Andrea Indini's Blog, page 115

March 13, 2018

Salvini studia il taglio delle tasse: "Se serve, ignoreremo il tetto del 3%"

Andrea Indini




L'obiettivo è portare le tasse al 15%. Salvini avverte Bruxelles: "Se le regole sono punitive, non rispetteremo il tetto del 3%". E sulla Ue: "Referendum ma non domani"


"Mai nella vita governerò con Renzi". Matteo Salvini lo scandisce con forza. Non è la prima volta a farlo ma anche durante la conferenza stampa a Strasburgo lo ribadisce con energia. "Spero di avere l'onore di guidare il mio paese stando al nostro programma, senza annacquare i programmi, senza inciuci". In cima alla sua agenda c'è sicuramente la riforma del fisco che ha come obiettivo abbassare le tasse al 15%. Ma non solo. Sul tavolo c'è anche un modo diverso di stare in Europa. "I nostri esperti - avverte - lavorano a un piano piano B se da Bruxelles arrivassero solo dei no". A partire dal tetto del 3% per il rapporto debito/Pil e dalla moneta unica.


"Non ho smanie di andare al governo". Nella conferenza stampa a Strasburgo, Salvini annuncia alcuni punti del programma di governo che nei prossimi giorni proporrà al parlamento ("Non ai partiti, ma al Parlamento"). "Se su questo programma di governo ci sarà una maggioranza, io mi prendere l'onore e l'onere di guidare il governo - avverte - ma se per andare al governo devo tirare dietro quelli che sono stati bocciati dagli italiani la settimana scorsa, assolutamente no". Niente larghe intese, dunque. Una pietra tombale su chi in parlamento sta cercando di salire sul carro del vincitore. Il segretario del Carroccio non sembra disponibile a scendere a compromessi. Né a Roma né a Bruxelles. Tanto che, se per portare a casa le misure che ha in mente dovesse mai mettersi contro l'Unione europea, si dice pronto a farlo. A partire dal tetto del 3% per il rapporto deficit/Pil. "Fa parte di quelle regole scritte a tavolino, che se fanno stare meglio i cittadini noi rispetteremo - spiega - ma se in nome di quei vincoli dobbiamo licenziare chiudere e precarizzare allora non rispetteremo". Se, per esempio, dovesse mettersi a cercare 31 miliardi di euro per evitare l'aumento di accise, tasse e Iva, allora Salvini è già pronto a sforarlo andando a Bruxelles a ricontrattarlo.


I rapporti tra la Lega e l'Unione europea non sono mai stati idilliaci. E ora Salvini prova a cambiarli, sapendo però che non può forzare troppo la mano. "La Costituzione italiana impedisce che gli italiani votino su trattati internazionali, purtroppo". Tuttavia, proprio la modifica della Carta rientra nei piani del leader lumbard per i prossimi cinque anni di governo. "Non è qualcosa che è all'ordine del giorno domani mattina", precisa. Come non lo è l'uscita dall'euro. "Era è e rimane una moneta sbagliata - continua - ma non c'è la possibilità di una uscita solitaria dell'Italia". Gli esperti economici del Carroccio starebbero, tuttavia, lavorando a un piano piano B nel caso in da Bruxelles arrivassero solo dei "no".





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Published on March 13, 2018 02:44

March 12, 2018

Il Pd allo sbando si aggrappa a Martina

Andrea Indini








"Il futuro torna". Ma Renzi riparte dal passato



Ecco tutte le correnti del Partito democratico



Ecco tutti i possibili candidati alla segreteria

Direzione complicata dopo il flop alle elezioni. Renzi assente: "Mi dimetto ma non mollo". Martina: "Guida collegiale". Ma conferma la linea di opposizione e frena sul congresso


"Orfini è un artista nel cambiare le regole a seconda delle opportunità di vittoria che ha la sua parte. E ora la sua parte ha possibilità di vittoria più contenute rispetto alle precedenti primarie". Michele Emiliano è sicuramente una delle voci più critiche. E non si fa problemi a bollare il nuovo segretario come "uno di serie B". La direzione arriva in uno dei momenti più caotici nei quasi undici anni di vita del Pd. Il voto svela un partito sotto il 20%. Matteo Renzi si è dimesso cercando però di dettare i paletti sul futuro del Nazareno ("Non fate intese con il Movimento 5 Stelle o la Lega"). Paletti non facilmente digeribili dalla minoranza dem. A Maurizio Martina ora spetta il compito di ricostruire la "collegialità necessaria" a far ripartire il partito.


