Marco Manicardi's Blog, page 49

January 30, 2020

Dei ricordi (9)

Il 30 gennaio del 2017, poco dopo l’ora di pranzo, scrivevo una cosa intitolata “capirai” che diceva così:


La prima volta che porto mio figlio da McDonald’s e nell’Happy Meal regalano un libro. Diventerà un secchione.


Non ci siamo ancora tornati.


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Published on January 30, 2020 09:34

January 29, 2020

Balbi (2)

E in un libro che si chiama L’ultimo orizzonte, del 2019, Amedeo Balbi dice che la consapevolezza dei propri limiti è uno dei tratti che definiscono e rendono efficace il metodo scientifico e che, semmai, ci aiuta a non cadere vittima della confusione, a rimanere lucidi di fronte all’incertezza. E che dire «non so» è, in molti casi, l’unica cosa sensata da dire, ed è comunque sempre preferibile a una posizione non basata sull’evidenza.


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Published on January 29, 2020 08:47

January 28, 2020

A che punto è la prosa

È rinata La prosa della domenica, quella cosa di e su I FERRI DEL MESTIERE di Fruttero & Lucentini (e delle altre cose) che facevo anni fa con con Viarengo e Bonino.

Chissà se dura.




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Published on January 28, 2020 12:25

January 27, 2020

Una piccola spinta che sento sotto le chiappe

Otto anni fa sono stato sul Treno della Memoria, da Fossoli a Birkenau, insieme al dottor Carlo Dulinizo e a una marea di studenti delle superiori. Al ritorno, qualche mese dopo, mandandoci dei messaggi tra Carpi e Cuba (dove si trovava in quel momento il dottor Dulinizo), avevamo poi scritto un piccolo reportage in due parti per No Borders Magazine, cominciava così:



Viaggiare in treno, su quel treno, di notte, chi l’ha già fatto lo sa, è qualcosa di magico. Sarete 550 ragazzi delle scuole e un centinaio di adulti, circa. Appena arrivati alla stazione, cercate l’agenzia di viaggio a cui si sono affidati quelli della Fondazione Ex Campo di Fossoli, vi daranno una busta con informazioni sulle tempistiche del viaggio, le visite che farete, i numeri da chiamare in caso di emergenza ma, soprattutto, vi assegneranno il posto in carrozza e sull’autobus, e sarà quello per tutto il viaggio. Alla partenza non riuscirete a stare nel piazzale, e mentre le autorità vi ricorderanno cos’è stato e cos’è questo viaggio per loro e per la collettività, uno di voi farà caso alla dimensione, all’insieme, al mucchio di persone in attesa di partire. Poi si sale a bordo e iniziano gli addii dal finestrino.


[Nella promiscuità della stazione, ognuno cerca il posto assegnatogli d’ufficio. Lo faccio anch’io. Mi tolgo il giubbotto invernale, appoggio lo zaino stracolmo della roba che serve nei cinque giorni che mi separano dal ritorno, stringo mani sconosciute e mi siedo in silenzio, quasi ad aspettare chissà cosa. Quel chissà cosa è una piccola spinta che sento sotto le chiappe, quella spintarella che dice che il treno è in marcia. L’avrò sentita un milione di volte, ma questa è diversa, è come se mettesse in moto la testa.]


E continuava su No Borders Magazine, in due parti:



TRENO DELLA MEMORIA 2012, PRIMA PARTE: IL TRENO
TRENO DELLA MEMORIA 2012, SECONDA PARTE: LA MEMORIA


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Published on January 27, 2020 08:49

January 26, 2020

Quel friccicorino in cabina…

… e la paura di sbagliare, piegare le schede con cura.

Prima di entrare, fermarsi a guardare i tabelloni, cercando di non sostare troppo su una lista, ché non si facciano delle idee. Con la matita tiri una linea troppo lunga e arrivi quasi alla fine del quadrato, e hai paurissima di invalidarla. Fare quindi la ics pian pianino, precisa, attenta. Ripassarla due, tre volte, ché sembra sempre troppo sottile, o troppo chiara. Mettere da parte le schede, però non ci stanno, quindi controllare che mentre fai la ics non ce ne sia una sotto per sbaglio. Poi piegarla e metterla da parte. E via con la seconda. Magari hai anche le regionali, quindi scrivere per bene la preferenza. Non come le altre volte, che volevi scrivere un nome, e poi ti sei scordato.

Riaprire le schede, ricontrollare.

Sei dentro da troppo tempo? Si staranno chiedendo qualcosa? Il tempo dev’essere giusto, non devono pensare che sei arrivato impreparato, o che hai dei dubbi. E ogni volta vorresti uscire e chiedere brandendo ansiosamente la scheda: signorina me la controlli lei, ho fatto giusto? È valido?

E le vuoi mettere tu nell’urna. Ma lo sai che non potresti? Sì, lo sai, ma hai questo moto d’egoismo, così protettivo. Guardi la signorina presidente, sta scrivendo delle cose. Lo faccio? Non lo faccio? Lo fai. Controlli millemila volte i colori, trattieni la scheda a metà del foro, ricontrolli. La lasci andare. Respirare.

