Andrea Indini's Blog, page 124
December 15, 2015
Dai prestiti facili al dissesto: Banca Etruria nella tempesta
Su Banca Etruria spunta un terzo filone di inchiesta della procura di Arezzo. Per il momento, però, non sarebbe basato sulle recenti vicende dell’istituto e degli ex obbligazionisti della banca. Si tratta di un'indagine sul conflitto di interessi che ha avuto origine dalla relazione della Banca d’Italia sul commissariamento dell'istituto nel febbraio 2015. Questa parte di inchiesta si affianca agli altri due filoni. Il primo sull’ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d’Italia del 2013, e il terzo sulle false fatturazioni datato primavera 2014.
Ex vertici indagati per dissesto
L'inchiesta sul conflitto di interessi è ancora agli inizi e non ha alcun nome iscritto nel registro degli indagati. Secondo fonti vicine alla procura di Arezzo, l’inchiesta ipotizza il conflitto di interesse a carico di alcuni ex membri del cda dell’istituto bancario aretino che avrebbero ricevuto fondi per 185 milioni formalmente deliberati di cui ne sarebbero stati erogati realmente 140 a vantaggio di diciotto ex amministratori, quindici consiglieri e cinque sindaci revisori. Come spiega Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, l'ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del cda Luciano Nataloni, entrambi accusati di "omessa comunicazione di conflitto d’interessi", avrebbero sfruttato "a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto. E di averlo fatto per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere". L’indagine avviata dai magistrati di Arezzo fa così un salto di qualità e, puntando direttamente ai vertici, individua possibili responsabilità nel dissesto. I controlli dovranno anche stabilire come mai né Palazzo Koch né la Consob misero in guardia dai rischi legati alle emissioni obbligazionarie nonostante tra dicembre 2012 e febbraio 2015 ci fossero state ben tre ispezioni. Come spiega Gianluca Paolucci sulla Stampa, già nel 2012 Banca Etruria aveva varato un aumento di capitale da 100 milioni di euro "a coprire le carenze patrimoniali causate dalla pessima qualità del portafoglio crediti". Ma era risultato insufficiente.
Il conflitto d'interesse sui finanziamenti
Le contestazioni a Rosi e Nataloni si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando alla vicepresidenza c'era Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena. E, nel dossier degli ispettori di Bankitalia, spunta che pratiche di finanziamento per 185 milioni sono state svolte in situazioni di "conflitto d’interesse" generando 18 milioni di perdite. Nel mirino ci sono, in particolar modo, una pratica intestata a Nataloni da 5,6 milioni di euro e riguardante la società Td Group e una seconda pratica da 3,4 milioni di euro. La relazione della Banca d'Italia contesta, poi, un buco da circa tre miliardi di euro. "Proprio per cercare di ripianare le perdite - spiega la Sarzanini - sarebbero state emesse le obbligazioni subordinate diventate carta straccia dopo il decreto firmato due settimane fa dal governo proprio per salvare Etruria e altre quattro banche". In realtà da via Nazionale avrebbero fatto sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori. Per questo, si legge ancora sul Corriere della Sera, "l’inchiesta dovrà accertare se davvero questa raccomandazione fosse arrivata ai vertici di Etruria e quali siano state invece le indicazioni fornite dai vertici ai responsabili delle varie filiali".
L'operazione immobiliare di Banca Etruria
Il filone che ipotizza il reato di ostacolo alla vigilanza, che sta arrivando alla conclusione, riguarda anche l'operazione immobiliare fatta nel 2012 sugli immobili del gruppo ceduti al consorzio Palazzo della Fonte. I rischi, ovviamente, sono tutti in capo all'istituto che paga anche le spese di manutenzione e servizi. Come riporta la Stampa, Banca Etruria avrebbe indirettamente finanziato i soci versando loro 10,2 milioni: "2,5 milioni sono finiti alla Farmainvest, 3,9 milioni alla Mineco Real Estate di Matteo Minelli, produttore di birra amato da Renzi. Altri 3 milioni finiscono invece alla Findi Investimenti, altro socio del consorzio. Poi però c’è anche un prestito da 49,3 milioni che il consorzio prende in prestito da un pool di banche per finanziare l’operazione". Insomma, sui 75 milioni di euro pagati dal consorzio per il 90% degli immobili di Etruria, 10,2 milioni arrivano dalla banca e altri 49,3 sono garantiti dallo stesso istituto.
La chiusura delle indagini
Il procuratore Roberto Rossi, che coordina tutti e tre i filoni di indagine, dovrebbe chiudere nei prossimi giorni chiedendo il rinvio a giudizio per l'ex presidente Giuseppe Fornasari, l'ex direttore generale Luca Bronchi e il dirigente centrale David Canestri. È stato invece già chiuso il terzo filone sulle false fatturazioni che vede indagati ancora Giuseppe Fornasari, Luca Bronchi e l’ultimo presidente prima del commissariamento Lorenzo Rosi, attualmente però sono stati notificati solo gli avvisi di chiusura ma non ci sono richieste di rinvio a giudizio.
