Paola Caridi's Blog, page 110

July 23, 2011

L'untore, la paura, gli sciacalli… e il cattivo giornalismo


Oslo precipita nel dolore. Utoya anche. E il giornalismo internazionale, non solo quello italiano, scrive una delle pagine più buie della sua storia contemporanea. In barba agli oltre novanta morti, ai ragazzi, agli adolescenti uccisi. Da chi? Forse da un uomo, norvegese, alto biondo e occhi azzurri, di estrema destra, fondamentalista cristiano, individuato già la scorsa notte.


Forse. Perché l'uomo – di cui comunque sono state fornite generalità e foto – è sotto interrogatorio da parte delle autorità norvegesi. Non sono invece sotto interrogatorio i musulmani, gli immigrati,  tutti coloro che – in massa – erano già stati unti dalla colpa ieri pomeriggio, appena le agenzie hanno battuto la notizia dell'attentato a Oslo. Ho ascoltato Enrico Mentana, ieri sera, con le mie orecchie, ricostruire l'orrore di Oslo e parlare di un solo possibile colpevole. Il terrorismo islamico, i radicali, quelli che avevano protestato per le vignette contro Maometto. Tutto già definito, storia e colpevoli. Paura e untori.


E se ora il terrorismo islamico (mah…islamico) non sembra entrarci nulla, allora anche la parola terrorismo viene con sveltezza sfilata via dagli articoli online, dalle edizioni straordinarie dei tg, dai titoli rifatti in tutta fretta questa notte da alcuni quotidiani nazionali. O è terrorismo islamico, oppure non è terrorismo. Solo un pazzo. Di destra, sì, ma un pazzo isolato. Così come succede con gli omicidi di donne, mogli, ex mogli, ex conviventi, figlie. Se a commettere l'omicidio è un musulmano, allora è un retaggio antico, è delitto d'onore, è antimodernità. Se è italiano, è solo un pazzo, senza alcun retaggio…


Sono discorsi vecchi, triti e ritriti, discorsi che hanno però nutrito Anders Behring Breivik, il presunto autore delle stragi di Oslo e Utoya. Discorsi che nutrono le paure di un'Europa ormai senza schiena. Discorsi che continuano a comparire su quotidiani a tiratura nazionale, senza che nessuno – di coloro che hanno messo la loro firma sotto colate di odio – si senta responsabile non solo di quello che scrive, ma neanche di quello che alimenta. Cibo per la paura. Cibo per innescare autobombe e fucili mitragliatori. Tanto, se il colpevole è un uomo di trent'anni ultranazionalista e fondamentalista cristiano, il problema non sussiste. E' solo un pazzo isolato.


E' ora che si ritorni a fare giornalismo serio, di quel giornalismo che rispetta prima di tutto i fatti e i lettori. E spero che qualcuno si vergogni.


La foto è tratta da un sito d'informazione norvegese. E' interessante leggere (con Google traduttore) i commenti dei lettori, in cui la questione dell"untore' torna centrale. Anche a Oslo. In Italia, invece, è come se nulla fosse successo…

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Published on July 23, 2011 14:58

July 22, 2011

Gesù, i minareti, e le notizie


La notizia l'ho ascoltata presso una radio nazionale. Per la prima volta nella storia, una moschea è stata dedicata a Gesù. E' successo in Giordania, a Madaba, dove si trovano alcuni dei più bei mosaici di epoca bizantina (anzi, vi si trova la famosa Mappa di Madaba, dove Gaza fa a gara con Gerusalemme, per importanza… La Mappa studiata con tanto amore da una persona che mi manca molto, fra' Michele Piccirillo).


Sottotesto: in tempi in cui l'islam è radicale, la moderata Giordania – moderata perché ci sono re Abdallah II e sua moglie Rania -, succede un fatto incredibile, e cioè una moschea dedicata a Gesù.


