Andrea Indini's Blog, page 116
December 20, 2017
L'ultimo regalo del Pd alle coop: sgravi a chi assume immigrati

Contributi fino a 500mila euro l'anno a tutte le cooperative che assumono gli immigrati a tempo indeterminato. Salvini: "È razzismo". Meloni: "Schiaffo ai disoccupati italiani"
Arriva l'ultimo regalo del Pd alle cooperative che fanno affari con l'accoglienza. Un emendamento alla manovra, riformulato e approvato dalla commissione Bilancio della Camera, prevede un premio in denaro, attraverso sgravi fiscali, per le cooperative che assumeranno a tempo indeterminato gli immigrati che hanno lo status di rifugiati. "Questo è vero razzismo - sbotta Matteo Salvini - se ne fregano dei disoccupati italiani, preferiscono fare soldi con coop e immigrati".
L'emendamento alla manovra della maggioranza è l'ennesima regalo di un governo prodigo nei confronti delle cooperative che da anni lucrano sull'accoglienza degli immigrati. Si tratta di un contributo di massimo 500mila euro all'anno e per un massimo di tre anni per ridurre gli sgravi dei contributi previdenziali e assistenziale per le cooperative sociali che assumono con contratto a tempo indeterminato, dal primo gennaio 2018 al 31 dicembre 2018, i rifugiati a cui è stata riconosciuta la protezione internazionale a partire dal primo gennaio 2016 "Quasi 5 milioni di nostri concittadini vivono in condizione di povertà, abbiamo una disoccupazione che supera l'11% con contratti farsa anche di un solo giorno, le migliori aziende nazionali sono costrette a chiudere a causa di una tassazione altissima e cosa fa questo governo?", commentano i deputati della Lega Massimiliano Fedriga e Nicola Molteni. L'opposizione è compatta nel condannare la misura che concede sgravi fiscali alle coop che assumeranno a tempo indeterminato rifugiati. Per il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, è "uno schiaffo in faccia ai milioni di disoccupati italiani". E promette: "È una delle prime porcate della sinistra che cancelleremo quando andremo al governo".
Per Sandra Savino di Forza Italia la maggioranza a guida Pd è ormai "in stato confusionale". "Ci sarebbe da ridere - commenta - se non fossimo davanti a un Paese sempre più povero, a ragazzi che se ne vanno all'estero per trovare un lavoro e avere un futuro, a disoccupati in età adulta, a giovani famiglie che sempre meno hanno la stabilità per mettere al mondo dei figli". La parlamentare azzurra accusa la sinistra di avere dell'Italia un'idea in cui "i migranti hanno il posto fisso, mentre gli italiani disoccupati si rivolgono alle mense sociali".
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December 10, 2017
Renzi in caduta attacca il Cav: "Non governo con Mr. Spread"

Prima le fake news sul referendum, poi il golpe del 2011: Renzi ha perso consensi e ora non sa più come risalire la china
Uno dopo l'altro, anche a sinistra, stanno ammettendo che nel 2011 è stato compiuto un vero e proprio colpo di Stato. Lo stesso Romano Prodi ha riconosciuto che Silvio Berlusconi ha pagato per la sua amicizia con il rais Muhammar Gheddafi. A ricostruire quelle trame che hanno portato lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi a livelli record e le cancellerie europee, in combutta con l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a premere per le dimissioni del Cavaliere, stanno provando a far luce anche i pm. Deutsche Bank e alcuni suoi manager sono indagati dalla procura di Milano per quella speculazione in titoli di Stato italiani che nel 2011 portò, appunto, alla caduta del governo.
Ormai la verità sta venendo a galla. Ma c'è ancora chi è capace di gettare benzina su una delle pagine più buie della nostra democrazia. In una intervista a Repubblica Matteo Renzi, in forte difficoltà per le divisioni interne alla sinistra e per i sondaggi in caduta libera, attacca il Cavaliere a testa bassa. "Berlusconi è bravissimo a camuffarsi - ha dichiarato - un questa campagna elettorale sembra un passante. Ma - ha continuato - ce lo ricordiamo vero che lui è il principale responsabile di questi lustri? Che lui è Mister Spread? Che sta ripromettendo le stesse cose del 1994 perché non le ha mai fatte?". Un colpo basso che non tiene conto sulla verità che è venuta a galla negli ultimi mesi. "Centinaia di migliaia di italiani sono finiti in miseria per quella maledetta estate del 2011 - ha commentato nei giorni scorsi il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta - abbiamo perso la nostra sovranità, ci è stata sottratta dai poteri finanziari che hanno speculato sul nostro debito sovrano. Se in gioco c'è la sovranità di un Paese come possiamo chiamarlo, se non colpo di Stato?".
Intervistato da Repubblica Renzi chiude definitivamente all'ipotesi di un accordo di governo con Forza Italia. Quindi, attacca i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, che accomuna all'ex numero uno di An, Gianfranco Fini. Infine, fa sapere ai suoi che la "fase zen è finita". "Si deve lottare casa per casa - dice - ai dirigenti del Pd dico che non tollererò chi si rassegna al primo sondaggio negativo. Si può vincere". I sondaggi dicono il contrario. E anche gli attacchi sferrati a destra e a manca nell'intervista fanno toccare con mano la paura di Renzi di far flop alle prossime elezioni. Dopo le fake news sulla manina russa dietro la propaganda per il "No" al referendum costituzionale, va a "speculare" sulla tempesta che portò al colpo di Stato del 2011.