"Caro Paolo, io non mollo". Alla fine Renzi non si è presentato alla direzione. Dopo le dimissioni, lette pubblicamente da Matteo Orfini all'inizio dei lavori, l'ex segretario ha affidato il proprio sfogo a internet. "Mi dimetto da segretario come è giusto fare dopo una sconfitta - ha scritto nella sua enews a un ragazzo, malato di Sla - ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri". Sono lontani i roboanti slogan del dopo europee 2014 quando il Pd aveva sfiorato il 41%. Alle ultime politiche è sprofondato ben sotto il 20%, lontano persino dallo sfacelo compiuto da Pier Luigi Bersani alle elezioni del 2013 quando era convinto di avere la vittoria in tasca. Alla direzione piddì affida appena due righe di commiato. E promette di spiegare le sue ragioni alla prossima assemblea. Quello che lascia, però, è un partito con le ossa rotte: i numeri sono al minimo storico, le diverse correnti sono quantomai ai ferri corti e all'orizzonte tira una brutta aria. E, se da una parte Andrea Orlando si dice pronto a "sciogliere" la propria corrente, dall'altra si chiede se tutte le aree sono disposte a fare un passo indietro.


Di fronte alle dimissioni Orfini si aggrappa allo statuto, nel tentativo di non far naufragare definitivamente la barca. Da qui a un mese, tempo stabilito per convocare l'assemblea generale, la gestione politica del partito viene così affidata a Martina. Spetterà a lui contenere le spinte della minoranza che ha già fatto trapelare la volontà di azzerare totalmente la direzione. E di fronte al partito in frantumi, Martina si presenta invocando unità. Da parte sua assicura collegialità: "Lo farò con il pieno coinvolgimento di tutti, maggioranza e minoranze, individuando subito insieme un luogo di coordinamento condiviso". Poi, però, allontana subito il congresso e conferma in toto la linea dell'opposizione. "Ora il tempo della propaganda è finito - dice rivolgendosi in particolar modo a Lega e Cinque Stelle - i cittadini vi hanno votato per governare, ora fatelo. Cari Di Maio e Salvini prendetevi le vostre responsabilità". Niente mani nel governo, insomma. Almeno per il momento. Dovrà, tuttavia, accompagnare il Pd nell'ardua ricerca del suo sesto segretario in appena dieci anni di vita. Per eventuali primarie (che probabilmente non ci saranno) si è già fatto avanti Nicola Zingaretti ma i nomi che circolano sono vari. Perché se tutti sono d'accordo con Martina sullo stare all'opposizione, quasi nessuno lo è nel modo in cui nominare il nuovo segretario.





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Published on March 12, 2018 11:35

March 9, 2018

Inizia la partita sulla manovra: Salvini e Di Maio si sfidano sul Def

Andrea Indini




Di Maio e Salvini al lavoro per presentare due proposte. Il leghista avvisa Bruxelles: "Taglieremo le tasse". Il grillino sogna il reddito di cittadinanza


Le bozze coi numeri, i tagli, gli aumenti e le misure non sono state ancora messe sul tavolo. Anzi, devono essere ancora scritte. Eppure la partita sul Documento di economia e finanza, il Def, che di fatto definisce le scelte di politica economica dei prossimi anni e che dovrà essere approvato a maggioranza assoluta dal Parlamento entro il 10 aprile, è già iniziata. È su questo punto che il Movimento 5 Stelle e la Lega sono pronti a sfidarsi sfidano. Con Luigi Di Maio, che cerca convergenze politiche per portare a casa le promesse fatte ai suoi elettori, e Matteo Salvini che invece è già al lavoro per varare una manovra che tagli le tasse.


Subito dopo il voto Di Maio si è messo a lavorare a una sorta di programma da presentare alle altre forze politiche presenti in parlamento. L'obiettivo è trovare partiti alleati che gli diano i seggi necessari a raggiungere una maggioranza in grado di sostenere un eventuale governo pentastellato. "Siamo già al lavoro su una proposta che renderemo nota nei prossimi giorni - conferma oggi al Corriere della Sera - se le altre forze politiche vogliono proporre altre misure che hanno al centro il bene dei cittadini, siamo pronti a discuterne". Quindi, smentisce che il Pd sia la prima scelta del Movimento 5 Stelle per la formazione di un asse di governo. "Lo scrivono i giornali - dice - ma io ho sempre detto che parlo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa".


