Wu Ming 4's Blog, page 102
May 16, 2014
L’accusa di «terrorismo»? Caduta. L’aggressione all’autista? Sbugiardata. Oggi è una bella giornata #NoTav!

È stato un grande inizio di giornata.
[Abbiamo chiesto al comitato NoTav Spinta dal Bass un commento sulle buone notizie giunte nelle ultime ore. Eccolo.]
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Ieri sera la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Riesame di Torino che confermava i pesantissimi capi di imputazione (attentato con finalità terroristiche e di eversione) con cui la procura di Torino accusava quattro NoTav: Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.
Non è certo la vittoria finale in questa vicenda, i compagni per il momento restano in carcere, ma di sicuro è un bello squarcio nella pesante cappa che Procura, media e politici cercavano di mettere su questa storia. Il 22 maggio si aprirà il processo, ma questa decisione della Cassazione cambia l’atmosfera, come ha detto uno dei difensori questo pronunciamento
«incide positivamente sul processo che è imminente e che ora si svolgerà come un processo “normale” una volta sgomberato il campo da questa accusa pesante».
La pronuncia della Cassazione potrebbe inoltre migliorare le pesantissime condizioni detentive (Alta Sicurezza 2) a cui sono sottoposti i quattro NoTav. Condizione detentiva che si protrae ormai da 5 mesi proprio sulla base dell’accusa formulata dalla Procura.
Da un anno ormai la Procura di Torino si sforza di spingere sul terrorismo e l’eversione per fatti che di terroristico non hanno nulla. L’ex capo della procura Gian Carlo Caselli aveva, esattamente dodici mesi fa, parlato di «atto di guerra» relativamente all’iniziativa per cui sono accusati i quattro. A sostenere le tesi della Procura si sono messi poi molti giornali e una infinità di politici. Illuminante un editoriale de La Stampa (diretta da Mario Calabresi) in cui senza tentennamenti si affermava che «c’è una cosa che bisogna sapere: in Valsusa il terrorismo c’è già». La sentenza della Cassazione, ribaltando le tesi della Procura, getta aria nei polmoni di chi in questi mesi ha dovuto resistere a questo fuoco basato su accuse assurde e teoremi.

La Stampa, editoriale del 12 settembre 2013. Si concludeva così: «Possibile che questo Paese sia eternamente condannato alla caricatura di se stesso? C’è qualcuno che ha la faccia di dire che in Valsusa il terrorismo c’è già e bisogna evitare di passare alla successiva e tragica caricatura: quella dei colpi di pistola?» Ebbene, tale «faccia» l’hanno avuta in parecchi. Oggi dovrebbero proprio guardarsela allo specchio. Ma è sicuro che non lo faranno.
Anche se, a dirla tutta, il movimento ha resistito assai bene. Sabato 10 maggio a Torino hanno sfilato decine di migliaia di persone, contro l’accusa di terrorismo e per la liberazione di Chiara, Claudio, Mattia e Nicco. Un appello firmato un mese fa da artisti, scrittori, giornalisti e docenti universitari, ha permesso di creare un diffuso senso di solidarietà e vicinanza. Il 22 febbraio in decine di città e paesi c’erano state mobilitazioni per la libertà dei no tav. E poi una infinità di iniziative, azioni e prese di posizione. Modi diversi, ma un unico scopo.
Chi esce pesto da questa vicenda è sicuramente l’ex procuratore capo Caselli, che sull’accusa di terrorismo contro i NoTav si era giocato l’ultimo pezzo di carriera. Ha sbagliato i suoi conti. E poi escono pesti i due PM che conducono le accuse contro il movimento: Antonio Rinaudo e Andrea Padalino. Quei due ricorderanno a lungo queste settimane.
Prima una inchiesta del movimento NoTav dove si legge di inquietanti amicizie del PM Rinaudo, cene con persone legate alla ‘ndrangheta, legami con Moggi ai tempi di Calciopoli evidenziati da intercettazioni imbarazzanti, e molto, molto altro. La lettura dell’inchiesta è fortemente consigliata anche perché porta dritta al cantiere di Chiomonte, approdo che dà da riflettere se si pensa che il PM è il principale accusatore della resistenza NoTav.
E poi la vicenda grottesca dell’autista di Rinaudo. Questo tizio, un ex carabiniere, aveva denunciato un mese fa una aggressione ai propri danni, fatta da tre uomini che l’avrebbero apostrofato «servo dei servi». Immediatamente si era alzata una montagna di indignazione e accuse contro i NoTav, automaticamente associati all’episodio. Proprio ieri, in una curiosa coincidenza temporale con la pronuncia della Cassazione, si è concluso che l’autista di Rinaudo si era inventato tutto. Nessuna aggressione, nessun aggressore.
[Nota di Wu Ming: non per dire «Noi l'avevamo detto» ma... l'avevamo detto! Il giorno stesso. In compagnia di tutto il movimento.]

Tweet del giornalista Mario Bocchio del 15 aprile 2014. Un consiglio: quando hai finito di leggere il post, clicca su quest’immagine.
Il problema è che nel frattempo Rinaudo e Padalino si erano lasciati andare a dichiarazioni che rilette ora fanno impressione per il tentativo dei pm di associare l’aggressione con il movimento.
Rinaudo: «Colpiscono chi è indifeso. Se è vero che non hanno mai aggredito le persone? Certo, ma c’è sempre un’ora zero. Un momento in cui accade qualcosa di diverso che cambia il corso della storia».
Padalino: «L’aggressione dell’altra notte è un tipico atteggiamento intimidatorio mafioso. Queste cose le ho dette anche in aula, durante il processo per un’altra aggressione. Lì il teste era imbarazzato, impaurito. L’ho detto che, certe scene di minaccia appartengono ad altri mondi, ad altre parti d’Italia. Ma questa, ormai, è l’atmosfera che si respira. […] Stanno tentando di far vedere che ci sono, che esistono. Il 22 maggio si avvicina e quella è una data chiave».
Il richiamo al 22 maggio, cioè al processo a Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia è certamente spericolato, considerando che si basava su una bufala, su una montatura.

La Stampa del 12 aprile 2014. Nessun condizionale, nemmeno il barlume di un dubbio: è accaduto e sono stati i NoTav!
Non è la prima volta che la Cassazione smonta i teoremi della Procura di Torino.
Il 21 novembre 2001 venne annullata la condanna per associazione terroristica con finalità eversive a Silvano Pelissero per vicende legate al Tav e alla Val Susa. Non poterono sentire la pronuncia della Cassazione Sole (Maria Soledad Rosas) e Baleno (Edoardo Massari), due giovani accusati insieme a Silvano e nel frattempo morti durante la detenzione.