I tre filoni di inchiesta mettono a nudo una banca in crisi già dal 2012. Gli ex vertici indagati per il dissesto dell'istituto: nel mirino pratiche di finanziamento per 185 milioni
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December 14, 2015
"Prendere le impronte agli immigrati anche con l'uso della forza"
Malgrado i sostanziali incoraggiamenti della Commissione europea, solo uno dei sei hotspot designati è pienamente operativo, ovvero quello di Lampedusa. Adesso Bruxelles si aspetta che almeno altri due centri, quello di Pozzallo e Porto Empedocle, siano aperti al più presto. Nel rapporto sull'Italia, che sarà pubblicato domani, i burocrati dell'Unione europea bacchettano la premiata ditta Matteo Renzi & Angelino Alfano che davanti all'emergenza immigrazione annaspano nel vuoto. Aldilà dei proclami i due non hanno, infatti, ancora mosso un dito. Tanto che gli viene chiesta "una accelerazione" nel "dare cornice legale alle attività di hotspot, in particolare per permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza".
La cronaca di oggi è uno schiaffo in faccia ad Alfano. Un immigrato sospettato di essere un terrorista legato ai tagliagole dell'Isis. Il clandesino, un 20enne siriano, era giunto a Pozzallo lo scorso 4 dicembre a bordo di un barcone carico di immigrati. L'appartenenza allo Stato islamico sarebbe comprovata dalle immagini trovate sul cellulare che la Digos ragusana, in collaborazione con la polizia postale di Catania, ha passato al vaglio. Immagini che, secondo le prime frammentarie informazioni, riprenderebbero veri e propri atti terroristi. "È un’operazione di controllo che ha funzionato, la prova dell’efficacia del sistema di prevenzione - si vanta Alfano - il nostro lavoro non ammette sosta né di giorno né di notte, siamo sul campo con le nostre migliore squadre investigative e i nostri migliori uomini". Peccato che il titolare dell'Interno ha più e più volte negato qualsiasi legame tra l'immigrazione clandestina e il terrorismo islamico. Legame che, dopo la sanguinaria mattanza di Parigi e i recenti arresti, è un dato di fatto. Il Viminale, però, si trova ancora indietro nella sfida che da mesi lo chiama in causa. È, infatti, ancora molto il lavoro che l'Ue si aspetta dall'Italia. Dai documenti di Bruxelles emergerebbe che la Grecia sta facendo di più, nonostante l'Italia ci lavori da più tempo.
La relazione sull’Italia, una decina di pagine compresi gli annessi, è divisa in cinque sezioni che presentano una fotografia molto fattuale di ciò che (non) è stato realizzato negli ultimi mesi. I dati riguardano hotspot e registrazioni, comprese ad esempio quante sono le "macchine" Eurodac disponibili, oltre che ricollocamenti e rimpatri. Per ogni sezione dovrebbe essere riportata anche la lista delle cose che restano da fare. Ma la batosta più pesante per l'Italia arriva nella parte del dossier che regola i ricollocamenti. "Il processo di ricollocamento dall’Italia - si legge nel rapporto della Commissione Ue - è attualmente colpito da una mancanza di potenziali candidati a causa di un basso livello di arrivi, concentrati su nazionalità che non sono candidabili per il ricollocamento".
Bruxelles mette alle strette Renzi: "Aprire subito altri due hotspot". E intima di usare la forza per prendere le impronte digitali. Poi la batosta pià dura: gli immigrati che sono in Italia "non sono candidabili per il ricollocamento"
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December 9, 2015
Merkel premiata dal Time per i fallimenti dell'Europa
Angela Merkel ha contribuito a far sprofondare l'Eurozona nella più drammatica crisi economica mai vista dopo il Secondo dopo guerra. Non solo. Ha fatto precipitare l'emergenza migranti aprendo le porte a qualunque clandestino volesse varcare le soglie dell'area Schengen. In entrambi i casi gli europei stanno ancora pagando sulla propria pelle le scellerate politiche della cancelliera. Eppure, dopo questi disastri, il Time l'ha addirittura premiata dedicandole la copertina per la persona dell'anno. Angela Merkel, cancelliera di un mondo libero è il titolo del magazine che loda la cancelliera per aver "promosso e mantenuto un'Europa aperta e senza confini".
Gli italiani non vanno matti per la Merkel. I greci, manco a dirlo, non la possono proprio soffrire. Nemmeno gli spagnoli e i portoghesi la vedono di buon occhio. Le politiche economiche imposte dalla Germania in piena crisi economiche hanno fatto carne da macello la sovranità di molti Paesi. Se in Italia ha ordito un golpe con l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per cacciare Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi e mettervi Mario Monti, in Grecia ha strozzato fino all'impossibile un popolo che paga i pasticci di politici incapaci e arruffoni. Durante tutta la gestione della crisi economica e, soprattutto, della crisi dei debiti pubblici, la Merkel non è mai stata unificatrice. Anzi, è sempre partita dagli interessi della Germania. Basti pensare che gli aiuti girati ad Atene sono serviti in primis ad appianare i debiti contratti con le banche tedesche e che le riforme lacrime e sangue imposte a Paesi come l'Italia e la Grecia non sono mai state prese in considerazione Bundestag. Ancora oggi paghiamo la miopia della Merkel e, nonostante il bazooka del presidente della Bce Mario Draghi, l'intera Eurozona fatica a riprendersi da una crisi nata Oltreoceano e fomentata a Berlino.
