem a "staccare la spina a Marino" votando la sfiducia con il Movimento 5 Stelle.


Il Pd sta nel mezzo. C'è chi vuole mandare a casa il sindaco-chirurgo e chi vuole prolungare l'agonia alla Capitale. Dal Nazareno il messaggio, però, è sin troppo chiaro. "Il processo di rinnovamento e ricostruzione del Pd romano non si fermerà per mano di strumentali opportunisti - tuona Matteo Orfini - in questi mesi tanti ne abbiamo combattuti insieme, e insieme continueremo a cambiare il Pd Roma". Ma l’assessore al Patrimonio Alessandra Cattoi, una delle più vicine al sindaco, non solo difende la retromarcia e accusa proprio Renzi e il suo entourage: "Da alcuni giorni è stato tentato un dialogo molto complicato con i vertici del Pd, ma non essendoci altre vie di confronto aperte, l’unica che rimane è quella istituzionale di ritirare le dimissioni".


Marino è pronto a ritirare le dimissioni. Orfini: "Gli opportunisti non ci fermano". Lo scontro nel Pd sulla pelle dei romani





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Published on October 28, 2015 07:48

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