Solo ieri, quando ormai non serviva più, sul giornale diretto da Mario Calabresi è apparso un condizionale: «avrebbero». Ne usiamo uno anche noi, un condizionale composto: «A molti sarebbe piaciuto!»
Nessuno ha dimenticato quella storia. E forse anche in questa consapevolezza, nella capacità di contrapporsi alle prepotenze, ai tentativi di annichilire chi si oppone, sta il motivo per cui i NoTav fanno paura. Portare in piazza decine di migliaia di persone contro l’accusa di terrorismo e la forza di resistere tutti insieme alle ingiustizie. Questo fa paura alla controparte. E si impara solo stando nella lotta.
Liber* tutt*.
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May 12, 2014
Torna in libreria «Amianto» di Alberto Prunetti

La nuova edizione di Amianto. Clicca per ordinarla all’editore con il 15% di sconto e senza spese di spedizione. Oppure ordinala alla tua libreria di fiducia, meglio se indipendente.
Le Edizioni Alegre prendono il testimone dai leggendari compagni di Agenzia X e riportano in libreria un titolo davvero importante: Amianto. Una storia operaia di Alberto Prunetti. La nuova edizione ha un capitolo in più e… un’appendice giapster, perché il libro si conclude con la conversazione a tre De Michele – Prunetti – Wu Ming 1 apparsa su questo blog il 3 febbraio 2013.
Per l’occasione, riproponiamo l’audio della presentazione bolognese del libro, svoltasi il 20/03/2013 in un’aula della facoltà di Lettere occupata per la bisogna.
Con l’autore c’erano WM1, Massimo Vaggi (scrittore e avvocato civilista, redattore della rivista «Letteraria», collaboratore della FIOM, esperto di cause per morti da amianto) e Babe del collettivo Bartleby.
La registrazione dura un’ora e quarantadue minuti. L’intervento introduttivo di Babe è un po’ distorto, poi si sente tutto bene. Per scaricare il file, cliccare sulla freccia. Buon ascolto!
Presentazione di Amianto, Bologna, 20 marzo 2013
Presentazione di Amianto, Bologna, 20 marzo 2013.
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May 11, 2014
Decolla l’ORigami Révolution! #Armatadeisonnambuli

Mille papaveRi Rossi (by MaRco). Come nel Romanzo, l’AmmazzaincRedibili omaggia De AndRè… Ma ogni papaveRo è un muschiatino.

ScaRamouche e ARlecchino, mascheRe senza padRone (by Michele).

La Rivoluzione è una fatica d’amoRe (by CRistina)

