Paola Caridi's Blog, page 126
December 9, 2010
Battaglie immobiliari. A Gerusalemme e dintorni
Appena uscita dalle feste di Hanukkah, Israele si sveglia dal torpore con lo schiaffo dei 50 rabbini che hanno reso pubblica martedì una lettera con la quale dichiaravano "proibita dalla Torah la vendiata di una casa o di un pezzo di terra a uno straniero". Una delle prime reazioni è stata quella del premier Benjamin Netanyahu, nei giorni in cui il fallimento della mediazione statunitense sui negoziati con i palestinesi è apparsa evidente a tutti. "Questo tipo di discorsi dovrebbero essere banditi in uno stato ebraico e democratico", ha detto Netanyahu. Ieri appena 150 persone hanno manifestato a Gerusalemme davanti alla Grande Sinagoga, contro l'editto dei 50 rabbini che rappresentano non solo alcune delle colonie più radicali, ma che rivestono ruoli importanti in città – ad esempio – come Ashdod.
E l'intellighentsjia israeliana? Anche scrittori e artisti, pian pianino, si stanno svegliando dal torpore. Haaretz riporta oggi la notizia di una lettera, firmata tra gli altri da Yoram Kaniuk, contro i 50 rabbini, chiedendone la loro espulsione dai ranghi del pubblico impiego, nel caso vi appartenessero. Dal ministero della giustizia, così come dalla procura generale, nessuna risposta, finora.
A reagire subito, e non c'erano dubbi, sono invece stati i sopravvissuti alla Shoah. Il presidente della loro associazione è stato durissimo contro i 50 rabbin, ricordando che i nazisti proibirono di vendere case e terreni agli ebrei, illo tempore.
"I remember how they wrote on benches that no Jews were allowed, and of course it was prohibited to sell or rent to Jews. We thought that in our country this wouldn't happen. This is especially difficult for someone who went through the Holocaust."
La lettera dei 50 rabbini, comunque, è la cartina di tornasole di quanto le questioni immobiliari stiano diventando, soprattutto in alcune aree delicate come Gerusalemme, il cuore del conflitto. Lo conferma una notiziola, di quelle che solo noi Jerusalem-news-addicted possiamo notare (thanks, Didi). Parla del progetto di una colonia a sud di Gerusalemme est, verso Betlemme. Nof Zion. Se ne era parlato, qualche mese fa, perché è in progetto proprio accanto a un quartiere palestinese famoso, Jabal al Mukabber, uno dei luoghi anche più conosciuti durante la Prima Intifada. Ebbene, stamattina esce la strana notiziola di un offerta per l'acquisto delle azioni della società impegnata nel progetto, la Digal, che si trova in brutte acque finanziarie. Una offerta da 10 milioni di dollari circa, presentata da Dov Weisglass, colui che fu per anni l'eminenza grigia dell'ultimo premierato di Ariel Sharon. Weisglass fu colui che presentò in pubblico il disimpegno da Gaza e l'idea di un parziale disimpegno dalla Cisgiordania. Ebbene, l'avvocato Weisglass ha presentato l'offerta – dice il sito israeliano di notizie economiche Globes – da parte di una società cipriota posseduta da un businessman palestinese-americano, con passaporto statunitense. Tradotto: i palestinesi si potrebbero riprendere la terra sulla quale si vuole costruire la colonia a Gerusalemme est. Peraltro a non molta distanza dal nuovo consolato americano, sempre a est, ma in una zona residenziale costruita per israeliani. A confermare che la storia è delicata, è la notizia – stavolta riportata da Arutz Sheva, l'agenzia di stampa vicina ai coloni – che negli ambienti del popolo degli insediamenti si sta cercando qualcuno con molto denaro disposto a contrastare l'offerta della società cipriota.