Eppure potrebbe non essere un caso la scelta di Di Maio di cercare, in prima battuta, un'intesa sul piano economico. Piano che avvicina i grillini alla sinistra. Non a caso Di Maio ha scelto per un ipotetico ministro dell'Economia uno statalista, il "keynesiano eretico" Andrea Roventini, e per il dicastero del Lavoro un docente di Politica economica all'università Roma Tre, Pasquale Tridico, che sogna di reintegrare l'articolo 18. Due figure che potrebbero non dispiacere a un eventuale esecutivo giallo-rosso. Un altro punto di vicinanza potrebbe essere il reddito di cittadinanza. O reddito minimo di inclusione, come preferisce chiamarlo la sinistra. Per un eventuale accordo potrebbero, quindi, partire proprio da qui. E accontentare quegli elettori che in queste ore stanno prendendo d'assalto i Caf per chiedere indietro la "cambiale elettorale".


Di tutt'altro respiro la proposta che ha in mente Salvini. Anche lui sta lavorando a un documento da presentare in parlamento. L'obiettivo è lo stesso: andare a vedere chi è disposto ad appoggiarlo. "Entro aprile, qualunque sia il governo, c'è una manovra economica da preparare - fa presente il segretario del Carroccio - leggo che Bruxelles vuole nuove tasse, noi presenteremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno tasse". Con buona probabilità, la bozza ricalcherà il piano economico presentato dal centrodestra in campagna elettorale. Un piano che, oltre alla flat tax, aveva un nutrito elenco di gabelle e imposte da far saltare. "E - assicura Salvini - a Bruxelles saranno contenti perché tutti sono contenti se l'Italia cresce". Di sicuro, poi, nell'elenco di misure che ha in mente il leader lumbard non c'è il reddito di cittadinanza tanto caro ai grillini. "Non proponiamo di pagare la gente per stare a casa- spiega - proponiamo di abbassare le tasse a chi lavora. Non siamo per l'assistenza". Non ne fa una scelta dettata dai conti economici. Solo che è "culturalmente contrario".





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Published on March 09, 2018 06:39

"Fare un'intesa sulla manovra". Di Maio mette le mani sui conti

Andrea Indini




Vuole formare un'intesa politica a partire dal Def. Un'offerta che guarda a sinistra. Il suo ipotetico governo punta su statalismo, reintegro dell'articolo 18 e reddito di cittadinanza


Luigi Di Maio si muove a tentoni. Cerca un'intesa politica per formare la maggioranza che sostenga un governo pentastellato. Per costruire questa intesa vuole partire dalla manovra, forse una delle scelte più politiche che deve prendere un esecutivo. "Vogliamo agire da subito", spiega in un'intervista al Corriere della Sera guardando al 10 aprile, quando cioé dovrà essere presentato il Documento di economia e finanza (Def) che definisce le scelte di politica economica dei prossimi anni e che dovrà essere approvato a maggioranza assoluta dal Parlamento. "Sarà l'occasione per trovare le convergenze sui temi con le altre forze politiche".


Subito dopo il voto Di Maio si è messo a lavorare a una sorta di programma da presentare alle altre forze politiche presenti in parlamento. L'obiettivo è trovare partiti alleati che gli diano i seggi necessari a raggiungere una maggioranza in grado di sostenere un eventuale governo pentastellato. "Siamo già al lavoro su una proposta che renderemo nota nei prossimi giorni - conferma oggi al Corriere della Sera - se le altre forze politiche vogliono proporre altre misure che hanno al centro il bene dei cittadini, siamo pronti a discuterne". Quindi, smentisce che il Pd sia la prima scelta del Movimento 5 Stelle per la formazione di un asse di governo. "Lo scrivono i giornali - dice - ma io ho sempre detto che parlo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa".


