Marco Manicardi's Blog, page 42
May 16, 2020
Ieri, invece
Ieri, invece, c’era del fermento, una specie di riunione generale tra i baristi e i camerieri per decidere il come, il quando e il perché. Noi passavamo di lì, di ritorno dal parchetto, li abbiamo salutati da lontano.
«Stiamo solo aspettando il vostro “via!”» gli abbiamo urlato.
«Manca poco,» ci hanno risposto.
Ridevamo tutti.
Manca poco, perdinci.
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May 15, 2020
Ogni tanto
Ogni tanto, tipo un paio di volte l’anno, la prima volta di quest’anno è stata ieri sera, càpita che mi arrivino dei manoscritti da valutare, o delle richieste per delle recensioni o delle interviste, anche se io di manoscritti non ne ho mai valutati né pubblicati, recensioni non ne ho realmente mai fatte, figuriamoci delle interviste.
Non so mica come prenderla. Però non rispondo mai, che mi sento un ladro.
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May 13, 2020
Oggi
Oggi sono andato in libreria. Sono stato bravo: li avevo contattati qualche giorno fa per farmi tenere da parte tre libri, all’ingresso ho messo su la mascherina, mi sono igienizzato ben bene le mani sulla porta e così via. Dentro c’era una signora che stava pagando, dietro di lei, a debita distanza, un’altra persona in fila, quindi nell’attesa mi sono messo a girare tra gli scaffali, senza toccare niente, e intanto guardavo le copertine esposte, i titoli sulle coste, mi appuntavo mentalmente le cose che avrei potuto comprare la prossima volta. Sembrava di essere in paradiso.
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May 11, 2020
Doctorow (2)
E in un libro che si chiama L’uomo che vendette la luna, del 2014, di Cory Efram Doctorow, a un certo punto, dopo una notte di follie, mentre il sole sta ormai salendo, uno dei personaggi dice che non pensa che la felicità sia una cosa che si è destinati ad avere, ma è una cosa che si è destinati a desiderare.
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May 4, 2020
Nori (e Lacan)
E in un libro che si chiama Manuale pratico di giornalismo disinformato, del 2015, Paolo Nori dice che Jacques Lacan era uno che aveva modificato la psicanalisi, o la psicologia, nel senso che il matto, dopo il lavoro di Lacan, non era più quello che si metteva lo scolapasta in testa ed era convinto di essere Napoleone, il matto era Napoleone che era convinto di essere Napoleone.
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Oggi, comunque
May 3, 2020
FAQ
Domani è il 4 maggio, posso uscire?
Sì, ma pensa sempre che tu, proprio tu, potresti essere in quella fase in cui sei infetto ma non lo sai, e quindi devi fare in modo di non contagiare nessuno.
(Che per quelli della mia generazione vuol dire tipo provare a finire Metal Gear Solid senza uccidere nessuno. Che si poteva, ma era la modalità più difficile di tutte.)
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May 1, 2020
L’Emilia-Romagna, spiegata bene (il Primo maggio)
I cappelletti, in Emilia, li mangiamo nei giorni di festa. Magari adesso li mangiamo anche nei feriali, soprattutto quando in casa hai ancora una nonna che fa una sfoglia da venticinque uova e per finire tutti i cappelletti che ne vengon fuori ci metti qualche mese, ma comunque, una volta, quando c’era la povertà, i cappelletti li mangiavano solo nei giorni di festa, cioè per Natale, per esempio, ma anche il Primo maggio.
Nel ventennio il fascismo lo aveva abolito, il Primo maggio, e qui, in Emilia, come raccontava sempre mio nonno Corrado, giravano delle squadre che all’ora di pranzo irrompevano nelle case per vedere se qualcuno stava mangiando i cappelletti. Quando trovavano una famiglia che li mangiava, i fascisti sbaraccavano la tavola e poi picchiavano e bastonavano i malcapitati.
Gli emiliani antifascisti, durante il fascismo, il Primo maggio si erano abituati a mangiare i cappelletti di nascosto.
Sono anni che io e Grushenka, e anche il Miny, da quando c’è, il Primo maggio andiamo a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove è costume mettere delle gran tavolate sotto ai portici della piazza e tutti insieme fare una bella mangiata di cappelletti. Una volta si chiamavano proprio “i cappelletti antifascisti”, solo che ultimamente, con l’aria di moderazione che c’è in giro, li avevano ribattezzati socialdemocraticamente “i cappelletti scendono in piazza”.