Tralascio il sottotesto, che a sua volta tralascia di dire che in Giordania, in questi ultimi mesi, la polizia della monarchia hashemita è andata giù pesante contro chi dimostrava in piazza (giornalisti compresi). Andiamo, però, oltre. E parliamo di Gesù nella tradizione islamica. Profeta, figlio di Maria, uno dei modelli femminili più importanti del Corano, di Gesù/Issa si parla soprattutto nella Sura XIX ma non solo. C'è un libro, molto bello, su Gesù nei testi islamici, ma non lo trovò più nella mia libreria, sarà da qualche parte….


Ora, visto che Gesù è così importante nella tradizione musulmana, non è così sorprendente che lo si ricordi. In una moschea, per esempio. Non è così sorprendente perché a Gesù è dedicato per esempio un minareto. E che minareto! Uno dei minareti della grande moschea degli Omayyadi, a Damasco. La stessa dove la tradizione dice sia sepolto Giovanni Battista. La stessa nella quale (in una stanza dedicata) è sepolto il prode Saladino, Salah Eddin el Ayyubi. Il minareto di Gesù non è soltanto un minareto dedicato a Gesù. La tradizione dice che Gesù arriverà proprio lì, alla fine dei tempi, quando scenderà sulla Terra per combattere l'Anticristo e ci sarà il Giudizio Universale.


Ah, ultimo inciso. Il minareto ha varie datazioni. C'è chi dice di epoca abasside. Chi dice dice del tempo degli Ayyubidi. Forse ha più di mille anni, forse circa ottocento. Non è proprio una notizia dell'ultima ora….


Non è neanche tanto complicato trovare la foto: è tratta da Wikimedia.

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Published on July 22, 2011 15:06

July 19, 2011

Israele cattura lo yacht


"La Dignitè al Karama è stata abbordata pacificamente dalla marina militare israeliana. L'incidente si chiuderà quando il battello arriverà al porto di Ashdod".  Le forze armate di Tel Aviv hanno descritto in questo modo – su twitter, visto che bisogna usare anche i nuovi canali d'informazione – la cattura dell'unico battello della Freedom Flotilla 2 in rotta verso Gaza, dopo il blocco nei porti greci delle altre nove imbarcazioni che componevano il convoglio pacifista. Le autorità di Atene avevano aderito alla pressante richiesta israeliana, di proibire alla Freedom Flotilla di andare verso Gaza, e non avevano ceduto: solo  la Dignitè – Al Karama aveva potuto lasciare Creta, sabato scorso, e dirigersi verso Alessandria d'Egitto, per poi modificare il percorso e andare verso la Striscia per rompere simbolicamente l'embargo e mostrare, così dice l'ultimo comunicato dei pacifisti, la solidarietà verso un milione e seicentomila palestinesi imprigionati dentro Gaza.


A cinquanta miglia dalla costa di Gaza, in acque internazionali, la barca grande poco più di uno yacht è stata circondata stamattina verso le nove da almeno quattro navi militari, che gli hanno intimato di non proseguire. Poi, il battello è stato abbordato dalle truppe d'elite dello Shayetet 13, gli stessi commandos che l'anno scorso aveva assalito la nave ammiraglia della Freedom Flotilla, la Mavi Marmara e provocato la morte di nove persone di nazionalità turca.


Nessuno sulla Dignitè al Karama, in totale sedici persone, ha opposto resistenza. Tutti sono stati portati a bordo di una delle navi militari in rotta verso il porto di Ashdod. Le autorità israeliane hanno già comunicato che verrà loro contestato il reato di ingresso illegale nel paese, nonostante siano stati abbordati in acque internazionali. Rischiano l'espulsione e l'impossibilità di entrare dentro Israele per dieci anni. La troupe di Al Jazeera presente a bordo non dovrebbe, però, subire l'espulsione. Cosa succederà invece ad Amira Hass, che è cittadina israeliana?


Nota a margine, nella cattura di una barca che portava un totale di sedici persone a bordo. Sulla stampa israeliana, a metà pomeriggio, è apparsa la seguente breaking news: Il ministro della difesa Ehud Barak si è congratulato con le forze armate, dopo la cattura dello yacht.


L'operazione militare è riuscita, dunque.