hai visto che la storia dei 50 rabbini che hanno proibito con un editto di vendere proprietà immobiliari ai non ebrei sta montando. Non solo per la reazione di Netanyahu, che ha stigmatizzato la lettera dei 50 rabbini, ma perché l'intellighentsjia israeliana sta reagendo, peraltro alla vigilia della Giornata mondiale dei diritti umani. A parte la dimensione morale della storia, c'è anche una dimensione immobiliare. E cioè lo scontro – banale dirlo – è veramente sulle proprietà immobiliari. Un esempio? alla periferia sud di Gerusalemme è stato approvato un progetto per un'altra colonia, vicino al quartiere palestinese di Jabal al Mukabber (siamo a due passi da Betlemme, in linea d'aria). Oggi si è scoperto che una società cipriota ha fatto un'offerta per acquisire il pacchetto di maggioranza della società intestataria del progetto della colonia di Nof Zion. Chi è il proprietario della società cipriota? Un businessman palestinese-americano, rappresentato dall'eminenza grigia di…Ariel Sharon, l'avvocato Dov Weissglass. Una storia molto interessante, perché mostra la battaglia per la terra in corso a Gerusalemme. Una battaglia che oggi, rispetto a ieri, ha connotati diversi….
December 8, 2010
Gerusalemme 2010, secondo Bruxelles
Ha ragione una dei portavoci dell'Unione Europea a Bruxelles, Maja Kocijancic, nel dire che il rapporto fatto vedere alla France Presse è "di routine". Il rapporto che ogni anno i capi missione a Gerusalemme e a Ramallah (leggi: i consoli europei) elaborano e approvano perché a Bruxelles, poi, si sappia di cosa si parla quando ci si occupa di Gerusalemme. Un rapporto interno, certo, ma non per questo meno delicato. Anzi. E' talmente delicato che talvolta, come successe – se non sbaglio – nel 2005, non venne approvato e reso pubblico dal vertice dei ministri degli esteri della UE perché, in effetti, non era proprio bonario o buonista. Meglio, insomma, tenerlo nel cassetto.
La questione è che i capi missione (leggi: i consoli europei) descrivono non solo a Bruxelles, ma ai loro singoli ministeri nazionali, la realtà sul terreno. Molto differente dall'idea che di Gerusalemme si ha, o si vorrebbe avere, al tavolo negoziale. E anche stavolta, nel Jerusalem Report 2010 purrtropppamente fatto leggere alla France Presse, gli estensori dicono quello che dicono da anni. Semmai con più urgenza, perché – è uno dei messaggi del rapporto – se si continua così, con la politica perseguita da Israele a Gerusalemme est, la soluzione dei due Stati diventa impraticabile. Nei fatti. Nessuna divisione possibile, a Gerusalemme, tra una capitale per gli israeliani e una capitale per i palestinesi.
Perché? Il rapporto è chiaro: per la mancanza di permessi edilizi concessi ai palestinesi a Gerusalemme est (200 negli anni scorsi, a fronte dei 1500 di cui avrebbero bisogno), per le demolizioni, per la cacciata di famiglie palestinesi dalle case.
Such policies were also harming east Jerusalem's "crucial role" in Palestinian political, economic, social and cultural life, and causing it to be increasingly isolated from the rest of the occupied West Bank.
Israel's attempts to exclusively emphasise the Jewish identity of the city were threatening to "radicalise the conflict, with potential regional and global repercussions."
Le novità del rapporto? La sottolineatura del ruolo dell'archeologia come strumento politico. Un uso che già era stato descritto in libri specializzati (due tra tutti: quello di Nadia Abu El-Haj, Facts on the Ground. Archeological Practice and Territorial Self Fashioning in Israeli Society, e quello di Simone Ricca, Reinventing Jerusalem. Israel's Reconstruction of the Jewish Quarter after 1967) e nel rapporto di Ir Amin su Silwan e la Città di Davide.
And the report warned of the EU's increasing concern about Israel's "use of archaeology as a political-ideological tool" in a bid to cement the Jewish state's hold over the entire city.
L'altra novità del rapporto concerne le raccomandazioni. Per una volta tanto puntuali, pratiche. Comprese quelle che riguardano i tour operator europei, a cui viene sconsigliata la visita a hotel e siti archeologici gestiti da coloni. Domanda: compresa la Città di Davide?
The report concludes with a series of recommendations which call on senior EU officials "to regularly host Palestinian officials" at their offices in east Jerusalem, and to avoid having Israeli officials or security accompanying them on visits to the city's eastern sector.
It also recommends advising EU tour operators to avoid settler businesses in east Jerusalem, such as hotels and archaeological sites run by settler groups.
And it proposes ensuring an EU presence when there is a risk that people may be evicted or have their homes demolished in east Jerusalem.