Dai che hai fatto anche tu lo scrutatore, cerca di essere preciso, la matita è da restituire, e saluta con un sincero “Buon Lavoro”.

Poi esci dal seggio con la profonda impressione di aver dimenticato qualcosa di importantissimo. Tutti questi drammi pre e post elezioni e vivi nel terrore di esserti annullato la scheda, come un coglione. Apri la tessera, guardi il timbro. E lo rifai due o tre volte, nel tragitto verso casa.

Mi spiegate perché una cosa che dovrebbe essere a prova di idiota nei fatti è pensata per far uscire esseri umani adulti e alfabetizzati col terrore di avere sbagliato?

Che roba buffa, la democrazia.


Musica:



__________

Questo era una specie di post collettivo che avevamo scritto sul vecchio FriendFeed il giorno delle politiche del 2013, era febbraio. Lo metto qui così com’era, senza il link al FriendFeed, perché il FriendFeed è morto. Oggi ci sono le Regionali in Emilia Romagna e i tempi sono decisamente cambiati. Per esempio, piove. Speriamo bene.


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Published on January 26, 2020 03:01

January 22, 2020

A metà

Ieri mattina uno scrittore inglese di nome Alex Christofi diceva su Twitter che il giorno prima era stato definito «assassino di libri» da un suo collega, perché lui, Alex Christofi, ha l’abitudine di tagliare a metà i libri lunghi, così sono più comodi da portare in giro. E chiedeva se per caso c’era qualcun altro che facesse la stessa cosa.

Metteva anche una foto dei suoi libri tagliati:



(secondo me è molto bella)


Stamattina Diago Viarengo, un mio amico di Torino, gli ha risposto che un famoso scrittore italiano, Franco Lucentini, aveva la stessa abitudine. Ma non per portarseli in giro: lui, Franco Lucentini, tagliava i libri a metà perché così era più comodo quando leggeva a letto mentre fumava delle sigarette.


L’unica cosa che mi viene da dire è che hanno tutti ragione.


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Published on January 22, 2020 13:39

January 21, 2020

Dick

E in un saggio intitolato Come costruire un Universo che non cada a pezzi dopo due giorni, del 1978, dentro a un libro che si chiama Se vi pare che questo mondo sia brutto, del 1999, Philip Kindred Dick dice che la realtà è ciò che non sparisce quando smetti di crederci.


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Published on January 21, 2020 08:12

January 20, 2020

La dolce metà

Tu l’hai mai vista La dolce vita?, mi dice lei, sei anni fa, oggi.

Macché, le rispondo.

Pensa che strano, mi fa, neanche io, eppure siamo due tipi che ci piacciono i vecchi classici.

Eh, dico io, è strano.

Va bene, decide lei, andiamo a casa mia, ce l’ho in videocassetta.



Era un periodo, quello, che ci eravamo conosciuti da poco, e stavamo alzati tutte le notti fino alle cinque del mattino, a casa sua, a bere delle birre, a suonare la chitarra, a fare delle gran chiacchiere. Senza toccarci.


Allora siamo andati a casa sua, sei anni fa, oggi, abbiamo messo su la videocassetta de La dolce vita, una di quelle videocassette allegate a l’Unità ereditate dai nonni, e ci siamo messi a guardare quel Cristo in bianco e nero che veniva trasportato sui tetti della città da un elicottero. Stavamo seduti un po’ distanti, ma neanche tanto, e guardavamo la televisione. Senza toccarci.

Eravamo a metà del film, mi pare, sei anni fa, oggi, quando mi sono sentito un bacio sul collo, che un bacio così, sul collo, in quel modo lì, non me l’aveva mai dato nessuno. È andata a finire che ci siamo toccati.


E sono passati sei anni, oggi. Toccarci, non abbiamo più smesso. La dolce vita, invece, è ancora lì, sullo scaffale, vista a metà. Magari è anche un bel film, non lo so. Ma va bene così.


__________

Questo pezzetto l’avevo scritto su Barabba il 26 marzo del 2011; adesso, di anni ne sono passati più di quattordici, tra due mesi quindici, e ne sono passati esattamente cento dalla nascita di Federico Fellini.

Siamo cambiati molto, noi, e non è cambiato nulla, tra noi. L’unica cosa, quella videocassetta chissà dov’è finita quando abbiamo traslocato. E il videoregistratore non ce l’abbiamo più, ma va poi bene anche così.

Va strabenissimo così.


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Published on January 20, 2020 08:22

January 14, 2020

Fruttero & Lucentini (4)

E in un’opera teatrale che si chiama La cosa in sé, del 1982, di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, c’è una figlia che dice a un medico che l’unica cosa di cui Cartesio non dubitava era di esserci lui stesso. «Penso, dunque sono». E che tutto il resto, cose e persone, poteva benissimo esistere solo nella sua testa.

E il medico le risponde che poi s’è visto che non era vero, perché Cartesio è morto e loro, tre secoli dopo, sono ancora lì.

