Paola Caridi's Blog, page 130
October 7, 2010
Sarah, lo zio-padrone e l'omertà (femminile)
Chi è rimasto in silenzio anche se qualcosa sapeva o intuiva? Il dramma nel dramma del caso Sarah Scazzi – almeno da quello che emerge dalle prime rivelazioni dopo la confessione dello zio-assassino, Michele Misseri – è tutto femminile. Gira attorno alle donne della famiglia, alla moglie, alle figlie, e a quella povera nipote, appena quindicenne, che aveva detto no alle avanche del parente. Chi, tra loro, non ha parlato, e a preferito salvare l'onore del pater familias, invece di proteggere e difendere una ragazzina spaventata eppure forte, tanto da ribellarsi allo zio-padrone?
Se fosse confermato che qualcuna delle donne della famiglia ha taciuto, allora si riproporrebbe ancora una volta quel tarlo che mangia il mondo femminile, in Italia e non solo, nel nostro Meridione e non solo. E' una questione ancora dura e difficile a morire, a quanto sembra, la questione della omertà femminile per il buon nome della famiglia. Soprattutto quando a sporcarlo, il nome, è un uomo. L'uomo di casa. Da figlia del sud (almeno a metà, e per l'altra metà figlia di un centro intriso di cultura contadina) conosco bene le dinamiche da antropologia culturale che sono dietro a quel silenzio. Silenzio, per l'onore. Silenzio, per non rovinare quell'equilibrio famigliare di cui la presenza maschile, anche quando violenta e terribile, è pilastro. Meglio un marito violento che rimanere senza marito e senza padre.
Se questo è vero, se le donne hanno taciuto, vuol dire che una questione femminile c'è in Italia. Non solo per i posti di lavoro che non ci sono, per le diseguaglianze e le (im)pari opportunità. Ma anche perché c'è questo spavento incrollabile, questo modo atavico di risolvere le faccende di casa. In silenzio, e tra le mura. Senza ribellarsi.
Mi viene da pensare che, nella storia del padre-padrone pakistano che ammazza la moglie per imporre alla figlia un matrimonio combinato, c'è un elemento che non è stato sottolineato, tra i tanti. La forza di una donna che si ribella, non alla sua fede religiosa, ma alle pratiche tribali di un marito e padre-padrone. Il padre-padrone pakistano, di fede musulmana, ha ucciso perché una donna si ribellava. Lo zio-padrone italianissimo, e forse anche di fede cattolica, di certo non di fede musulmana, ha ucciso perché una adolescente si era ribellata, e perché le altre donne non hanno parlato. Il primo è stato descritto come figlio di una fede che sottomette le donne. Il secondo, figlio dell'Occidente che reclama la sua supremazia culturale in termini di difesa dei diritti, come in preda a un raptus.
C'è qualcosa che non va. In entrambi i casi, e soprattutto nel modo in cui guardiamo la violenza sulle donne quando è compiuta in Italia da italiani. Come se non fosse figlia di una cultura maschile distorta, ma solo follia. La questione culturale, invece, c'è. Eccome. C'è una questione femminile aperta. E finché non la smetteremo di additare gli altri come retrogradi, ma cominceremo ad accusare anche noi stessi, noi stesse, nulla sarà fatto per evitare che altre Sarah Scazzi finiscano in una cisterna abbandonata. Spero che la ministra Mara Carfagna sia altrettanto rapida, nel caso di Sarah Scazzi, nel chiedere di potersi costituire parte civile nel processo che si aprirà.
Nella foto, il mito di Filomela. Per saperne di più, potete consultare il sito di Filomena, l'associazione di donne che tenta di ricostruire un nuovo alfabeto della cultura femminile in Italia. Questo commento è stato scritto proprio per il sito di Filomena.