Nella foto, la Dignitè Al Karama. Si direbbe, dall'immagine, non avere proprio il fisique du role, la stazza per essere un pericolo per la sicurezza di uno Stato.

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Published on July 19, 2011 16:51

Tenerume e calamaretti


Che i  miei lettori mi perdonino: scriverò presto di Egitto (#tweetnadwa, dibattiti politici a Tahrir, nuova costituzione)  e di Gaza (la cattura della Dignitè – Al Karama, che mi tocca ancor di più, visto che tra le sedici persone a bordo del battello pacifista c'era anche Amira Hass, giornalista di vaglia, donna coraggiosa, amica).


Ho deciso, però, che per far cadere la tensione bisogna occuparsi di cucina. Come io faccio spesso, in circostanze di questo tipo, quando la pressione degli eventi comincia a essere alta e c'è necessità di tenere gli occhi (e il cuore) attenti a quello che succede attorno a noi. Allora, parliamo del tenerume. Verdura in uso d'estate soprattutto in Sicilia, in sostanza foglie e germogli di quelle zucca lunghe, verde chiaro. Un mix botanico tra zucche e zucchine, tanto per far capire di che cosa si  tratta a chi poco s'intende di verdura.


Il tenerume è uno di quei must che, d'estate in Sicilia, non possono mancare. Sono pasto di famiglia, da fare con i capellini, o con gli spaghettini spezzati. Fresca, buona, e fa pure bene, la pasta col tenerume (o coi tenerumi) impegna un po' di tempo, ma solo per scegliere le foglie che più si prestano (quelle meno dure) e quei pezzi di gambo che non sono ancora legnosi. Per il resto, è quanto di più semplice, e anche abbastanza veloce, ci possa essere.


Il tenerume lavato per bene si fa cuocere in acqua, con qualche altra verdura. Io ci metto aglio, carota, sedano, e pezzi di zucca verde, ma  le scuole di pensiero sono tante. Per esempio, una scuola di pensiero dice che a parte bisogna fare un soffritto con olio, aglio, e pomodorini di stagione, per poi aggiungerlo alla fine. Altri, invece, fanno i tenerumi bianchi.


Io, per mio conto, penso che bisogna essere filologici quel tanto che basta per ricordarsi non solo le tradizioni culinarie, ma per avere quel tasso di conoscenza giusta che consente – poi – di modificare un po' le cose lungo il tragitto. Così, dopo aver rispettato la tradizione e aver aggiunto il soffritto coi pomodorini, ho fatto saltare a parte, in una padella, dei calamaretti freschi freschi che avevo trovato la mattina. Olio, aglio, peperoncino, i calamaretti poi sfumati con un po' di vino bianco, prezzemolo. Ho aggiunto i calamaretti al brodo di tenerume che bolliva, e ci ho messo – da buona romana – i cannolicchi. Rigati, mi raccomando. Tradotto: quel tipo di pasta corta (cortissima) che in altre regione si chiama tubetti.


Ho spento il fuoco quando la pasta era poco più che cruda. L'ho tolta dal brodo. L'ho fatta riposare e raffreddare, ho aggiunto abbondante olio. L'ho servita fredda, la sera. Era buona.


Il mio sogno? Prepararla presto a una mia amica, molto coraggiosa.

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Published on July 19, 2011 16:15

July 18, 2011

La Repubblica di Tahrir chiede…


Il giuramento dei nuovi ministri è stato rinviato a domani. Sembra. L'Egitto della Rivoluzione del 25 gennaio affronta un altro passaggio (obbligato) per liberarsi del regime dei Mubarak. Ed è un passaggio che nasce ancora una volta – doverosamente – da piazza Tahrir. Il sit in in piazza continua, da oltre dieci giorni. La piazza, dicono i testimoni, i tweets, i racconti, si è trasformata in un mondo tutto proprio, dalla propria topografia, le proprie regole, la propria cultura. Stasera ci sarà un altro appuntamento di tweetnadwa (guardate i miei post precedenti), e a seguire cinema a Tahrir, mentre i graffitari lavorano e i poeti anche. Lavorano altrettanto i (giovani) politici di Tahrir, che hanno deciso di non dare un'altra dilazione al Consiglio Militare Supremo, per evitare di essere fagocitati, e con loro la rivoluzione.