Il lungo fil Rouge della stoRia (by Michele)
E dopo i diagrRammi in pdf, c’è anche il video tutoRial!
Già che ci siamo, toRniamo a segnalaRe un bel documentaRio d’annata e dannato, CacciatoRi di muschiatini. Racconta come si oRganizzaRono i sanculotti dei foboRghi, dopo TermidoRo, peR difendeRsi dalla Jeunesse DoRée e dai Sonnambuli. CuRiosamente, nei titoli di testa fRanzosi appaRe un titolo sbagliato. Sottotitoli in italiano.
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May 9, 2014
Prefazione alla nuova edizione di «Teppa» di Valerio Marchi – di WM5
[Ci manca sempre di più, Valerio Marchi (1955 - 2006). In questi giorni di rinnovati e pericolosi sproloqui su curve tifoserie daspo Genny 'a Carogna - sproloqui funzionali a distrarre l'attenzione del cetomediume titillandone le pulsioni autoritarie - è addirittura frastornante l'assenza di quella voce, ruvida che più ruvida non si poteva.
Negli anni a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo, un libraio skinhead e comunista, sociologo col culo nelle strade di Roma, cercò di mappare i nuovi rapporti tra antagonismo sociale, stadio, culture giovanili e resistenza simbolica attraverso i rituali. Quel lavoro è ancora valido, è un'indicazione di metodo, è una bussola etica.
Ebbene, bisogna essere riconoscenti a Cristiano Armati e alla Red Star Press per la riedizione di Teppa. Storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri, ricostruzione ambiziosa eppure agile (160 pagine) dei fenomeni di teppismo che hanno accompagnato la nascita e la crescita del capitalismo e della società borghese.
Teppa torna in libreria con una prefazione di Wu Ming 5. Ve la proponiamo qui di seguito.]
Non occorre che un’opera d’arte, un libro, un film o una musica siano “belli” per incarnare una temperie o per illuminare particolari in ombra nel gioco scenico dei vari presenti che si succedono e che per accumulo formano il passato e quindi la nozione ideologica che ne abbiamo, cioè la Storia. Così accade che un film autoindulgente e innocuo racconti un racconto del paese che significa in modo esemplare tutta l’impotenza apparente che pervade la nostra vita di italiani , qualsiasi cosa voglia dire, del 2014. Già. A dispetto del fastidio che si prova nel vederlo, bisogna ammettere che La Grande Bellezza dice bene molte cose.
Tipo: in una scena il protagonista, Gambardella, l’autore che dopo l’acclamato romanzo d’esordio non ha scritto più nulla, riduce al silenzio, in un salotto romano, un’autrice impegnata, che aveva svolto la sua carriera sotto l’egida del Partito. Un intellettuale organico, insomma. L’attacco di Gambardella è spietato. L’unico merito della donna è l’asservimento, tutto ciò che ha scritto non ha valore. Fa parte di un ceto di fastidiosi grilli parlanti che in realtà sono uguali, nella propensione al compromesso o alla vera e propria prostituzione, ai ceti, alle classi o agli individui sui quali, per mestiere, moraleggiano. Privilegiati, in malafede e rompicoglioni, quindi: in più, incapaci di godersi la vita, proni ai sensi di colpa. Il protagonista del film di Sorrentino sintetizza in modo esemplare quello che molti fabbricanti d’opinione, molti ideologi della borghesia pensano di una parte dell’intellettualità italiana, quella, per l’appunto, che una parte ce l’ha. Lo fa con estrema durezza, con ripugnante machismo, con il livore che si deve a una donna che “non sta al proprio posto”.
Il film ha vinto l’Oscar, capace come è di fornire una visione esotica, decadente e estetizzante, adatta a una fruizione compiaciuta, estatica, come quando si mangia molto formaggio, si beve molto vino e magari si fuma una canna subito dopo. Film adatto a un paese che da decenni tiene la testa dentro il buco del culo, e che anche in questo incarna una paradossale avanguardia mondiale. Il film del resto conferma uno stereotipo classico sull’Italia-Babilonia e non stupisce che il mondo anglosassone ne sia stato così compiaciuto.
È chiaro che quasi tutti quelli che fanno un uso pubblico della ragione, gli intellettuali del mondo reale, vivono vite lontanissime dallo stereotipo che il film di Sorrentino ci spaccia ancora una volta. Un ceto vastissimo che non per forza finisce sulle pagine dei quotidiani nazionali pronta a fornire un’illuminata, filosofica opinione sulla crisi ucraina, sulla crisi dell’Inter, sulle elezioni o su qualche tema etico, magari in compagnia di un prete o di uno sbirro.
Un esempio di uso pubblico, e critico, della ragione è la vita e l’opera di Valerio Marchi. Difficile pensare a un intellettuale più lontano dallo stereotipo disegnato dalle parole di Sorrentino/Gambardella. Chissà cosa avrebbe pensato e detto Valerio di un film simile.
Uno storico del conflitto. Un’intelligenza acuta, capace di muoversi sullo street level, sul piano dove il conflitto si esplica, si annoda, si scioglie e riannoda nel quotidiano, nelle vite di tutti e di tutte. Non è lecito aspettarsi che l’accademia riconosca la portata del suo lavoro, e in fondo non ha nemmeno molta importanza. Niente Oscar di nessun tipo, nessun riconoscimento ufficiale per libri come questo. A pensarci bene, è una fortuna Quello che conta davvero è che le parole di Valerio, le sue idee e la sua visione continuino a circolare, a essere fruite e rideclinate, che contribuiscano alla riflessione e perchè no alla formazione di quelli che di fronte alla pervasività del conflitto non si tirano indietro e sono pronti a giocare una parte dalla parte dei molti, cioè dalla parte giusta. Già, le cose diventano interessanti se Lenin, Gramsci, la scuola di Birmingham e Dick Hebdige escono dai corsi di storia o di sociologia o dalle sedi di minuscoli partitini e ci arrivano davvero, sullo street level, cioè sul piano dove avveniva negli ultimi anni la quasi totalità dell’azione intellettuale e politica di Valerio Marchi, intellettuale di strada. Tutto diventa interessante se libri come Teppa, che Red Star provvede opportunamente a ristampare, diventano piccoli breviari storici per sostenere la capacità di riflettere, analizzare, e quindi resistere e attaccare.
Figlio di un’altra temperie, Teppa ha ancora molto da dire al lettore contemporaneo, anche grazie alla cifra fruibile e apertamente narrativa. Merita nuovi lettori, dovrebbe essere consegnato a una generazione più giovane perché un filo rosso, quello della resistenza e della ribellione, non si perda, perché la bellezza dei corpi in rivolta non scompaia dalle nostre vite, inghiottita dal vaniloquio del potere, dalla voce meccanica dei suoi gadget mortiferi.
Negli anni in cui apparve, gli anni novanta del secolo scorso, si stava producendo un fenomeno interessante. Membri delle sottoculture stilistiche (dei culti, per dirla all’inglese) di cui parla il libro incominciavano a produrre discorso in prima persona. Le sottoculture, quella skinhead in particolare, giungevano hegelianamente all’autocoscienza. Con questo, da una parte, la purezza (preoccupazione in fondo borghese) era perduta, ma dall’altra si aprivano nuove possibilità, che gli anni successivi hanno cominciato ad esplorare. A metà anni novanta era possibile pensare in termini non meramente resistenziali. Appena dopo (il libro è del 1998) sarebbe esploso il movimento altermondialista.
Teppa, storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri, si presenta come una carrellata di stili, una narrazione di corpi che si assoggettano a disciplinamenti alternativi, alle volte in aperto antagonismo rispetto a quelli del potere, e che negli interstizi della legge erigono spazi di vivibilità simbolici e concreti, biotopi nei quali forme di vita alternative proliferano, si diffondono, si contraggono e si espandono, subiscono mutazioni, attraversano filiazioni e riscoperte. In realtà tutti gli stili sottoculturali di cui parla il libro, dai Merveilleux agli Zazous agli Skinhead fino, in maniera già autocosciente, al Punk, incarnano l’equilibrio precario che è la rappresentazione/risoluzione simbolica del conflitto. Che può sfociare, e spesso sfocia, in conflitto aperto, ma fondamentalmente risiede nel rapporto tra sé e identità individuale e sociale. Rapporto che è segnato dall’appartenenza di classe, se è vero come è vero che in una società divisa in classi ogni pensiero ha un’impronta di classe. Stili che conoscono pregnanze effimere, che dicono simbolicamente tutto il loro dicibile nel volgere di una stagione, ma che poi si radicano, diventano opzioni percorribili, significative per molte generazioni, che conoscono evoluzioni e storie che coprono interi decenni. Stili che, come ci si diceva in un’estate romana di molti anni fa, sono ancora capaci di incarnare una problematica, non compiacente bellezza all’interno della metropoli globale. Questo, in tempi di autoassolutorie, sedicenti Grandi Bellezze continua a essere un dato importante.
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May 8, 2014
ORigami Révolution! Piega anche tu la MascheRa di ScaRamouche #ArmatadeiSonnambuli
Ci sentiamo come Gilles Deleuze quando, dopo aver scritto La piega. Leibniz e il barocco, ricevette lettere dai soggetti più svariati, a partire da surfers che si erano riconosciuti nel pur astruso libro, nella visionarietà con cui il filosofo parlava di «pieghe», «pieghe nelle pieghe», «pieghe che si prolungano all’infinito» etc. Per i surfer è tutta una faccenda di prendere la piega giusta, ed è così per chi si diletta di origami. Infatti, a sentire Deleuze, a farsi vivi furono entrambi, i surfer e i piegatori di carta:
«Arrivano i piegatori di carta e dicono: “la piega siamo noi”. Gli altri di cui parlavo mi hanno inviato esattamente lo stesso tipo di lettera, è impressionante, sono i surfisti. A prima vista non c’è nessun rapporto con i piegatori di carta. I surfisti dicono: “siamo completamente d’accordo, perché ci insinuiamo continuamente nelle pieghe della natura. Per noi la natura è un insieme di pieghe mobili. Ci infiliamo nella piega dell’onda, abitiamo la piega dell’onda, è il nostro compito”. Abitare la piega dell’onda. Ne parlano in modo eccezionale…»
I nostri libri hanno sempre avuto diramazioni e prosecuzioni transmediali, le storie che abbiamo raccontato sono proseguite in musica, nel teatro, nelle fan fiction, nei giochi di ruolo, nei giochi di carte, nell’escursionismo a tema… Ma quel che sta succedendo con L’Armata dei Sonnambuli spinge tutto molto oltre: si è iniziato subito con il cosplay e i calchi linguistici “sanculotti” nei social media, coi détournements di pubblicità cinematografiche, con la tipografia vintage, per non parlare dell’intenzionale rimbalzo nell’album Bioscop del Wu Ming Contingent… Poi ci si è spinti più in là.
Pochi giorni fa, a Torino, il «Laboratorio di magnetismo rivoluzionario» curato da Mariano Tomatis ha realizzato l’incontro live di letteratura e illusionismo – quest’ultimo inteso come “progettazione di esperienze magiche”, si veda il libro L’arte di stupire – e, davanti a una platea prima stupefatta e poi commossa (alla fine anche noi avevamo gli occhi umidi), ha portato la transmedialità in una nuova e promettente dimensione.
Ecco, ora tocca all’折り紙. Ieri abbiamo ricevuto una lettera da Marco:
«Quando 2 settimane fa mi è balzata in zucca l’idea di provarci con la vs maschera di Scaramuccia.. per una fortuna che ancora non comprendo… dopo un paio di tentativi andati a vuoto con la base della gru, mi trovo tra le mani l’origami bello e finito, tanto semplice da essere banale, tanto insolito da usare pieghe “curve” e fare ricorso a una mossa spettacolare: l’infossamento orbitale!
L’ho presa forse male, perché mi sono detto che dovevo immediatamente diagrammare il modello (non conosco precedenti di questo modello e non ho attinto a nessun modello di mia conoscenza) e farvelo pervenire al più presto.
In quest’opera mi ha aiutato Gabriella con cui mi incontro spesso a piegare carta e mio fratello Luca, che mi ha aiutato nei diagrammi (fatti di scatti fotografici).
Siccome ci avete regalato gratuitamente tante vs opere, ricambiamo il favore. Questo modello è un omaggio al vs collettivo e alla vs opera. Desideriamo che chi vuole piegarlo possa farlo senza limitazioni. Non vogliamo che i nostri cognomi compaiano sul modello. Se allora volete e ne avete la possibilità saremo contenti che lo pubblicaste sul vs sito. Magari un domani vedremo spuntare le mascherine di Scaramouche…
Alcuni commenti alle foto twittate parlano di maschera diversa ecc… ebbene sappiate che un modello origami non può mai essere preciso all’originale e questo non fa eccezione. Però sono certo sia la maschera di Scaramuche… insomma fidatevi… l’ho voluto io così… nei giorni che dal 25 aprile portano al 1* maggio… dico sul serio.»
E allora, ecco i RivoluzionaRi diagRammi. Piega anche tu la mascheRa di ScaRamouche!
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May 4, 2014
Vox Plebis! Florilegio di commenti su L’#ArmatadeiSonnambuli