La foto ritrae il Mandelbaum Gate, il passaggio tra Gerusalemme ovest e Gerusalemme est, tra 1948 e 1967. Lungo la Linea Verde. A proposito, sulla Stampa di oggi c'è un articolo mio e di Emiliano Guanella sul riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di Brasile e Argentina. Buona lettura.
December 7, 2010
Se l'America Latina cambia la diplomazia
"Il governo argentino riconosce la Palestina come uno Stato libero e indipendente entro i confini definiti nel 1967″. Firmato: Cristina Kirchner, presidente argentina. Destinatario: Mahmoud Abbas. Poche righe, che però ieri hanno avuto l'effetto di far infuriare un altro governo, quello israeliano, che ha già reagito con una nota di disappunto. Non tanto per la lettera spedita da Buenos Aires, quanto perché la mossa diplomatica argentina conferma che il riconoscimento dello Stato di Palestina sui confini stabiliti con l'armistizio del 1949 (e stracciati con la conquista israeliana nella Guerra dei Sei Giorni del 1967) è dentro una decisione concordata dai paesi latino-americani. La lettera della Kirchner, infatti, fa seguito a un'altra missiva, spedita – si fa per dire – appena due giorni prima e firmata da un altro presidente di peso, Ignacio Lula da Silva, che ha riconosciuto la Palestina come ultimo atto del suo mandato, prima di dare lo scettro della presidenza alla sua erede, Dilma Roussef.
A rompere il ghiaccio, a dire il vero, era stato l'Uruguay a metà novembre, con la promessa di riconoscere la Palestina entro i primi mesi del 2011. Dunque, una mossa che non è solo quella di uno stato, ma evidentemente un piano concordato sul Medio Oriente che è riuscito, vista la reazione israeliana, a rompere l'impasse in una delle ennesime fasi delicate del conflitto israelo-palestinese. L'ingresso latino-americano in Medio Oriente (non un fulmine a ciel sereno: viaggi in America Latina, con partenza dai paesi arabi, ce ne sono stati parecchi dopo il 2001…) segnala anche che si può far diplomazia ben oltre quella disegnata a Yalta nel 1945, a Potsdam etc. Fuori dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, insomma, e dal manuale Cencelli che prevede equilibri di potere ormai arcaici, anacronistici. L'American Latina è fuori dal piccolo consesso dei Cinque Grandi? E allora la politica estera si fa in altro modo. E' la scoperta dell'acqua calda, certo. Lo si fa già da un pezzo, ma la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina potrebbe finalmente far vedere a molti che "il re è nudo".
La foto è quella classica del summit di Yalta. Sotto licenza creative commons.
December 6, 2010
Da Haifa a Stoccolma (via Brembate)
C'è una piega strana, nella storia del grande incendio del Carmelo, a Haifa, che ha trovato poco spazio sui giornali italiani. Così come poco spazio hanno trovato sulla stampa nostrana le polemiche in Israele sull'inefficienza e sulle responsabilità politiche, che anche oggi invece campeggiano sulla stampa nazionale (per chi se le fosse perse, c'è un mio articolo che le riassume, pubblicato sabato su La Stampa). Oggi, per esempio, c'è la richiesta chiara e netta di Haaretz (con un editoriale non firmato) di dimissioni da parte di Eli Yishai, il ministro dell'interno e leader dello Shas che invece contrattacca parlando di linciaggio mediatico.
Quello che si è perso per strada, nella vicenda dell'incendio del Carmelo per fortuna domato, è la presenza degli arabi. Dei palestinesi, per la precisione. Perché Haifa è la più grande città mista di Israele, abitata da una comunità palestinese non solo folta, ma molto importante. Una mia amica mi ha anche ricordato che quel Tirat Carmel colpito dal fuoco è, per lei e per loro, la Tirat Haifa da cui furono costretti a scappare nella guerra del 1948. "La terra dei miei genitori e dei miei avi". Storia a parte, che i palestinesi compongano la popolazione di Haifa lo sapevano anche i giordani (che tra loro hanno molti rifugiati che da lì provenivano), egiziani e soprattutto i turchi colpiti da una strana forma di neo-ottomanismo. Così risulta anche più comprensibile la velocità con la quale la regione ha reagito (Autorità Nazionale Palestinese compresa) alla richiesta di aiuto e di solidarietà da parte del governo Netanyahu.
