Marco Manicardi's Blog, page 38
July 24, 2020
Chiedo scusa
Nell’ultimo post, che era una specie di elogio funebre per un amico che non sapeva di essere mio amico, ho scritto “è venuto a mancare” invece di “è morto”. Chissà cosa mi passava per la testa. Chiedo scusa.
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July 22, 2020
Così va la vita (annunciando i temporali)
La settimana scorsa è venuto a mancare uno, qui in città, che era ormai anziano e pieno di acciacchi. Lo potevi incontrare sempre in giro per Carpi, di giorno e di sera, quando lui faceva il suo giro lungo tutto il perimetro delle mura cittadine, o anche più in là delle volte, fino in via Manzoni. Ogni tanto si fermava in un bar a fumare una sigaretta, quando non tirava una boccata la teneva sempre accesa stretta tra il pollice e l’indice, con la brace all’interno dell’incavo della mano come a non voler disturbare nessuno. Ogni tanto beveva un birrino, poi si alzava e s’incamminava verso il prossimo bar. Ogni tanto si fermava per la strada a guardare per terra, con le gambe dritte ma incrociate, un po’ ingobbito e le mani dietro la schiena, incrociate anche loro, la sigaretta sempre tra il pollice e l’indice e la brace nell’incavo della mano, che se gli arrivavi di fronte vedevi il filo di fumo che gli saliva da dietro la schiena. Ogni tanto si sentivano dei fischi altissimi o un cioccare forte di mani o lo sbattere contro la serranda chiusa di un negozio, quando abitavo in centro, qualche anno fa, me ne accorgevo sempre, voleva dire che stava per arrivare un temporale e poi il temporale arrivava davvero. E in una una scatola di latta in cui da vent’anni infilo un po’ di tutto, e la chiamo la mia scatolina di Čičikov, ma è più simile alla collezione del protagonista di Ogni cosa è illuminata, dovrebbe ancora esserci un chiodo arrugginito che mi aveva regalato lui un giorno che ci eravamo incrociati sotto il portico dicendomi che era un regalo perfetto per me, dopo lo cerco. Se al tavolino di un bar gli dicevi «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori», lui ti recitava tutto il primo canto dell’Orlando Furioso. Se glielo chiedevi, ti diceva che non mangiava una bistecca dal 1982. Salutava sempre.
Ieri o l’altro ieri hanno appeso il mortorio “a funerali avvenuti”. Ci hanno scritto sopra che “è mancato all’affetto dei suoi cari” sabato 21 luglio, che è un giorno che non esiste.
L’altro giorno, su Facebook, uno ha scritto «Se n’è andato un amico che non sapeva di essere mio amico». Ecco.
Così va la vita.
Learco (foto di Davide Dodo Righi)
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July 20, 2020
Battista
E in un capitolo intitolato martedì 20 luglio 1943 di un libro che si chiama Io sono la guerra, del 2012, Adelchi Battista dice che subito dopo l’una del mattino, nel settore di Ostia, bombardieri angloamericani si avvicinano a 6000 metri di altezza. Nessuna batteria contraerea è in funzione. Roma sudest è ancora un cumulo di macerie fumanti. Questa volta, però, lasciano cadere solo volantini di propaganda, che riportano per filo e per segno il discorso congiunto di Churchill e Roosevelt del 16 luglio. Stavolta nessuna squadra della milizia si precipiterà a raccoglierli, e nessuno stornello di dileggio solcherà i vicoli di Roma. Mentre la nevicata di carta scende sulla città, alcuni ignoti sovversivi tracciano con la vernice nera un’enorme scritta sul muro che delimita la ferrovia adiacente via Casilina.
MEGLIO L’AMERICANI SULLA CAPOCCIA
CHE MUSSOLINI TRA LI COJONI.
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July 19, 2020
Dei ricordi (16)
Il 19 luglio del 2017 ero in vacanza e scrivevo che:
La felicità potrebbe anche essere un ghiacciolo al limone, davanti al Tour de France, nel baretto sulla spiaggia, un pomeriggio di sole.
Una cosa, ormai, quasi irripetibile.
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July 18, 2020
Lewis
E un libro che si chiama March. La trilogia, del 2018, scritto da John Robert Lewis insieme a Andrew Aydin e disegnato da Nathan Lee Powell, comincia così:
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July 17, 2020
Cose che mi piacciono molto (7)
Tipo quando suonano le campane di fianco a casa mia, che dal mio balcone alla cima del campanile ci saranno trenta metri in linea d’aria, forse meno, e sopra al campanile ci sono sempre appollaiati venti o trenta o quaranta piccioni; e quando suonano le campane, che suonano pochissimo perché quelle della chiesa qui di fianco non battono le ore, ma solo le messe, i funerali, i vespri e il mezzogiorno, i piccioni, bum!, scattano in volo tutti insieme come se qualcuno avesse tirato una schioppettata, e con le campane è tutto un frullare d’ali e un tubare concitato; e specie durante la scampanata di mezzogiorno o quella dei vespri, che durano qualche minuto in più delle altre, loro, i venti o trenta o quaranta piccioni, tutti insieme volano in cerchio attorno al campanile e ogni tanto provano ad atterrare per appollaiarsi come prima, ma le campane suonano ancora e loro appoggiano solo le zampine per una frazione di secondo e poi via, rispiccano il volto e frullano e tubano e delle volte mi passano così radenti al balcone che fanno impressione; finché poi le campane smettono e, in silenzio, lo stormo torna ad appollaiarsi sul campanile, e sono tutti così tranquilli, come se non fosse successo niente. Che invidia.
