Wu Ming 4's Blog, page 102

July 7, 2014

«I pifferai incantano ancora». Intervista sul Fatto Quotidiano e altre storie, viaggi, letture #ArmatadeiSonnambuli

Scaramouche visto da Alessandro Caligaris. Clicca per vedere altre immagini ispirate al romanzo.

Scaramouche visto da Alessandro Caligaris. Clicca per vedere altre immagini ispirate al romanzo.


Esattamente tre mesi fa, l’8 aprile 2014, usciva L’Armata dei Sonnambuli. Dieci giorni più tardi usciva Bioscop. Il minimo che si possa dire è: sono stati mesi impegnativi. Mesi di «viaggi e intemperie», per dirla con due Graziani (Ivan e Filippo) che ci piacciono, al contrario di quell’altro, quello dei vespasiani.

Viaggi e intemperie. Con oltre quaranta date già nell’odometro, non siamo nemmeno a 1/3 del Révolution touR. Tra un paio di settimane pubblicheremo le date della seconda tranche (agosto – novembre 2014). Ricordiamo che wir fahr’n fahr’n fahr’n auf der autobahn fino all’aprile 2015. L’ultimissima presentazione, probabilmente, la faremo al Museo medievale di Bologna. Tra nove mesi. Siam mica gente che naviga a vista!

Intanto – ma già lo sapete, se seguite Giap - il libro ha scatenato e continua a scatenare discussioni, risposte, commenti, Arts & Crafts, prestidigitazioni, dgsrtdb, pw8oauvòn, 5y23rw8vk5e… Anche il disco fa parecchio parlare di sé, e presto pubblicheremo un nuovo speciale.

Ieri, 7 luglio, Il Fatto Quotidiano (del Lunedì) ha pubblicato due paginate di intervista a WM1, realizzata da Salvatore Cannavò. La riproponiamo qui (occhio al video linkato nell’intro!). A seguire, linkiamo altre interviste molto ben riuscite – in quella su Doppiozero abbiamo «aperto l’officina» della lingua sanculotta – e recensioni apparse in rete. Ultima cosa: segnaliamo che nella colonna qui a destra si può scaricare la scheda del reading-concerto Zó bòt! del gruppo Cvasi Ming (Francesco Cusa, Vincenzo Vasi e WM1).

Buona lettura e buon ascolto.




Logo Fatto Quotidiano


WU MING: «I PIFFERAI CI INCANTANO ANCORA»

La rivoluzione francese è l’ambientazione del nuovo romanzo del collettivo bolognese. Nel libro, il tema del leader e del sonnambulismo di chi lo segue. Dopo gli anni di B. ora tocca a Renzi?


di Salvatore Cannavò


Centocinquanta presentazioni in quello che hanno battezzato Révolution touR. Sale strapiene. I Wu Ming sono tornati. «Ogni due o tre anni qualche trombone ci dichiara morti ma siamo ancora qui, resistiamo da quasi venti anni. Abbiamo cominciato nel 1995». Wu Ming 1 lo incontriamo a Roma, nel quartiere San Lorenzo, prima di due presentazioni consecutive, una al centro Casetta Rossa della Garbatella e l’altra a Strike [qui il video completo della serata, con Giuliano Santoro e il Teatro Bi.Pop Zaccaria Verucci, N.d.R.]. Quando ha presentato il volume, la prima volta, al centro Communia, ad ascoltarli c’erano più di duecento persone. Per la presentazione di un libro non è uno spettacolo frequente. Il loro ultimo lavoro, L’Armata dei sonnambuli , dedicato allo scrittore bolognese [ferrarese, e ci teneva a precisarlo :-) N.d.R.] Stefano Tassinari, morto due anni fa e riferimento degli sceittori “impegnati” di quella città, è ambientato nel cuore della Rivoluzione francese, raccontato con il linguaggio del popolo, basato sul protagonismo delle donne, la forza della rivoluzione ma anche della controrivoluzione suscita un coinvolgimento che oltrepassa la letteratura e sconfina nella politica. «C’era molta attesa su questo lavoro. Si sapeva che avremmo scritto del Terrore rivoluzionario. Mentre lavoravamo al libro, si è tornato a parlare di Rivoluzione francese, la ghigliottina è entrata di nuovo nel linguaggio politico. Anche Berlusconi si è messo a citare Robespierre e Marat. Abbiamo intercettato un flusso di immaginario collettivo e la partecipazione alle presentazioni, oltre che le vendite del libro, lo dimostrano.»


Chi sono i sonnambuli?


Julius EvolaNel libro, l’Armata dei Sonnambuli è una banda armata fascista ante litteram. Le elucubrazioni del suo capo echeggiano, con un anacronismo voluto, la retorica della destra radicale del ’900. C’è Evola, c’è Codreanu. C’è Gentile. Ma più in generale, nei sonnambulizzati ognuno può vedere tante cose del nostro presente. Le masse irretite, l’opinione pubblica addomesticata, il controllo delle menti…


Parliamo anche dei “grillini”? Voi avete condotto una battaglia netta contro il grillismo.


Grillo sul gommoneSonnambuli sono quelli che vanno dietro al pifferaio di turno, lasciandosi suggestionare dal “carisma”. C’è gente che segue Grillo qualunque musica esca dal suo piffero. Ma di pifferai in giro ce ne sono tanti, e quindi anche di sonnambuli.