Mona Seif al Islam, monasosh quando tweetta, scriveva stamattina, per descrivere Tahrir, A city of its own, good morning #tahrir . Off to work http://yfrog.com/kkrllzqj


E dunque, la piazza ha premuto e sta premendo. Il primo risultato, è il più incredibile rimpasto di governo da quando Mubarak è caduto. 14 ministri cambiati, dimessi, nominati e poi cancellati. Una confusione che, forse, si scioglierà solo domani, col giuramento preannunciato. Non è ancora il punto fermo che tutti attendono, l'Egitto non è ancora uscito dalla palude di un regime che si è formato in ben trent'anni di autocrazia. La piazza, però, sta dimostrando che non demorde, e che si è disposti a rischiare, di nuovo, parecchio, per l'amore della libertà


Nel suo commento settimanale su Al  Masri al Youm, Alaa al Aswany spiega perché il Consiglio Militare Supremo non ha, in sei mesi, fatto quello che la Rivoluzione gli chiedeva. Ecco uno stralcio, preso dal blog di Aswany. Che ha settembre sarà al Festival di Mantova (e ci sarò anch'io, insh'allah):


….what is holding the military council back and preventing it from fulfilling the demands of the revolution is the fact that it is following the same policies Hosni Mubarak followed in wielding power. The way the military council has run Egypt since the revolution has been totally unrevolutionary, which could drive the country to a dead end and dangerous confrontation. The millions of Egyptians who carried out one of the greatest revolutions in history were content to leave their revolution in the hands of the military council, but after six months they have discovered that nothing has changed, so they have come out on the streets to call for fulfilment of their demands, but the military council does not seem willing to comply. The demands of the revolution are clear. We have written them out and voiced them dozens of times, and all of them are simple and legitimate: social justice, a clean sweep, and democratic reform. We have a right to know where Hosni Mubarak is and how his health really is and why he is not being treated like any other prisoner. We have a right to know where Gamal and Alaa Mubarak are and to send someone to check that they are really in prison. The police force must be purged of corrupt officers and murderers and all state institutions must be completely purged of Hosni Mubarak's followers, with fair open trials for all the killers and corrupt officials, starting with Hosni Mubarak and his bloody interior minister, Habib el-Adli. Social justice must be implemented by setting a minimum wage that guarantees the poor a decent living and a maximum to prevent the theft of public money. These are the revolutionary demands that we will not abandon, whatever the sacrifices. I hope the military council listens to the voice of the people before it is too late. The Egyptian people, who sacrificed hundreds of dead and thousands of injured for the sake of the revolution, are fully prepared to sacrifice more blood and more lives for the sake of freedom.


La foto è di Ahmed Abd el Fatah, ritrae un graffiti a Tahrir che assomiglia maledettamente all'Urlo di Munch. Ma è tutto egiziano.

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Published on July 18, 2011 16:05

July 14, 2011

La politica del tweet


C'era stato un primo esperimento, qualche settimana fa. Affollatissimo esperimento, dicono le cronache – rigorosamente via tweet, a parte un lungo, interessante articolo su Al Ahram – dell'evento. Gli utenti egiziani di twitter riuniti per parlare di politica. Nella fattispecie, del ruolo dei giovani islamisti e/o fratelli musulmani nella rivoluzione egiziana.  Vi hanno partecipato alcuni dei volti noti dell'islamismo giovane, compresi Ibrahim al Houdaiby e Abdel Moneim Mahmoud, in una discussione guidata dal blogger che io considero politicamente più interessante, Alaa Abdel Fattah (nella foto, mentre guida un'altra discussione, stavolta a piazza Tahrir ieri, 13 luglio).