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Adesso Pier Luigi deride Renzi: "Da anni è sotto la soglia Bersani"

Nel Pd è allarme sondaggi. Per Ixè il partito di Renzi è sceso ancora: ora è al 23%. Bersani lo sfotte, gli alleati scappano e i dem tremano
"Premetto che per noi il 6, il 7, l'8% è un ottimo punto di partenza. non abbiamo neanche il simbolo. Mi stupisco che facciano più notizia i sondaggi che i dati reali". Ai microfoni de L'Intervista di Maria Latella su SkyTg24, l'ex segretario dem Pierluigi Bersani difende il progetto di "Liberi e uguali" che alle prossime elezioni metterà in seria difficoltà il Partito democratico. E non perde l'occasione per pungolare Matteo Renzi. "Sono tre anni che il Pd è sotto la soglia 'Bersani', quella del 2013 - sottolinea - sono tre anni che il Pd perde tutti gli appuntamenti elettorali amministrativi". Tutti i sondaggisti gli danno ragione: ormai l'exrottamatore è in caduta libera. E difficilmente riuscirà a invertire questa rotta.
Il fallimento di Renzi
"È un paradosso", commenta amaro Daniele Marantelli, area Orlando, lasciando la manifestazione di Como. Sono bastati un paio di slogan anti fascisti per riunire le sigle del centrosinistra. Le stesse che, tra pochi mesi, si scontreranno alle elezioni politiche. "Siamo andati sotto al palco solo alla fine perché volevamo stare in mezzo alla gente - racconta Marantelli - e non so quanti ci hanno fermato a chiederci di fare di tutto per evitare di andare divisi...". Tutto corre in senso opposto, però. Questa sera Pietro Grasso farà il suo esordio in tivù da leader di "Liberi e Uguali" e presenterà il simbolo della lista unitaria di sinistra che si presenterà alle prossime elezioni. I sondaggisti la danno al 7%. Di contro, Ipsos di Nando Pagnoncelli assegna al Pd il record negativo assoluto nei consensi: poco più del 24%. Non è più ottimista Ixè che per l'Huffington Post ha elaborato una rilevazione a tinte molto più fosche. I dem sarebbero, infatti, al 23,1%: quasi otto punti sotto a quel fatidico 40,8% incassato alle elezioni europee del 2014 (guarda qui).
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I malumori nel Pd
I risultati che sta portando a casa Renzi sono di gran lunga inferiori a quelli totalizzati da Bersani nel 2013. Sebbene quest'ultimo non avesse subito la scissione che il Pd renziano sta iniziando a soffrire in termini percentuali, al Nazareno sono costretti a gestire una situazione da allarme rosso che non ha precedenti. "I sondaggi vanno sempre presi con la dovuta cautela - fa sapere una fonte dem - ma non può non essere vista con preoccupazione la solitudine del Pd, di cui parla oggi anche Ilvo Diamanti". E, anche per questo, sono molti a chiedere a Renzi che "convochi presto una direzione del Pd". "Dobbiamo fare di tutto per evitare che si ripeta lo schema della Sicilia", dicono gli orlandiani. Uno schema in cui il centrosinistra diviso è irrilevante e la partita si gioca tutta tra il centrodestra e i Cinque Stelle.
Gli alleati in fuga
Nel momento in cui viene meno l'alleato a sinistra, ovvero Campo progressista di Giuliano Pisapia, secondo la minoranza, deve essere il Pd stesso a intestarsi quel campo rimasto scoperto. "Dobbiamo rispondere con le politiche, con le proposte per il prossimo governo". Proposte di sinistra, ovviamente. Anche di questo parleranno sabato prossimo all'assemblea romana. Il punto è che con il "rimpicciolirsi" della coalizione, dopo l'uscita di scena di Pisapia e di Angelino Alfano, sta inevitabilmente portando Renzi alla sconfitta. In termini di collegi, secondo uno studio di YouTrend, il venir meno dell'alleanza con Campo progressista potrebbe costare al Pd tra i quattro e i cinque, di cui due a Milano. Sarebbe più pesante se venisse meno l'alleanza con Alternativa popolare, un "danno" stimato tra i nove e i dieci collegi, soprattutto tra Sicilia e Calabria.
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May 23, 2017
La strage degli innocenti: non si fermano neanche davanti ai bambini

La barbarie islamista non risparmia nessuno. A Nizza aveva colpito le famiglie mentre guardavano i fuohi d'artificio, a Manchester hanno attaccato i ragazzini al concerto. Lo fanno per colpire i nostri figli e farci più male
È la strage degli innocenti. Ancora più odiosa perché quei ventidue morti sono ragazzini, alcuni persino bimbi. Tutti alla Manchester Arena per ascoltare l'idolo Ariana Grande. Una serata di divertimento spazzata via da un ordigno rudimentale riempito di chiodi per aumentare la capacità di ammazzare. "Sembra che le bombe sganciate dall'aviazione britannica contro i bambini di Mosul e Raqqa - esultano su Twitter i siti jihadisti che inneggiano allo Stato islamico - siano appena tornate indietro a Manchester". Un odio cieco rivendicato dallo Stato islamico per mano di un miliziano vigliacco, a volto coperto, che minaccia: "L'attentato a Manchester è solo l'inizio".
