Marco Manicardi's Blog, page 46
March 24, 2020
Così va la vita (di sei ragazzini al Louvre)
È una storia piccola, me ne rendo conto, molti avranno la loro, molto più interessante di questa, ma questa è la mia. È una storia del 1998, quando avevamo diciannove anni e ci eravamo appena diplomati, e in quell’estate di nulla estremo che ci separava dall’università o dal lavoro a vita eravamo partiti in sei su un treno, con gli zaini sulle spalle e delle scarpe buone per camminare, e un biglietto dell’Interrail in tasca valido per Francia, Belgio e Olanda per venti giorni. Non tutti, ma alcuni di noi avevano un obiettivo preciso: c’era quello che voleva arrivare ad Amsterdam, e aveva dei motivi validissimi; uno voleva vedere Omaha Beach per dare un senso alla propria collezione di carri armati e soldatini; io volevo essere a Parigi esattamente il 2 di agosto per vedere Marco Pantani arrivare in maglia e pizzetto gialli sugli Champs Elysées, l’ho anche già raccontato un’altra volta; e poi c’era quello, tra noi, che aveva una smania grandissima di visitare il Louvre.
E così, una mattina d’agosto di quello stranissimo 1998 di libertà sconfinata, ci eravamo trovati tutti e sei in coda a una fila lunghissima davanti alla biglietteria del museo; uno era eccitatissimo, tutti noialtri gli stavamo dietro guardandoci intorno, senza ben capire perché fossimo lì a fare quella fila noiosissima per andare in un posto noiosissimo mentre gli ormoni che scalpitavano forte ci dicevano che, molto probabilmente, c’erano delle altre cose da fare in una città grande come Parigi per della gente della nostra età.
Ma comunque, alla fine, eravamo entrati.
Quello che aveva come obiettivo il Louvre ci guidava per le stanze del muso, quasi di corsa, senza fermarsi davanti a niente, a parte forse un minuto scarso davanti alla Gioconda, ma giusto per raccontarlo la sera ai genitori da un telefono a gettoni. Poi a un certo punto, dopo una mezz’ora o forse di più, e forse perché avevamo anche insistito tanto per saperlo, ci aveva detto: «stiamo cercando la Medusa».
La Medusa?
La Medusa non era un animale marino, come avevano pensato alcuni di noi, e neppure il mostro mitologico on la testa piena di serpenti, come immaginavano gli altri altri, i più secchioni del gruppo. La Medusa era un quadro.
«Ecco,» aveva detto quello che voleva andare al Louvre con tanta smania, e indicando con un dito una parete di una stanza grandissima ce l’aveva fatto vedere:
Noi, mi ricordo, avevamo guardato il quadro, che era molto bello, bisognava ammetterlo.
Poi avevamo guardato la faccia di quello che voleva andare al Louvre, che era contentissimo e appagato e sorrideva, e avevamo riguardato il quadro, e poi avevamo riguardato quello che voleva andare al Louvre, che adesso annuiva piano piano con la testa.
Poi ancora il quadro.
Poi ancora lui.
«Beh?» Gli avevamo chiesto.
«Beh cosa?» Ci aveva risposto.
«Cos’è?» Gli avevamo chiesto.
«Il mio fumetto preferito di Asterix,» ci aveva detto.
Così va la vita.
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March 23, 2020
Tolstoj (5)
E nel primo capitolo di un libro che si chiama Resurrezione, del 1899, di Lev Nikolàevič Tolstòj, la Màslova viene scortata da alcuni soldati attraverso il paese, verso il tribunale dove sarà giudicata per un crimine, e Tolstoj dice che i vetturini, i bottegai, le cuoche, gl’impiegati si fermavano e squadravano con curiosità la prigioniera; e che alcuni tentennavano il capo e pensavano «Ecco come finisce chi si comporta male, chi non si comporta come noi».
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March 22, 2020
DUEPONTI, Bootleg (i testi)
Quindi, come ho scritto centocinquanta volte in giro per l’internet, un po’ per vanità, un po’ per frustrazione, in questo periodo di isolamento forzato avremmo dovuto suonare con una band che per adesso si chiama DUEPONTI (in maiuscolo, tutto attaccato) e sarebbe stato il nostro primo (primissimo!) concerto. E invece, niente. Pazienza.