C’entra anche Renzi?


RenziRenzi è senz’altro un pifferaio. Occupa una precisa casella nell’ordine simbolico, la casella del «Ci vuole quello lì». Prima per molti era occupata da Berlusconi, poi da Grillo, adesso spopola Renzi. “Quello lì” è il capo senza il quale il Paese sembra incapace di parlare di sé stesso. C’era anche nel “popolo comunista” un culto del capo, una visione acritica e fideistica di figure come Togliatti e Berlinguer. Se uno guarda a come si è ridotta la base residua del vecchio Pci, a quello che ne è rimasto, e guarda indietro, si accorge che c’era già molto sonnambulismo, ad esempio nel pensare che «il segretario ha sempre ragione». Oggi il segretario è Renzi, che eredita anche quel sonnambulismo.


Renzi però non è l’espressione di quel vecchio Pci.


Renzi è un cocktail, un miscuglio eterogeneo di molte cose, c’è molta “gioventù democristiana” ma anche molto divismo, molta della celebrity culture che permea le generazioni più recenti. Ma si afferma, almeno per ora, in un Paese che ha sempre avuto il culto del capo, un culto trasversale per capi diversissimi tra loro (Mussolini, Togliatti, Berlusconi), comunque sempre per “quello lì”, mister “ci vuole lui”, il personaggio senza il quale il discorso pubblico sembrava non potesse articolarsi.


Il capo sarebbe oggi il leader.


Sì, ma il triste ritornello del «ci vuole un leader», «manca un leader», «Tizio non è un vero leader» ha fatto breccia a sinistra proprio perché il vecchio “popolo comunista” aveva già quell’impostazione. Non è solo un portato della “politica-spettacolo televisiva”, della “americanizzazione delle campagne elettorali” e quant’altro. La questione è più complessa, e andrebbe storicizzata.


Qual è l’antidoto al sonnambulismo?


La partecipazione che si realizza delegando il meno possibile. Responsabilizzazione, autogoverno. Se si guarda al movimento No Tav ci si accorge che non ha leader riconoscibili, non ha culto del capo. I media mainstream hanno provato a isolare Perino, a descriverlo come un capo per poterlo sbranare, ma hanno fallito perché il movimento NoTav non funziona così e non ha mai offerto all’altare sacrificale il leader da fare a pezzi. Errore che invece fecero, a inizio millennio, le varie correnti del movimento impropriamente chiamato “no-global”.


No Tav

Eppure i No Tav votano Grillo.


E’ un segnale che hanno dato sul terreno elettorale, mantenendo intatta la loro autonomia sul territorio. In Valle è il movimento No Tav a battere il tempo, e i partiti (M5S compreso) devono adeguarsi: pro o contro. Ed è facile verificare che da quelle parti il M5S ha avuto i voti ma quanto a radicamento è davvero poca cosa.


Tornando al libro, come opera e da chi è contrastata l’Armata dei sonnambuli?


Si forma dopo Termidoro, nel momento della “svolta a destra” della Rivoluzione. Sguazza nel caos delle vendette contro i giacobini, ma con un disegno tutto suo che lascio scoprire ai lettori.


Il libro propone quindi l’attualità della rivoluzione?


Tutti i nostri libri parlano, da Q. in avanti, di rivoluzione, della sua possibilità, di come si sopravvive alla rivoluzione e alla controrivoluzione.


C’è però chi vi accusa di fare propaganda, di redigere dei pamphlet.


Basta leggere un nostro libro per smontare queste stupidaggini, dette da chi non si è mai minimamente informato sul nostro conto. Di romanzi a tesi non ne abbiamo scritti mai, come non abbiamo mai fatto sconti ai rivoluzionari. Ci piacciono troppo la complessità e la molteplicità. Noi scriviamo liberamente. La politicità dei nostri romanzi non sta nello scrivere un romanzo a chiave in cui c’è un rapporto diretto tra la trama del romanzo e ciò che accade nel presente. Cerchiamo di prendere la rivoluzione da tutti i lati possibili, farne vedere anche lo scabroso o il velleitario senza farne mai una facile apologia.


Con questo libro fate un uso accurato delle fonti storiche e in particolare del linguaggio. Come nasce questa scelta?


La citazione diretta dei documenti serve anche a compensare la fiction estrema di cui il romanzo si nutre. È stato un modo per ancorare il romanzo a un certo rigore (anche se verso la fine le fonti sono mischiate con la finzione, in un gioco quasi alla Borges). Per quanto riguarda il linguaggio è stata un’operazione ambiziosa. Bisognava costruire una lingua che restituisse lo sguardo popolare sugli eventi. Ci serviva la lingua del “popolo basso” con tutti i suoi stati d’animo, in grado di raccontare situazioni tragiche e scene comiche. Per quanto all’inizio possa sembrare bizzarra, abbiamo cercato di costruire una coerenza di impianto.


Voi utilizzate molte frasi e idiomi assolutamente non convenzionali, parole come “soquanti”, “negoddio”…


Parlez-vous Sans Culottes?La prima viene dall’emiliano, la seconda dal dizionario di Michel Biard Parlez-vous sans-culotte? Abbiamo preso veri modi di dire dell’epoca, adattandoli all’italiano, poi abbiamo “riportato tutto a casa”, al nostro dizionario sentimentale, quindi con molti prestiti e ricalchi dai dialetti emiliani (bolognese e ferrarese), cercando di “scaldare” la lingua.