La presenza araba, però, non riguarda solo la composizione demografica di Haifa. Riguarda – purtroppo – anche le voci che si sono rincorse negli scorsi giorni sulle responsabilità dell'incendio. Non l'incuria, e quella discarica che era lì da anni, vicino a un paesino druso. Bensì un vero e proprio atto compiuto da piromani. Molto probabilmente arabi. E' questa la tesi che si trova sul sito più vicino ai coloni, Arutz Sheva. Gil Ronen è chiaro:
Israel's left-oriented major news media are on the whole defining the fire as a "disaster," spending most of their broadcast time discussing the insufficient preparation for a disaster of this magnitude and downplaying the fact that Arab arson is likely to be behind the blaze.
Non solo. Le accuse sono ancor più dure: Arab citizens of Israel use arson as a simple means of inflicting terror and destruction upon the Jewish state. Large scale fires recently consumed 5,000 acres in the Golan Heights. A fire was set in the Gilad Farm several weeks ago and an Arab was seen fleeing by a group of soldiers in the area…
Accuse confinate a un sito di destra, noto per i suoi attacchi ai palestinesi? Non solo, a giudicare da quanto pubblicato sul conservatore Jerusalem Post, in un editoriale non firmato, e dunque ancor più autorevole. Ecco l'accusa: "the most disturbing development has been a mind-boggling rash of locally concocted arson attempts. Perpetrated by Arab Israelis, these attacks are a cynical exploitation of Israel's sorrowfully inadequate firefighting capabilities. These local terrorists are willing to cause further ecological damage and endanger the lives of both Jews and Arabs in the name of hateful and narrow political goals."
Un popolo (palestinese) di piromani? Mah, c'è qualcosa che non torna. Non foss'altro per quel rapporto così radicato, profondo con la terra da parte dei palestinesi. E poi perché, allora, bisognerebbe essere equanimi, e parlare di alberi (olivi soprattutto) bruciati nelle scorse settimane e negli scorsi mesi dai coloni in Cisgiordania.
Leggendo queste accuse generiche, non posso non pensare al fatto che le accuse generiche e il razzismo strisciante sembrano essere il filo rosso che unisce questi nostri tempi cattivi. A Haifa così come a Brembate, dove la caccia al marocchino è stata messa nero su bianco sui cartelli in giro per la cittadina in provincia di Bergamo. Tempi in cui la responsabilità individuale, dei singoli, quella responsabilità resa norma dalla modernità europea, si è trasformata tragicamente in responsabilità comunitaria. Collettiva.
E allora, in tutta questa storia di razzismo imperante, che c'entra Stoccolma? C'entra perché finalmente c'è una buona notizia, in questo pazzo mondo un po' troppo pazzo. E cioè, tra i premiati al Right Livelihood Award ci sono i Physicians for Human Rights, i Dottori per i Diritti Umani, una delle più importanti associazioni per la difesa dei diritti umani in Israele. Oggi ci sarà la premiazione di quello che è considerato il Nobel Alternativo. Premiazione oggi pomeriggio nel parlamento svedese a una ong che si è distinta, in questi anni, per difendere il diritto alla salute di tutti. Israeliani e palestinesi. Compresi i palestinesi di Gaza.
Addendum che esula dagli incendi, dal razzismo, dai premi. Il Brasile del presidente uscente Ignacio Lula da Silva ha riconosciuto lo Stato di Palestina entro i confini del 1967, mentre il premier turco Recep Tayyep Erdogan ha detto ad Abu Mazen che farà lobby per aiutare il riconoscimento della Palestina.
La foto è dalla Library of Congress, forse del 1936.
December 3, 2010
La debacle di Haifa
La 'sposa del mare' – così la definiscono i palestinesi – non ha più quel polmone verde che aveva alle spalle. Il Monte Carmelo, ben più di un monte e di una fortesta. Bruciato, arso, nel giro di poche ore, nel peggiore incendio mai verificatosi nella storia di Israele. 41 morti, la massima parte cadetti mandati ad aiutare l'evacuazione di una delle prigioni situate nel nord di Israele, proprio vicino all'incendio. Prigioni sconosciute al grande pubbliche, dove sono rinchiusi centinaia e centinaia dei detenuti palestinesi (circa diecimila) che sono nelle carceri israeliane, con sentenza definitiva ma anche molti in detenzione amministrativa.