Eppure potrebbe non essere un caso la scelta di Di Maio di cercare, in prima battuta, un'intesa sul piano economico. Piano che avvicina i grillini alla sinistra. Non a caso Di Maio ha scelto per un ipotetico ministro dell'Economia uno statalista, il "keynesiano eretico" Andrea Roventini, e per il dicastero del Lavoro un docente di Politica economica all'università Roma Tre, Pasquale Tridico, che sogna di reintegrare l'articolo 18. Due figure che potrebbero non dispiacere a un eventuale esecutivo giallo-rosso. Un altro punto di vicinanza potrebbe essere il reddito di cittadinanza. O reddito minimo di inclusione, come preferisce chiamarlo la sinistra. Per un eventuale accordo potrebbero, quindi, partire proprio da qui. E accontentare quegli elettori che in queste ore stanno prendendo d'assalto i Caf per chiedere indietro la "cambiale elettorale".





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Published on March 09, 2018 01:36

March 5, 2018

"Renzi ha deciso di dimettersi". Ma è giallo: il portavoce smentisce

Andrea Indini




Débâcle del Pd alle politiche. Al Nazareno tira aria da regolamento di conti. Ed è giallo sulle imminenti dimissioni di Renzi


La rottamazione è conclusa. Dal trionfale 40,8% incassato alle elezioni europee del 2014 al cappotto di ieri. Il declino di Matteo Renzi è tanto veloce quanto la sua ascesa al potere. Si consuma in così poco tempo che brucia tutto quello che incontra. Persino il Partito democratico che scivola sotto la soglia psicologica del 20%. In questa caduta c'è dentro di tutto: una puntata al governo senza passare dalle elezioni, un flop devastante al referendum elettorale, una campagna elettorale fallimentare. E così quel sindaco di Firenze, che si riprometteva di rottamare tutta la vecchia classe dirigente comunista, finisce per rottamare se stesso e il partito che si è messo a guidare con un mezzo colpo di mano.


Adesso le dimissioni sono inevitabili. Anche perché gli italiani hanno parlato chiaro. Dalle ultime elezioni il Pd perde oltre tre milioni di voti e scivola nell'insignificanza politica. Nemmeno nelle Regioni rosse è riuscito a sfondare. "È stato un tracollo... una débâcle", si è lasciato sfuggire persino qualche renziano scorrendo i numeri davanti alla tivù. Al Nazareno, questa notte, Renzi è arrivato prima del previsto e si è chiuso nel suo ufficio con un manipolo di big: Maurizio Martina, Matteo Orfini, Francesco Bonifazi, Luca Lotti e Matteo Richetti. Anche con gli "amici" i numeri sono stati davvero difficili da digerire. Perché sono lontanissimi dal 40% delle europee e dal referendum, ma anche dalla "non vittoria" di Pier Luigi Bersani nel 2013. E persino lo "schema" di buttare la croce sugli scissionisti regge solo fino a un certo punto, visti i risultati poco lusinghieri raggiunti dai bersaniani.


"Lo abbiamo biodegradato", ha scherzato oggi Beppe Grillo. La delusione, tra i dem, è evidente. Così come la tensione. Nessun dirigente si è fatto vivo in sala stampa, disertata nonostante il numero record (300) di accreditati. La minoranza interna, anche fisicamente, ha subito preso le distanze da Renzi. Ieri sera Andrea Orlando ha disertato il Nazareno per seguire lo spoglio a La Spezia, nel suo collegio. E anche il premier Paolo Gentiloni ha scelto il suo ufficio a Palazzo Chigi per seguire lo spoglio. Il loro obiettivo era mettere mano alla composizione della delegazione da inviare al Quirinale per le consultazioni. "Dovrà essere meno renzizzata", è stata la richiesta avanzata dalla minoranza. Ma il segretario potrebbe prenderli in contropiede. Al Nazareno si parla di dimissioni imminenti. Voce che il portavoce Marco Agnoletti si affretta a smentire. Almeno fino alle 17, quando Renzi parlerà in conferenza stampa.





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Published on March 05, 2018 04:59

Elezioni, centrodestra prima coalizione. ​Vola il M5S, il Pd crolla sotto il 20%

Andrea Indini




Il centrodestra incassa il 36%: la Lega davanti a Forza Italia. Il M5S è il primo partito. Il Pd di Renzi è in caduta libera


Cala il sipario su una legislatura contestatissima e divisiva. E, dopo una lunga giornata segnata da errori, ritardi e code, lo spoglio dei voti incorona il centrodestra prima coalizione del Paese. Incassa il 35,7% alla Camera e il 36% al Senato. Il Movimento 5 Stelle è, invece, il primo partito del Paese col 30,78% alla Camera e il 30,91% al Senato. A piangere è Matteo Renzi che, dopo il tracollo del Pd al 19%, dovrà ora fare i conti con i malpancisti dem. Più in generale, il quadro che ne esce è complicato. Nessuna forza politica, né da sola né in coalizione, avrebbe dunque la maggioranza e, quindi, l'autosufficienza per poter governare. A meno che non vi siano "innesti" esterni.