Lo stesso disastro politico è stato compiuto quando quest'estate l'Unione europea stava implodendo sotto i passi di milioni di immigrati. Mentre le frontiere degli Stati venivano meno sotto il peso di una massiccia invasione, la Merkel ha arbitrariamente deciso di aprire le porte della Germania ai "profughi" siriani. O meglio: ai richiedenti asilo con passaporto siriano. Un blitz che ha lasciato in pancia a molti Paesi, tra cui l'Italia e la Grecia, centinaia di migliaia di immigrati che non avranno mai diritto allo status di rifugiati. Oggi l'Europa paga a caro prezzo questo lassismo nel contrasto all'immigrazione. Perché, se da una parte non sono state fermate le morti di extracomunitari innocenti (soprattutto bambini), si è scoperto che i passaporti siriani vengono contrabbandati al mercato nero e che nell'orda migratoria si nascondono gli stessi jihadisti che vogliono distruggere l'Occidente. Lo erano alcuni componenti del commando che il 13 novembre ha colpito Parigi.
Il Time ha spiegato di aver nominato la Merkel persona dell'anno 2015 per "aver chiesto più di quanto la maggior parte dei politici del suo Paese avrebbe osato" e "per l’essere rimasta ferma contro la tirannia e le convenienze e per aver dato prova di una leadership morale risoluta in un mondo dove essa scarseggia". In realtà, a fronte dei drammi e dei disastri a cui ha esposto l'Italia e l'intera Unione europea, più che "cancelliera del mondo libero" andrebbe difinita carceriera del mondo libero.
La cancelliera ha contribuito a far sprofondare l'Europa nella più drammatica crisi economica e a far precipitare l'emergenza migranti aprendo le porte a chiunque volesse entrare. Dopo questi disastri viene pure premiata per aver "promosso un'Europa aperta e senza confini"
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December 7, 2015
"Nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la nostra"
videoLa lezione di Sgarbi a Crozza
"Nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la nostra". È un Vittorio Sgarbi magistrale quello che, nello studio di Virus, bacchetta Maurizio Crozza per la copertina sul Natale. Più che un monologo quello del critico d'arte è una ineccepibile lezione di storia, un ripasso per tutti gli occidentali che hanno dimenticato per strada le proprie tradizioni (guarda il video). "Dobbiamo essere felici di tanta bellezza, noi e i musulmani - mette in guardia - dobbiamo essere contenti che ci sia qualcuno che può rappresentare Dio".
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"Crozza ha ribaltato l'idea della tradizione messa in discussione dalla cultura musulmana e da quanti in Italia pretendono che quella espressione di religiosità e di cultura cristiana venga messa in una dimensione privata". Sgarbi prende di mira, senza troppi giri di parole, "quelli che vogliono togliere il crocifisso, quelli che non vogliono festeggiare il Natale, quelli che non fanno il presepe" e fa a pezzi l'assunto politically correct per cui "per rispettare l'altro occorre negare qualcosa di sé". "Non è mai bene negare nulla di sé", tuona durante la trasmissione di Nicola Porro spiegando che "l'integrazione è uno dei concetti più ridicoli che siano mai stati imposti". Sgarbi è, piuttosto, per la disintegrazione, "l'idea che nessuno integri niente: ognuno è integralmente se stesso e ognuno è curioso dell'altro". Come, infatti, diceva Spinoza il bene è conoscenza: il bene e il male non sono una buona o una cattiva azione. Bene è, piuttosto, quello che accresce la conoscenza, mentre male è quello che la interrompe, cioè l'ignoranza. "E l'ignoranza - continua Sgarbi a Virus - è quella che dice 'no' a quell'altro".