Dopo lo sconcerto di ieri sera, oggi è la giornata delle accuse e delle recriminazioni, mentre il fuoco non è stato ancora domato, anzi, si sta propagando. E' proprio l'incapacità di reazione del cosiddetto home front, la protezione civile locale, a suscitare le ire non solo della popolazione, ma degli opinionisti e anche di qualche politico. Anzitutto, l'incapacità di domare un incendio. Soprattutto, di contenerlo. Ben Caspit, sul quotidiano popolare e molto diffuso Maariv non ha peli sulla lingua
A country above which hover spy satellites, a country, to which foreign sources attribute chilling military operations around the globe, a country that plans to attack the nuclear infrastructure of a distant regional power, a country that leads the world in hi-tech and whose economy emerges the least damaged from the global crisis, is also the country that has its firefighting material run out after seven hours, a country whose fire-trucks date back to the previous century, and a country that therefore finds itself caught, standing in front of the flames, with its pants down. A third world country. Today, who knows, we may get a firefighting plane from the great power of Cyprus.
Già, gli aerei antincendio, quelli che tutti noi – in Italia, d'estate – abbiamo visto con un sospiro di sollievo scendere a volo radente sui boschi in fiamme, arrivare come se ci trovassimo davanti alla battaglia delle Midway versione nostrana. Ebbene, son proprio i Canadair quelli che mancano in Israele, un paese che possiede caccia di ultima generazione, droni, F-qualcosa. Uno dei pacifisti più conosciuti d'Israele, Didi Remez, si chiedeva stamattina su Facebook, appunto,"quanti aerei antincendio si possano comprare e si possano tenere in buono stato al costo di un F35. E non è una domanda pacifista"… Della carenza degli aerei, non a caso, ha parlato il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, mentre è tutto il governo Netanyahu a essere messo sotto accusa dalla stampa. Compreso il ministro dell'interno Eli Yishai, che soprattutto a sinistra viene accusato di occuparsi degli insediamenti israeliani nella parte araba di Gerusalemme, a est della Linea Verde, invece che della protezione civile.
Lo sconcerto, peraltro, si concentra su altri due elementi. Il primo: il luogo. Haifa, nord d'Israele, città raggiunta dai razzi Katiuscia lanciati da Hezbollah nella guerra dei 33 giorni tra Libano e Israele dell'estate 2006. Da allora, e dopo le polemiche sempre concentrate sulla reazione dello Home Front, ci furono esercitazioni, messe a punto, riorganizzazione, sirene di prova e via dicendo. Una pratica, quella delle esercitazioni, che in Israele è (quasi) cosa normale. L'ultima è stata a Gerusalemme, martedì scorso, con la sirena alle 10 della mattina e la parte della città vicina all'ospedale Hadassah semi-bloccata. La polemica, dunque, è di quelle pesanti. Aluf Benn su Haaretz parla dello Yom Kippur dei vigili del fuoco, evidenziando una retorica e un vocabolario che non riesce ad andare oltre al conflitto e ai termini bellici, anche quando si tratta di fuoco, siccità, e magari una discarica abusiva di cui non ci si è occupati in tempo. Alex Fishman, su Yediot Ahronot, è sulla stessa falsariga: "The security establishment has been driving us crazy, for years, about preparing the home front for a missile attack—and yesterday we received the real answer: we don't actually have a national firefighting system".
Pronti alla guerra, ma non agli incendi. 41 morti, il capo della polizia di Haifa ustionata gravemente, 15mila evacuati e altri ancora in procinto di seguire la stessa sorte, nella città più vitale, contaminata e bella di Israele. Non è poco.
La foto è di Grebulon, su Flickr, ed è sotto licenza Creative Commons. L'incendio che sta distruggendo il Monte Carmelo è immortalato in quella luce rossastra che c'è alle spalle dei palazzi.
December 1, 2010
Oslo è morto. La fantasia al potere
Il funerale del processo di Oslo non è stato celebrato, ma non c'è più nessuno – a Gerusalemme – disposto a credere che la soluzione dei due Stati sia ancora praticabile. Qualche anno fa, l'autocensura del peace business costringeva (quasi) tutti a non dire che il processo di Oslo era praticamente defunto, e che addirittura fosse alla base dell'inestricabile groviglio di errori e di 'fatti sul terreno' che impediscono la nascita di due Stati l'uno accanto all'altro in pace e in sicurezza. Ora, invece, non c'è più nessuno disposto a usarla, l'autocensura. E' come se ci si fosse liberati del padre, tutto d'un tratto.