Georgina Callander è la prima vittima a cui la polizia inglese ha saputo dare un nome. Aveva appena 18 anni, studiava al Rusnhaw College ed era una grande fan di Ariana Grande. Su Facebook c'è ancora il selfie scattato accanto alla cantante americana. Sorride, felice: non poteva sapere cosa l'odio islamista le avrebbe fatto. Alla Manchester Arena, al termine del concerto di ieri sera, sono stati ammazzati altri ragazzini come Georgina. Non che la loro vita valga di più delle altre falciate via dagli attentati che, negli ultimi anni, hanno insanguinato il Vecchio Continente. Hanno, però, un impatto più forte. Perché ti colpiscono come un pugno allo stomaco, perché ti spiegano che si può fare davvero poco per proteggerli da questa barbarie, perché capisci che il mondo che gli stai consegnando è fatto anche da bestie che non si fermano nemmeno davanti ai loro teneri occhi. Bestie che aspettano che i fan escano dal concerto per colpirli e fare più morti possibile. Bestie, appunto.
L'esplosione alla Manchester Arena, poco dopo le 22.30, ha fatto tremare l'area del foyer. Que ragazzini stavano cominciando a uscire e sullo stadio si stava riversando una pioggia di palloncini rosa. L'ordigno rudimentale ha devastato tutto. I chiodi, con cui era stato riempito, sono partiti e hanno lacerato i corpi dei ragazzini che si trovavano nelle vicinanze. I genitori, che li avevano accompagnati al concerto, non hanno potuto difenderli. Se anche avessero saputo quello che stava per succedere e, come è logico, si fossero messi di traverso facendo scudo col proprio corpo, sarebbero stati distrutti dalla furia esplosiva. E così è stato. Il bilancio finale è di 22 morti e di una sessantina di feriti. "In nome di Allah, il misericordioso e il generoroso, questo è solo l'inizio - annuncia un video recuperato da Site su Twitter - i leoni dello Stato islamico stanno cominciando ad attaccare tutti i crociati. Allah Akbar, Allah Akbar".
Non è la prima barbarie contro i bambini con cui si deve confrontare l'Europa. La scorsa estate, lungo la Priomenade des Anglais di Nizza Mohammed Bouhlel aveva spinto un camion contro le famiglie accorse a vedere i fuochi di artificio. Tra gli 87 morti c'erano anche banbini di 2, 4 6 e 8 anni. Lungo la scia di sangue dell'islamista tunisino la polizia francese aveva trovato un piccolo sandalo a infradito di colore rosso e blu, due passeggini accartocciati uno sull'altro, un album di figure da colorare, un lecca lecca gigante ancora nella sua confezione. E, ovviamente, le bambole. Quel posto era stato scelto proprio per ammazzare famiglie con bambini al seguito. "Se punti il camion in quella direzione, sai cosa stai facendo -aveva detto un sopravvissuto alla strage di Nizza - sai che non troverai davanti a te solo degli infedeli, ma anche degli innocenti che tengono per mano il loro papà". D'altra parte se Bouhlel ha puntato il tir dritto contro la giostra, sapeva chi avrebbe ucciso. E, infatti, quattro bambini sono stati schiacciati proprio sulla balaustra. E se ieri il terrorista si è fatto saltare in aria all'uscita del concerto di Ariana Grande, lo ha fatto solo per ammazzare ragazzini e bambini. Una bestia senza dignità.
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May 9, 2017
"Immigrati ed economia: ecco le sfide dell'Europa"

All'indomani della vittoria di Macron in Francia, l'europarlamentare Salini rilancia la questione Europa. E riporta al centro l'uomo
La vittoria dell'europeista Emmanuel Macron alle presidenziali francesi arriva diversi mesi dopo la Brexit. I filo Ue hanno temuto, fino all'ultimo, l'arrivo dell'anti sistema Marine Le Pen all'Eliseo. Ora gli occhi degli analisti e degli investitori passano sull'Italia dove si voterà fra qualche settimana per scegliere il sindaco in diverse città. Le elezioni amministrative potrebbero essere lo specchio delle politiche che si terranno l'anno prossimo. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Salini, europarlamentare di Forza Italia, che mette in luce le prossime sfide dell'Unione europea: risolvere l'emergenza immigrazione, districare il difficile rapporto con l'islam e, ovviamente, rilanciare l'economia. Sfide che, con il passare del tempo, si sono incancrenite e che ora rischiano di minacciare i singoli Stati membri.
Onorevole Salini, qual è la lezione francese?
"Come ha giustamente detto Berlusconi è inutile tentare di riprodurre all'interno del proprio Paese, in modo anche un po' acritico, gli effetti delle elezioni di altri Stati. A volte è anche dannoso perché si tenta di semplificare utilizzando un fattore esterno a un contesto politico che, per essere semplificato, avrebbe bisogno di essere affrontato e risolto in casa propria."