Politica a colpi di tweet, insomma. Politica a suon di messaggini di 140 battute, che da virtuale poi si trasforma nella carne di centinaia di persone, in genere giovani, che si vedono, si incontrano – alcuni per la prima volta – e continuano a far  politica. Stavolta, in 140 secondi a intervento. Un modo, questo, per far capire che la rapidità e la concisione non sono dettagli. Contano, invece, molto nella stessa politica di Tahrir. E lo si vede da quello che è successo in questi mesi, in cui la rapidità delle decisioni prese dai vari gruppi che rapprentano i rivoluzioni di Tahrir è riuscita a mettere in difficoltà la vecchia politica egiziana. La politica a colpi di tweet, la politica al tempo di twitter è un fenomeno embrionale e interessante.


Tweetnadwa, così si chiama l'esperimento politico guidato da Alaa Abdel Fattah, è continuato anche ieri sera a Tahrir, dove continua il sit-in.


Stay tuned. Per noi 'vecchi' è importante capire come sarà la nuova politica. E ho l'impressione che sarà diversa dalla nostra.

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Published on July 14, 2011 15:45

July 12, 2011

#25Jan contro #SCAF


Criptico il titolo, lo so. Significa che i giovani della rivoluzione egiziana hanno dato inizio al secondo tempo della rivolta contro il regime dei Mubarak. Lo scontro, stavolta, è contro il Consiglio Militare Supremo, il direttorio militare che aveva preso il potere l'11 febbraio scorso, convincendo Hosni Mubarak a cedere, a lasciare la presidenza e a volare a Sharm el Sheykh. Per mesi, abbiamo tutti assistito a questo braccio di ferro tra Piazza Tahrir (sinonimo di rivoluzione) e SCAF, la sigla con la quale si definisce il Consiglio Militare Supremo.  Un braccio di ferro in cui,  soprattutto all'inizio, è stato lo SCAF  a cedere alle richieste di Piazza Tahrir, quando Piazza Tahrir ha fatto le sue richieste.


Non è stato, però, tutto così lineare e piano, ovviamente. Il peso di quella che al Cairo si chiama controrivoluzione è cresciuto col tempo, suscitando i timori dei ragazzi di Tahrir e di tutti quei settori della popolazione egiziana che alla rivoluzione  hanno partecipato. Col trascorrere dei mesi, lo SCAF ha indurito le posizioni, dall'uso smodato dei tribunali militari alla mancata risposta sull'epurazione e sulla necessità di giudicare – in fretta – i responsabili delle vittime della rivoluzione del 25 gennaio. Se i due figli di Hosni Mubarak sono in carcere, se alcuni dei ministri del regime sono già stati condannati (anche in absentia), è altrettanto vero che il vecchio Faraone non è stato toccato, e rimane a Sharm el Sheykh, nel confortevole ospedale internazionale. Così come è rimasta dov'era la burocrazia della sicurezza, responsabile di quello che la popolazione egiziana ha subito negli scorsi decenni.


Negli scorsi giorni, c'è stato un cambiamento, da parte della Piazza. Non più sconti al Consiglio Militare Supremo, ma un confronto vero. E la richiesta di dimissioni del premier, Essam Sharaf, che pure era stato imposto dai ragazzi di Tahrir. I 'rivoluzionari'  non sono stati per niente convinti dal discorso televisivo di Sharaf, e hanno anzi chiesto che venga sostituito con Mohamed  el Baradei. Una vera e propria sfida, alla quale lo SCAF ha prima reagito con violenza verbale, per poi ammorbidire di molto i toni, dopo che la coalizione della gioventù (espressione di Piazza Tahrir) non aveva indietreggiato dalle sue posizioni.


E' il momento cruciale, per la rivoluzione egiziana. Ora sì. Non mi piacciono i paragoni, compreso quello col 1952, in cui il rovesciamento della monarchia è avvenuto in due tranche, a gennaio e a luglio. E' però oggettivo che le rivoluzioni, in Egitto, abbiano bisogno di mesi per ribilanciare i pesi delle  istituzioni (sembra contradditorio, visto che si parla di rivoluzione, ma così è…). Tanto è evidente che il momento è cruciale, che persino i Fratelli Musulmani, che avevano in sostanza sposato la stabilità e lo SCAF, hanno dovuto cedere alle pressioni del proprio elettorato e aderire alla manifestazione di  venerdì scorso, proprio sulla necessità di una giustizia rapida. Cosa significa? Significa che la spinta di Piazza Tahrir non è finita. E che i ragazzi stanno dimostrando anche ora di essere molto meno naive di quanto possa apparire. Ciò non vuol dire, certo, che vinceranno la partita. Ma ci sono buone possibilità che per gli altri, invece, non sia per nulla semplice soffocare la più bella rivoluzione degli ultimi anni.