I Wu Ming hanno sempre scritto romanzi storici. È finita questa fase?


Continueremo a lavorare sulla storia ma il filone cominciato con Q finisce con l’ Armata dei sonnambuli. Le nostre narrazioni avranno sempre a che fare con la storia ma vogliamo azzardare altre cose. Adesso stiamo scrivendo un libro per bambini, e l’anno prossimo usciamo con un libro di storie vere della Prima guerra mondiale. Singolarmente, io sto lavorando a un libro sui No Tav, anzi, sulla Val di Susa.


A che punto siete oggi, come collettivo?


Certamente non siamo più solo scrittori, ad esempio siamo diventati anche una rock band, Wu Ming Contingent (due di noi più due amici musicisti) e le collaborazioni con artisti di altre discipline sono importanti quanto i romanzi. Intorno a noi c’è una nube quantica di narrazioni portate avanti non solo con gli strumenti della letteratura. Musica, teatro, illusionismo, arti grafiche… L’obiettivo è raccontare storie con ogni mezzo necessario. Il nostro blog, Giap, non è più solo “il blog di Wu Ming” ma una comunità di lettori, in grado di fare inchiesta con una comunicazione in rete che sfrutta le potenzialità dei social network, in primios Twitter. Quello che facciamo è diventato molto più grande e complesso. Il romanzo non è più il centro di tutto, ma è vero che quando esce un nostro nuovo romanzo diventa una specie di “pietra miliare”, nel senso che ti dice a quale chilometro siamo arrivati.


L’Armata, dicevamo prima, è un romanzo sulla Rivoluzione. Vista come e da dove?


Dal basso, e da punti di vista inattesi, spiazzanti, come quelli dei magnetisti, quelli dei folli, o quello di un attore di teatro italiano. Una delle cose a cui tenevamo di più era raccontare il protagonismo delle donne nella rivoluzione francese. Le donne erano in prima fila, molto spesso erano le più radicali e i club rivoluzionari femministi (anche qui ante litteram) hanno posto una minaccia seria e furono sciolti nell’autunno del 1793.


Quindi è anche un romanzo “femminista”?


Sicuramente la questione di genere, dei generi, è centrale.


Qual è stata l’intuizione originaria?


Raccontare le gesta di un supereroe, Scaramouche in guerra contro i reazionari. Poi è venuto il resto, specialmente quando abbiamo scoperto gli scritti sul magnetismo.


Robespierre è un personaggio positivo?


E’ stato diffamato in tutti i modi, presentato come un pazzo assettato di sangue. Il Terrore è stato raccontato come uno “sbroccare” suo e di pochi suoi accoliti. In realtà cercò di mediare e incanalare nella politica le istanze radicali che venivano dal basso, il Terrore era chiesto dal popolo di Parigi. Oggi lo chiameremmo un “pompiere”, comunque il popolo di Parigi gli volle bene, e cercò di difenderlo.


plaque-for-robespierre

La targa che commemora Robespierre alla Conciergerie, identica a quella che fu rubata nel 1986. In quell’occasione lo storico Michel Vovelle scrisse: «Questa manifestazione di vandalismo controrivoluzionario non stupisce, nel contesto dell’attuale scatenata campagna contro tutto quanto ricordi la Rivoluzione, in particolare la Rivoluzione dell’anno II.»


E Marat?


Era il più benvoluto di tutti. Per questi uomini, la definizione di pazzi o sanguinari è stato sempre un modo per spoliticizzarli, per toglierli dal contesto in cui agirono. Fecero certamente errori, ma bisogna ricordare che in quei giorni era tutto “ex novo”, certe esperienze si facevano per la prima volta nella storia dell’umanità. Nessuno di loro era preparato. Le rivoluzioni falliscono ancora oggi, figuriamoci allora.


È ancora attuale la Rivoluzione francese?


Sì, e sta anche tornando centrale. Un anno di svolta è il 2011. Le primavere arabe hanno riattivato un discorso, quello dello spodestamento dei tiranni, che fatalmente ti fa ritornare là.


Vale anche per società occidentali e democratiche, dove non c’è il tiranno?


Non c’è il tiranno, ma c’è parecchia tirannide. E ci sono molte armate di sonnambuli in azione.




Ho appena finito l’ #ArmatadeiSonnambuli dei @Wu_Ming_Foundt e ho pensato ad una colonna sonora http://t.co/YBmdAmOmRY #NowPlaying— Eva Gilraél  (@LadyLindy_) July 6, 2014




-

Un’intervista lunga e densa ce l’ha fatta Enrico Manera ed è apparsa su Doppiozero: «Wu Ming: sopravvivere alla controrivoluzione». Domande su Marie Nozière, sul magnetismo, sulla lingua dei sanculotti (la nostra risposta è sinora la spiegazione più dettagliata di come l’abbiamo costruita) e sul quinto atto. Risposte di WM1 e WM2.