"Natale è qualcosa di diverso da quello che intende Crozza - spiega il critico d'arte - Natale è la natività di una persona che ha fatto una rivoluzione, per cui l'uomo non deve odiare l'altro". E cita il sommo comandamento dato da Gesù Cristo ai farisei: ama il prossimo tuo come te stesso. "Dio scende in terra per diventare uomo: si diminuisce - continua Sgarbi - la vera dività del Cristo è la sua umanità, il suo essere uomo. Ed è nell'essere uomo che è Dio, non nel risorgere. Ebbene, noi festeggiamo questa persona che ci ha resi amici, che ha trasformato homo homini lupus in homo homini deus. Per cui noi non possiamo far male all'altro. Senza distinguere che sia o non sia della nostra religione. Ma senza nemmeno negare la nostra". Quindi Sgarbi arriva al cuore del proprio ragionamento, e cioè che "nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la nostra". E nello studio di Virus, uno dopo l'altro, mostra i capolavori di Piero della Francesca, Giotto, Schiavone e Caravaggio. "Dobbiamo essere felici di tanta bellezza, noi e i musulmani - mette in guardia - dobbiamo essere contenti che ci sia qualcuno che può rappresentare Dio. Perché Dio è incommensurabile per un uomo piccolo ed è troppo grande per rappresentarlo per le religioni musulmana ed ebraica, ma per la nostra religione è un uomo. E quindi posso parlare di Lui bambino, di Lui adolescente, di Lui adulto. Posso raccontare tutto di Lui perché è un uomo, come me". Per Sgarbi la grandezza del cattolicesimo "è l'umanità, non la divinità".
La carrelata di immagini non serve solo a invitare Crozza ad andare a studiare cosa significa storicamente la natività di Gesù Cristo, ma per augurare a tutti gli spettatori di Virus un buon Natale. "Buon Natale a tutti che non siete nati nel giorno in cui è nato Gesù Cristo, ma dovete a Gesù Cristo la vostra libertà, l'uguaglianza, l'indipendenza della donna, la bellezza...tutto!".
Sgarbi insegna a Crozza il significato della natività di Gesù Cristo: "Dobbiamo essere felici di tanta bellezza, noi e i musulmani"
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December 4, 2015
Jet francesi su Sirte e Tobruk: ora la guerra si sposta in Libia
Militari italiani in Libia per preparare la guerra all'Isis
I jihadisti di Isis e Boko Haram convergono sulla Libia
L'Isis avanza in Libia e minaccia i terminal petroliferi
L'Unione europea sta preparando una nuova guerra alla Libia. O meglio: a quello che resta della Libia dopo la fallimentare cacciata del rais Muhammar Gheddafi. Dopo le indiscrezioni sulla presenza di forze speciali italiane a Sabratha, che starebbero preparando il terreno per un intervento militare, l'Eliseo ha ammesso di aver compiuto voli di ricognizione e di intelligence sulle aree controllate dai tagliagole dello Stato islamico in Libia. Operazioni messe a segno il 20 e il 21 novembre, prima quindi dell'avanzata dei miliziani dell'Isis verso est per prendere i terminal petroliferi.
La Libia è sempre più l'avamposto dello Stato islamico per ferrare un attacco all'Europa. Da qui partono i barconi che ogni giorno riversano migliaia di immigrati sulle nostre coste. Da qui è partita l'offensiva dei tagliagole per prendersi i terminal petroliferi che riforniscono energeticamente gran parte del Vecchio Continente. E da qui potrebbero anche partire missili a lunga gittata per colpire obiettivi sensibili in Italia. Uno scenario a tinte fosche che è stato confermato da ripetuti report compilati dai servizi segreti europei e americani presenti sul territorio. A preoccupare gli 007 è innanzitutto il trasferimento dei vertici dello Stato islamico dalla Siria bombardata alla Libia. Qui il vuoto politico lascia vere e proprie praterie d'azione ai jihadisti. Tanto che oltre ai miliziani del Califfato su Sirte starebbero convergendo anche i combattenti di Boko Haram. Il nuovo obiettivo dell'armata nera è l'area di Ajdabiya, la porta verso i campi della mezzaluna petrolifera. "I terroristi stanno trasportando armi pesanti e veicoli blindati - spiegano fonti locali - elementi della formazione pattugliano armati le strade principali, accompagnati dalla polizia islamica". Il controllo delle risorse energetiche del Paese è strategico per i tagliagole del Califfo, proprio come nel nord dell'Iraq, dove i terroristi ne utilizzano i proventi vendendoli al mercato nero per autofinanziarsi.
I leader europei sono seriamente preoccupati. L'Italia, anche se in via del tutto officiosa, avrebbe mandato un primo gruppo di forze speciali a valutare l'impatto ela fattibilità di un intervento militare. Lo stesso avrebbe fatto l'Eliseo. L'aviazione militare francese ha condotto due voli di ricognizione e raccolta informazioni, il 20 e 21 novembre, nelle zone di Sirte e Tobruk. E ha fatto sapere di avere in programma di condurne altri. Si tratta della prima volta che Parigi rende pubblico di aver condotto operazioni sulle zone in mano allo Stato islamico in Libia dove ci sono fra 2mila e 3mila combattenti dello Stato islamico. Quello libico sarebbe l'unico affiliato all'Isis ad aver ricevuto sostegno e guida da parte delle roccaforti in Siria e Iraq. I jet militari francesi bombardano lo Stato islamico in Iraq da oltre un anno e in Siria da settembre. Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi hanno rafforzato le loro missioni contro i jihadisti in Siria. Non solo. L'Eliseo ha già ricollocato 3.500 soldati, precedentemente inviati in Mali nel 2013, nell'Africa occidentale. Alcuni di questi sono stati inviati vicino al confine meridionale della Libia, per contrastare la minaccia terroristica. La Libia è ormai nel caos, con due governi rivali e relative fazioni armate. E, da oltre un anno, le autorità francesi lanciano l'allarme sul fatto che il vuoto politico potrebbe creare condizioni favorevoli ai gruppi islamisti.