Il risultato è una totale libertà nell'approccio al conflitto israelo-palestinese. La fantasia (dell'analisi e delle proposte di soluzione) è tornata finalmente al potere, consentendo a chiunque di proporre qualsiasi cosa. Non sto sottovalutando i diversi piani che nel corso di pochissimi mesi e di altrettanto poche settimane sono comparsi su riviste, magazine on line, siti di think tank. Al contrario. Pur non condividendo molti degli approcci, mi sembra che la 'fantasia al potere' abbia finalmente ridato fiato alle menti, alle intelligenze, costrette sino a poco tempo fa dentro il Mito di Oslo, e dentro parametri di analisi che non corrispondevano pià alla realtà sul terreno. Si tratti della soluzione di Uno Stato, della confederazione, di due Stati con cittadini e residenti permanenti, del piano del figlio di Rabin o delle riflessioni di Menachem Klein nel suo ultimo libro, The Shift. Israel-Palestine from Border Struggle to Ethnic Conflict (bravo, Menachem!!!), la riflessione libera può essere solo positiva. Conduce fuori dalle sabbie mobili, dal fango, dall'impasse di questi anni recenti. Cambia il vocabolario del conflitto, ristabilendo il vero significato di atti, politiche, leggi, azioni militari. Costringe a pensare, fuori dalla camicia di forza di un progetto, quello di Oslo, non solo fallito, ma che forse aveva già insito in sé il disastro di questi ultimi anni.
L'altro elemento importante di questa ritrovato libertà intellettuale, è che non sono solo gli analisti ad aver scoperto che sì, si può di nuovo ragionare. Sono comparsi altri attori, e soprattutto altre generazioni. Non solo gli attivisti. Ma soprattutto i professionisti delle arti liberali, dagli architetti agli avvocati. Soprattutto, direi, gli architetti. Quelli che ragionano sulla pratica e nello stesso tempo sulla visione, sulla pre-visione, sulla teoria. Lo stanno facendo sulla Cisgiordania, ma io sono pià interessata alla riflessione degli architetti su Gerusalemme, microcosmo in cui si rispecchia il macrocosmo di israeliani e palestinesi, come dice uno di loro, Sinan Abdelqader. Gerusalemme divisa, oppure Gerusalemme unita? Non lo dicono più solo i coloni, o il governo di Israele. Comincia a farsi strada anche tra i palestinesi di Gerusalemme e non solo. E con parametri completamente diversi da quelli che vogliono imporre i coloni israeliani o la narrativa islamista radicale. Si tratta di riflessioni che nascono da nuove generazioni di palestinesi, che occorre leggere con attenzione e con rispetto.
Stay tuned. Poi vi racconto nei dettagli cosa succede a Gerusalemme, fuori dalle letture classiche…
Nella foto, i protagonisti della Linea Verde, Moshe Dayan e Abdallah el Tal. 1948
November 30, 2010
Da Wikileaks al Barça
Siccome, però, succede altro nel mondo, oltre a Wikileaks, faccio una piccola incursione nel mondo dei fans del calcio. Per la precisione, di quelli che tifano Barcellona e Real Madrid. Qui a Gerusalemme sono praticamente tutti, perché i club del campionato spagnolo hanno scalzato le squadre italiane. La partita di ieri sera era sui maxischermi dei ristorantini e dei localidi Gerusalemme est. E nelle scuole i bambini palestinesi si dividono tra chi è per il Barça e chi per lo squadrone della capitale: un fatto tanto sociale da divenire linguistico. Ci sono i reali (coloro che tifano Real Madrid) contro i barceloni, mi ha spiegato uno di loro. E a girare per Facebook, un gol a Messi lo hanno chiesto anche da Gaza. Ma il dato importante è che la febbre del calcio spagnolo unisce una città altrimenti sempre più divisa e crudele. Per il Barça tifano tutti, a est e a ovest, palestinesi e israeliani, uniti sotto la bandiera dei catalani. E noi italiani abbiamo perso un primato sul quale abbiamo vissuto di rendita per anni…
La foto scattata di fronte a un negozio palestinese è tratta, appunto, da un blog che si intitola FC Barcelona blog, e tratta appunto del tifo catalano nel mondo arabo.