"Si parte da noi - esultano in Forza Italia - il centrodestra è la prima coalizione". All'interno della coalizione, secondo le proiezioni di Tecnè, la Lega supera Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi è al 14,18% alla Camera e al 14,4% al Senato, mentre il movimento guidato da Matteo Salvini è al 18,47% al Senato e al 18,57 alla Camera. "È un momento storico per il Carroccio", chiosa Giancarlo Giorgetti che, escludendo "intese" post voto, avvia le trattative con gli alleati. Tra questi anche Fratelli d'Italia che incassa oltre il 4%. "Dopo cinque anni di governo della sinistra il centrodestra e non il Movimento 5 Stelle è l'alternativa vincente - fanno sapere da Forza Italia - gli italiani, come aveva chiesto il presidente Berlusconi, non hanno fatto prevalere la deriva grillina". La partita, poi, non è affatto finita. "Ci sarà la fila per entrare nel centrodestra...", commenta il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta.


Nelle prossime ore la palla passerà al capo dello Stato Sergio Mattarella. Che non potrà prescindere dall'exploit del Movimento 5 Stelle. Alessandro Di Battista ha già fatto sapere che non intendono aprire ad altre soluzioni se non quella di un governo pentastellato a cui altre forze potrebbero dare l'appoggio su determinati provvedimenti. Ovvero, in altre parole, solo alle condizioni dettate dagli stessi Cinque Stelle. Tutto, però, dipende dal computo (finale) dei seggi. Alla Camera il M5S ne conquista tra 230 e 240, il centrodestra tra 247 e 257, il centrosinistra tra 110 e 120 e Liberi e uguali tra 11 e 19. Al Senato, invece, al centrodestra vanno tra 109 e 119 seggi, ai Cinque Stelle tra 128 e 140, al centrosinistra tra 47 e 55 e a Liberi e uguali tra 7 e 11. A queste proiezioni, però, vanno ad aggiungersi quelli che sono ancora incerti.


Da queste elezioni è il centrosinistra a uscire con le ossa rotte. Alla Camera non arriva al 24%, mentre al Senato si ferma al 22,7%. E il primo imputato è Renzi. "Deciderà lui... ma prima pensiamo al Paese". Ettore Rosato, capogruppo piddì alla Camera, taglia corto quando gli domandano se Renzi lascerà la guida del Pd. "Voglio capire qual è la soluzione che il Parlamento può trovare per garantire un governo a questo Paese - si limita a dire - dopo discuteremo anche di cosa succede al Pd". Andando a guardare i singoli partiti della coalizione spicca, infatti, il crollo del Partito democratico. Che si ferma al 19,4% alla Camera e al 18,7% al Senato. Un abisso da quel 40,8% conquistato alle elezioni europee del 2014, ma anche dalla "non vittoria" di Pier Luigi Bersani nel 2013. Renzi assiste alla disfatta nel suo ufficio al Nazareno con un manipolo di big. Lo "schema" di buttare incolpare gli scissionisti regge solo fino a un certo punto, visti i risultati poco lusinghieri raggiunti dai bersaniani. Liberi e Uguali supera (di poco) il 3%, soglia di sbarramento per poter entrare in parlamento.


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Published on March 05, 2018 01:09

March 1, 2018

La Boldrini zittisce (ancora) Grasso: "Larghe intese? Non se ne parla"

Andrea Indini




Lite a distanza a casa Leu. Grasso apre alla Große Koalition. La Boldrini lo zittisce: "È più dignitosa l'opposizione..."


È ancora rottura tra i leader di Liberi e Uguali. In una intervista al Corriere della Sera, Laura Boldrini ha ribadito di non essere d'accordo a mettere insieme partiti con idee e programmi diversi, qualora dalle elezioni non emergesse una maggioranza chiara e autosufficiente. "Di governi di larghe intese non se ne parla - ha detto seccata - è più dignitoso stare all'opposizione". L'esatto contrario di quanto pensa Pietro Grasso che proprio ieri sera, a Porta a Porta, ha aperto alla possibilità di una Große Koalition anche in Italia.