Un’altra intervista lunga e densa, stavolta a Wu Ming 4, la trovate sul sito di uRadio, pubblicata in due puntate (uno e due). Realizzata a Siena, in occasione del seminario sulla figura dell’eroe epico tenuto nel giardino di Fieravecchia e della presentazione de L’armata dei sonnambuli, entrambi dello scorso 12 giugno. Domande di Santo Cardella e Martina Firmani.


Un’altra intervista lunga e densa, stavolta a Wu Ming 5, la trovate sul portale Tiscali. Realizzata al festival «L’isola delle storie» di Gavoi (NU) il 6 luglio scorso. Domande di Claudia Mura.


Un’altra intervista – meno lunga ma comunque densa – di nuovo a WM1 e realizzata a Roma lo stesso giorno di quella del Fatto Quotidiano, la trovate su COREonline. Domande di Fabio Ferrari, Federico Patacconi e Irene Salvi.


L'Armata dei Sonnambuli alla Garbatella

Presentazione de L’Armata dei Sonnambuli alla Casetta Rossa, Garbatella, Roma, 3 luglio 2014.


«Ma è soprattutto a un’altra suggestione di Darnton che il romanzo attinge: ossia che il mesmerismo, con il suo ideale di ritorno all’armonia naturale, non abbia contribuito solo alle origini culturali della Rivoluzione, ma abbia alimentato anche posizioni reazionarie, come nella parabola che vide Bergasse prima difensore di Luigi XVI, poi teorico della Santa Alleanza. Una delle vicende centrali del romanzo prende l’avvio da un documento che è una delle rare tracce in età rivoluzionaria del mesmerismo, passato di moda prima del 1789 per rifiorire nella Restaurazione. In esso Brissot denuncia un complotto volto a trasmettere per influenza magnetica al re le istruzioni comunicate dalla Madonna a una sonnambula visionaria che gli consentirebbero di riprendere il suo vacillante potere. Testimonia come le scoperte di Puységur abbiano favorito una riappropriazione in chiave religiosa dei fenomeni irrazionali del magnetismo, ma è anche lo spunto per una domanda che si svilupperà nell’800 come mostra un altro classico riedito, La sonnambula meravigliosa di Clara Gallini (L’Asino d’oro). Può un individuo in stato di ipnosi essere indotto a compiere il male verso se stesso e gli altri? La trama del romanzo smentisce l’ottimismo filantropico del marchese [...] »

- Estratto da: David Armando, «Magnetismo rivoluzionario», Left n.23, 21 giugno 2014.


«“La rivoluzione è donna”, diceva qualcuno, e al giorno d’oggi lo dicono anche i muri. E difatti in questo romanzo, la donna è motore propulsore della fabula, riuscendo a stigmatizzare gli eventi truculenti del Terrore e post-terrore parigino [...] Come potrebbero Marie Nozière o Claire Lacombe, rivoluzionarie, accontentarsi del perimetro delle vicende? Impossibile. Queste figure nello sviluppo della fabula hanno vissuto un divenire parallelo alla storia stessa, e nei cunicoli di questa hanno forgiato gli elementi affinché l’ingranaggio potesse continuare a funzionare.

Peccato che molti giornalisti o sedicenti tali abbiano fatalisticamente ignorato questo aspetto. Non a caso Wu Ming 1 durante recenti interviste ha spesso parlato di un “divenire donna” che il collettivo ha imposto alla creazione dei loro “oggetti letterari”. Senza dubbio, la maturazione è giunta. Lo si coglie anche nel linguaggio, giunto ad un mistilinguismo veramente gustoso [...] Ma ciò che è interessante è come il linguaggio riesca ad accoppiarsi ai soggetti, giungendo anche ad elevarsi a voce collettiva, riuscire cioè a fornire la plebe, il popolo, di un linguaggio vero e proprio, che vive nel romanzo come una nube sempre gravida di tuoni e fulmini, pronta a esplodere nei colori di contaminazioni dialettali, in brulicanti canali di informazione ora distorta, ora gonfiata, pronti a riversarsi nelle onde dell’immaginario collettivo, spesso vivo grazie a quelle fatali “voci di corridoio” e “leggende metropolitane”.»

- Estratto da: Valerio Sebastiani, «Wu Ming, L’Armata dei Sonnambuli e il potere della contronarrazione», controlacrisi.org



Esperimenti surrealisti col sonno ipnotico, testimonianza di André Breton, da «Entretiens», 1952 #ArmatadeiSonnambuli pic.twitter.com/fScT7MthCO— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) June 29, 2014



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Published on July 07, 2014 17:15

July 2, 2014

Operazione Glasnost | I dati di vendita dei nostri libri nel 2013 e 2014

 


Tank Shaped Mobile Library


Due anni fa, la nostra solita Operazione Glasnost, con i dati di vendita al 31 maggio 2012, suscitò un lungo e articolato dibattito sul mestiere di scrivere e le sue metamorfosi. Le riflessioni scaturite da quel confronto non sono rimaste lettera morta, ma hanno segnato e continuano a segnare la vita del collettivo, l’allargamento della Wu Ming Foundation – con la nascita del Contingent e dei Lab, l’attività del friendchise wuminghiano, il bagaglio di materiali e produzioni che ci portiamo in tour, i progetti che abbiamo in cantiere per i prossimi mesi.