Molti analisti l'hanno letta come una sconfitta del fronte anti Ue. È d'accordo?
"Andrei molto cauto nel dire che hanno vinto gli europeisti, cosa che si deduce dalla lettura del dato elettorale. In Francia vince l'europeismo e viene sconfitto l'antieuropeismo per due ragioni. La prima ragione è che sono molti di più gli aventi diritto che non hanno votato Macron di quanti non siano gli aventi diritto che hanno votato Macron. (Parliamo di 27 milioni aventi diritto che non lo hanno votato contro 20 milioni che lo hanno votato, ndr). Oggi abbiamo un mandato popolare che potrebbe essere ulteriormente ridimensionato alle legislative di giugno. Insomma, l'idea che l'Europa sia salva perché Macron ha vinto mi lascia piuttosto perplesso. L'Europa ha gli stessi problemi di prima."
Quindi il Pd che esalta Macron ha poco da gioire?
"In Italia un Macron l'abbiamo già avuto. Si chiama Enrico Letta. Persona garbatissima, un moderato più europeista dell'Europa. Non ha funzionato. Se dovessimo basarci su una valutazione umile del dato storico direi che oggi in Italia non abbiamo bisogno di un Macron. Se non ci fosse stato lo scandalo che ha travolto Fillon a pochi mesi dalle elezioni, oggi nemmeno i francesi avrebbero bisogno di Macron."
L'opinione pubblica, però, gioca a dividere l'elettorato tra populisti ed europeisti...
"In realtà gli elettori italiani si dividono ancora tra progressisti e liberali. Quando, infatti, la gente si accorge di essere governata da "fighetti" senza storia ma con una cultura che deriva più da un curriculum vitae maturato in banca, si arrabbia. È quello che è successo con Mario Monti..."
Anche l'Unione europea, però, non può non fare autocritica. I continui sbarchi e la non gestione dell'emergenza immigrazione sono l'evidenza plastica di qualcosa che non va.
"L'Ue è molto forte quando deve parlare di cose vaghe e debole quando deve misurarsi con la realtà concreta della quotidianità dei cittadini. Il caso della gestione dei flussi migratori è un esempio lampante di questa fragilità e di questa incapacità politica. Oggi assistiamo al tentativo di tornare a quello che il centrodestra italiano diceva qualche anno fa."
Fermare i barconi prima che escano dalle acque libiche e intervenire sui Paesi di origine?
"Già... questa strategia è stata abbandonata per troppo tempo. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. In più si aggiunge l'inchiesta del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che ha svelato il dialogo totalmente illegale e pericolosissimo tra le Ong e i trafficanti di uomini."
La gente comune accusa l'Europa di essere fatta da "grigi burocrati". Lei, che la vive in prima persona, può dirci cosa non funziona?
"La critica dei grigi burocrati è vera, ma talmente parziale da essere fuorviante."
Perché?
"L'Ue è strutturata sostanzialmente su tre istituzioni. Di queste quella in cui si concentra il potere maggiore è la commissione dove siedono 28 commissari, espressione di 28 Paesi membri che però non sono stati eletti per rappresentare il popolo europeo. E le proposte normative non passano dal parlamento, come accade in Italia, ma dalla commissione dove siedono, appunto, i 'burocrati'. I politici, poi, hanno avallato un'idea scorretta di Europa che ha permeato non solo le performance quotidiane ma anche la stessa narrazione politica."
E così l'Europa ha abbandonato le proprie origini.
"Il caso del riconoscimento dello status di libero mercato alla Cina ne è l'esempio. È la vittoria di uno stile economico che preferisce il commercio alla produzione e antepone il valore creato dalla transazione al valore creato storicamente dalla qualità del prodotto. Sono due idee economiche e di uomo diverse. Da un lato c'è la creatività del classico uomo europeo che ha portato nel mondo genialità, capacità produttiva e protagonismo. La classica forza di un continente che vende ciò che produce. Dall'altro lato c'è la logica del servizio che un tempo era il porto. Il guadagno sul passaggio. La rigenerazione non avviene licenziando i 'burocrati', ma riaffermando cos'è l'uomo."
In Italia il commercio è fatto soprattutto da piccole e medie imprese e da imprenditori coraggiosi. Tra qualche settimane si andrà a votare in diversi Comuni. Quali sono le richieste portate in campagna elettorale?
"Chi si candida chiede di essere messo nelle condizioni di realizzare almeno le più essenziali proposte con cui va a raccogliere il consenso. Oggi l'amministratore locale non ha più risorse locali per realizzare progetti ma deve vivere sulla finanza derivata da quanto gli viene concesso da livelli superiori senza avere nessuna leva effettiva che gli consenta di fare progettazioni. Gli amministratori locali chiedono un effettivo decentramento su alcune materie decisionali che consenta loro di interagire con i cittadini su basi concrete. Il Nord Italia è uno dei territori più performanti di tutta Europa come capacità di utilizzo dei fondi strutturali. Non mandiamo indietro un euro."