«Cura Ludovico» e «Cura Laplace» – by Mariano Tomatis, 2014
Sembra ieri, perché il passaparola è appena al suo inizio, ma dall’uscita del romanzo è già passato quasi un mese. Tre edizioni sono uscite e presto ne arriverà una quarta. La conversazione è più vivace che mai e questo post ne offre, come da titolo, una prima campionatura. Una scelta di pareri apparsi in rete, a cominciare da questo stesso blog, dove è in corso una discussione animatissima riservata a chi ha già finito di leggere, e per questo l’abbiamo chiamata «Spoiler Thread», il filo [di pensieri ad alta voce] che rovina [le sorprese]. Non cliccare se non hai già letto il libro, se clicchi lo stesso son tutti cazzi tuoi! ^__^
Quel che sta accadendo nello «Spoiler Thread» lo ha riassunto bene Maurizio Vito [Spoiler anche qui, clicca a tuo rischio e pericolo].
Noi abbiamo prelevato alcuni stralci, omettendo i passaggi guastafeste. A seguire, estratti da recensioni comparse altrove, con link ai testi integrali. Buona lettura, e ci si vede in giro.
- Ok, ma dove?
Beh, ecco un colpo d’occhio sul nostro maggio.
Il calendario completo fino a luglio (incluso) è qui.
DALLO SPOILER THREAD
Adrianaaaa
«[…] Qualche parola su Marie Noziere. L’adoro. L’adoro perché mi piacciono i fumetti, e lei è una supereroina stracciona e rosa dalla vita proprio come sono i supereroi nei fumetti belli, che cadono in basso che più in basso non si può, e poi riescono a risalire, con la voglia di riscattarsi, perché di mazzate la vita non gliene darà mai abbastanza da abbatterli. E voi avete fatto vivere questa parabola, che nessun Frank Miller si sarebbe sognato di regalare a una donna – ma che anzi avrebbe condito, appunto, del peggiore superomismo, con la sua esclusività, il suo appartenere ai pochi veri eroi, quelli a cui il mondo da le spalle ma che comunque rimangono della loro idea, che sono sempre invariabilmente uomini – proprio a una donna, e per di più del popolo. Una di quelle destinate ad essere ricordate nel gregge, indistinguibili come individui, gregarie per forza, e ricordate solo se grandi sante o ancora più grandi puttane/infami/assassine. Donne del popolo di cui non si conoscono i pensieri, le parole, le idee, perché non scrivevano e, salvo i casi citati sopra, non attiravano le penne altrui.
(Che poi anche quando scrivevano, come Mary Wollstonecraft – il nome c’entra qualcosa? Immagino c’entri di più Marianna -, finiscono dimenticate per secoli e anche quando vengono tirate fuori finiscono solo sugli scaffali delle librerie delle donne)
Un enigma. La sconosciuta su cui non si scervella mai nessuno, che persino (anzi, soprattutto) quando piange un caduto per la patria è solo un cuore di donna tra i tanti, che deve, dopo la perdita, battere solo nel dolore e nel ricordo. Marie no. La vita di Marie va avanti dopo uno stupro, dopo la nascita di un figlio, dopo la morte dell’amato, dopo il fallimento, dopo la separazione da suo figlio, dopo essere diventata disfatta e rugosa ed essere invecchiata troppo presto, senza l’unica cosa che da dignità a una donna che invecchia: la dedizione totale agli altri.
E, cosa più bella di tutte, sceglie di rivoltare contro i propri nemici l’accusa di essere poco più di una bestia, incapace di fare politica per sé, portatrice di istinti animali da governare, buona solo a sgobbare con gli spilloni da maglia. Lei, quegli spilloni da maglia, li trasforma in artigli […]»
Andrea Strippoli
«[…] Wu Ming pone l’Armata dei Sonnambuli come manifesto definitivo della propria ventennale esperienza letteraria e politica. Annulla una volta e per tutte la diversità ontologica con cui gli storici ufficiali diversificano la rivoluzione borghese dai moti plebei, unificando il conflitto in un unico indistinto momento insurrezionale in cui tutte le parti in causa sono coinvolte consapevolmente e mobilitate in maniera attiva per il raggiungimento dei propri interessi. Per le due ragioni fin qui esposte. La rivoluzione, abbiamo detto, non ha fine, è essa stessa il fine. Una rivoluzione che si definisce compiuta altro non è che un nuovo ordine, con nuove gerarchie e nuove discriminazioni. La Storia, non Wu Ming, ce lo insegna. La plebe, abbiamo detto, non colpisce mai a cazzo. La plebe, abbiamo detto, il suo calcio nei coglioni sa sempre a chi assestarlo. […]»
Tommaso De Lorenzis
«[…] L’Atto quinto opera uno scarto tra uso romanzesco della Storia e non-fiction novel indicando una nuova prospettiva d’intervento. Tra la finzione che scorre nelle pieghe del documento e la fonte utilizzata attraverso tecniche narrative, si fa strada un approccio terzo. Varrebbe la pena verificare quali fonti, nell’Atto quinto, sono davvero documentarie, quali finzionali – benché confezionate nella forma del documento – e quali hanno subito, come nel caso di [Omissis], un “trattamento” immaginativo. L’esperimento richiama – tra le mille altre cose – quello di un mockumentary storiografico, per così dire. Cioè il gestire la finzione attraverso un ricalco dello stile delle fonti. Nella narrativa (anche non romanzesca) italiana contemporanea questo tipo d’intervento non ha ancora acquisito una centralità paragonabile a quella che si è faticosamente guadagnato il non-fiction novel.»
Paul Olden
«[…] L’impressione è che questo sia un gran bel libro, semplicemente. Dico solo “gran bel libro”, focalizzandomi sulla semplicità di questa affermazione: è un romanzo profondo e leggero allo stesso tempo, un libro che ha i numeri per essere oggetto di grandi dibattiti e riflessioni culturali, ma anche tutte le caratteristiche per essere un grande successo di vendite, addirittura raggiungendo “grande pubblico”, persino – in qualche modo – quello dei non-lettori! In questo vedo la differenza sostanziale con le precedenti opere dei Wu-Ming: qui, come sempre, c’è la sostanza, ma c’è anche il divertisment, lo spettacolo-kolossal di qualità, un po’ – insomma – una cosa come forse potrebbe essere Matrix per il cinema di fantascienza, fatta di qualità e divertimento, esagerazione e riflessione, piani di lettura profondi ma non obbligatori… un prodotto che sembra adattarsi al lettore che lo tiene in mano, lasciandosi leggere (e rileggere) in più e più modalità, tutte lecite. La qualità si potrebbe dire “magnetica” del libro è: “persone diverse leggono ciascuna un’Armata dei Sonnambuli diversa”. […] Il quinto atto io l’ho sentito come se il romanzo me l’avesse contato un cantastorie, o un nonno davanti al fuoco, oppure un vecchio incontrato per caso in una taverna di Montmatre… e io gli chiedo se è tutto vero, se questa gente è davvero esistita, se i personaggi sono storici… e lui dice di sì, e me racconta il perché e percome. Insomma, non mi fa un elenco delle fonti: me le racconta.»
Saint-Just
»Direi che la scommessa è questa…se si è riusciti a raccontare in modo così efficace e persino mirabile il rapporto giacobini, arrabbiati, hebertisti… ed incredibilmente anche a vincerci sopra uno scommessa commerciale vuol dire che di atti Sesti se ne possono ancora scrivere tanti… La terrificante macchina giacobina continua a lavorare anche in fase di Termidoro.»