Non è la prima volta che Grasso e la Boldrini litigano. Lo fanno sempre a distanza. Ma è abbastanza per dire che il collante tra i due tiene fino a un certo punto. Già quando si trattava di decidere sulle alleanze da tessere alle elezioni regionali, i due presidenti se ne erano usciti con posizioni diametralmente opposto. Uno più accomodante, l'altra più intransigente. Lo stesso fanno ora davanti alla possibilità di un governo di scopo con Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Eventialità ventilata ieri sera nello studio di Porta a Porta e ad oggi piuttosto lontana. Eppure Grasso non si è fatto problemi a dire che, se ci dovesse essere questo scopo e se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella glielo chiedesse, lui sarebbe "assolutamente disponibile".


La posizione dell'ex pm non è affatto piaciuta alla Boldrini. "Se ci sarà bisogno di una nuova legge elettorale se ne occuperà il Parlamento, ci confronteremo con le altre forze politiche - ha detto chiaramente al Corriere della Sera - ma di governi di larghe intese non se ne parla. Le persone ti votano per portare avanti il tuo programma, non quello degli altri". Per il presidente della Camera, "ci sono principi e valori non negoziabili". "Se mancano i punti di convergenza penso sia più dignitoso andare all'opposizione", ha incalzando indicando che le priorità di Liberi e Uguali restano la lotta alla precariato, il ritorno all'articolo 18, lo ius soli, la riforma fiscale e "una diversa politica migratoria". "Su questi temi chiederemo chi ci sta e ci confronteremo... - ha concluso - Quanto a Renzi, non è un problema di antipatia personale, ma di politiche".





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Published on March 01, 2018 00:54

February 28, 2018

Migranti, Salvini zittisce la Cei: "C'è chi vuole che giuri sul Corano"

Andrea Indini








"Il Vangelo non dice di accogliere tutti i migranti"

Durissimo scontro con la Cei. Galantino: "Sui migranti sciacallaggio per avere quattro voti in più". Salvini: "E Renzi, Boldrini, Bonino che fanno comizi in chiesa?"


Adesso è scontro aperto. I primi a levare le critiche contro Matteo Salvini sono stati alcuni vescovi, alla spicciolata. L'hanno attaccato perché sabato scorso aveva esibito alla manifestazione di Milano il Vangelo e il rosario. Poi è stata la volta del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che seppur senza far nomi se l'è presa con chi fa sciacallaggio sui migranti "per quattro voti in più". La stessa chiesa che, però, poi chiude un occhio quando dai pulpiti delle chiese Laura Boldrini e Emma Bonino arringano i fedeli invitandoli a votare la sinistra. "Se qualcuno preferisce impegnarsi sul Corano o su altro - replica il leghista - io vado orgoglioso di una tradizione che qualcuno ha negato in Europa".


Tutta colpa del giuramento. Un giuramento (cristiano) che monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara conosciuto come "il vescovo dei profughi" per il suo impegno in favore degli immigrati durante il mandato alla fondazione Migrantes, non ha fatto preso bene. "Qui ci ritroviamo di fronte a un leader che in maniera contraddittoria si presenta col Vangelo e col rosario - ha detto a Repubblica - e dall'altro lato predica la non accoglienza e il rifiuto dell'altro: ieri il meridionale, oggi lo straniero". Non è stato certo più tenero Galantino. Accogliendo i 114 profughi, fatti arrivare a Roma dal Corno d'Africa con il primo corridoio umanitario istituito dal Viminale, non ha perso l'occasione per entrare a gamba tesa in una campagna elettorale già di per sé tesa. "Dopo che avrete raccattato quei quattro voti in più, andate un po' in giro per l'Italia e guardate negli occhi questi bambini - ha detto il capo dei vescovi - poi dite se continuerete ancora a speculare sulla storia drammatica di queste persone".