La maggior parte dei soldi, però, è risucchiata da una pressione fiscale monstre.
"La lotta per abbassare le tasse è diventata cruenta. Tanto che si è arrivati al referendum proposto dalla Regione Lombardia per poter decidere dei 56 miliardi annui di residuo fiscale che vengono regalati allo Stato centrale. Se l'Italia fosse un'azienda, la Lombardia brucerebbe ogni anno più di 50 miliardi di euro di utili che poi vengono suddivisi da altri. È una follia che si ripercuote quotidianamente sulla Regione più performante del Paese. Le conseguenze sono tragiche e irrispettose nei confronti dei nostri imprenditori."
Eppure, nonostante questo, non smettono di lavorare.
"Esattamente. Le piccole e medie imprese italiane sono in assoluto le migliori in tutta Europa. Su 390mila progetti finanziati con la prima parte del piano Juncker, 190mila pmi sono italiane."
Un ultimo punto su cui l'Unione europea dovrebbe fare autocritica è il sempre più difficile rapporto con le comunità islamiche. Molti Comuni che vanno al voto dovranno confrontarsi su un tema spinoso: l'apertura della moschea. Cosa non ha funzionato in Europa e in Italia?
"L'origine della diffusione smisurata di moschee in alcuni Paesi, come il Belgio, ha una matrice culturale e politica molto chiara che fa sì che il problema permanga. È il chiaro tentativo di invaderci culturalmente messo in atto da alcuni Paesi del Medio Oriente."
Quali sono le conseguenze?
"Questa proliferazione deve essere arginata. E bisogna avere il coraggio di dire che è in atto una guerra perpetrata sulla base di una interpretazione (corretta o scorretta che sia) del Corano."
Sono tanti, però, a escludere il legame tra la religione islamica e gli atti terroristici. Perché?
"In questo modo vogliono far credere che la degenerazione terroristica sia frutto di una interpretazione scorretta del Corano. In realtà, grandi intellettuali italiani come Ferdinando Camon hanno saputo dimostrare che i principi fondamentali della religione islamica sono incompatibili con la cultura occidentale. Non solo abbiamo una visione diversa del rapporto tra uomo e donna, abbiamo anche un'idea diversa di rapporto tra fedeli e infedeli. E abbiamo pure un'idea diversa di rapporto con la democrazia. Per noi la democrazia è un principio fondamentale, non il Califfato."
Il problema non è, dunque, limitato alla costruzione della moschea?
"Assolutamente. Molti errori sono stati fatti nella strategia della pianificazione urbanistica."
Pensa alle banlieue francesi?
"Sì. Eppure ci sarebbero diversi modi per arginare certe degenerazioni... Per esempio, evitare di rimanere intrappolati in una pianificazione superficiale che lasci spazio alle cosiddette sperimentazioni multiculturali. Molte sperimentazioni sono fatte sulla pelle delle persone comuni."
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February 21, 2017
E le quote rosa? Quando si fa sul serio spariscono
Dalla Boschi alla Serracchiani e la Quartapelle, le amazzoni renziane restano in disparte
E le quote rosa? Che fine hanno fatto? Dopo averci fatto una testa tanta con la necessità di dar spazio alle donne in politica e aver sbandierato, in lungo e in largo, l'alternanza di genere nei governi a guida Pd, ecco che Matteo Renzi e soci hanno fatto sparire le compagne dal dibattito politico. Certo Debora Serracchiani era lì a presiedere (come da statuto) l'Assemblea in cui si è consumata la scissione con la minoranza. Ma non ha preso parola. Come non lo hanno fatto tutte quelle piddine che, presto o tardi, torneranno a pretendere termini come ministra, sindaca e assessora e a sproloquiare sul valore della donna in politica.
Non pervenuta nemmeno la regina del Giglio magico, Maria Elena Boschi. Che in settimana ha fatto più volte la spola da Palazzo Chigi al Nazareno per fare il punto sulla crisi del Pd, ma domenica è rimasta nascosta. Renzi l'ha voluta vedere, insieme ai ministri Luca Lotti e Dario Franceschini, per capire come gestire lo strappo della minoranza dem. In chiaro non ha mai rilasciato alcuna dichiarazione. Sui quotidiani è pure uscito qualche virgolettato acido contro i «ribelli» dem che vorrebbero lo scalpo dell'ex premier. Lei ha sguinzagliato l'ufficio stampa della presidenza del Consiglio perché smentisse tutto. «Nessuna dichiarazione è stata fatta dalla sottosegretaria né ieri, né nei giorni scorsi, sulla situazione politica interna del Partito democratico hanno specificato da Palazzo Chigi . Sono, dunque, smentite le frasi a lei attribuite». Poi è tornata nell'ombra.
Perché, da quando è approdato nel governo Gentiloni, la zarina renziana è sparita dai riflettori. Renzi non l'ha riesumata nemmeno per averla accanto nel definitivo scontro con la minoranza. Alla faccia delle donne in politica.