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July 15, 2020
Una stupidata
Ieri sera, dopo cinque mesi, sono andato a un concerto. Non mi sembrava vero.
Poteva anche essere brutto, e sarebbe stato bello lo stesso. Per fortuna è stato bello, quindi è stato bellissimo. Sul palco c’era Caso che suonava con la band (in passato l’avevo sempre visto da solo), e di fianco a loro Francesco Farabegoli (disappunto) dipingeva dal vivo.
E a un certo punto, scusate, è una stupidata, ma mentre ero lì seduto a guardare e ad ascoltare ho notato che Caso, che è alto, magro, con la barbetta e il cappellino, aveva portato con sé un bassista alto, magro, con la barbetta e il cappellino, e un batterista alto, magro e anche lui con la barbetta e il cappellino. Allora, è stato automatico, ho pensato subito a quello che c’è scritto nel settimo capitolo di un libro che si chiama Le avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino, del 1881, di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, dove Pinocchio prima fa lo schizzinoso e non vuole mangiare le bucce e i torsoli delle pere che gli dà Geppetto, poi però ha talmente fame che mangia anche quelli, e Geppetto gli dice:
— Vedi, dunque, che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi nè troppo sofistici nè troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!…
E mi sono messo a ridere da solo.
(L’avevo detto che era una stupidata.)
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July 13, 2020
Tolstoj (7)
E nella prima parte del quarto volume di un libro che si chiama Guerra e pace, del 1869, di Lev Nikolàevič Tolstòj, il principe Andrej Nikolàevič Bolkonskij, mentre era lì che aspettava di morire, pensava che amare tutto e tutti, sacrificarsi sempre per l’amore, significava – non amare nessuno, significava – non vivere di questa vita terrena.
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July 11, 2020
Dei ricordi (15)
L’11 luglio del 2017, la mattina appena sveglio, avevo scritto una cosa intitolata “praticamente un sogno erotico” che diceva così:
Stanotte, a un certo punto, è arrivata Debbie Harry, mi ha guardato negli occhi, mi ha messo una mano sulla spalla, mi ha detto: «Non preoccuparti, è tutto ok.»
Un anno prima, l’11 luglio del 2016, invece, c’era caldissimo, erano le sei di sera, e scrivevo una cosa intitolata “ciao” che diceva così:
Sono quello che aveva lasciato gli occhiali da sole sul cruscotto e dopo si è bruciato il naso.
E l’11 luglio del 2015, infine, ero in vacanza sull’Appennino modenese, e verso sera scrivevo una cosa intitolata “truestory” che diceva così:
Siamo a Monzone, frazione di Pavullo nel Frignano, a mangiare borlenghi e crescentine alla Festa del Bosco. Non c’è neanche un albero. Però i borlenghi e le crescentine sono molto buoni, c’è l’orchestrina del liscio, e i camerieri sono quasi tutti bambini che indossano delle magliette arancioni con su scritto «emargina l’astemio».
Alla stessa Festa del Bosco di Monzone, frazione di Pavullo nel Frignano, avevo anche fatto una foto e l’avevo intitolata “umarell vs. the world”, è questa qui:
L’11 luglio è sempre stato un giorno un po’ bislacco.
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July 9, 2020
Torbato
Tutti gli anni, per il mio compleanno, Grushenka mi regala una bottiglia di whisky abbastanza costoso e torbato, anzi torbatissimo, che è quello che mi piace di più. L’anno scorso era un Caol Ila Moch, quest’anno è un Aberlour, ma tutti gli anni cambia.
Io col whisky ho il problema che se ne bevo un bicchiere poi mi esplode la testa, quindi il mio torbato, anzi torbatissimo, me lo centellino per bene, durante l’anno, e ne bevo solo un dito prima di andare a letto, quando tutti già dormono, la casa è in silenzio e l’unico rumore è quello delle gomme sull’asfalto delle due o tre macchine che passano e delle volte sfrecciano per la strada vicina; un dito, solo un ditino, annusandolo tantissimo, tranne da metà maggio a metà settembre, perché non mi piace berlo col caldo. E così ci metto un anno a finire la mia bottiglia di torbato, anzi torbatissimo. Me la godo. Se sono bravo, bevo l’ultimo goccio il giorno prima di compiere gli anni, quando poi arriva la bottiglia nuova.
Compio gli anni il 7 febbraio. Quest’anno la bottiglia è finita l’altro ieri.
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