La trasformazione è stata talmente rapida e incalzante da travolgere la stessa Operazione Glasnost: l’anno scorso, a giugno, presi dal lavoro sull’Armata e da mille altri pensieri, non siamo riusciti a pubblicare i nostri dati di vendita. Lo facciamo ora, aggiornandoli al 31 maggio 2014, senza però aggiungere i dati dei download gratuiti dei nostri titoli. Per due motivi: il primo, è che per estrapolare quei dati serve almeno una giornata di lavoro, che in questo momento non siamo in grado di ritagliarci; il secondo, e più determinante, è che ci siamo resi conto di alcune incongruenze nel rilevamento di quei dati, differenze significative tra differenti software statistici, insieme alla difficoltà di distinguere le visite a una certa pagina dagli effettivi download dei file in essa linkati.

Pertanto, torniamo a dare i soli dati di vendita complessivi, così come risultano dai magazzini delle case editrici.


***


Q

In libreria dal marzo 1999.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 5236 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 13106 copie.

Il dato totale è 368.518

(248.518 nelle varie edizioni Einaudi Stile Libero + Numeri Primi + 120.000 dell’edizione one-shot ne “I Miti”).

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2000.


Asce di guerra

In libreria dal settembre 2000.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 549 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 560 copie.

Il dato totale è 31.322

(16910 in edizione Tropea

+ 14412 Einaudi Stile Libero)

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2001.


54

In libreria dal marzo 2002.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 3285 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 4393 copie.

Il dato totale è 90.162.

(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero + Einaudi Tascabili)

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2001.


Giap!

In libreria dal marzo 2003.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 148 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 non ha venduto copie. (Reso superiore al fornito)

Il dato totale è 14.725.


Guerra agli Umani

In libreria dall’aprile 2004.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 607 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 499 copie.

Il dato totale è 33.969.

(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero + Tascabili Einaudi)

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2004.


New Thing

In libreria dall’ottobre 2004.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 274 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 177 copie.

Il dato totale è 23.749.

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2005.


Manituana

In libreria dal marzo 2007.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 2988 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 3695 copie.

Il dato totale è 71.172

(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero + Einaudi Tascabili)

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2007.


Previsioni del Tempo

In libreria dal febbraio 2008.

Nell’intero periodo 31/05/2012 – 31/05/2014 non ha venduto copie.

Il dato totale è 10.374.

(5.260 nelle Edizioni Ambiente

+ 5114 nell’edizione Einaudi Stile Libero)


Stella del Mattino

In libreria dall’aprile 2008

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 234 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 252 copie.

Il dato totale è 18.672.

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2009.


New Italian Epic

In libreria dal maggio 2009.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 56 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 86 copie.

Il dato totale è 5.207.


Altai

In libreria dall’ottobre 2009.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 1414 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 6200 copie.

Il dato totale è 87.086

(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero Big + Numeri Primi)

Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2010.


Il sentiero degli dei

In libreria dall’aprile 2010.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2014 ha venduto 847 copie.

Il dato totale è 5.544.

Il libro è scaricabile in diversi formati da luglio 2011.


Anatra all’arancia meccanica

In libreria dal febbraio 2011.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 non ha venduto copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 222 copie.

Il dato totale è 10.182


Timira

In libreria dal maggio 2012.

Nel periodo 31/05/2012 – 31/05/2013 ha venduto 14382 copie.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 non ha venduto copie.

Il dato totale è 14.382

Il libro è scaricabile dal 10 maggio 2013


Point Lenana

In libreria dall’aprile 2013.

Nel periodo 31/05/2013 – 31/05/2014 ha venduto 15051 copie.

Il dato totale è 15.051

Il libro è scaricabile dal 30 aprile 2014


L’armata dei Sonnambuli

In libreria dall’8 aprile 2014.

Al 31/05/2014 risultano “vendute” (= “fornite al netto delle rese”) 46.387 copie.


N.B. Alcuni nostri titoli non sono elencati perché da tempo fuori catalogo oppure perché l’editore non ci ha ancora fornito i dati aggiornati. Li troverete comunque nella tabella che abbiamo elaborato due anni fa.


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Published on July 02, 2014 15:37

June 29, 2014

Laboratorio di magnetismo rivoluzionario | Sistema operativo magico #ArmatadeiSonnambuli

Torino, 6 maggio 2014

Soquant* avRanno sentito paRlaRe del «LaboRatorio di magnetismo RivoluzionaRio», e soquant* saRanno tRa chi ha pReso paRte alla séance toRinese del 6 maggio scoRso |


Si tratta della più perturbante e avvolgente delle prosecuzioni «transmediali» de L’Armata dei Sonnambuli: il mondo che abbiamo narrato escresce dal libro e vive, cammina!, grazie alle tecniche del mentalismo, della prestidigitazione, dell’ipnotismo | E’ tutto parte dell’Atto Sesto del romanzo: esperimenti presi da documenti veri o presunti del XVIII secolo | Evocazioni di scontri tra magnetisti nella Torino ottocentesca | L’irraccoglibile sfida di Silvan a Gustavo Rol (il più grande book test di tutti i tempi, chiedi al ’77 se non sai come si fa) | Donne in trance che cominciano a parlare romeno | Monarchi che perdono la testa | remseM id ecov aL | Un mago sconosciuto che fa apparire uova di gallina (gallina ipnotizzata, naturalmente) | eiscp0tvwhòepctnuòowv |