Allora abbiamo messo su bandcamp il nostro Bootleg, cioè una sottospecie di demo registrato dal vivo con un registratore portatile il 7 febbraio nella sala 4 dell’ex Ekidna di Migliarina, vicino a Carpi, in provincia di Modena, davanti a quattro o cinque persone.
Il “disco” si può ascoltare (e scaricare gratis) qui (se riesco, come si dice, a embeddarlo bene):
E qui di seguito metto tutti i testi, a parte le due cover (ci sono due cover).
Visto che ci sono un sacco di riferimenti, metto anche le note in fondo, se uno ha voglia di cliccare quando le incontra e di andare a leggerle.
Se vi piace, ci fa piacere.
1. (intro)
Dal Queen’s, per la Cantina Sociale, giù giù fino alla Lama; sui binari della ferrovia, dalla Stazione all’Ape Regina; tre locali, due pizzerie, un Foro Boario costruito nel ventennio – sulla facciata quattro rettangoli, con tre stemmi in bassorilievo, il quarto è liscio: nella Primavera del ’45 qualche anima giusta ha appoggiato una scala al muro, è salito su e ha scalpellato il fascio littorio, l’ha grattato via – dietro, un parco, intitolato a Karol Józef Wojtyła, se ci passi il martedì o il sabato mattina, sotto la tettoia di pietra c’è il mercato contadino, se ti guardi intorno, sui cestini della spazzatura, sui pali della luce, ci sono gli adesivi dello Yekîneyên Parastina Gel, chissà se si legge così, l’Unità di Protezione Popolare del Rojava.
E anche lì, nei Due Ponti…
… era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi, era l’era della saggezza, era l’era della follia, era l’epoca della fede, era l’epoca dell’incredulità, era la stagione della Luce, era era la stagione delle Tenebre, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, avevamo tutto davanti a noi, non avevamo niente davanti a noi, andavamo tutti direttamente in Paradiso, andavamo tutti direttamente dalla parte opposta – insomma, il periodo era così simile a quello attuale, che alcune delle più clamorose autorità insistevano affinché se ne parlasse, nel bene o nel male, soltanto al superlativo.1
2. Prima di tornare a letto
Prima di tornare a letto e tentare di dormire afferro un foglio di carta. Scrivo ai miei futuri nipoti: se un giorno vi parlerò bene degli anni Ottanta, provate a farmi delle domande diverse. Se insisto, avvertite la mamma che il nonno si è rincoglionito.2
Tutto era meglio
Tutto era bello
Prendilo e corri
Santo Camurri
Tutto era peggio
Tutto concesso
Alzati e corri
Santo Camurri
Chiedevo sempre a mio padre cosa volesse dire C.C.C.P., quando lo leggevo sulle canottiere degli atleti ai mondiali o alle olimpiadi.
Mio padre rispondeva tutte le volte: «Col Cazzo Che Perdiamo!»
Tutto era meglio
Tutto era bello
Prendilo e corri
Santo Camurri
Tutto era peggio
Tutto concesso
Alzati e corri
Santo Camurri
Avevo dieci anni quando cadde il muro. Quasi undici.
3. È un fatto che appare sempre ovvio
È un fatto che appare sempre ovvio quando ormai è troppo tardi, ma la più spiccata differenza tra la felicità e la gioia è che la felicità è un solido e la gioia un liquido.3
E il bisogno involontario di sorridere è una delle più belle sensazioni a nostra disposizione, no?4
Per quanto gli uomini si sforzassero, radunandosi a centinaia di migliaia in un posto piccolo, deturpando quella terra sulla quale si eran stretti, per quanto soffocassero la terra di pietre perché niente, in lei, nascesse, per quanto estirpassero ogni erba che spuntava, per quanto esalassero fumo di pietra, di carbone e di nafta, per quanto tagliassero alberi e cacciassero tutti gli animali e gli uccelli, la primavera era primavera anche in città.5
4. È il momento che tu impari
È il momento che tu impari, mio saggio figliolo, che il mondo è più pazzo di un cavallo. Se non puoi difenderti, scappa, corri e mettiti a urlare “al fuoco!” o “mi vogliono violentare!”, devi essere ancora più pazzo di loro, devi avere il fuoco tra i capelli: questo è il mio consiglio.6
Cos’è la solitudine?