La battaglia dei matrimoni (di massa)
Chi di matrimonio (di massa) ferisce… Oggi a Nablus è previsto un matrimonio di massa sponsorizzato dalle autorità locali. Nablus è il municipio della Cisgiordania considerato il laboratorio più importante per l'ANP di Mahmoud Abbas e per il governo di Salam Fayyad. Sarà presente anche il presidente Abbas, che dice sempre Maannews, regalerà soldi alle spose, mentre le imprese locali si sono già impegnate a donare mobili alle giovani coppie. Il matrimonio di massa di Nablus segue di pochi giorni quello al quale ha assistito a Damasco Khaled Meshaal, leader dell'ufficio politico di Hamas.
La strana battaglia a distanza dei matrimoni di massa tra Meshaal e Abbas potrebbe essere confinata nelle storie "strano ma vero" della politica mediorientale. E invece può essere la chiave per aprire una piccola finestra su due questioni: la crisi economica e le giovani generazioni palestinesi. Anzitutto la crisi economica: sposarsi, in tutto il mondo arabo e non solo in quello arabo, è un impegno finanziario notevole. Non solo per la coppia, ma per le famiglie, che devono accollarsi non solo le spese per la casa, la cerimonia, etc, ma anche per dote e corredo. L'impegno finanziario matrimoniale segue precise regole codificate, compreso l'acquisto della dote in oro (avevo scritto un lungo articolo per l'Espresso, un anno fa, proprio sui matrimoni in Egitto in deciso calo, e sull'intervento di sponsor e autorità per aiutare le giovani coppie a sposarsi e superare gli ostacoli economici).
C'è poi, però, una questione squisitamente politica, ed è il rapporto tra i partiti storici di massa (in questo caso Fatah e Hamas) con le giovani generazioni. L'assenza di speranza dei giovani palestinesi, la chiusura di prospettive lavorative e di confini fisici in Cisgiordania e Gaza rende il rapporto con la politica politicante la chiave del futuro palestinese, sia in chiave interna sia nei rapporti con Israele. I giovani palestinesi vogliono avere un lavoro dignitoso, innamorarsi, far figli come chiunque altro nel mondo… Abbas e Meshaal sono in grado di rispondere a richieste di questo tipo? Una risposta che non può non implicare la pace con Israele, e soprattutto quale tipo di pace.
Sui giovani palestinesi, quale effetto possono avere comportamenti come quelli del soldato che balla la danza del ventre di fronte alla giovane palestinese bendata e ammanettata? E quale influenza hanno i passaggi quotidiani ai checkpoint, come quello di Betlemme descritto qualche giorno fa su Haaretz?
Nella foto, una cerimonia nella egiziana Idku, sul sito matrimoniale musulmano zawaj.com
October 6, 2010
Licenziato
Niente di più, e niente di meno. Ibrahim Eissa, il più tenace tra i giornalisti dell'opposizione in Egitto, è stato licenziato da Al Dustour, il più duro tra i giornali critici verso il regime del presidente Hosni Mubarak. A metterlo alla porta, è stato il nuovo proprietario del giornale, Sayyed el Badawi, capo del partito liberale Wafd, lo storico partito dell'Egitto prenasseriano. Ibrahim Eissa lo ha definito nella sua conversazione con David Kenner, oggi su Foreign Policy, come l'esponente di quella "soft opposition" a cui, come si vede, il lavoro che lo storico direttore di Al Dustour ha fatto in questi anni non sta bene. La notizia del licenziamento di Eissa è arrivata, ieri, non proprio come un fulmine a ciel sereno, dunque, ma certo inattesa per la tempistica. Si era detto che Eissa (nella foto, una manifestante porta un suo ritratto in una delle tante dimostrazioni a favore della libertà di stampa che si sono tenute al Cairo negli scorsi anni) fosse inciampato, per così dire, in uno scontro duro con il suo editore perché voleva pubblicare un articolo di Mohammed el Baradei sul più importante anniversario dell'Egitto degli ultimi decenni, il 6 ottobre, il giorno in cui si celebra la vittoria del 1973 nella guerra contro Israele (ma anche, e la delicatezza di quel giorno permane, l'assassinio di Anwar el Sadat proprio durante la parata militare tradizionale). L'articolo del possibile candidato alle presidenziali contro (forse) Gamal Mubarak, che rifletteva sulla eredità e sul significato della guerra della Yom Kippur, non doveva essere pubblicato, insomma.