nella foto di Sandmonkey, uno dei più famosi blogger d'Egitto si fa ritrarre con Pierluigi Bersani, definendolo il prossimo premier italiano. Bersani è andato a piazza Tahrir oggi: questa è la notizia..

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Published on July 12, 2011 14:57

July 6, 2011

Dall'Egitto a Gaza


Si dovranno presentare oggi di fronte a un tribunale di Creta, i tre componenti – due canadesi e un australiano -  della Freedom Flotilla arrestati e poi rilasciati ieri dalle autorità greche. Almeno una di loro, Sandra Ruch, è accusata di non aver rispettato il divieto, per la nave canadese Tahrir, di lasciare le acque greche e dirigersi verso Gaza. Fallito il tentativo della Tahrir, resta solo la piccola imbarcazione francese Dignitè al Karama nelle acque internazionali, dopo ha aggirato il blocco imposto da Atene a tutte le navi che compongono la Freedom Flotilla e che erano attraccate nei porti greci.


Israele ha dunque trovato nella Grecia un alleato fedele. Non è un'amicizia nata ora, in questi giorni. È invece il risultato del costante lavoro diplomatico che il governo di Benjamin Netanyahu ha iniziato un anno fa, dopo il tragico assalto alla nave turca Mavi Marmara da parte della marina israeliana. Visite reciproche da parte dei rispettivi premier, intensificazione dei rapporti militari, esercitazioni: tra Tel Aviv e Atene è stato costruito un rapporto che doveva soprattutto servire a Israele a far sentire la pressione sulla Turchia, assicurandosi allo stesso tempo un ponte nel Mediterraneo.


Tel Aviv spera anche che il blocco nella partenza delle navi spenga i riflettori sulla Freedom Flotilla, man mano che i giorni passano. Alcuni attivisti non potranno attendere a lungo nei porti greci: dovranno ritornare alle proprie case e ai propri lavori. L'attenzione del pubblico in Europa, in America, in Medio Oriente, è peraltro ora tutta concentrata  sulla Siria, le cui autorità sono state appena accusate da Amnesty International di crimini contro le autorità. E le rivolte arabe hanno reso meno centrale da mesi il conflitto israelo-palestinese. Tel Aviv non si è però limitata a far bloccare la partenza della Freedom Flotilla. Stanotte Gaza ha di nuovo subito un raid aereo: questa volta è stato bombardato un obiettivo nel nord della Striscia, dicono i militari israeliani.


In genere, però, pensiamo all'attivismo solamente in termini occidentali, almeno come punto di partenza. Le rivolte arabe, ancora una volta, stravolgono la prospettiva. Il quotidiano egiziano Al Masri al Youm ha pubblicato ieri un editoriale, chiedendo alle autorità del Cairo di concedere alla Freedom Flotilla II di partire dai porti egiziani in direzione Gaza. Egypt to Gaza, hanno intitolato l'iniziativa i giornalisti di Al Masri al Youm, per cambiare l'atteggiamento arabo verso la questione palestinese, atteggiamento esemplificato dalla politica di Hosni Mubarak verso il conflitto.


E' un buon test, per capire cosa sta succedendo a sud del Mediterraneo… il tag è #Egy2Gaza.

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Published on July 06, 2011 06:00

July 5, 2011

La Notte della Rete


Questo blog aderisce alla Notte della Rete per difendere la libertà dell'agorà telematica, che nel mondo arabo è stata strumento importante per costituire una dissidenza politica contro la dittatura e che in Italia, invece, rischia di essere censurata. Si ha paura della democrazia partecipativa? Si ha paura del dissenso pacifico e nello stesso tempo severo? Si vede, allora, che è dissenso e riflessione sono  finalmente arrivati anche in Italia…


Per saperne di più, collegatevi al blog del mio carissimo amico Pino Bruno, la cui coerenza  condivido in toto, e da cui ho imparato molto di quello che so su internet.