E allora la figlia gli dice che questo non significa che fosse sbagliata l’idea. E che significa semplicemente che il vero solipsista non era Cartesio.


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Published on January 14, 2020 07:43

January 13, 2020

La Bionda e il Nemico

Mia bisnonna si chiamava Galavotti Angiolina, prima il cognome e poi il nome, come d’uso tra la gente nata povera e mezzadra, specie nel 1905, anno di nascita, appunto, di Galavotti Angiolina detta Bionda. Bionda forse per il colore dei capelli, non lo so, io li ho sempre visti in bianco e nero, sulle foto e sulla sua testa. Per me e per la mia famiglia resta ancora un mistero.


Ci ricordiamo, invece, dell’altro soprannome che aveva: Scelba. E la Bionda, Scelba, non era, come avrete capito, una personcina alla mano. Era spietata, una matriarca, una matrona, una severa padrona di casa come in un romanzo ottocentesco; ma a me voleva bene, e me ne voleva talmente tanto che penso di essere stata la persona che da lei, in vita sua, ha ricevuto più sorrisi di tutti. Con mia sorella non era così. Con lei mai un sorriso, solo convenzioni e convenevoli, magari soldi, ma mai sorrisi. Per me, il maschio primogenito, sorrisi e buffetti. Sorrisi, buffetti e minestrone: lei faceva sempre il minestrone.



Con la Bionda ci passavo le giornate, perché i miei genitori lavoravano in fabbrica, ed erano talmente giovani che lavoravano in fabbrica anche i miei nonni, non erano ancora in pensione. In casa con la Bionda, con Scelba, guardavo sempre i cartoni animati mentre lei mescolava il minestrone e ogni tanto, sempre senza smettere di mescolare, la Bionda si girava di scatto e mi sorrideva. Una cosa che mi viene il magone solo a ripensarci. Una cosa che quando lo raccontavo a mia mamma, alla sera quando tornavo a casa, quando le raccontavo che la Bionda mi sorrideva, mia mamma diceva mavalà.


Quando non c’erano i cartoni ogni tanto leggevo, perché mi piaceva leggere, e a lei piaceva farmi leggere e sorrideva mentre mescolava il minestrone. Leggevo per modo di dire, ma leggevo. Leggevo Topolino, leggevo l’Unità, che in casa della Bionda, di Scelba, non mancava mai, leggevo la Gazzetta di Modena e TV Sorrisi&Canzoni. Proprio lì, un giorno, su TV Sorrisi&Canzoni, mentre la Bionda era sempre a mescolare il minestrone, mi ero soffermato sulla foto di un manifesto elettorale, che per me era una foto bellissima, e manifesto elettorale, a quell’età lì, non sapevo neanche cosa fosse. La foto era bianca, a tutta pagina, con un garofano rosso che faceva da pavimento a un signore pelato con gli occhiali, un signore distinto ma un po’ buffo, che ci camminava sopra. Allora devo aver fatto un risolino, così tra me e me, e la Bionda si era girata per guardarmi, mescolando il minestrone, col suo solito sorriso a ricambiare il mio.


Nonna, chi è questo qui con gli occhiali? le avevo chiesto, sempre col risolino, tirando su la pagina per fargliela vedere. La Bionda, Scelba, ha allungato il collo e subito è diventata seria. Ma seria tipo serissima, una faccia che non avevo mai visto, peggio di quella della mamma quando si arrabbiava, peggio, molto peggio, serissima come le zie cattive dei cartoni per ragazze. Ha smesso subito di mescolare e si è seduta di fianco a me, seria serissima; io avevo l’ansia e quasi il fiatone, lei sempre seria, serissima. Marco, mi ha detto… Marco, guardalo bene, guardalo bene perché lui, questo qui, lui è il nemico.

E io lo guardavo bene, il nemico. Lo guardavo bene sperando che la Bionda, Scelba, smettesse di guardare me così seria serissima.


Oggi, che la Bionda non c’è più, tutte le volte che vedo quella faccia buffa e con gli occhiali in televisione o sento quel nome, buffo anche lui, con quella “x” in mezzo, perché vogliono metterlo su una strada, su una targa, o ribadire chi fosse e chi non fosse, io vedo mia bisnonna, la Bionda, Scelba, Galavotti Angiolina, cognome e nome, che molla il minestrone e diventa seria serissima come le zie cattive dei cartoni per ragazze.

Poi comincia l’ansia. E il fiatone.

E se per caso sto facendo un risolino, ecco, allora non sorrido più.


__________

Questo pezzo l’avevo scritto su Barabba il 19 gennaio del 2010, quando tutti parlavano di quel tipo buffo e con gli occhiali perché gli volevano intitolare, se non mi ricordo male, una piazza o un corso o una via. Mi è tornato in mente adesso, che quel tipo buffo e con gli occhiali lo vedo saltar fuori sui socialcosi, tutti i giorni, perché ci han fatto un film.

Anche oggi, come allora, non c’è niente da sorridere.


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Published on January 13, 2020 06:38