Ibrahim Eissa, a Kenner, dice che non è stato questo il motivo, ma che l'idea di mandarlo via da Al Dustour era precedente. E c'è anche chi dice che questo licenziamento eccellente sia solo il primo, e il più pesante, tra quelli che potrebbero esserci da qui alle elezioni politiche del prossimo novembre. Licenziamenti soprattutto dentro la tv, dentro il talk show che tanto amano gli egiziani quando fanno zapping.
Protestano le associazioni per la difesa dei diritti civili, e molti – oltre le associazioni preposte a occuparsene – sono preoccupati per il destino della libertà di stampa, in Egitto. Una libertà di stampa conquistata a fatica, soprattutto negli ultimi cinque anni, come ben scrive arabist, al secolo Issandr el Amrani, descrivendo la parabola della cosiddetta primavera cairota, definizione – forse è vero – cara anche a certa propaganda americana legata al disegno di Bush jr. per il Medio Oriente, ma che aveva un suo perché (l'ho definita anch'io così, caro Issandr, nel mio Arabi Invisibili, pubblicato per Feltrinelli proprio all'indomani di quella stagione importante non solo in Egitto, ma in Libano e in parte del Maghreb: una primavera che parlava di democratizzazione endogena, e non portata sui fusti di cannone). Quella Cairo Spring si sta trasformando in un Cairo Autumn? Sì, forse. (Quasi) finita la stagione del cartello Kifaya, che riuniva dai liberal alle figure dell'islam politico più pragmatico, dal Wasat ad Abdel Moneim Abul Futouh, ora l'opposizione sembra frammentata tra i blogger di un tempo e la coalizione attorno a Mohammed el Baradei, nella quale confluisce l'opposizione intellettuale storica, compreso Alaa al Aswany. Quanto spazio abbia, questa opposizione, in una transizione infinita alla democrazia in cui gli Stati Uniti sanno meno di prima cosa fare, non è ancora dato sapere.
Certo, vedere Gamal el Mubarak a Washington, mentre accompagna suo padre all'inizio dei negoziati tra Netanyahu e Abbas, ha fatto pensare molti a uno sdoganamento da parte dell'amministrazione Obama del secondogenito di Hosni Mubarak come il prossimo candidato dello NDP, il partito del regime, alle presidenziali che segneranno la fine del lungo mandato del successore di Sadat. Non è un caso, che proprio in quei giorni la possibile candidatura di Gamal Mubarak abbia guadagnato un sostenitore eccellente, e cioè quel Saad Eddin Ibrahim, sociologo americano-egiziano, che per anni è stato uno strenuo oppositore di tutta la famiglia Mubarak, e che aveva anche assaggiato la galera al Cairo, dove per mesi era stato rinchiuso per un processo contro il suo centro di studi Ibn Khaldoun. Uscito dall'Egitto, Ibrahim aveva continuato a criticare il regime in maniera severa, salvo cambiare idea qualche settimana fa. Cosa è successo? Mah…
Intanto, mentre i giochi per le prossime presidenziali sono sempre più interessanti, la vera questione aperta – oggi – è la libertà di stampa in Egitto. Le timide aperture di questi anni, i quotidiani privati che sono stati aperti, come Al Masri el Youm, ma anche come la testata che fondò alcuni anni fa il compianto Mohammed el Sayyed Said, esponente di un pensiero che definiremmo noi italiani socialdemocratico, avevano fatto ben sperare. Lo stesso era successo con la entusiasmante stagione dei blogger, che oggi sembra decisamente più spenta. E da ieri, e cioè dal defenestramento di Ibrahim Eissa, che cosa ci dobbiamo aspettare per l'Egitto dei diritti civili?