La Libia è ormai nel caos. Miliziani di Isis e Boko Haram pronti a sferrare un attacco ai terminal petroliferi. Militari italiani già a Sabratha per valutare l'intervento militare. E la Francia compie i primi voli di ricognizione e di intelligence. L'Europa sta preparando una nuova guerra?
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December 3, 2015
"Non dimentico, se ne pentirà". Putin alza il tiro e sfida Erdogan
"Se qualcuno pensa che la reazioni della Russia saranno limitate alle sanzioni commerciali, si sbaglia di grosso". Nel discorso alla nazione Vladimir Putin rilancia le accuse alla Turchia di complicità con i tagliagole dello Stato islamico e minaccia apertamente Recep Tayyip Erdoğan. "Non dimenticheremo l'abbattimento del jet russo - avverte - i turchi se ne pentiranno".
Quello che stamattina ha parlato alla Russia è un Vladimir Putin infuriato con la Turchia e con la comunità internazionale le cui politiche divisive non fanno altro che fiancheggiare i miliaziani del Califfato. Ma, al tempo stesso, si mostra sempre più determinato ad assumersi l'impegno di sconfiggere Abu Bakr al Baghdadi e i suoi uomini che terrorizzano il Medio Oriente e minacciano l'Occidente. Dopo aver ringraziato i militari russi che combattono l'Isis e i parenti dei due soldati, che erano in missione in Siria quando sono stati ammazzati dai missili turchi, chiede "un solo pugno" contro il terrorismo: "Bisogna lasciare da parte tutte le differenze e creare un unico e potente fronte antiterrorista che agisca in base al diritto internazionale e sotto l'egida dell'Onu". A irritare maggiormente il presidente russo sono le profonde divisioni all'interno della coalizione anti Isis e le posizioni dell'Occidente che si schiera al fianco della Turchia nonostante le prove dei legami tra Erdogan e lo Stato islamico. A far precipitare la situazione è sicuramente stato l'abbattimento del Su-34 russo da parte dell'aviazione turca. Un duro colpo alla Russia che il Cremlino non laverà via con semplici sanzioni economiche. "Ankara si pentirà di ciò che ha fatto - avverte il capo del Cremlino - non si può ignorare il suo aiuto ai terroristi dell'Isis che gli permette di riempirsi il portafoglio con petrolio rubato". E mette in chiaro che la reazione di Mosca "se qualcuno pena che la reazione russa si limiterà alle sanzioni economiche, si sbaglia di grosso". "La cricca al governo in Turchia continuerà a pentirsi di ciò che ha fatto, non se la caverà con i pomodori".
Se da una parte critica la comunità internazionale per le posizioni troppo chine nei confronti della Turchia, dall'altra Putin torna a invocare una regia unica contro il terrorismo sotto l'egida dell'Onu e a chiedere a tutti i Paesi del mondo che contribuiscano a lavorare contro questa minaccia. "Bisogna metter da parte le differenze e creare un unico e potente fronte anti-terrorismo che agirà con il mandato del diritto internazionale e sotto l'egida dell'Onu - spiega il presidente russo - una nazione da sola non può sconfiggere il terrorismo internazionale, soprattutto se i confini internazionali sono praticamente aperti, il mondo assiste a una nuova migrazione di persone e i terroristi si giovano di costante flusso finanziario".
Nel discorso alla nazione Putin torna a minacciare la Turchia: "Non ci fermeremo alle sanzioni". E conferma l'impegno in Siria contro i tagliagole dell'Isis
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Forze speciali italiane in Libia per preparare la guerra all'Isis
A sentir parlare Matteo Renzi non ci sarebbero "elementi di novità" nella notizia, diffusa da fonti libiche, secondo cui i jihadisti dello Stato islamico sarebbero giunti a Sirte dalla Siria e dall'Iraq. La presenza dell'Isis alle porte dell'Italia non cambierebbe la strategia perché, ha assicurao Renzi al presidente afghano Ashraf Ghani, "non si può cambiare politica estera ogni giorno". "L'intervento in Libia - ha detto in chiaro il premier - non è all'ordine del giorno". Ma, in maniera per nulla ufficiale, l'Italia sarebbe già in Libia con un manipolo di uomini delle forze speciali che, come rivela Daniele Raineri sul Foglio, starebbero preparando un possibile intervento militare.