Nessuno mi risponde7
Ai fuochi leggeri della provincia
si consuma la nostra giovinezza.
Di generazione cresciuta coi nonni,
generazione amata nelle pause del lavoro8
Cos’è la solitudine?
Nessuno mi risponde
5. Allarme (C.C.C.P. Fedeli alla linea)9
6. Tutti pazzi (Negazione)10
7. Prova a crocifiggere il Sole
Prova a crocifiggere il Sole, vedrai se c’è Dio.
Dio non c’è: noi siamo i suoi profeti. 11
__________
1.^ Charles Dickens, Racconto di due città; 1859
2.^ Vitaliano Ravagli e Wu Ming, Asce di Guerra; Einaudi, 2005
3.^ J.D. Salinger, Il periodo blu di De Daumier-Smith; in Nove racconti, 1953; Einaudi, 1962, trad. Carlo Fruttero
4.^ David Foster Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi; Einaudi, 2010
5.^ Lev Tolstoj, Resurrezione, trad. Paolo Nori
6.^ Jonathan Lethem, La fortezza della solitudine; il Saggiatore, 2004
7.^ più o meno tratto dall’esergo di Leo Ortolani, Rat-Man Collection #25, La Bella e la Bestia
8.^ Matteo Ferretti, Tutto brucia e annuncia, Edizioni Casagrande, 2019
9.^ è un pezzo dei C.C.C.P. Fedeli alla linea, da 1964-1985 Affinità-Divergenze Fra Il Compagno Togliatti E Noi Del Conseguimento Della Maggiore Età, del 1986
10.^ è un pezzo dei Negazione, da Tutti pazzi, del 1985
11.^ ispirato a La strada di Cormac McCarthy (piu o meno)
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Il Bootleg dei DUEPONTI è stato masterizzato da Alessandro Zanotti (The Death of Anna Karina, Ornaments, Wooz e un botto di altre cose) tra Carpi, in provincia di Modena, e Cisowa, in Polonia (dov’era andato a lavorare in quegli ultimi giorni di febbraio).
E la copertina ce l’ha regalata Patrick Aleotti (makkinoso).
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March 21, 2020
Catalano
E in una poesia intitolata il mare visto da un poeta, dentro a un libro che si chiama Motosega, del 2007, Guido Catalano dice che una cosa che gli dà noia dei poeti è che difficilmente se gli chiedi di controllarti l’olio o le pasticche dei freni sono capaci.
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La gente che si lamenta che c’era la gente in giro
Che cosa ci faceva in giro?
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March 19, 2020
Il nome del padre
Mio padre si chiama Iules, ma non si è sempre chiamato così. Prima era Jules, con la J.
Fino ai quarant’anni, più o meno, cioè fino all’età che ho io in questo momento, e a pensarci mi gira un po’ la testa, su alcuni dei suoi documenti c’era la I, su altri c’era la J. All’anagrafe dicevano che c’era la I ma poi si grattavano la nuca e rispondevano che boh, non erano sicuri neanche loro, perché una volta le schede venivano compilavate a mano e proprio lì, sotto la I di Iules, c’era uno sbavo. Non si capiva se fosse inchiostro sputato dalla penna o uno sbavo intenzionale. Nel 1953 la J non era una lettera tanto in voga, c’era della gente che non la conosceva e l’impiegato dell’epoca, nel dubbio, c’era il caso che avesse sbavato apposta.