Benjamin Péret

Mariano Tomatis


Il «Laboratorio di magnetismo rivoluzionario» è un lavoro d’équipe, ma non esisterebbe senza le intuizioni, il lavoro, gli script, la regia e le presentazioni di Mariano Tomatis | Chi segue Giap oramai lo conosce, e forse legge avidamente il suo Blog of Wonders | Il meraviglioso è dappertutto, nascosto agli occhi dell’uomo comune, ma pronto ad esplodere come una bomba a scoppio ritardato | Il cassetto che apro mi mostra, tra rocchetti di filo e compassi, un cucchiaio da assenzio | Attraverso i fori di questo cucchiaio mi viene incontro una banda di tulipani che sfilano al passo dell’oca | Nella loro corolla si ergono dei professori di filosofia che discorrono sull’imperativo categorico | Ogni loro parola, moneta ritirata dalla circolazione, s’infrange sul suolo irto di nasi che le rigettano in aria dove descrivono cerchi di fumo | La loro lenta dissoluzione genera minuscoli frammenti di specchi in cui si riflette un filo di muschio umido | Queste ultime frasi, a partire da «Il meraviglioso è dappertutto», sono tratte da La parola a Péret, del poeta surrealista Benjamin Péret |


Mariano Tomatis

Benjamin Péret


Torniamo, senza essercene mai allontanati, al laboratorio di magnetismo rivoluzionario | Mariano ha raccolto tutti i materiali prodotti prima, durante e subito dopo la séance del 6 maggio, ma non gli bastava archiviarli, metterli on line per chi non era stato a Torino | Si trattava di farli vivere, mantenerli produttivi, ispiranti | Nasce così questo sito, «un ambiente che non si limita a presentare il (multiforme) stato dell’arte attraverso un diario di bordo, un album fotografico e la riproposizione dell’intero kjanella presentazione pubblicata sul suo blog, che vi esortiamo a leggere con attenzione, seguendo anche i link, soffermandovi a guardare i video e le immagini | Prendetevi il tempo che ci vuole, magari tornandoci sopra più volte, e poi inoltratevi nel ɐᴉɔsǝʌoɹ ɐllɐ opuoɯ del magnetismo rivoluzionario |


Laboratorio di magnetismo rivoluzionario

Clicca ed entra nel laboratorio di magnetismo rivoluzionario.


Uno dei prossimi post di Giap sarà una conversazione con Mariano sul suo ultimo libro, scritto insieme a Ferdinando Buscema: L’Arte di stupire (L.A.D.S., stesso acronimo de L’Armata dei Sonnambuli) |


Per quanto riguarda L’Armata dei Sonnambuli, abbiamo in programma nuovi speciali/florilegi e, più avanti, una conversazione con Andrea Cavalletti, autore del febbrile saggio Suggestione. Potenza e limiti del fascino ò (Bollati Boringhieri, 2011), che citiamo in questa lunga intervista su Doppiozero | Perché «il problema del mesmerismo è un problema politico» | e il problema della politica è un problema mesmerico |



La prossima séance del Laboratorio di magnetismo rivoluzionario si terrà il 5 settembre al Festivaletteratura di Mantova |


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Published on June 29, 2014 15:03

June 23, 2014

L’#ArmatadeiSonnambuli, la fiction, l’archivio, il Quinto Atto e #Bioscop «unplugged»

Scaramouche nell'interpretazione di Alessandro Caligaris. Clicca per visitare il sito dell'artista. Ci sono anche omaggi ad altri nostri romanzi.

Scaramouche nell’interpretazione di Alessandro Caligaris. Clicca per visitare il sito dell’artista. Ci sono anche omaggi ad altri nostri romanzi.


Il mondo de L’Armata dei Sonnambuli si espande e si arricchisce. Possiamo dire senza timore di smentite che nessun nostro libro aveva mai suscitato una simile discussione, una simile partecipazione dei lettori (dal vivo e in rete), una simile eterogeneità di contributi nei più disparati e imprevedibili linguaggi e discipline. Dopo le fotografie in maschera, le maschere-origami e i bastoni sono arrivati prima il Traduttore automatico dall’italiano al muschiatino (!) realizzato da Giuseppe Mazzapica (cognome temibilissimo), poi il wallpaper multiformato di Scaramouche (per computer e telefoni) realizzato da Marco Scacc, e il prossimo post sarà interamente dedicato al «Laboratorio di magnetismo rivoluzionario» di Mariano Tomatis, cioè la sperimentazione più radicale tra quelle ispirate al libro (e pare proprio che, dopo l’esordio torinese, verrà riproposto al Festivaletteratura di Mantova, settembre 2014).



In questo post proponiamo, non necessariamente in quest’ordine:

- un breve saggio di WM1 su archivio, fiction e ibridazioni ne L’Armata dei Sonnambuli, scritto su gentile richiesta di Goffredo Fofi e della redazione de Lo Straniero;

- la «recensione sonora» del filosofo e storico della psichiatria Mario Galzigna;

- estratti dalle migliori recensioni apparse in rete dopo l’ultimo florilegio (e, di nuovo, sono tante!);

- il video del reading che ha “disturbato” la presentazione romana de L’Armata dei Sonnambuli al Communia di Roma (a cura di Marco Paparella, Nexus, Claudia Salvatori e Laura Garofoli);

- le registrazioni di due presentazioni del libro: Siena e la seconda di Bologna. Quest’ultima è stata una presentazione sui generis, perché c’era anche il Wu Ming Contingent in versione «unplugged» (cajon, chitarra acustica, chitarra elettrica e voce), che non solo ha presentato l’album Bioscop, ma ha eseguito letture musicali de L’Armata. Vi mettiamo a disposizione sia l’audio completo sia gli mp3 delle diverse canzoni.