October 4, 2010
Succede anche questo
Mentre in Italia si rimane stupiti dal fatto che il processo di pace soffra, nonostante glisforzi di queste ultime settimane. Mentre Tony Blair, a Che tempo che fa, ci racconta della sua gita a Gerico e al Monte delle Tentazioni, appena quaranta minuti di strada dall'ufficio di Blair all'American Colony. Mentre l'Italia si indigna (giustamente) per quel padre-padrone pakistano che ha ammazzato la moglie e vessato la figlia, ma non si indigna per le tante donne italiane e anche extracomunitarie ammazzate da mariti, compagni e mariti separati rigorosamente italiani. Mentre, mentre, mentre, ecco una breve lista di quello che succede a Gerusalemme e dintorni, tra le pieghe di un processo di pace un po' complicato. Lista composta con notizie prese esclusivamente da giornali e siti web israeliani.
Compensazioni singolari. Volevi costruire una casa in una colonia israeliana sui Territori Palestinesi Occupati della Cisgiordania, ma poi il governo ha deciso di far sospendere le costruzioni? Puoi essere compensato della perdita economica. Su Haaretz, la cifra totale stimata per le compensazioni è di due milioni e mezzo di shekel (l'euro, tanto per farsi un po' di conti a casa, è un po' risalito ed è quasi a 5 shekel). Il comitato per i ricorsi relativi ai coloni ha già deliberato su 45 casi, accettandone 42.
Una Nobel (ancora) in camera di sicurezza. Si saprà oggi il verdetto della Corte suprema sul ricorso presentato dai legali di Mairead Corrigan Maguire, Nobel per la pace nord-irlandese, rinchiusa in un centro di detenzione dell'aeroporto di Ben Gurion ormai da svariati giorni. Mairead Maguire si è appellata alla Corte Supremadopo che le era stato negato l'ingresso nel paese. Gideon Levy ha, come sempre, scritto un commento che va al nocciolo della questione.
Indagini. L'ACRI, l'associazione per i diritti civili in Israele, presieduta dal grande scrittore Sami Michael, ha chiesto alle autorità di indagare sulla morte di un bambino di 18 mesi a Gerusalemme est, durante gli scontri iniziati a Silwan e poi propagatisi verso altre zone, come Issawiya, appunto. Il bambino sarebbe morto, dicono le testimonianze, per aver inalato gas lacrimogeno. La richiesta dell'ACRI va, a dire il vero, più in là della morte del bambino di Issawiya (dove, per la cronaca, ieri è stato ucciso dalla polizia un palestinese, padre di 6 figli, che tentava di entrare 'illegalmente' a Gerusalemme per andare a lavorare, uno di quelli che Suad Amiry ha descritto benissimo nel suo Murad Murad, pubblicato da Feltrinelli). L'ong, tra le piò famose in Israele, chiede di indagare su molti morti negli scontri con la polizia e l'esercito, non solo a Gerusalemme est, ma in tutta la Cisgiordania.
Il congelamento? It's over. Si costruisce, nelle colonie. Così dice il sito di notizie più noto e vicino ai coloni, Israelnationalnews, che parla dei bulldozer in azione a Pisgat Zeev. Per chi non è mai stato a Gerusalemme, Pisgat Zeev è un grande insediamento nel cuore di Gerusalemme est che arriva sino ai margini di Ramallah. L'articolo di Israelnationalnews è anche più preciso. Dice che le case in costruzione, ora che congelamento non c'è più, sono verso Hizme, uno dei singolari 'svincoli' che bisogna attraversare per andare da Gerusalemme a Ramallah. La divisione di Gerusalemme in due capitali per due stati, come previsto dalla soluzione dei due stati, è piuttosto difficile. Per usare un eufemismo.