Mia nonna, sua madre, gli aveva messo nome Jules perché era una grandissima appassionata dei fotoromanzi su Grandhotel, e nei fotoromanzi di Grandhotel c’era questo Jules che, da quello che avevo capito quando me l’aveva spiegato, era un gran figo. Allora m’immagino che mio nonno, quando era corso all’anagrafe per registrare suo figlio, su un bigliettino avesse scritto Jules copiandolo da un numero di Grandhotel con la calligrafia tremolante per l’emozione, e non s’immaginava, forse, che Jules si dovesse leggere alla francese. All’impiegato dell’anagrafe avrà detto «iules», poi gli avrà fatto vedere il bigliettino e l’impiegato, nel dubbio, deve aver compilato la scheda, forse apposta, con lo sbavo.
Mi ricordo che mio padre fino ai quarant’anni, più o meno, cioè fino all’età che ho io in questo momento, che è una cosa abbastanza incredibile, si firmava con una I che sembrava una J, ed era contento così. Faceva un più bel ricciolo sotto la I, una cosa quasi artistica, una felicità ogni volta che doveva firmare un assegno o un voto sul mio diario o una giustificazione per la scuola o una nota. E io lo guardavo sempre con ammirazione, ogni volta che firmava, e gli dicevo: «Papà ma che bella firma, e che bel nome» .
A un certo punto, però, gli era arrivata una lettera dallo Stato. Dentro c’era scritto che bisognava prendere una decisione per chiudere la questione, perché lassù, negli uffici misteriosi dello Stato, non erano mica tanto sicuri che fossero arrivate tutte le bollette e fossero state pagate tutte le tasse.
Con quella lettera gli dicevano: Gentilissimo Sig. Iules, o Jules, si decida, le mandiamo un modulo da compilare e lei sceglie il suo nome una volta per tutte, noi le inviamo dei documenti nuovi di zecca e aggiorniamo tutte le sue pratiche; però si decida, perché qua non ci capiamo niente.
E mio padre, me lo ricordo proprio così, è stato una settimana col mento appoggiato sul pugno, seduto al tavolo della cucina, a decidere come chiamarsi da lì in poi.
Una mattina, senza dir niente a nessuno, si è alzato presto ed è andato a spedire il modulo. Quando è tornato a casa si è fatto un caffè, e quando ci siamo svegliati, io e mia sorella, ci ha detto: «Ragazzi, ho una notizia da darvi: adesso mi chiamo Iules con la I.»
(è quello con la camicia gialla, una ventina d’anni prima di decidere di chiamarsi definitivamente Iules)
Ho sempre pensato che decidere il proprio nome a quarant’anni, più o meno, sia una cosa giusta. Lo penso anche adesso, che ho quarant’anni anch’io, anche se faccio ancora fatica a rendermene conto.
Se fosse per me, scriverei, voterei e approverei una legge per la quale ognuno, a quarant’anni, più o meno, o anche prima, se vuole, può scrivere una lettera allo Stato dove gli dice che nel pieno delle facoltà mentali ha preso la decisione fortemente ragionata, ponderata e magari anche discussa con la famiglia, di cambiare nome. E anche il cognome, se uno ha voglia. Poi, ovviamente, se a uno piace il nome che porta, quello che gli hanno dato alla nascita, lo può anche tenere. Non ci sarebbero obblighi, solo libertà e prese di coscienza. Sarebbe una specie battesimo laico. Una cosa matura per una persona e, mi viene da pensare, anche per uno Stato.
Io, per esempio, non avrei dubbi.
Io, lo so per certo, se potessi, da domani mi chiamerei John Laser.
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Questa cosa l’avevo scritta su Barabba, dieci anni fa, la rimetto qui oggi un po’ rimaneggiata, che è la festa del papà. Ciao papà, auguri.
E STAI A CASA, santocielo.
Stasera ci sentiamo. Ti videochiamo.
Ciao.
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March 18, 2020
Così va la vita (magnifica o mostruosa)
E in un libro che si chiama Limonov, del 2011, Emmanuel Carrère dice che Limonov parlava in modo semplice e immaginoso, con l’autorevolezza di chi sa che non verrà interrotto e una predilezione per gli aggettivi «magnifico» e «mostruoso». E che Limonov non conosceva vie di mezzo: tutto era magnifico o mostruoso.