[A proposito, su YT c'è un video del pezzo Stay Human dedicato a Vittorio Arrigoni.]

Buone letture e buoni ascolti!



Dagli «Oggetti narrativi non identificati» all’Armata dei Sonnambuli e oltre

di Wu Ming 1

[Testo apparso con un altro titolo sul n. 168 della rivista «Lo Straniero», giugno 2014]


Nella nostra scrittura, fino ad oggi, si potevano distinguere in linea di massima due filoni: quello del romanzo storico e quello del cosiddetto «oggetto narrativo non-identificato». Da qui in avanti, penso che la distinzione sarà più difficile.


«Oggetto narrativo non-identificato» è l’espressione che scegliemmo nel 2000 per descrivere Asce di guerra, l’opera che inaugurò il filone. La scegliemmo in mancanza di meglio e transitoriamente, ma è un tipico caso di transitorio non transeunte, come certe cose lasciate a metà quando traslochi o ristrutturi l’appartamento. Asce di guerra lo scrivemmo insieme al comunista imolese Vitaliano Ravagli, classe 1934, ed era per un terzo la sua autobiografia (con focus sugli anni Cinquanta, quando finì a fare la guerriglia nelle giungle del Laos), per un terzo compendio delle guerre d’Indocina (una scrittura in tutto e per tutto saggistica), e per un terzo miscuglio disomogeneo di non-fiction e romanzo sulla Resistenza in Emilia-Romagna. Erano, di fatto, tre libri i cui capitoli si alternavano e avvinghiavano tra loro. Nella parte «romanzata», con qualche adattamento, attribuimmo a un personaggio immaginario l’inchiesta che avevamo fatto noi, facendogli incontrare e intervistare i partigiani (veri) che noi avevamo incontrato. Si trattava di un primo esperimento, non del tutto riuscito, anzi, in certe parti piuttosto sgangherato. In seguito lo abbiamo analizzato con una certa severità, ma fu un passo importante, ed eravamo determinati a proseguire in quella direzione.


Qualche anno dopo abbiamo scritto – e lo ribadiamo – che a interessarci non è tanto la «contaminazione tra i generi», operazione da tempo pleonastica e ormai realizzata in partenza anche nel più bieco mainstream (lo stesso Dan Brown «contamina i generi»), bensì l’ ibridazione delle tipologie testuali. Pensiamo che la collisione tra le più disparate tecniche e retoriche usate in diversi tipi di testo (narrativo, poetico, espositivo, argomentativo, descrittivo) possa sprigionare una grande potenza. Questa potenza investe da direzioni inattese i temi che vogliamo affrontare.


Fin dagli esordi uno dei nostri motti è: «Raccontare le nostre storie con ogni mezzo necessario». Solitamente queste storie le peschiamo dai «luoghi oscuri», dai coni d’ombra e dai rimossi della storia (nazionale ma non solo), e/o le troviamo interrogando le cicatrici del paesaggio. Un altro nostro motto è: «Stare tra l’archivio e la strada». Su quel materiale ci sforziamo di esercitare uno sguardo il più possibile «obliquo», sghembo, spiazzato.


Se di fronte alla storia ci limitiamo alla visione frontale, quella di primo acchito, inerziale, che avviene by design, della storia non vedremo che il monumento, ovvero ciò che è stato selezionato per produrre una retrospezione «ispirante» e dunque rosea. La storia monumentale vorrebbe dirci che «la grandezza, un giorno esistente, fu comunque possibile e perciò sarà anche possibile di nuovo; [l'uomo] percorre più coraggioso il suo cammino, poiché ora è sgominato il dubbio, che lo afferra nelle ore di maggior debolezza…» Sto citando dalla seconda delle Considerazioni inattuali di Nietzsche, che subito dopo avverte: «Quanta diversità dev’essere al riguardo ignorata [...] Come violentemente l’individualità del passato deve essere compressa a viva forza entro una forma universale e smussata, ai fini della concordanza, in tutti gli spigolosi angoli e linee!» Un monumento vuole sempre raccontarci una sola storia a scapito di tante altre, imporre un unico punto di vista su tanti altri.