Oggi, ai tempi del coronavirus, o Covid, come lo chiamano tutti, a Correggio non ci possiamo andare. Così l’altro giorno Grushenka è andata in una macelleria aperta e ha comprato un cappone per fare il brodo. Io invece sono andato nella gastronomia sotto casa a prendere quattro etti di cappelletti. E oggi festeggiamo così, in casa, come si faceva una volta, anche se non dobbiamo più nasconderci. Per fortuna.
Buon Primo maggio.
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Gli altri post che parlano dell’Emilia-Romagna, spiegata bene, sono questi:
– L’Emilia-Romagna, spiegata bene
– E ancora meglio di enzo (polaroid)
– E un’altra cosa di eio
– L’Alta in basso e la Bassa in alto di Tinni
– La Lutazia-Romagna, spiegata bene di Paolo Colagrande
– Felice
– D’estate
– Onomastica
– da Google Maps
– Ghost Towns di [mini]marketing
– coff, coff
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Hobsbawm
E in un saggio intitolato Il Primo maggio: nascita di una ricorrenza, del 1990, dentro a un libro che si chiama Gente non comune, del 1998 o del 2000, Eric John Ernest Hobsbawm dice che i socialisti italiani, vivamente consapevoli del fascino spontaneo della nuova Festa del lavoro agli occhi di una popolazione in gran parte cattolica e analfabeta, usarono l’espressione «Pasqua dei lavoratori» almeno a partire dal 1892, e che simili analogie diventarono correnti in campo internazionale dalla seconda metà degli anni Novanta. E dice che è facile capirne il motivo. E che la somiglianza del nuovo movimento socialista con un movimento religioso e perfino, nei primi anni eroici della Festa del lavoro, con un movimento di rinascita religiosa a tinte messianiche, era evidente. E per certi versi, uguale era la somiglianza dei leader, attivisti e propagandisti di quel movimento con una gerarchia ecclesiastica, o almeno con un ordine missionario. E poi dice anche di possedere uno straordinario volantino del 1898 proveniente da Charleroi, in Belgio, riproducente quella che può essere definita una predica da Primo maggio; nessun’altra etichetta sarebbe adeguata. Fu stilato dai, o a nome dei, dieci deputati e senatori del Parti Ouvrier Belge – atei dal primo all’ultimo, senza dubbio – sotto il duplice motto «Lavoratori di tutto il mondo unitevi (Karl Marx)» e «amatevi gli uni con gli altri (Gesù)». Qualche citazione dà un’idea del contenuto:
È questo il tempo primaverile e festivo in cui la perpetua evoluzione della natura rifulge in tutta la sua gloria. Come la natura, riempitevi di speranza e preparatevi a una Nuova Vita.
Dopo qualche riga di raccomandazioni morali («Abbiate rispetto di voi stessi: guardatevi dalle bevande che ubriacano e dalle passioni degradanti», e così via) e buoni propositi socialisti, la predica si concludeva con un brano di sapore millenaristico:
Presto le frontiere si dissolveranno! Presto finirà il tempo di guerre ed eserciti! Ogni volta che praticherete le virtù socialiste della Solidarietà e dell’Amore, farete sì che questo futuro sia più vicino. E allora, nella pace e nella gioia, verrà un mondo in cui il socialismo trionferà, una volta compreso il dovere sociale di tutti di favorire il pieno sviluppo personale di ciascuno.
E poi, alla fine, Eric John Ernest Hobsbawm dice che, diversamente da altre ricorrenze, comprese molte manifestazioni più o meno ritualizzate del movimento operaio tenutesi in precedenza, il Primo maggio non commemorava niente, almeno al di fuori dell’influsso anarchico che mirava a collegarlo all’episodio degli anarchici di Chicago del 1886. Non verteva su niente fuorché sul futuro, che, al contrario di un passato che niente aveva avuto in serbo per il proletariato se non tristi esperienze («Du passé faisons table rase» cantava non per caso l’Internazionale), prometteva l’emancipazione. Inoltre «il movimento» non offriva, come invece la religione, ricompense dopo la morte, ma una Nuova Gerusalemme su questa Terra.
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April 29, 2020
Dick (2)
E in un libro che si chiama La trasmigrazione di Timothy Archer, del 1982, Philip Kindred Dick dice che il guaio di farsi una cultura è che il processo richiede molto tempo, ti brucia la parte migliore della vita, e che quando hai finito l’unica cosa che sai è che ti sarebbe convenuto di più fare il banchiere.
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