L'Isis sta avanzando nell'est libico minacciando Harawa, Nufaliya e Bin Jawad. L'obiettivo è piantare le bandiere nere del Califfato nell'area di Ajdabiya, la porta verso i campi della mezzaluna petrolifera, a metà strada tra Bengasi e Sirte. "I terroristi stanno trasportando armi pesanti e veicoli blindati - spiegano fonti locali - elementi della formazione pattugliano armati le strade principali, accompagnati dalla polizia islamica". Il controllo delle risorse energetiche del Paese è strategico per i tagliagole del Califfo, proprio come nel nord dell'Iraq, dove i terroristi ne utilizzano i proventi vendendoli al mercato nero per autofinanziarsi. La conquista di queste aree farebbe compiere all'Isis un salto di qualità nella sua strategia. Secondo fonti dell'intelligence americana, Sirte potrebbe infatti diventare la nuova base del gruppo dirigente dello Stato islamico che, per sfuggire ai bombardamenti della coalizione internazionale in Medio Oriente, potrebbe ritirarsi proprio di fronte alle coste italiane.
Per la Libia il governo italiano sta cercando di costruire le condizioni perché "Roma possa ospitare un evento sulla Libia come quello che Vienna ha ospitato sulla Siria". Intanto, però, una manciata di uomini delle Special operations forces si strebbero già muovendo tra Zuwara e Sabratha. Da tempo, nella zona tra la capitale Tripoli e il confine con la Tunisia, bazzicano militari e servizi segreti italiani a difesa delle infrastrutture dell'Eni che sono considerate una questione di sicurezza nazionale. "Questa nuova missione fa parte di un cambiamento importante - fa notare Raineri sul Foglio - dalla tutela del settore energia si passa alla preparazione di un intervento" militare.
I miliziani dell'Isis si trovano già alle porte di Ajdabiya. Le forze di Khalifa Haftar, alleate al governo di Tobruk, stanno cercando di impedire l’avanzata con una serie di raid aerei. Ma la situazione resta incandescende. Lungo la strada litoranea che porta ai checkpoint di confine passano la maggior parte delle operazioni militari che i tagliagole dell'Isis lanciano ai paesi vicini. Tra queste l'attacco al museo del Bardo o la sanguinaria strage di turisti sulla spiaggia di Sousse. Proprio per bloccare il traffico di uomini e di armi, la Tunisia ha chiuso la frontiera. A Sabratha, invece, la situazione sembra (per il momento) più tranquilla, anche se poco più a est ci sono intere aree in mano allo Stato islamico. Qui, lo scorso marzo, è arrivato un contingente del Comando subacqueo incursori (Comsubin), partito dalla base del Varignano a La Spezia a bordo della San Giorgio. L'obiettivo iniziale era di stazionare in corrispondenza dell'impianto di Melita. Adesso starebbero, invece, lavorando a una prima bozza di piano per intervenire militarmente. Intervenendo a Uno Mattina il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi ha smentito la ricostruzione del Foglio assicurando che l'intervento militare in Libia "non è all’ordine del giorno". "Il problema principale è politico - ha ribadito - riuscire a realizzare quel governo di unità nazionale che potrebbe costituire la pietra miliare per andare verso una capacità di carattere militare".
Renzi assicura in chiaro: "Intervento militare non all'ordine del giorno". Ma militari e servizi segreti sono già sul campo per preparare il blitz
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December 2, 2015
Obama si schiera con Erdogan e rafforza la difesa in Europa
Gli Stati Uniti si schierano al fianco di Recep Tayyip Erdoğan. "Rifiutiamo categoricamente l’idea che la Turchia stia lavorando con l’Isis. È totalmente assurdo", tuona Steve Warren reagendo alle accuse di Mosca secondo cui Erdogan e la sua famiglia sono coinvolti "nel traffico illecito di petrolio" con i tagliagole dello Stato islamico. "La Turchia - insiste il portavoce del Pentagono - partecipa attivamente ai raid della coalizione contro i jihadisti". Dichiarazioni pesantissime che mirano ad alzare il tiro nel braccio di ferro tra Barack Obama e Vladimir Putin. Gli Stati Uniti procederanno, poi, al rafforzamento delle difese in Europa in risposta ai programmi militari di Mosca, in particolare contro la minaccia posta dei missili da crociera in via di sviluppo in Russia.
La prossima settimana Mosca presenterà ai giornalisti le informazioni in suo possesso sui quantitativi e le rotte usate dalla Turchia per inviare nel Califfato armi, munizioni, componenti di esplosivi, sistemi di comunicazione. Nel dossier, anticipato oggi dal capo del Centro nazionale per la difesa, Mikhail Mizintsev, ci saranno anche informazioni di addestramento di militanti in territorio turco. "Nessuno ha il diritto di calunniare la Turchia accusandola di comprare petrolio dall’Isis - ha replicato Erdogan - non ho perso i miei valori a tal punto di comprare petrolio da una organizzazione terroristica". Le prove in mano alla Russia, che hanno già iniziato a circolare, sono però schiaccianti. E non lascerebbero ombra di dubbio sul coinvolgimento della Turchia nel finanziamento dei tagliagole dello Stato islamico. Eppure gli Stati Uniti non le prendono nemmeno in considerazione e difendono a spada tratta il Sultano. Una posizione che indebolisce ancora di più l'Occidente nella guerra contro il terrorismo islamico, ma che spiegherebbe i dubbi obiettivi dei raid americani in Siria. "La coalizione internazionale a guida americana - ha accusato il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi, durante un vertice delle autorità militari - non conduce raid aerei contro le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio".