Chi ha avuto l'ardire di seguire l'intera assemblea del Pd non ha potuto non notare le poche esponenti donne iscritte a parlare. I lavori dell'assemblea sono stati aperti dal segretario. Dopo di lui si sono susseguiti una sfilza di soloni che hanno voluto dire la loro sul futuro del partito. Su ventotto, però, appena cinque donne: Teresa Bellanova, Mila Spicola, Sandra Zampa, Ileana Argentin e Patrizia Toia. Viene da chiedersi che fine abbiamo fatto tutte le big del partito. Eppure, quando si tratta di pontificare sulle quote rose, i vertici piddì sono sempre in prima linea. Lo dice pure lo statuto: «Il Pd impegna a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla parità dei sessi nella partecipazione politica». E ancora: «Il Pd assicura, a tutti i livelli territoriali, la presenza paritaria di donne e di uomini negli organismi rappresentativi, quali assemblee e direzioni». Belle parole. Ma i fatti?
Alla resa dei conti di domenica scorsa, infatti, c'è stata una sorta di fuggi fuggi. Altro che quote rosa. Sul palco dell'hotel Parco dei Principi di Roma si sono alternati i soliti noti dell'arcipelago democratico. La Boschi non si è nemmeno fatta vedere. Lia Quartapelle, Rosy Bindi e Anna Finocchiaro non si sono esposte. La Serracchiani si è limitata a rilasciare qualche dichiarazione a margine. Marianna Madia non fa parte dell'Assemblea nazionale. E così si è fiondata su SkyTg24 a criticare le «idee razziste» di Marine Le Pen.
Perché è facile fare le prediche agli altri, nascondendo i propri difetti. Quelli di chi dice di promuovere il ruolo delle donne in politica e poi nei momenti fondamentali del partito le tiene ai margini.
February 17, 2017
Il manifesto di Zuckerberg per unire i soloni della democrazia contro Trump
Mr Facebook scrive ai suoi utenti: "Il progresso richiede che l'umanità si metta insieme". I profeti della democrazia tifano per lui. Senza capirne i rischi
Mark Zuckerberg contro l'isolazionismo e il crescente sentimento contro la globalizzazione. In una lunga lettera sulla sua pagina Facebook, il patron e fondatore del social network delinea la sua visione del mondo e le misure che vuole attuare per "unire l'umanità". "Il progresso - scrive - richiede che l'umanità si metta insieme non solo attraverso le città o le nazioni, ma anche come comunità globale". Un vero e proprio "manifesto" contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che suona come il primo passo per un suo futuro impegno in politica che tanto piace a progressisti, democratici e radical chic.
L'appello, diffuso senza alcun preavviso, arriva in un momento difficile per Facebook. Da settimane il social network è, infatti, assediato dalle critiche di chi lo accusa di aiutare la disinformazione, attraverso la diffusione di "bolle" in cui si alimentano le fake news. Nella sua lettera, invece, Zuckerberg tintegga un'idealistica e utopica visione del ruolo che la più importante rete sociale può svolgere per un futuro migliore, un ruolo che deve andare oltre la semplice interconnessione. "In tempi come gli attuali - scrive - la cosa più importante che noi di Facebook possiamo fare è sviluppare l'infrastruttura sociale per dare alla gente la possibilità di costruire una comunità globale che lavori per tutti noi".
Secondo Zuckerberg l'obiettivo del social network deve essere quello di migliorare il livello di vita. "Voglio concentrarci sulla questione più importante di tutte: stiamo costruendo il mondo che vigliamo?". "Facebook c'è per avvicinarci di più e costruire una comunità globale. Quando abbiamo cominciato, questa idea non era contestata... Ma ora, nel mondo ci sono persone lasciate indietro dalla globalizzazione e movimenti che spingono per il tirarsi indietro dalla connessione globale". Ci sono minacce che sono "sempre più crescenti", come il terrorismo, i disastri naturali, le crisi dei rifugiati, e il cambiamento climatico, che "hanno bisogno di risposte coordinate".
Zuckerberg ha già detto di non voler correre per la presidenza degli Stati Uniti. Ma il movimento "Never Trump", finanziato anche dal magnate ungherese George Soros, lo vedrebbe molto bene alla Casa Bianca. Nell'intera lettera mister Facebook non fa mai alcun accenno esplicito alle politiche di Trump né al referendum sulla Brexit. Ma è proprio lì che vuole andare a parare. Il tutto senza che nessuno si interroghi cosa potrebbe mai accadere se l'algoritmo che gestisce le vite di oltre 1,8 miliardi di utenti riuscisse a prendersi lo scranno più potente del mondo intero. Nessuno, però, sembra preoccuparsi se il giovanotto, che detiene i big data (anche quelli più privati) delle nostre esistenze, stia tramando dietro le quinte per preparare una campagna elettorale costante anti Trump. Certo, dalla sua parte ha i colossi della Silicon Valley e, soprattutto, la possibilità di manipolare il sentiment degli utenti di Facebook.
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Donald Trump focus
February 13, 2017
Pd, Renzi lancia il congresso: "Nel partito si chiude un ciclo"
Ma Bersani frena: "Andiamo a votare nel 2018"
Emiliano scarica Renzi: "Mi candido alla segreteria"
Quando tre anni fa Renzi disarcionò Enrico Letta
video"Basta, diamoci una regolata"
video"Mi dispiace essere il vostro...