Dimmi dove sei, e il ministero del turismo ti aiuta. Dopo il gran rumore sull'applicazione per iPhone lanciata da American Peace Now per essere aggiornati sulla questione delle colonie israeliane in costruzione in Cisgiordania, ecco ora l'applicazione, sempre per l'iPhone, presentata ieri dal ministero del turismo israeliano, che aiuta il turista a sapere dove si trova, e a trovare un posto dove dormire. Sono curiosa di vederla, e di usarla. Vorrei anche vedere se è indicata la Linea Verde, la linea del 1967, o per meglio dire la linea dell'armistizio del 1949 che indica un oriente e un occidente, dov'è Israele e dove sono i Territori Palestinesi Occupati.
La foto è di Pino Bruno
October 1, 2010
Nobel in camera di sicurezza
Poco si sa del luogo in cui è detenuta Mairead Corrigan Maguire, premio Nobel per la pace, irlandese. E' in una camera di sicurezza nell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Le autorità israeliane le negano l'accesso, sostenendo che lei ha firmato un foglio in cui le si proibiva l'ingresso nel paese per dieci anni. Foglio che ha firmato dopo che la nave pacifista su cui si trovava, la MV Rachel Corrie, era stata sequestrata e condotta nel porto israeliano di Ashdod per aver tentato di forzare il blocco navale di Gaza.
Mairead Maguire (nella foto ai tempi del Nobel), di cui è noto la caparbietà e la forza tranquilla, non è ritornata in Irlanda, quando le è stato negato l'ingresso. Si è invece appellata alla giustizia israeliana per poter partecipare all'iniziativa di pace delle donne Nobel (chi vuole seguire il viaggio, sino al 5 ottobre, può anche leggere il loro blog, per esempio con i commenti di Jody Williams). E' in attesa che il tribunale di Petah Tikva, oggi, prenda una decisione.
Non è il primo caso di personaggi celebri a cui viene negato l'ingresso in Israele. L'ultimo in ordine di tempo è il divieto di ingresso pochi mesi fa a Noam Chomsky, che si era presentato al valico di Allenby che unisce la Cisgiordania alla Giordania, gestito e controllato dalle autorità israeliane.
In compenso, c'è una buona notizia, sul fronte pacifista. I Physicians for Human Rights Israel hanno vinto il Nobel Alternativo 2010 per il loro lavoro nei Territori Palestinesi Occupati, sia dentro la Cisgiordania sia per riuscire a curare i malati gravi di Gaza.
Physicians for Human Rights-Israel is committed to continue its work of the past 22 years to eliminate all types of discrimination and oppression, and to achieve equality and full and fair human rights for all, in particular the right to health.
Dr. Ruchama Marton, founder and president of the organisation: 'The Award is a mark of recognition for the work of Physicians for Human Rights-Israel, and an expression of internati onal and human solidarity. It strengthens us in our ongoing struggle against all sources of oppression and for justice and equality.'
Brava, Ruchama.
September 30, 2010
Camere con vista
Ieri è stato inagurato un comprensorio edilizio costruito dalla Custodia francescana di Terrasanta. 68 appartamenti a Beit Fage, proprio alle spalle del Monte degli Ulivi. Là dove Gesù Cristo entrò a Gerusalemme, e da dove ogni anno parte la processione della Domenica delle Palme. Proprio a ridosso del convento francescano, e a due passi da quello greco-ortodosso, la decina di palazzetti sono stati finalmente aperti, gli appartamenti consegnati alle 68 fortunate famiglie di palestinesi cattolici e armeni che potranno finalmente pagare un affitto basso, e vivere in case dignitose. Famiglie di anziani, famiglie di mezza età con bambini e ragazzi, e 13 giovanissime coppie. Un modo perché la comunità che nascerà a Beit Fage abbia rappresentate tutte le età della vita.