Oltre a fincheggiare Erdogan, gli Stati Uniti stanno aumentando la presenza militare in Eurooa in chiave anti russa. Tale rafforzamento è stato già annunciato in una audizione al Congresso da Brian McKeon della direzione per le politiche del Dipartimento della difesa. Per il momento non sono stati ancora chiariti gli elementi specifici, ma è stato giustificato come una risposta al rifiuto della Russia di rispondere alle preoccupazioni sollevate da Obama sulla violazione dell’accordo per il bando dei missili a medio raggio (INF) con lo sviluppo e la sperimentazione di missili da crociera. "Il nostro obiettivo principale rimane identico: assicurarci che la Russia non ottenga un vantaggio significativo dalle sue violazioni dell'Inf - ha dichiarato McKeon - nella nostra pianificazione prendiamo in considerazione il cambiamento dell’ambiente strategico in Europa e mettiamo insieme l’aumento delle capacità missilistiche della Russia, incluse le violazioni dell’Inf". "Stiamo parlando di un sistema reale, non di capacità potenziali", ha denunciato il funzionario sottolineando che, secondo una valutazione classificata il dispiegamento del sistema aumenterebbe i rischi per gli alleati europei e, quindi, "la minaccia indiretta agli Stati Uniti". Peccato che sia proprio l'amministrazione Obama ad alzare il livello dello scontro.
Mosca attacca Erdogan: "Finanzia l'Isis". E accusa gli Stati Uniti di non colpire i terminal petroliferi in Siria. Obama si schiera al fianco della Turchia: "Accuse assurde". E rafforza le difese militari in Europa in chiave anti russa
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December 1, 2015
La Turchia protegge il Califfato, l'Arabia e il Qatar lo finanziano
La Russia ha motivo di "sospettare" che il jet sia stato abbattuto "per assicurare forniture illegali di petrolio dall’Isis alla Turchia". Vladimir Putin non solo snobba Recep Tayyip Erdoğan, negandogli quell’incontro che il leader di Ankara aveva auspicato a margine della Conferenza Onu sul clima organizzata a Parigi, ma anzi rincara la dose. E colpisce duro. "Difendere i turcomanni - aggiunge a proposito della linea ufficiale della Turchia - è solo un pretesto". Il Cremlino ha ricevuto "recentemente" nuovi rapporti d’intelligence che mostrerebbero un traffico di petrolio dai territori controllati dall’Isis alla Turchia "su scala industriale". Le parole di Putin aprono un vaso di Pandora. Perché, se la Turchia protegge i jihadisti dello Stato islamico, ci sono Paesi come l'Arabia Saudita e il Qatar che li finanziano.
Le parole del presidente russo hanno suscitato l’immediata reazione della controparte: Erdogan ha detto di essere pronto a dimettersi se le dichiarazioni di Putin fossero confermate. "È immorale - ha tuonato con la stampa internazionale a Parigi - accusare la Turchia di comprare il petrolio dall’Isis. Se ci sono i documenti, devono mostrarli, vediamoli. Se questo viene dimostrato, io non manterrò il mio incarico. E dico a Putin: lui manterrà il suo?". Ma, aldilà delle dichiarazioni di facciata di Erdogan, la verità è che, come emerge dal rapporto sull'emergenza terroristica preparato dal Financial Action Task Force (Fatf) e riportato da Italia Oggi, la maggioranza dei governi non solo non prende sul serio la lotta alle commistioni tra la finanza internazionale e le reti del terrore, ma ddirittura chiudono un occhi. Un esempio tra tutti è proprio l'Arabia Saudita che "usa gli standard del Fatf per difendersi in casa sua" e "li viola totalmente nelle sue attività estere e internazionali". Se infatti da una parte Riad deteiene il primato delle azioni contro i reati di collegamento tra terrorismo e finanza, dall'altra è, a fianco del Qatar, la più grande finanziatrice e sostenitrice dei tagliagole.
Nell'audizione dedicata al Terrorism Financing and the Islamic State, organizzata il 13 novembre 2014 dalla Commissione per i Servizi fianziari del Congresso americano, è emerso con chiarezza che "mentre al Qaeda poteva contare dopo l'attentato dell'11 settembre su circa mezzo milione di dollari di sostegni al giorno, l'Isis aveva introiti di 1-2 milioni di dollari al giorno attraverso la vendita di petrolio, i riscatti degli ostaggi e i sostegni da parte delle organizzazioni caritatevoli soprattutto dei Paesi del Golfo, a cominciare dal Qatar e dall'Arabia Saudita". Nel commercio del petrolio il partner principale dei tagliagole dello Stato islamico è sicuramente la Turchia. "Circa 30mila barili al giorno, trasportati da 250 autobotti - spiegano l'ex sottosegretario all'Economia Mario Lettieri e l'economista Paolo Raimondi - transitano attraverso i confini porosi della Turchia e del Nord Iraq per essere venduti a compiacenti acquirenti, consapevoli di sostenere le operazioni terroristiche". Soltanto negli ultimi otti mesi i tagliagole dello Stato islamico hanno venduto al mercato nero turco petrolio e gas iracheno. Un business che, grazie alla complicità di Erdogan, ha fatto fruttare al Califfato 800 milioni di dollari.