Alla direzione del Pd va in scena l'ennesimo psicodramma dem. Renzi: "Adesso basta rese dei conti". E alla minoranza: "Non è il mio avversario. Scissione? Che sia senza alibi"
"Parliamo con franchezza e chiarezza". Fiaccato dalla sconfitta al referendum del 4 dicembre, dal progressivo crollo nei sondaggi e, soprattutto, dallo scontro interno al partito, Matteo Renzi raduna la Direzione del partito per lanciare la corsa dentro il Pd. Una corsa che passerà inevitabilmente attraverso un congresso da tenersi prima delle elezioni. "Non voglio le scissioni - mette in chiaro - ma se scissione deve essere sia senza alibi. Certamente senza l'alibi del calendario".
Il Pd del dopo referendum sbanda, cala nei sondaggi e litiga fino allo sfinimento. Le varie correnti che affollano il Nazareno sono divise su tutto. Dalla legge elettorale al voto anticipato, dalla politica estera all'agenda politica. Anche se il punto più divisivo tra tutti resta, senza alcun dubbio, la leadership di Renzi. E al centro congressi Alibert, dove si tiene la Direzione del partito, va in scena l'ennesimo psicodramma dem capace di tener sotto scacco l'intero governo. Renzi arriva dall'ingresso di piazza di Spagna, evitando così l'assedio di cronisti e cameraman in via Margutta. La stessa strada, ma in tempi diversi, viene presa dal premier Paolo Gentiloni, dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e da Massimo D'Alema. "Se si va su Google si digita resa dei conti", attacca a lamentarsi Renzi (guarda il video). Che poi intima: "Basta. Diamoci una regolata tutti insieme. Non è immaginabile che tutto rivenga messo in discussione".
L'Unione europea dell'austerity, l'America di Donald Trump e la corsa di Marine Le Pen all'Eliseo. C'è dentro tutto e niente nell'intervento di Renzi che, per oltre un'ora, gira intorno a quello che più lo angoscia. E cioè la leadership all'interno del Partito democratico. "Agli amici e compagni della minoranza voglio dire che mi dispiace se costituisco il vostro incubo - tuona - ma voi non sarete mai il mio avversario, gli avversari non sono in questa stanza, ma fuori da essa". Il congresso sarà lo spartiacque. E Renzi vuole la resa dei conti prima delle elezioni. Perché, se ci deve essere una scissione, è meglio che sia consumata prima del voto. E non dopo, col rischio di trovarsi qualche mina vagante in parlamento. "Chi non vince non scappi con il pallone, vinca il migliore e chi perde sostenga il vincitore", invoca Renzi pur sapendo che con oggi "si chiude un ciclo" del partito. Poi, prendendo in prestito le parole di Erri De Luca, avverte la minoranza: "L'essenza della democrazia è rispettare l'esito del voto".
Uno psicodramma durato per tutta la direzione, con la maggioranza che "snobba" la mozione tra gli altri da Michele Emiliano e Roberto Speranza e nel quale si chiedeva il sostegno al governo Gentiloni fino alla scadenza della legislatura e il congresso in autunno. "I due dispositivi sono oggettivamente alternativi", ha tagliato corto Matteo Orfini, mettendo al voto solo il documento voluto da Renzi.
Alla fine la resa dei conti è rimandata: in 107 hanno approvato la relazione della maggioranza renziana del partito che proponeva un congresso a breve, con le stesse regole adottate nel 2013. "Ci vediamo in Assemblea", ha sentenziato Orfini.
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February 5, 2017
"Francia fuori da Ue e Nato". Marine Le Pen lancia la sfida a Bruxelles
A fine aprile le presidenziali. Marine Le Pen a Lione per presentare il programma: "In caso di vittoria, indirò il referendum sull'uscita dalla Ue"
Marine Le Pen lancia la campagna elettorale in vista delle presidenziali. "La Francia è un atto d'amore e questo amore ha un nome: patriottismo. Voi avete il diritto di amare il vostro paese, è tempo di far rivivere il sentimento nazionale". Parte da Lione la sfida della leader del Front National per conquistare l'Eliseo. Una sfida che, inevitabilmente, dovrà passare attraverso l'uscita dall'euro e dalla Nata. Nei primi sei mesi del suo mandato come presidente, intende infatti convocare un referendum sull'uscita della Francia dall'Unione europea affinché "la parentesi europea" non diventi altro che "un brutto ricordo".
Le elezioni presidenziali francesi del 2017 si terranno il 23 aprile (primo turno) e il 7 maggio (secondo turno). La Le Pen è in testa ai sondaggi e, con ottime probabilità, arriverà ai ballottaggi. La conquista dell'Eliseo, però, risulta più ardua, almeno secondo quanto attestano i sondaggisti francesi. La leader del Fronte National ha comunque preparato un programma ambizioso per riuscire, in caso di vittoria, a "rimettere in sesto la Francia entro cinque anni". Al centro dell'agenda c'è l'uscita dall'Unione europea e la rottura del giogo della moneta unica. "La recente attualità - ha spiegato durante l'appuntamento di Lione - ha dato una dimostrazione eclatante contro la destra del denaro, la sinistra del denaro. Io sono la candidata della Francia del popolo". E, davanti a oltre tremila di persone, ha detto chiaramente che la Francia è "a un bivio" e che il suo obiettivo principale è difendere "le mura portanti della nostra società" di fronte ai "nostri dirigenti, che hanno scelto la mondializzazione sregolata" e "l'immigrazione massiccia".