Questo blog aderisce alla Notte della Rete. Oggi, 5 luglio, a ventiquattr'ore ore dall'approvazione della delibera Agcom ammazza-internet, artisti, esponenti della rete, giornalisti, leader politici, cittadini e utenti del web si troveranno a Roma per una no-stop contro il provvedimento, dalle 17.30 alle 21, alla Domus Talenti in via delle Quattro Fontane, 113.


Qui la diretta streaming. E qui si può invece firmare la petizione.


Permettetemi un solo commento: non avrei mai pensato, dalla sponda nord del Mediterraneo europeo, culla dei diritti, di dover difendere il diritto alla libertà di espressione, nelle nuove forme che la Rete permette, e che non si possono trattare e regolare nello stesso modo in cui si tratta e si regola (quando lo si fa…) la televisione. La Rete è una piazza, spesso una bella piazza. Magari c'è qualcuno che fa pipì in un angoletto, qualcuno che fa il verso a qualcun altro (e fa arrabbiare anche me, quando qualcuno fa il copia e incolla con le tue idee senza rispettare la netiquette). E' molto facile, però, passare dal rispetto del diritto d'autore alla censura. E la potenza incredibile della Rete, dimostrata soprattutto in questi ultimi mesi nelle piazze virtuali e fisiche arabe, potrebbe indurre chi ha paura della democrazia a correre 'ai ripari'. Contro una possibile oligarchia della Rete esprimo il mio dissenso, che è il dissenso di chi la Rete la frequenta da anni.

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Published on July 05, 2011 16:46

Il ritorno di Eissa

Ibrahim Eissa torna in pista. Il più severo critico del regime di Hosni Mubarak, il giornalista al vetriolo, il famoso direttore di Al Dustour dimissionato pochi mesi prima della rivoluzione torna in edicola. E con un giornale che non poteva non richiamarsi direttamente alla rivoluzione del 25 gennaio, nella quale Eissa ha fatto la parte del fratello maggiore che aveva educato – negli anni precedenti – molti dei ragazzi di Tahrir. Il nuovo giornale, dunque, si chiama Tahrir, "Liberazione", è in edicola da domenica, ed è pubblicato da Ibrahim al Moallem, il più importante editore egiziano, colui che porta sugli scaffali i più grandi scrittori del paese. Moallem finanzia già un altro quotidiano privato, Al Shorouk, e il fatto che sia anche alle spalle del giornale di Ibrahim Eissa significa che si voglia profilare come l'editore di punta del post-rivoluzione. Ci riuscirà? Mah, staremo a vedere.


Per ora, il fatto importante per il giornalismo egiziano è che il suo direttore migliore, Ibrahim Eissa, sia uscito dal congelatore in cui l'aveva infilato il regime Mubarak, che aveva capito quanto quel giornalista non ricattabile fosse un serio problema per la stessa stabilità del sistema. Giubilato da Al Dustour, vera scuola per una informazione seria e moralmente solida, Eissa aveva continuato a lavorare, ma solo sul web. Ora Tahrir lo riscatta, e lo porta di nuovo sulla breccia del giornalismo.


A guardar le foto su Facebook, a intuire l'età di chi lavora nella squadra di Tahrir, viene da riflettere sulla stampa di casa nostra. E sull'età media di chi produce informazione in Italia…


Comunque, a proposito di informazione, è uscito oggi il nuovo volume di Limes, intitolato (Contro)rivoluzioni in corso. C'è anche un mio articolo sulle divisioni interne alla Fratellanza Musulmana egiziana. E' stato scritto prima che Abdel Moneim Abul Futouh fosse espulso dall'Ikhwan, ma era una prospettiva in sostanza già adombrata.

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Published on July 05, 2011 10:08