November 29, 2010
Wikileaks a Gaza
O per meglio dire, Wikileaks su Gaza. Fino a ora, non c'è un gran che di nuovo nei cablogrammi usciti da Wikileaks. Per chi ha frequentato gli archivi dei ministeri degli esteri, compresi – illo tempore – i National Archives di Washington e le loro magnifiche matite, i cablogrammi non sono segretissimi, non dicono molto di nuovo, sono – per così dire – di routine. Con l'eccezione – certo – della richiesta da parte di Washington di spiare i vertici dell'Onu… I cablogrammi resi pubblici, con la grande gioia di ricercatori e analisti del Medio Oriente, confermano comunque quello che era già uscito come 'dietro le quinte', rumours, boatos, recriminazioni.
Una conferma sopra a tutte, una di quelle che qualche reazione susciterà, è quella contenuta nel resoconto di un incontro tra l'allora e attuale ministro della difesa Ehud Barak e membri delle commissioni di Senato e Congresso che si occupano di politica estera, nel giugno del 2009, e dunque meno di sei mesi dopo la fine (fallimentare, in tutti i sensi…) dell'Operazione Piombo Fuso.
Barak made clear in these meetings that he feels the Palestinian Authority is weak and lacks self-confidence, and that Gen. Dayton's training helps bolster confidence. He explained that the GOI had consulted with Egypt and Fatah prior to Operation Cast Lead, asking if they were willing to assume control of Gaza once Israel defeated Hamas. Not surprisingly, Barak said, the GOI received negative answers from both. He stressed the importance of continued consultations with both Egypt and Fatah — as well as the NGO community — regarding Gaza reconstruction, and to avoid publicly linking any resolution in Gaza to the release of kidnapped IDF soldier Gilad Shalit.
Abu Mazen e Hosni Mubarak, dunque, sapevano dell'Operazione Piombo Fuso, prima che Israele sparasse un colpo d'artiglieria. E non ha fatto nulla per evitare quello che si è rivelato un massacro. Israele, che ha poi smentito questa interpretazione, era convinta di spazzare via il regime di Hamas, tanto da chiedere a Egitto e Fatah (non il governo dell'ANP?) di prendere – per così dire – in consegna Gaza dopo la sconfitta di Hamas. La storia è andata per un altro verso, ma le opinioni pubbliche della regione hanno sempre condannato Mubarak e Abu Mazen come 'complici' dell'Operazione Piombo Fuso, per averlo saputo prima e non aver fatto nulla. Non solo. Si è adombrato anche, nel settembre del 2009, che la decisione di Abu Mazen, di votare per il rinvio del voto sul rapporto Goldstone, fosse dovuta – dissero le indiscrezioni di stampa – alla possibilità che si facessero uscire documenti sul fatto che i vertici di Fatah e dell'ANP sapessero della decisione di Israele di attaccare Gaza.
Quali saranno le reazioni a Ramallah ma anche al Cairo, dove le elezioni politiche sono segnate dal prevedibilissimo coté di scontri e denunce di brogli?
L'addendum necessario è quello che riguarda il documento sulle informazioni biografiche. Il dipartimento di Stato chiede informazioni, anche da parte dell'intelligence, su esponenti di Hamas e di Fatah.
Fatah-HAMAS Relationship (LEAD-1). –Fatah-affiliated Palestinian Authority leadership and HAMAS efforts to resolve issues related to reconciliation or to continue competition. –HAMAS reaction to peace negotiation efforts. Relationship between the Palestinian leadership, to include the Presidency, and HAMAS officials in Gaza and rejectionist elements. –Leadership plans and efforts in Gaza and the West Bank to unify or maintain the division between the two territories. –Efforts by the Palestinian Authority leadership to involve HAMAS elected officials in negotiating strategies for the peace process. –Details of travel plans such as routes and vehicles used by Palestinian Authority leaders and HAMAS members. –Biographical, financial and biometric information on key PA and HAMAS leaders and representatives, to include the young guard inside Gaza, the West Bank and outside.
Domanda: il documento è del 2008. Hamas ha vinto le elezioni nel gennaio del 2006. Le elezioni municipali sono del 2005. La decisione di consentire il processo elettorale da parte degli USA è precedente. Hamas è stata fondata vent'anni prima della data del documento. E di queste persone, leader politici, esponenti, il dipartimento di Stato non aveva informazioni, biografiche, biometriche e quant'altro? Ah, i vecchi tempi… I miti crollano, anche quello della CIA. Nel mio libro, comunque, c'è una dramatis personae, se per caso dovesse servire.