E nello stesso libro, Evgenij Nikolaevič Prilepin, conosciuto come Zachar Prilepin, dice che la prima volta che aveva visto Limonov aveva pensato «È un individuo magnifico, capace di atti mostruosi.»
E invece in un libro che si chiama Libro dell’acqua, del 2002, Ėduard Veniaminovič Savenko, conosciuto come Ėduard Limonov, o anche solo Limonov, dice che la prima tempesta della sua vita gli aveva rivelato tre cose. La prima: che non soffriva il mal di mare. La seconda: che si aspettava da un momento all’altro che contro il finestrino si abbattesse un calamaro o una piovra, cosa che non era poi successa. La terza: che il mare durante e dopo una tempesta odora come una botte di cetrioli.
Così va la vita.
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March 17, 2020
Nerd prima di te
Abbiamo iniziato a guardarci la trilogia di Guerre Stellari (LA trilogia, quella vecchia, episodi IV, V e VI; non ci sarebbe neanche bisogno di scriverlo, ma quello di oggi è un mondo strano), un po’ per “colpa” dei Lego di Star Wars, un po’ per via dell’isolamento che ci ha fatto esaurire in poco tempo tutto il parco di cartoni che avevamo a disposizione. Ci guardiamo metà film ogni sera, e ieri sera era la sera della seconda parte de L’impero colpisce ancora. Ero abbastanza teso per via della rivelazione finale, ma quando Dart Fener (in italiano, mio figlio ha quasi cinque anni, non facciamo i mujaheddin di battaglie futili, per piacere) ha pronunciato quella frase là, quella famosa, ero lì che fissavo con impazienza il Miny invece dello schermo per capire la sua reazione.
Non ha fatto una piega.
Si è girato e mi ha detto: «Ah, come il cattivo di Toy Story, quello che dice che è il padre dell’altro Buzz Lightyear.»
E si è rigirato a guardare la fine de L’impero colpisce ancora come se non fosse successo niente. Gli è comunque piaciuto molto.
Ovviamente, ha sempre ragione lui:
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March 15, 2020
Fruttero & Lucentini (5)
E sempre in un libro che si chiama I ferri del mestiere: Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti, del 2003, Carlo Fruttero e Franco Lucentini dicono che basta uno sciopero aeroportuale, un ingorgo sull’autostrada, per far pronunciare da milioni di persone sbigottite la domanda Ma qui dove andremo a finire?
E dicono che questa è l’anticamera della fantascienza.
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March 14, 2020
Pedala, Marco, pedala! (però da casa, tipo sui rulli)
Ieri, che era venerdì 13, con Barabba abbiamo organizzato una grande lettura pubblica da casa, sui socialcosi, di un libro elettrico che si chiama Cronache di una sorte annunciata e che avevamo pubblicato nel 2010, dieci anni fa con Barabba Edizioni. Ha partecipato tanta gente ed è andata molto bene, così.
Per quel libro avevo scritto un racconto che si intitola “Pedala, Marco, pedala!” e ieri sera l’ho letto davanti al computer. Il video è questo qui (se riesco a embeddarlo bene, come si dice in gergo, portate pazienza):
Marco Manicardi legge "Pedala, Marco, pedala!" di Marco Manicardi(dedicato anche a tutti quelli il cui mestiere è nel ciclismo, e che adesso devono stare a casa)https://www.facebook.com/events/26134...
Gepostet von Barabba / Barabba Edizioni am Freitag, 13. März 2020
Dopo, stamattina, mio padre mi ha girato questo commento che gli era arrivato su WhatsApp:
È bellissima fai i complimenti a tuo figlio. Ho vissuto anch’io situazioni simili pur vincendo dieci corse in cinque anni dai 15 ai 19. A presto. Beppe
Beppe è Beppe Conti. Mio padre l’aveva conosciuto una sera di qualche mese fa, a una cena tra amici in un posto vicino a Torino.
E, niente. Adesso mi metto qui, in casa, nella mia stanzetta, sulla poltroncina che sta nel mio angolino preferito, e piango un po’.
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