Orfeo Signora Bianca scende all’Averno – by Mariano Tomatis, 2014
FRAMMENTI DI LETTURE MAGNETICHE
«E leggendo queste pagine sulla Rivoluzione par exellence non possiamo fare a meno di pensare ai nostri tempi di crisi, alla criminalizzazione dei movimenti, all’austerity, alla repressione violenta (cronaca di questi giorni) delle occupazioni abitative.
Ma pensiamo anche, senza lagnanze, a quelli che Wu Ming 1 definisce i divenire rivoluzionari; magari non si tratta dell’alba del Sol dell’avvenire, ma di una grande quantità di lotte che in questi anni, nel mondo come in Italia, testimoniano di una tensione rivoluzionaria che non si spegne e che è bene continuare a inseguire, nei libri e nelle strade.»
Da: Radio Sherwood / Global Project, introducendo la videointervista a WM1, Sa.L.E. Docks di Venezia, 16 aprile 2014
⁂
«L’Armata dei Sonnambuli è un romanzo eccezionale: è una miniera di invenzioni stilistiche geniali (la prossima volta che andrò a Parigi mi aspetterò che al mercato si parli il ferrarese), con una cura straordinaria delle immagini (la galleria di nasi nell’incipit, il naso a rostro di Scaramouche contro il naso mozzato che contrassegna i cattivi, per contrappasso), una ricerca e una successiva operazione di cucito delle fonti originali, entrambe da prendere come esempio [...] E pure se in fondo racconta la storia di una controrivoluzione, di un’occasione persa, di una colossale sconfitta, il messaggio è inequivocabilmente ottimista: è valsa la pena di fare la rivoluzione, anche se poi ce l’hanno sbattuta nei denti, anche se “troverai sempre qualcuno che dice di no, si tratti del senno di poscia (troppo facile) o del senno dei servi (più facile ancora). Fosse per quelli così, non si farebbe mai una sega. Noi abbiamo provato a costruire la torre, ricordi? La torre che permettesse di sguardare il mondo, e i tiranni del mondo cadere dabbasso.”
Per quanto oggi, ovunque ci si giri, sembra di riconoscere il senno di poscia e il senno dei servi (più facile ancora), dobbiamo ricordarci che le cose cambiano in fretta, e cambiano sempre.»
Da: Avvocato Laser, Viva Scaramouche
⁂
«L’armata dei sonnambuli è un libro che va letto e basta – e poi eviscerato, mandato in infinitudine, a contagiare come mesmerismo tutto e tutte e tutti, in un rovesciamento della “cattiva infinità” di cui fu padre teorico Hegel, uno di quelli che mi sembrano essere espliciti nemici di questa narrazione, il filosofo che vede Napoleone dalla finestra di casa e inventa su quella figurina a cavallo la categoria dell’”uomo cosmico-storico”, ulteriore restaurazione che lotta contro l’eroe, cioè il personaggio principale e ambiguo di cui il racconto della storia non può fare a meno di narrare. Vabbè, sono appunti impressionistici, ma davvero è difficile dire qui perché Marie Noziére si chiama davvero così e cosa c’entrano gli Area e perché D’Amblanc si chiami Orphée e quale inferno scenda a violare per riportare cosa in superficie e fallendo in che modo. Leggete questo romanzo e unitevi al coro di tutti noi, adepti di Scaramouche e del fluido magnetico che, esattamente come accade per il veleno, che in greco fa “phàrmakon”, può essere mortale o salvifico: dipende dalle prospettive e dai modi d’uso e dall’impiego quantitativo di quella qualità.»
Da: Giuseppe Genna, Leggere L’Armata dei Sonnambuli

Kill Black – by Mariano Tomatis, 2014
«La forza di questo libro è quindi completata dal magnifico Atto Quinto: “Come va a finire”. Se già prima in ogni passaggio il lettore può trovarci tante metafore di altri passaggi storici (dalla rivoluzione russa allo stalinismo? la fine della seconda guerra mondiale? il post-anni ‘70 in Italia?), dopo aver letto l’ultimo capitolo del volume ci si può davvero sbizzarrire per partire in una sorta di viaggio nel tempo.
Per quanto riguarda l’intreccio, l’ho trovato appassionante fino alla fine, con un “cedimento” alla letteratura di genere forse più marcato che in altri libri del collettivo [...] Personalmente, anche da ex giocatore di ruolo, ne sono rimasto entusiasta e mi sono immaginato possibili varianti e bivi ad ogni passo.
Il libro è intrigante poi per i rimandi “nascosti” ad altri testi, a cominciare da “Manituana“, il volume del collettivo Wu Ming ambientato in America. Le citazioni di brani utilizzati per dialoghi dei personaggi, gli articoli di giornali d’epoca sono tutti stimoli alla curiosità, non del tutto appagata dall’atto quinto del libro.
L’Armata dei Sonnambuli infine parla di Rivoluzione: chi la fa, chi la mantiene, chi la combatte. Ne parla in modo romanzato e complesso, e andando a rimestare nella rivoluzione che ha dato il via alla storia contemporanea, epoca in cui ci troviamo ancora a vivere oggi.
Da: Lorenzo Cassata, 108 – L’Armata dei Sonnambuli
⁂
«Per questo i mesmerizzatori e ipnotisti del libro non curano, ma asservono l’altro. Per questo l’ipnosi e la cura tanto in voga in quegli anni che poi si è evoluta in ipnosi attraverso la propaganda e la psichiatrizzazione, non creano un legame se non di dipendenza. Infondo questo è un libro anche per tutti gli addetti alla psiche, che non devono mai scordare che solo il legame vero e il contatto con il dolore cura, non la volontà onnipotente di farlo. Non a caso Jung parlò di contro transfert e di ferita feritoia dell’analista che solo se si incontra allo stesso livello di quella del paziente, solo in uno stato di uguaglianza, può curare.
Un gran romanzo, ognuno di voi ci leggerà mille sfaccettature, ne ho accennate alcune e vi invito alla lettura che sarà divorante perché tutto scorre, fascinoso come Parigi durante la rivoluzione.»
Da: Barbara Collevecchio, L’Armata dei Sonnambuli, il capolavoro dei Wu Ming