Da sempre non corre buon sangue tra Salvini e i vertici della Chiesa. Eppure il leader leghista difende da sempre le tradizioni cristiane del Paese. Sabato scorso, per esempio, ha chiuso la manifestazione in piazza Duomo mostrando una copia della Costituzione italiana e del Vangelo: "Mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, ai 60 milioni di italiani e di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti nella Costituzione e nel sacro Vangelo. Io lo giuro, lo giurate con me? Andiamo a governare, riprendiamoci il Paese". Il giuramento, però, non è piaciuto in Vaticano. Ma ai vescovi inorriditi il segretario del Carroccio ha fatto notare che da nessuna parte, nei quattro Vangeli, c'è scritto che bisogna accogliere tutti. "Nella mia Italia l'immigrazione ha delle regole, dei numeri, dei limiti - ha spiegato - con 5 milioni di italiani in povertà il 'prossimo mio' è a Milano, Napoli, Torino, Roma...". E a Galantino, che gli ha dato dello "sciacallo", ha ricordato i comizi di Renzi, Boldrini e Bonino nelle chiese. "Mi spiace se qualcuno si è offeso ma ho fatto un gesto col cuore...".





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Published on February 28, 2018 01:02

February 25, 2018

La polizia contro i "pacifisti" di Amnesty: "Recuperate il senso della vergogna"

Andrea Indini








Amnesty si schiera con l'Anpi per schedare la polizia



Amnesty vede odio ovunque pur di criticare il centrodestra

Poliziotti già a terra pestati selvaggiamente, bombe riempite di chiodi contro gli agenti. Ma Amnesty si muove per tutelare i centri sociali. Il Coisp: "Soffia sul fuoco dell'odio verso le forze dell'ordine"


"Se gli interessi tutelati sono quello dei diritti umani, quegli stessi diritti non li può vantare il carabiniere pestato a terra o il poliziotto con la gamba massacrata dai pezzi di ferro di una bomba carta?". Dal Dipartimento della pubblica sicurezza trapela una fortissima indignazione per l'ultima (vile) campagna di Amnesty Internetional: seguire il corteo dell'Anpi per filmare il comportamento della polizia e denunciare eventuali violazioni dei diritti umani. Diritti che, alle ultime manifestazioni, sono stati puntualmente violati da antagonisti, no global e centri sociali ai danni degli agenti che in piazza cercavano solo di mantenere l'ordine pubblico. "Se proprio vogliono riprendere qualche violazione dei diritti umani - commenta Domenico Pianese, segretario generale del Coisp - allora pensino a immortalare i criminali che lanciano bombe carta piene di schegge ai poliziotti".


Lo scorso 10 febbraio, durante una manifestazione a Piacenza, un carabiniere stava indietreggiando insieme ai commilitoni di fronte alla violenza dei manifestanti quando è inciampato ed è stato circondato dagli antagonisti. Lo hanno colpito con calci, pugni e bastoni (guarda il video). Lì non c'erano i volontari di Amnesty a filmare le nefandezze dei centri sociali. Qualche giorno dopo, a Palermo, il segretario di Forza Nuova Massimo Ursino è stato bloccato da un gruppetto di otto facinorosi: lo hanno legato e pestato (guarda il video). Anche lì non si erano visti in giro i paladini dei diritti umani. E ancora: a Torino, durante il cominizio di CasaPound, i centri sociali hanno lanciato contro gli agenti bombe carta piene di chiodi e pezzi di coccio. Ordigni pensati appositamente per aumentarne la pericolosità. E forse anche per uccidere. Di Amnesty, nel capoluogo piemontese, neanche l'ombra. Ieri, invece, si è "scomodata" per marcare ogni poliziotto e assicurarsi che non torcesse un capello ai manifestanti che, in più di un'occasione, hanno pure provato a forzare i blocchi.


"Il problema di queste settimane è proprio questo inasprirsi delle parti - fanno sapere dal Dipartimento della pubblica sicurezza - fascisti e antifascisti, democratici e antidemocratici. Buoni e cattivi". Almeno da una associazione come Amnesty International gli agenti si sarebbero aspettati una solo differenza: quella contro i violenti. Sul profilo ufficiale della Polizia di Stato è apparso anche un tweet ironico: "Alla manifestazione promossa dall'Anpi presenti osservatori di Amnesty Italia contro violazioni diritti umani. Dopo violenze subite a Piacenza e a Torino le Forze dell'Ordine si sono sentite tutelate". Ma, all'indomani di una giornata di lavoro che ieri ha visto svolgersi in Italia "senza significativi incidenti" ben 119 manifestazioni in 30 province che hanno impegnato circa 5.000 unità delle forze dell'ordine, il Coisp non è disposto a dimenticare facilmente il sodalizio tra Amnesty e i violenti. "I soliti 'pacifisti' tentano da giorni di ammazzare qualcuno in divisa - tuona Pianese - e c'è chi non esita a soffiare sul fuoco dell'odio verso le forze dell'ordine". Da qui l'invito del sindacato a "ritrovare un po' di senso della vergogna". "Invece che difendere i criminali, state senza se e senza ma dalla parte di chi difende i cittadini dai rigurgiti eversivi che stanno avvelenando questa campagna elettorale".