Nella foto, l'ospedale Al Quds di tel el Hawa, a Gaza, bombardato durante l'Operazione Piombo Fuso.
November 26, 2010
Questo pazzo pazzo pazzo mondo
Il pazzo pazzo pazzo mondo è a Gerusalemme, ovviamente. Spigolature dai comunicati stampa che ricevo, e dalla vita che vivo.
Proteggere gli animali. Un comunicato delle forze armate israeliane fa sapere che lo scorso fine settimana unità combattenti del battaglione Shimshon della Kfir Brigade hanno stroncato un episodio di caccia di frodo. Hanno arrestato tre palestinesi nei Territori Occupati, nell'area di Nablus, che avevano appena ucciso un daino. "We will continue our cooperation with the Israeli Nature and Parks Authority in order to protect animals in the area." Non solo. Secondo l'ispettore dell'Autorità Israeliana per i Parchi, le forze armate israeliane e l'Amministrazione Civile Israeliana che sovrintende ai Territori Occupati Palestinesi "hanno raddoppiato le forze specificamente allocate per combattere la caccia di frodo e coloro che lavorano contro il danneggiamento della natura in generale". Avranno da fare, in queste settimane. Abu Mazen, accanto al ministro Frattini, citava gli olivi nei campi palestinesi bruciati dai coloni…
Lo dicono i cartoni animati. Ieri, nella favela di Silwan, quartiere palestinesi di Gerusalemme est diventato luogo di tensione tra abitanti e coloni, soprattutto quelli che hanno fondato e gestiscono la Città di David. Un nonno racconta la reazione della nipotina quando le autorità israeliane, con la presenza di polizia in forze, armi e apparato di sicurezza gli hanno consegnato l'ordine di demolizione della sua casa. Ordine – a dire il vero – indirizzata a un anonimo, come recita il foglio che ho visto… La nipotina: "Nonno, ma io nei cartoni animati vedo che la polizia arriva quando ci sono criminali e ladri. Ma voi, cosa avete fatto? Siete dei ladri?" Lo dicono i cartoni animati. Gerusalemme non è un cartoon.
Non solo pellegrini. A Gerusalemme, di turisti-turisti se ne vedono pochi. La massa, enorme, è quella dei pellegrini. E allora, il ministero del turismo israeliano ha deciso che bisogna intervenire. Ha iniziato una campagna pubblicitaria su Fashion tv, tra sfilate e moda e nuove tendenze. D'altro canto, Fashion tv raggiunge il pubblico di 200 paesi (ma i membri dell'Onu non sono 192?). Titolo della campagna: Israel, it's magic. Commento del ministro del turismo, da un comunicato del dicastero: "This is a revolutionary breakthrough, highlighting Israel's historical, cultural and religious sites and exposing Israel as an attractive tourism destination to new markets".
November 24, 2010
Costruire, separare
Non solo Muri. Non solo checkpoint. Separare, a Gerusalemme, è un atto che si compie attraverso gesti architettonici di diverso tipo. Dalla pianificazione urbana alla gestione dei trasporti. Gli esempi sono diventati, dopo decenni, quasi infiniti. Un elenco troppo lungo anche per venire letto a Vieniviaconme. Dai quartieri costruiti a oriente della Linea Verde sino alla messa in opera (rinviata, secondo le ultime notizie di stampa, sino al novembre del prossimo anno) di un treno leggero che, unendo il centro della città con le colonie israeliane a Gerusalemme est (direzione Ramallah), rende nei fatti impossibile la divisione della città come capitale di Israele e di una futura Palestina. Recitando, dunque, l'ennesimo Requiem alla soluzione dei 2 stati (a proposito, per chi vuole, c'è una nota di Stephen Walt sui blog di Foreign Policy).
Oggi, comunque, c'è la giornata clou di una conferenza molto importante su pianificazione urbana, architettura, decolonizzazione, spazi vivibili e separazione. All'università di Al Quds, l'università araba di Gerusalemme, nel campus di Abu Dis, al dià del Muro. Appunto. Il programma è qui. A parlare, architetti palestinesi e non solo. Impegnati a descrivere un'altra storia di Gerusalemme. Quasi sempre dimenticata, invisibile. Non per questo meno vera.