L’uomo chiamato Laplace – by Mariano Tomatis, 2014
«Il ribaltamento di prospettive è fantastico. Restituisce il punto di vista proletario degli eventi centrali della rivoluzione. Non solo, il tessuto sociale viene reso in tutta la sua complessità, in tutte le sue contraddizioni. Come in tutta la produzione wuminghiana, la rivoluzione è un evento liberatorio, salvifico, ma gli autori non fingono mai di non vedere gli effetti nefasti del dividere il mondo tra buoni e cattivi. Cosa resta di una rivoluzione fatta solo di ghigliottina e di teste mozzate, se il pane dell’uguaglianza è una colla che si attacca ai muri, e il popolo non ha di che mangiare?
Ma si può fare una rivoluzione senza ghigliottina? Si può ottenere una società ideale, in cui tutti possano avere le giuste cure, il giusto trattamento, solo per mezzo del mesmerismo, a patto che si voglia il bene del paziente?
In più le lotte delle donne, per il pane, per i diritti, o per il pane e i diritti.
Sembra un po’ una mistura di Q, per il fervore rivoluzionario, il fallimento del sogno rivoluzionario, e ciò che resta oltre questo fallimento, e di 54, per la complessità dell’intreccio e le storie di diversi personaggi che partono da lontano per poi confluire magistralmente. E se possibile, con ancora maggior sapienza: il controllo sulla narrazione è totale, la portata dei temi vastissima…»
Giulio Fatti, dal gruppo “Wu Ming” su Anobii
«Il paradigmatico precipitare degli eventi, delle speranze e delle conquiste eccita e deprime gli animi di chi ancora oggi vuole azzardarsi a credere nella disposizione dell’uomo a tendere al progresso, a costruirsi futuri migliori. La forza dell’Armata dei sonnambuli, composto da una pluralità di lingue e di voci dal timbro pressoché impeccabile, lingue che spesso si spingono al limite con risultati davvero eloquenti e godibili, sta proprio nella sua capacità di raccontare fatti avvincenti e, dietro o sotto di loro, sommovimenti ideali e culturali. È il marchio di fabbrica dei Wu Ming, d’altronde, ma stavolta la posta era altissima, perché grossomodo veniamo tutti da lì, dalla Parigi di quegli anni, da quelle vittorie e soprattutto da quelle sconfitte, e allora ancor più alto è il loro merito di essere riusciti in quest’ambizioso proposito.»
Giovanni Dozzini, Wu Ming, la rivoluzione francese come non l’ha mai raccontata nessuno
⁂
«Di libro in libro, i Wu Ming hanno messo a punto una formula magica che è facile imitare e difficilissimo eguagliare. Lavorano con cura meticolosa sulla realtà storica, ma riescono a farla parlare con altrettanta precisione del presente: questa vicenda di rivoluzione e controriv0luzione, cosa ben diversa dalla mera restaurazione, è una parabola che abbiamo vissuto anche noi, nell’Italia degli ultimi decenni. Procedono lungo i binari di una narrativa epico-popolare, che guarda a Dumas più che a Ken Follett, ma allo stesso tempo lavorano sul linguaggio con passione sperimentale degna della più sofisticata avanguardia. Di romanzo in romanzo, i Wu Ming perseguono un progetto che è tanto letterario quanto politico, spostare i riflettori sui dimenticati della storia, le insorgenze cancellate e oscurate dai vincitori perché se ne perdesse anche la memoria: i contadini d’Europa infiammati e poi traditi dalla Riforma in Q, i partigiani disarmati e non domati del dopoguerra italiano in Asce di guerra, le tribù guerriere e destinate allo sterminio nell’America di Manituana, le rivoluzionarie e i sanculotti di Parigi in quest’ultimo romanzo. Sono storie di sconfitte che invece di scoraggiare accendono speranze e restituiscono fiducia. Dicono che, comunque sia finita, è valsa ogni volta la pena di lacerare, anche solo per un momento, l’ordine eterno delle cose.»
Andrea Colombo, Wu Ming, storie di sconfitti all’ombra del Terrore
«Wu Ming ci racconta esattamente questo tornante storico, e lo fa servendosi delle vicende di particolari personaggi, che attraverso le proprie storie ci restituissero la percezione della Storia, quella con la s maiuscola. Un racconto in medias res, nel vortice degli accadimenti, nel momento più alto della Rivoluzione e un attimo prima che questa imploda su se stessa. Quel vortice dove le forze della rivoluzione e della reazione si giocano loro la partita storica. Nel costruire tale impostazione, non è possibile non riconoscere il debito inevitabile con l’opera di Victor Hugo, 1793, probabilmente il miglior romanzo sulla Rivoluzione (di tutte le rivoluzioni). Il metodo utilizzato infatti è lo stesso. Impossibile dare un riscontro oggettivo degli eventi, come se questi costituissero un blocco omogeneo in marcia. Ogni avvenimento epocale si porta dietro tante vicende personali quanti sono gli essere umani coinvolti in quegli eventi. E se c’è un insegnamento che Wu Ming ci impone da anni, è quello di non sacrificare mai sugli altari delle ragioni della Storia le vicende dei singoli individui che la determinano. Soprattutto se questi individui fanno parte di quel mondo di sfruttati che la Storia dovrebbe farsi carico di emancipare. Dunque un ventaglio di voci, ognuna capace di descrivere un pezzo di Rivoluzione.»
Colllettivo Militant, L’Armata dei Sonnambuli
⁂
«I personaggi sono magistralmente costruiti, come sempre per i Wu Ming. Quattro protagonisti della storia minore – che non passa alla Storia ma che forse la Storia l’hanno cambiata – di estrazione differente che parlano, pensano, agiscono in modo diverso. Tre i personaggi positivi che combattono il cattivo, l’unico nemico comune, che poi sarà anche il nemico della Francia repubblicana e che alla fine vincono …. Forse.
I luoghi della narrazione, innumerevoli. I vicoli di Parigi, i palazzi del potere, l’Alvernia, sperduta provincia francese reazionaria e refrattaria, Bicetre e le sue stanze ricolme di matti e “disturbati”.
Il tempo della narrazione contenuto: due anni che però nella storia dell’umanità hanno avuto il peso dei secoli.
Romanzo corale, in cui tutti hanno una voce, sia personaggi positivi che negativi. La struttura è costruita tra narrazione e citazione di documenti dell’epoca. Ai capitoli narrativi si affiancano capitoli di largo respiro, meravigliosi come “ Marea” dove il flusso storico sembra inarrestabile e gli eventi inevitabili anticipazioni di una morte annunciata (Gabo che ci guarda dalla sua Macondo, non me ne voglia!).»
Tatiana Larina, L’Armata dei Sonnambuli
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«Il modo di agire di questo “antagonista” è certamente la parte più evocativa ed inquietante del personaggio: un potere capace di controllare a distanza e rendere insensibili decine o centinaia di individui non può non ricordare metodi di comunicazione e controllo ben più moderni, così come la sua rappresentazione della rivoluzione nel manicomio di Bicetre ricorda la distanza tra i fatti e la loro rappresentazione mediatica, specialmente quando si parla di rivolte e movimenti. Abbiamo detto che è difficile, se non sbagliato, fare parallelismi tra il libro e l’oggi, ma certamente c’è molto del mondo dei mass media moderni, nel modo in cui è tratteggiata questa figura.
Non è un caso che per la sua sconfitta sia necessaria l’unione di tutti i protagonisti, e di ciò che rappresentano: la violenza vedicativa a volto coperto e la teatralità di Scaramouche/Modonnet, l’egualitarismo e la ricerca del Bene di Damblanc, Marie Nozière con la sua coscienza piena di dubbi e, visti i tempi, col suo essere donna, infine Treignac e il suo tentativo di mantenere quell’ossimoro che è l’ordine rivoluzionario.»
Andrea Parapini, L’Armata dei Sonnambuli: tra storie e Storia
ALTRI LINK
Videointervista a Wu Ming 2 su fanpage.it: “Siamo arrivati a un punto di svolta”
Flatlanda, Radio Onda d’Urto, Intervista a WM1 e WM2
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April 30, 2014
Sentiero Luminoso | Terzo aggiornamento | #LuminosoBoMi
“Tu vuoi partire. Ma non sai per dove e non sai quando. Lo sanno le tue occhiaie, che si avvallano, si fanno giorno dopo giorno più nere. Lo sanno i tuoi capelli, che cadono, si diramano in doppie punte, perdono spessore. Lo sanno specialmente i tuoi piedi, che vanno in escandescenza nelle domeniche trascorse sul divano, che ti implorano di essere ficcati nella terra, come radici. Tu vuoi partire, ma non hai un progetto, non sai se ce la faresti. Non hai le ferie, perché lavori troppo, oppure le hai, ma non hai un centesimo. Ci sono il mutuo, l’affitto, l’agenda fitta di appuntamenti di cui non ti importa niente, un amore che non va né avanti né indietro, una famiglia che conta su di te, o una famiglia che non c’è e vorresti avere, ci sono le medicine di tua madre, se è ancora viva, e se non lo è più sei tu a prenderle, le medicine. C’è la solitudine, una particolare forma di solitudine, che viene a farti visita la sera. Tu vuoi partire, ma non puoi.”