Il blocco comunitario ha fallito. E gli immigrati che hanno invaso l'Europa negli ultimi tre anni sono la dimostrazione di questo fallimento. Per "ritrovare la sua sovranità", secondo la Le Pen, Parigi deve rompere ogni legame con Bruxelles tornando anche a difendere i propri confini. "Non vogliamo vivere sotto la minaccia del fondamentalismo islamista", ha sottolineato. "Quando si aspira a stabilirsi in un Paese - ha proseguito - non si comincia a violarne le leggi. Non c'è e non ci sarà altra legge o valori in Francia che quelli francesi". E ha aggiunto: "Se vorranno vivere come a casa loro, è sufficiente che restino là". Nel programma, però, non c'è solo la rottura definitiva con l'Unione europea. Durante il comizio di apertura della campagna elettorale per la corsa all'Eliseo, ha promesso che, sempre in caso di vittoria, lascerà il comando integrato della Nato.
Al di là dei sondaggi, la corsa della Le Pen ha buone chance di arrivare a segno. La Brexit e la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane sono due esempi di un nuovo vento che soffia sull'Occidente. "Questi paesi hanno dimostrato che il risveglio dei popoli contro le oligarchie è possibile: altri popoli ci hanno mostrato il cammino", ha concluso l'intervento puntando il ditro contro "i due totalitarismi che minacciano la libertà": la globalizzazione economica e il fondamentalismo islamista.
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January 30, 2017
I buonisti della Ue e dell'Onu ora fanno la morale a Trump
Ondata di indignazione contro Trump. L'Onu sui visti negati ai musulmani: "Illegale e meschino". E l'Ue: "Noi non discriminiamo mai". Ma sono gli stessi che hanno creato l'emergenza terrorismo
I padri dell'emergenza terrorismo islamico adesso fanno la morale a Donald Trump. L'Unione europea e l'Onu, che da anni chiudono gli occhi davanti al contagio islamista trasmesso troppo spesso da un'immigrazione incontrollata e sempre più devastante, attaccano il presidente statunitense per aver bandito gli immigrati che arrivano da sette Paesi a maggioranza musulmana. Un bando che non ha nulla a che fare con il fede in Allah, ma che punta a prevenire nuovi attacchi jihadisti sul suolo americano. Eppure, al pari dei movimenti pacifisti e delle organizzazioni vicine a George Soros che sfilano contro il tycoon, Bruxelles e il Palazzo Vetro hanno alzato il muro del moralismo per difendere l'accoglienza degli immigrati.
Le indagini parlano chiaro. Dietro alle principali stragi che hanno colpito l'Occidente c'è il fallimento dell'immigrazione. Eppure i burocrati dell'Ue, che proprio l'anno scorso hanno dovuto fare i conti con le stragi di Bruxelles, Nizza e Berlino (tanto per citare le più spietate e drammatiche), non si tirano indietro dal difendere quello stesso meccanismo che hanno lasciato l'Europa in balia del terrorismo islamico. "L'Unione europea è contro le discriminazioni sulla base della nazionalità, della razza o della religione - tuona il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas - e non solo quando si parla di asilo, ma di tutte le altre nostre politiche". In un articolo pubblicato nel fine settimana dal giornale tedesco Die Welt, lo stesso presidente Jean-Claude Juncker ha contrapposto il nazionalismo alla giustizia sociale, l'isolazionismo alla fraternità. E lo stesso ha fatto oggi l'Onu definendo la politica di Trump "illegale e meschina". "La discriminazione basata sulla nazionalità è proibita dal diritto umanitario", ha incalzato l'Alto commissario per i diritti umani Zeid Ràad Al Husein invitando gli Stati Uniti a mantenere la"lunga tradizione" di protezione di chi fugge dai conflitti.
Trump, però, non arretra. Non si lascia spaventare dagli attacchi di quell'Europa che nel 2016 ha visto cadere centinaia di figli per mano del terrorismo islamico. La decisione di sospendere per 120 giorni l'accesso dei rifugiati nel paese e di proibire per 90 giorni l'ingresso di tutti i cittadini di sette paesi a maggioranza islamica ritenuti a rischio terroristico, sulla base dei rilievi della precedente amministrazione Obama, è tesa proprio a fermare, una volta per tutte, questa persecuzione contro i "crociati" occidentali. Rivolgendosi alla stampa 48 ore dopo la firma del decreto, che ha suscitato la condanna di tanti politici americani e leader europei, Trump ha negato che la sua amministrazione abbia operato una discriminazione sulla base del credo religioso. "Per essere chiari, questo non è un bando ai musulmani, come falsamente riferito dai media - ha messo in chiaro il presidente - non si tratta di religione, ma di terrorismo e di garantire la sicurezza del Paese".
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