Ci son voluti quindici anni perché quei 68 appartamenti venissero progettati, costruiti, approvati dalla municipalità, e poi consegnati a solo un decimo di quelli che avevano fatto richiesta. Settecento famiglie di palestinesi cristiani avevano chiesto una casa: un dato che la dice lunga su quanto la situazione 'immobiliare' a Gerusalemme sia difficile per i palestinesi. E non solo per i palestinesi musulmani. Il Muro ad A-Ram, verso Ramallah, quartiere residenziale dove molte famiglie giovani e meno giovani si erano trasferite, ha costretto da anni molte famiglie residenti a Gerusalemme a ritornare a vivere, per esempio, nella Città Vecchia, per non perdere il documento di residenza in città e non essere considerati residenti in Cisgiordania. Molte altre si sono invece sottoposte a pagare affitti altissimi nelle aree a maggioranza palestinese, dove la richiesta di case supera di gran lunga l'offerta e le licenze per costruire non ci sono…
La pace e la guerra, a Gerusalemme, passano insomma per il mattone. La tensione cresce, ogni giorno che passa. Ma questa situazione sempre più piena di frizioni, di frustrazioni, di disagio non sembra arrivare, in tutta la sua complessità, alle cancellerie. Gerusalemme continua a essere il nodo, e costruire palazzi su palazzi a Ramallah non risolverà il problema.
Dal comprensorio dei francescani, a Beit Fage, la vista arriva sino al Mar Morto, alla Depressione, alle montagne della Giordania. Tra Beit Fage e il Mar Morto, il panorama è inframmezzato dalle colonie che si estendono da sud a nord. Maaleh Adumim e le colonie collegate, che chiudono i quartieri palestinesi a est della Linea Verde, e la via verso Gerico. La geopolitica è già in questo panorama, basta solamente saperlo leggere.
Addendum: B'Tselem ha rilasciato i dati delle vittime palestinesi e israeliane nel conflitto, a partire da un anniversario importante, l'inizio della Seconda Intifada, il 29 settembre del 2000, dopo la passeggiata di Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee sotto imponenti misure di sicurezza. Ecco i numeri, che dicono molto.
Israeli security forces killed 6371 Palestinians, of whom 1317 were minors. At least 2996 of the fatalities did not participate in the hostilities when killed. 2193 were killed while participating in the hostilities. For 694, B'Tselem does not know whether they participated in the hostilities or not. An additional 248 were Palestinian police killed in Gaza during operation Cast Lead, and 240 were targets of assassinations.
Palestinians killed 1083 Israelis in Israel and the Occupied Territories. 741 of the fatalities were civilians, of whom 124 were minors, and 342 were members of the security forces.
September 29, 2010
Questioni edilizie e altro
L'edilizia, dunque, è il vero nodo, in Medio Oriente. Congelamenti (veri? oppure presunti?) di costruzioni nelle colonie israeliane nel cuore del territorio palestinese, e poi altri tipi di congelamenti, come quelli che a Dubai hanno bloccato metà dei progetti edilizi causa crisi. Singolari questi tempi, in cui costruire sembra essere diventato la rappresentazione dei conflitti e delle crisi della regione. Ecco qualche spunto e qualche link.
Lo spunto viene dall'ennesima visita a Ramallah. E ogni volta che si va in quello che per i palestinesi è ancora un vecchio villaggio cristiano cresciuto a dismisura, ci si rende conto che orientarsi è sempre più difficile. Palazzi nuovi, nuovissimi, appena 'sfornati'. Il Moevenpick vicino al centro media di Ramattan, in procinto di essere inaugurato. E la torre vicino alla Muqata: venti piani e una pista d'atterraggio per gli elicotteri. I nuovi ministeri, i palazzi ancora da finire, e i tanti appartamenti da vendere. Ramallah ricorda Amman, cresciuta a dismisura, in pochissimi anni. E la domanda è: è possibile trasformare una cittadina cisgiordana in una quasi-capitale, disegnando a tavolino una possibile via d'uscita dal nodo di Gerusalemme, capitale dei due stati? Quando si chiede, in maniera impertinente, ai palestinesi cosa ne pensano di Ramallah capitale si mettono a ridere…Basta guardarsi intorno, e osservare quanto sono vicine le colonie israeliane a ridosso di Ramallah. Una vista che spiega già molto del conflitto, e anche delle richieste palestinesi sul congelamento degli insediamenti.