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Published on February 25, 2018 03:00

December 28, 2017

Mattarella scioglie le Camere. Ora si può (finalmente) votare

Andrea Indini








"Non tireremo i remi in barca"



Rosatellum bis, ecco come si voterà il 4 marzo



Dallo scioglimento delle Camere al nuovo governo



Tutti gli impegni internazionali di Gentilonivideo
Mattarella scioglie le Camere

Mattarella vede Gentiloni, Boldrini e Grasso. Poi firma il decreto di fine legislatura. Ora il Consiglio dei ministri indica la data del voto: "Elezioni il 4 marzo"


Rivendica i risultati raggiunti in "una legislatura fruttuosa". Anche nell'ultimo anno perché, a suo dire, il governo "non ha tirato a campare" ma "ha preso molte decisioni". Ma si guarda bene dal parlare di "larghe intese" o dall'ipotizzare un bis a Palazzo Chigi. "Qualsiasi cosa dica in risposta a questa domanda - ammette - credo che sarebbe usata contro di me...". Un punto fermo, però, lo mette sin da subito: Paolo Gentiloni, dopo la conferenza stampa di fine anno, non sale al Quirinale per presentarsi da dimissionario.


Ora la palla passa a Sergio Mattarella. "L'Italia non si mette in pausa - rassicura Gentiloni - ma si affida all'operato del presidente della Repubblica che deciderà le prossime tappe e i tempi. Io vi assicuro che il governo non tirerà i remi in barca ma, nei limiti fissati dalla Costituzione, il governo governerà". Sul dopo elezioni, il premier si limita a ripetere, più volte, un unico auspicio: un buon risultato del Pd. "Penso che dobbiamo avere molto a cuore la sinistra di governo", dice. Ma si tratta solo di una frase di circostanza. Perché da oggi alle prossime elezioni la strada sarà tutta in salita. Soprattutto per i democratici e per i cespugli della sinistra. Che i sondaggi danno in estrema sofferenza. Sessantasei giorni per definire alleanze, formare coalizioni, stendere liste e presentare agli italiani i programmi.


A traghettare il Paese fino alle urne ci penserà, appunto, il capo dello Stato che oggi pomeriggio, dopo aver parlato con Gentiloni per una mezz'oretta (video) e aver visto, in due distinti incontri, Pietro Grasso (video) e Laura Boldrini, ha siglato il decreto di scioglimento delle Camere (video). Decreto che è stato, subito dopo, controfirmato dal Gentiloni. Quindi è stata la volta del Consiglio dei ministri al quale è spettato il compito di varare il decreto con la data delle prossime elezioni. Che si terranno il 4 marzo. Si chiude così una legislatura (la diciasettesima) profondamente segnata dalle (continue) trame di Giorgio Napolitano, dai plotoni di esecuzioni che hanno usato la Severino per cacciare Silvio Berlusconi dal Senato, dalla fallimentare ascesa di Matteo Renzi, dagli scandali bancari e dalla normalità di Gentiloni.


Adesso può iniziare la campagna elettorale. I sondaggi danno il centrodestra a ridosso del 40% (con Forza Italia a fare da traino alla coalizione), il Pd ai minimi storici e i Cinque Stelle in difficoltà con il passaggio di consegne da Beppe Grillo a Luigi Di Maio. Chi vincerà il 4 marzo, si vedrà. Intanto ci godiamo la possibilità di andare a votare e di sceglierci un governo. Visto che, negli ultimi anni, questo diritto (democratico) ci è più volte stato negato.





Tag: 

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Persone: 

Sergio Mattarella
Paolo Gentiloni
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Published on December 28, 2017 12:52

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Andrea Indini
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