Da qualche giorno rimugino queste parole. Cerco di ricordarmele, provo a scacciarle, poi torno a vistarle nel loro nido di carta. Luigi Nacci – poeta, viandante e svariate altre cose – le ha scritte all’inizio del suo ultimo libro, Alzati e cammina, pubblicato da Ediciclo Editore. Quando le ho lette per la prima volta, mesi fa, il libro doveva intitolarsi Non mancherò la strada, un verso preso in prestito da William Wordsworth, uno che con i piedi ha percorso più di trecentomila chilometri. Così le rimugino da qualche giorno, quelle parole: da quando so con certezza che, diversamente dal previsto, nei prossimi giorni di maggio non avrò la terra tutta davanti, non prenderò casa dove mi piace e purtroppo, mancherò la strada.
Il piano diceva che sarei partito stamane, di buon mattino, alla volta di Villa Sorra, nel modenese, vicino a Nonantola. Giusto ieri, nubifragi grandini e trombe d’aria hanno colpito quelle zone, già inondate dal Secchia e ferite dal terremoto, ma non è l’allerta meteo che mi costringe a casa.
Ricordo un giorno, almeno trent’anni fa, quando mio padre mi disse che ero pronto per la mia prima via ferrata: un sentiero attrezzato facile, il famoso SOSAT, nelle Dolomiti di Brenta, dal rifugio Brentei al rifugio Alimonta. Preparammo gli imbraghi e partimmo all’alba: si sa che in montagna, nei pomeriggi estivi, è facile trovarsi sotto il temporale. Invece la pioggia anticipò i tempi e ci costrinse a tornare indietro, senza nemmeno aver toccato le rocce.
La seconda volta c’era il sole. Attaccammo a salire. Io per primo e mio padre dietro, a dettarmi i gesti nei passaggi più incerti, in ordine contrario a quel che mi sarei aspettato. Dopo una lunga cengia, ci ritrovammo incolonnati in una fila da supermercato. Davanti a noi, oltre una ventina di persone in attesa, il sentiero spariva e lasciava il posto a primi pioli di una scala di ferro, che scendeva a picco in una gola. Gli escursionisti attaccavano i moschettoni all’ultimo pezzo di cavo, si sporgevano nel vuoto e poi si calavano giù un passo dopo l’altro. Il mio turno si avvicinava e mi resi conto che la vista di quel via vai, l’attesa, l’esitazione di adulti ben più grossi di me, mi stavano mettendo addosso una bella fifa. Se ne accorse anche mio padre: disse che avevamo beccato una giornata sfortunata, troppa gente, rischio di prendersi una pietra in testa da quelli sopra, maragli in scarpe da ginnastica.
- Che dici, torniamo indietro? – propose.
E io imboccai d’un balzo la via d’uscita.
La terza volta, fu talmente semplice e spiccia che nemmeno me la ricordo. Erano passati due anni dalla prima e forse a quel punto ero pronto davvero.
Tutto questo per dire, Luigi, che ho deciso di non partire e mancherò la strada.
A dire il vero, di partenze ce ne saranno molte, nelle prossime settimane. E incontri, viaggi, spazi sconosciuti e luoghi già visti. Abbiamo un romanzo e un disco da portare in giro per l’Italia, e non avevo fatto bene i conti di quanto sarebbe stato impegnativo. Poi ho dato un’occhiata al calendario e mi sono detto che non aveva senso aggiungerci altri chilometri, per quanto lenti. Forse lavoro troppo e mi illudo che la famiglia conti su di me, eh Luigi?
Vorrà dire che la prossima volta, la terza volta, non farò i conti, partirò e basta. Non farò annunci, né aggiornamenti: prenderò lo zaino, uscirò di casa, imboccherò il Sentiero Luminoso e mi dirigerò a piedi verso Milano.
All’altezza di Sacerno avrete mie notizie, non prima.
Non prima di aver afferrato la strada.
WM2
[Come dici? Sì, sì, spero comunque di partire entro fine agosto. A settembre mi dicono che la Pianura Padana è un muro di mais, rischi di finirci in mezzo e di non vedere più nulla per miglia e miglia. Se poi cominciano a trebbiarlo, peggio ancora: polvere e scaglie d'erba a tutt'andare. No, Luigi, non preoccuparti, domenica 8 giugno, a Bologna, per Itacà, ci sono sicuro: con i Frida X replichiamo il reading del 23 maggio al Festival del Camminare di Bolzano e poi presentiamo "Alzati e cammina". Ti ricordi a che ora?]
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April 29, 2014
Scarica #PointLenana di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara (Pdf, ePub, Mobi, Odt)
A un anno esatto dall’uscita in libreria e dall’inizio del Point Lenana Tour de Force (ottanta presentazioni in dieci mesi), vi proponiamo il download gratuito e DRM-free di Point Lenana in cinque diversi formati.
Grazie a chi ha condiviso con WM1 e il comandante Cienfuegos la «Point Lenana Experience», e a chi ancora non lo ha fatto, beh… Buona lettura.
«Un libro contro lo sconforto. Senza prediche o consolazioni a buon mercato, e anzi problematico, indugiante, perplesso, mai sfiorato dalla tetra litania del think positive. È l’impressione che si ricava dalla lettura di Point Lenana, scritto a quattro mani da Wu Ming 1 e Roberto Santachiara sulla scia della fascinazione per una storia semplice, ma nella sua semplicità inesauribile. […] Accumulando incontri, interviste, letture e riflessioni, gli autori s’immergono in un arcobaleno di sfumature, lo sguardo sempre fisso all’evento-matrice: una fuga insensata, un atto libero e sovrano di sottrazione temporanea al comando.»
(Daniele Giglioli – Corriere della Sera)
«La breve vicenda, iscritta in tre vite e in un limitato arco temporale, si dilaterà, una volta sottoposta all’attenzione degli autori di Point Lenana, in un’amplissima rete di avvenimenti, alcuni connessi e consequenziali, altri casuali, che, sviluppandosi dal passato al presente e al futuro, riempiranno di sé tutto il corso di un’epoca. Il risultato è un complesso diegetico in cui s’intrecciano vari libri, giustamente definito, dagli autori, “racconto di tanti racconti”: un libro che “parla di Italia e italianità, di esploratori e squadristi, di poeti e diplomatici, di guide alpine e guerrieri”. L’espediente tecnico che produce e tiene insieme il racconto è un processo di ibridazione di saggistica e narrativa [...] interpretato con senso felice del ritmo ed espresso in una lingua asciutta e intensa, che punta sempre verso la realtà, connotandone con efficacia la sostanza subliminale.»
(Giuseppe Leonelli – La Repubblica)
«Il perno, l’osso, la pietra angolare di Point Lenana, che è un picco del monte Kenya, è l’amore per la montagna, un secolo di storia dell’alpinismo. C’è molto da imparare o da ricordare, molto di sanamente pedagogico in questa ricostruzione, in cui le abilità del buon narrare sono lo strumento per accostare la storia al racconto».
(Goffredo Fofi – Internazionale)
«La scelta di Wu Ming 1 e Santachiara non è comoda. Ci vuole coraggio per prendere come “eroe” un personaggio difficile, con un piede nello scetticismo verso il regime – che non è ancora antifascismo ma che gli basta a sposare un’ebrea berlinese a pochi giorni dall’approvazione delle leggi razziali – e un altro in una carriera diplomatica [...] Una scelta che all’inizio risulta spiazzante e che poi, per i miracoli delle macchine narrative dei Wu Ming, funziona alla perfezione e rischia di aprire falle devastanti nelle trincee storiografiche degli “italiani brava gente”.»
(Alberto Prunetti – Il Manifesto)
«Un vero e proprio “oggetto narrativo non identificato”, come lo definisce il collettivo Wu Ming. Ma in questo caso la sperimentazione degli autori è andata molto al di là dei loro precedenti tentativi. Il testo risente, a nostro avviso in maniera determinante, dell’evoluzione del rapporto fra il collettivo di scrittori e il loro blog, Giap. Per dirla altrimenti, e in un senso assolutamente non squalificante ma anzi virtuoso, il testo assomiglia ad un lunghissimo post di Giap. Una ricerca storica documentata mista ad una capacità narrativa attraente, sommata ulteriormente a una verve politica decisiva, contribuiscono alla costruzione di un nuovo genere letterario. Crediamo che tutto questo sia determinato dal lungo e proficuo scambio sociale tra autori e lettori, ma ancor di più fra autori e “giapster”.»
(Collettivo Militant)
«Scorrendo le quasi seicento pagine del libro, si ha come la sensazione di essere là dove l’uomo è passato, là dove ha lasciato qualche debole impronta (fosse anche l’orma sopra una vetta che è quasi un miraggio), perché là è la Storia.»
(Carmen Pellegrino – Book Detector)
ePub – Mobi (per Kindle) – Pdf – Odt
Come sempre, ringraziamo hubertphava.
Vi rammentiamo che potete usare il bottone qui sotto per supportare Giap. Non serve a “pagare” i download, che sono gratis, ma a segnalare che apprezzate lo sbattimento, l’impegno che profondiamo ogni giorno da tanti anni, sul web e per le strade. Mantenere Giap costa ed è appena arrivato il conto trimestrale del server. Fate quello che vi sentite.
Non è nemmeno necessario avere la carta di credito, basta un conto corrente.