C'è poi la finanza. Banche e mediatori finanziari e monetari contribuiscono a far arrivare quotidianamente fiumi di denaro nelle casse gestite dal califfo Abu Bakr al Baghdadi. Nel mirino degli americani è finta, da qualche tempo a questa parte, l'hawala. Si tratta di una rete informale di operatori privati addetti al trasferimento di denaro. Anche in questo caso le fonti di intelligence hanno acceso il faro su tutti i Paesi islamici, a cominciare da quelli del Golfo.
Erdogan protegge l'Isis perché dai jihadisti compra il petrolio a metà prezzo. Arabia Saudita e Qatar, invece, lo finanziano attraverso le organizzzazioni caritatevoli. La finanzia internazionale fa tutto il resto
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November 30, 2015
Ora Putin risponde a Erdogan: missili aria-aria contro i caccia turchi
Che il dialogo tra Mosca e Ankara fosse ridotto ai minimi termini, non serviva certo il rifiuto di Vladimir Putin a incontrare Recep Tayyip Erdoğan a margine della conferenza sul clima di Parigi per capirlo. Ancora oggi si sono registrati momenti di tensione nello Stretto dei Dardanelli quando un’imbarcazione di supporto logistico della Marina militare russa ha incrociato un sottomarino turco. Non solo. Per la prima volta i bombardieri russi Su-34 impegnati in Siria hanno preso il volo equipaggiati con missili aria-aria. Fonti dell'aviazione russa precisano che si tratta di una misura di autodifesa decisa dopo l’abbattimento di un caccia Su-24 di Mosca ad opera degli F-16 turchi, il 24 novembre.
"Non ci possiamo scusare per aver fatto il nostro dovere". Dopo aver incontrato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al quartier generale dell’alleanza atlantica, il premier turco Ahmet Davutoglu torna a mostrare i muscoli alla Russia. Ma è solo una mossa di facciata. Perché, dopo l'abbattimento del jet russo impegnato nei bombardamenti contro le postazioni dello Stato islamico in Siria, tocca a Putin fare la prossima mossa. Che arriva puntuale. Oggi, mentre le spoglie del pilota del Su-24 russo abbattuto martedì scorso dalle forze di Ankara sono state restituite alla Russia, Putin fatto sapere che non avrebbe incontrato Erdogan a margine della conferenza sul clima di Parigi. Il governo russo ha vietato la vendita di pacchetti turistici per la Turchia e i voli charter, i collegamenti aerei regolari con questo Paese sono stati posti sotto speciale controllo dal punto di vista delle misure di sicurezza. Non solo. Durante la prossima finestra di mercato i club russi non potranno più tesserare calciatori turchi. "Le sanzioni economiche per ora non colpiscono la produzione industriale - avverte il vice premier russo Igor Shuvalov - ma la loro lista potrebbe essere estesa". Le sanzioni sono solo una facciata delle contro misure adottate dal Cremlino. Alcuni cacciabombardieri russi Su-34 hanno volato in Siria per la prima volta con missili aria-aria per autodifesa (guarda il video). Secondo il Daily Mail, poi, i piloti saranno armati di pistole e kalashnikov per difendersi se attaccati.
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Dalla sua Erdogan ha l'appoggio di Barack Obama. "I dati degli Stati Uniti confermano la versione della Turchia sull'abbattimento del jet russo", ha ribadito oggi l'ambasciatore americano presso la Nato, Douglas E. Lute, specificando che "l'aereo russo era in Turchia, è stato ’ingaggiatò in Turchia ed è stato ripetutamente avvertito". Lute ci ha, poi, tenuto a ricordare che quella "non era la prima incursione russa nello spazio aereo turco" e che nello scambio di informazioni concordato con la Russia "di sicuro non c’era un piano di volo che prevedesse la violazione dello spazio aereo della Nato". Washington sembra non tener conto del dubbio ruolo di Erdogan nella guerra allo Stato islamico: l'immigrazione usata come bomba contro l'Unione europea, le frontiere aperte ai foreign fighter che vogliono raggiungere il Califfato e che dalla Siria vogliono tornare nel Vecchio Continente e, soprattutto, gli scambi economici con i tagliagole dell'Isis. E, in chiave anti russa, Obama finisce per favorire ancora una volta un nemico dell'Occidente.
Sale la tensione tra Ankara e Mosca. Nave russa incrocia sottomarino turco: tensione ai Dardanelli. Putin arma i caccia con missili aria-aria e vara nuove sanzioni
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