Congelamento nelle costruzioni, durato dieci mesi. Di quel congelamento non è per niente convinto Dror Etkes, che spiega il perché con dovizia di particolari su Haaretz. E Dror Etkes bisogna ascoltarlo, perché è forse il maggior esperto di colonie in Israele, ex capo del settore che dentro Peace Now si occupa di insediamenti.
The real story behind the PR stunt known as the freeze took place in fact in the months prior to that, during which the settlers, with the assistance of the government, prepared well for the months of hibernation foisted upon them. In the half year that preceded the declaration of the freeze, which started at the end of November 2009, dozens of new building sites sprang up, especially in isolated and more extreme settlements east of the fence.
This piece of information is also well documented in the bureau's numbers. In the first half of 2009, they started to build 669 housing units in the settlements, and then, as the months wore on, the pace of construction increased. Thus in the second half of 2009, no fewer than 1,204 housing units were built – an increase of some 90 percent in construction starts as compared with the first half of the year.
That is a summary of the "Israbluff" behind the freeze.
Su congelamento etc, la necessità di far pubbliche relazioni da parte di Israele è considerato comunque decisivo. Una linea che si segue soprattutto dall'Operazione Piombo Fuso in poi. C'è un vero e proprio progetto che mira a migliorare l'immagine del paese, e che fa pubblicità quotidiana, per esempio, sul sito di Haaretz. E' un progetto del Ministero della Diaspora, che dà anche le regole da seguire per riuscire a convincere l'audience internazionale delle ragioni di Israele. Per chi vuole leggerlo, le regole del buon PR sono qui.
Siccome, però, il Medio Oriente non si esaurisce con il conflitto israelo-palestinese, andiamo ben più a sud, dove l'edilizia è la cartina di tornasole dei problemi economici di Dubai. Dubai che ha avuto uno spazio incredibile sui nostri giornali, negli scorsi due anni, come una sorta di Grande Mela araba. Dubai, da parecchi mesi, vive problemi economici seri. E a confermarlo è questa notizia, comparsa su Arabian Business: metà dei progetti immobiliari sono stati cancellati dal governo perché la domanda è scarsa. Quasi cinquecento progetti.
September 27, 2010
Che succede tra Fatah e Hamas?
Si dice che la spinta decisiva alla ripresa dei contatti tra Fatah e Hamas per la riconciliazione nazionale palestinese sia avvenuta all'inizio di settembre. Ramadan. E proprio durante il ramadan c'è stato l'incontro alla Mecca tra il potente capo dei servizi di sicurezza egiziani, Omar Suleiman, e il leader del politburo di Hamas, Khaled Meshaal. Suleiman, da anni il protagonista del tavolo negoziale sulla riconciliazione, era formalmente in Arabia Saudita per riferire...
September 26, 2010
Pescare a Gaza. Dove?
La Stampa pubblica oggi un mio reportage dalla Striscia di Gaza. E' un racconto sui pescatori, una fotografia della vita della popolazione a Gaza, quella che compare molto poco sui giornali italiani. Si poteva parlare di agricoltori, di piccoli commercianti, di disoccupati, il fermo immagine è molto simile. I pescatori li ho visti a Shati, campo profughi a nord di Gaza City, e la loro povertà era evidente. Come quella della famigliola che a poca distanza dal mercato ittico ...
September 25, 2010
Mai dire no al Panda
Non conviene dire no al Panda. Perlomeno al Panda della Arab Dairy, l'azienda alimentare egiziana produttrice di una linea di formaggi che porta il nome (e l'immagine) di un panda dall'aria innocua. La pubblicità che sul panda è stata costruita, invece, trasforma l'animale in un irascibile bestione che perde la pazienza. In ufficio, in ospedale, nella cucina di un grande ristorante, e ovviamente al supermercato.
Surreale, condito con una musichetta americana dolcissima e con ...