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Per donare puoi usare anche Flattr. Se non sai cos’è, scoprilo qui.
⁂
Ricordiamo che da Point Lenana Wu Ming 1 e i Funambolique hanno tratto il reading/concerto Emilio Comici Blues.
Qui spieghiamo di cosa si tratta (pdf).
Qui c’è un commento di Mariano Tomatis dopo l’esibizione al Valsusa FilmFest 2014.
Qui si possono ascoltare tre brani.
Il 23 maggio 2014 saremo al Festival del Camminare di Bolzano, h. 18:30 al Teatro Rainerum. La sera dopo saremo al BiosLab di Padova, h. 21 in via Brigata Padova 5-7-9
Per contatti, date etc. scrivere a funambolique AT yahoo.it
⁂
Point Lenana – Il blog su Tumblr
Point Lenana – Le immagini su Pinterest
Point Lenana su Anobii
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«Un libro contro lo sconforto. Senza prediche o consolazioni a buon mercato, e anzi problematico, indugiante, perplesso, mai sfiorato dalla tetra litania del think positive. È l’impressione che si ricava dalla lettura di Point Lenana, scritto a quattro mani da Wu Ming 1 e Roberto Santachiara sulla scia della fascinazione per una storia semplice, ma nella sua semplicità inesauribile. […] Accumulando incontri, interviste, letture e riflessioni, gli autori s’immergono in un arcobaleno di sfumature, lo sguardo sempre fisso all’evento-matrice: una fuga insensata, un atto libero e sovrano di sottrazione temporanea al comando.»
(Daniele Giglioli – Corriere della Sera)
«La breve vicenda, iscritta in tre vite e in un limitato arco temporale, si dilaterà, una volta sottoposta all’attenzione degli autori di Point Lenana, in un’amplissima rete di avvenimenti, alcuni connessi e consequenziali, altri casuali, che, sviluppandosi dal passato al presente e al futuro, riempiranno di sé tutto il corso di un’epoca. Il risultato è un complesso diegetico in cui s’intrecciano vari libri, giustamente definito, dagli autori, “racconto di tanti racconti”: un libro che “parla di Italia e italianità, di esploratori e squadristi, di poeti e diplomatici, di guide alpine e guerrieri”. L’espediente tecnico che produce e tiene insieme il racconto è un processo di ibridazione di saggistica e narrativa [...] interpretato con senso felice del ritmo ed espresso in una lingua asciutta e intensa, che punta sempre verso la realtà, connotandone con efficacia la sostanza subliminale.»
(Giuseppe Leonelli – La Repubblica)
«Il perno, l’osso, la pietra angolare di Point Lenana, che è un picco del monte Kenya, è l’amore per la montagna, un secolo di storia dell’alpinismo. C’è molto da imparare o da ricordare, molto di sanamente pedagogico in questa ricostruzione, in cui le abilità del buon narrare sono lo strumento per accostare la storia al racconto».
(Goffredo Fofi – Internazionale)
«La scelta di Wu Ming 1 e Santachiara non è comoda. Ci vuole coraggio per prendere come “eroe” un personaggio difficile, con un piede nello scetticismo verso il regime – che non è ancora antifascismo ma che gli basta a sposare un’ebrea berlinese a pochi giorni dall’approvazione delle leggi razziali – e un altro in una carriera diplomatica [...] Una scelta che all’inizio risulta spiazzante e che poi, per i miracoli delle macchine narrative dei Wu Ming, funziona alla perfezione e rischia di aprire falle devastanti nelle trincee storiografiche degli “italiani brava gente”.»
(Alberto Prunetti – Il Manifesto)
«Un vero e proprio “oggetto narrativo non identificato”, come lo definisce il collettivo Wu Ming. Ma in questo caso la sperimentazione degli autori è andata molto al di là dei loro precedenti tentativi. Il testo risente, a nostro avviso in maniera determinante, dell’evoluzione del rapporto fra il collettivo di scrittori e il loro blog, Giap. Per dirla altrimenti, e in un senso assolutamente non squalificante ma anzi virtuoso, il testo assomiglia ad un lunghissimo post di Giap. Una ricerca storica documentata mista ad una capacità narrativa attraente, sommata ulteriormente a una verve politica decisiva, contribuiscono alla costruzione di un nuovo genere letterario. Crediamo che tutto questo sia determinato dal lungo e proficuo scambio sociale tra autori e lettori, ma ancor di più fra autori e “giapster”.»
(Collettivo Militant)
«Scorrendo le quasi seicento pagine del libro, si ha come la sensazione di essere là dove l’uomo è passato, là dove ha lasciato qualche debole impronta (fosse anche l’orma sopra una vetta che è quasi un miraggio), perché là è la Storia.»
(Carmen Pellegrino – Book Detector)
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Come sempre, ringraziamo hubertphava.
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Ricordiamo che da Point Lenana Wu Ming 1 e i Funambolique hanno tratto il reading/concerto Emilio Comici Blues.
Qui spieghiamo di cosa si tratta (pdf).
Qui c’è un commento di Mariano Tomatis dopo l’esibizione al Valsusa FilmFest 2014.
Qui si possono ascoltare tre brani.
Il 23 maggio 2014 saremo al Festival del Camminare di Bolzano, h. 18:30 al Teatro Rainerum. La sera dopo saremo al BiosLab di Padova, h. 21 in via Brigata Padova 5-7-9
Per contatti, date etc. scrivere a funambolique AT yahoo.it
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April 26, 2014
L’#ArmatadeiSonnambuli | Rendez-vous con spoiler libero!
Ci hanno chiesto: «Ma c’è un posto dove poter commentare L’Armata dei Sonnambuli tra noialtri che l’abbiamo già finito, senza freni, facendo tranquillamente spoiler?» Prego, accomodatevi pure in questo thread. Nella credenza trovate caffè, caffettiera e tazzine.
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