La non-foiba di Basovizza


Faccio un esempio che conosco bene, essendo ormai triestino d’adozione: se andiamo a Basovizza, presso la più celebre delle «foibe» (che in realtà foiba non è, trattandosi di un pozzo minerario), e quivi rimiriamo il monumento, eccoci esposti a un racconto unico, quello dei barbari slavocomunisti e delle vittime italiane, uccise – come vuole la più banale delle vulgate – solo perché italiane. L’Italia è un paese incapace di raccontarsi se non come vittima, gli italiani sono sempre innocenti, nella tragedia hanno un ruolo e non è consentito che ne interpretino altri, lo dimostrano le vicende del film Il leone del deserto e del documentario Fascist Legacy. Cosa viene rimosso dal monumento a Basovizza, come del resto da tutti i monumenti dedicati ai «martiri delle foibe»? Viene rimossa l’intera storia del confine orientale dalla Grande guerra al maggio 1945: l’italianizzazione forzata, l’esproprio delle terre di sloveni e croati, l’invasione nazifascista della Jugoslavia, i crimini di guerra del Regio Esercito, la trasformazione di Lubiana in un grande campo di concentramento, l’annessione di Trieste e dintorni al Terzo Reich… Tutti «spigolosi angoli e linee» che è meglio far scomparire. L’esempio è estremo, ma non c’è monumento che non faccia questo, anche partendo dalle migliori intenzioni. Quanti monumenti alla Resistenza risultano bolsi, tronfi, ridondanti, e finiscono per allontanare quell’esperienza trasformandola in cliché?


Il Nettuno del Giambologna


Tuttavia, se un monumento lo aggiriamo, può capitarci di scoprire una storia diversissima, una storia alternativa. Non la consueta, banalissima, «storia nascosta», esoterica, occulta, quella che piace ai complottisti, ma la storia del conflitto che viene ogni volta rimosso, del molteplice ricondotto a forza all’Uno. Non c’è «smussatura» che possa cancellare il molteplice, perché è insopprimibile. In ogni società e fase storica il conflitto è endogeno, endemico, inestirpabile, e basta davvero poco perché l’Uno torni a essere (come minimo) due.

Se fissiamo il Nettuno del Giambologna da una particolare angolatura, di scorcio, vedremo realizzarsi una magia: il pollice sinistro spunta dal fianco e diviene un fallo eretto con tanto di glande enfio e turgido. Una leggenda locale parla di uno scherzo del Giambologna alle monache dell’adiacente convento: guardando dalle finestre, vedevano il dio esibire una poderosa erezione. Ecco che irrompe il conflitto, ecco che l’Uno (la statua) diventa due (lo scultore irriverente e le suore), e poi molti, perché uno pensa al potere committente, alle persone che sapevano della burla, a quelli che se ne sono accorti da soli, a chi tramanda la leggenda, e poi, chissà se è davvero «solo» una leggenda… Ecco un’allegoria di quanto cerchiamo di fare nei nostri libri.


Il Nettuno visto dalla giusta prospettiva


Molti lettori si sono fermati ai nostri romanzi storici di gruppo, da Q ad Altai, ma è nell’altro filone – meno seguito – che hanno avuto luogo le sperimentazioni importanti e fondative. Sperimentazioni che hanno influenzato il nostro ultimo (in tutti i sensi) romanzo storico, L’Armata dei Sonnambuli, nel cui «quinto atto» irrompe il perturbante e si realizza la convergenza dei due percorsi.


Abbiamo cercato di raccontare la Rivoluzione francese aggirandone il monumento (peraltro abbandonato e pieno di sterpaglie), il contromonumento reazionario (la solfa sulla povera Maria Antonietta, su Robespierre assetato di sangue e così via) e l’antimonumento revisionista eretto a suo tempo da Furet e dai Nouveaux Philosophes, che è forse la costruzione più impositiva e mononarrativa di tutte. Se il contromonumento reazionario ci dice che la Révolution fu crudele, asserzione a cui si può sempre rispondere con un plebeo «Grazie al cazzo!», l’antimonumento revisionista ci dice che la Révolution fu inutile, ed è un enunciato ben più pericoloso. Noi abbiamo cercato di mettere in campo il molteplice, le diverse rivoluzioni dentro la Rivoluzione. Fino al quinto atto si può credere di aver letto un «semplice» romanzo storico (per quanto selvaggio e plurilingue esso sia), poi nel quinto atto succede qualcosa…


Un muro del quartiere S. Lorenzo, Roma.

Un muro del quartiere S. Lorenzo, Roma.


Da anni ci muoviamo in una terra di nessuno tra il «romanzo di non-fiction», la saggistica, il giornalismo, la poesia, il travelogue e chissà cos’altro.La tradizione è qualcosa che si sceglie, e noi rivendichiamo il carattere distintamente italiano della nostra «non-fiction creativa». La storia della letteratura italiana, per quanto possa sembrare strano, è in larga parte una storia di non-fiction scritta con tecniche letterarie, o di ibridazione tra fiction e non-fiction. Questo sempre si parva licet, naturalmente: ci arrampichiamo sulle schiene di giganti. Molti dei «classici» nostrani non sono romanzi, ma memoriali, trattati, autobiografie, investigazioni storiche, miscele impazzite dei più svariati elementi: la Vita nova, Il Principe, la Vita dell’Alfieri, lo Zibaldone di pensieri, la Storia della Colonna Infame, Se questo è un uomo, Un anno sull’altipiano, Cristo si è fermato a Eboli, Il mondo dei vinti, Esperienze pastorali, La scomparsa di Majorana, L’affaire Moro, per arrivare al caso Gomorra. Se la «non-fiction creativa» di oggi può essere percepita come più «selvaggia», grezza, dinamitata, è perché le opere appena elencate sono nel canone. All’epoca in cui furono scritte erano selvagge anch’esse, e comunque inetichettabili. Non rispettavano i confini canonici, spiazzavano le definizioni.


Dal nostro laboratorio, nel 2010, è uscito Il sentiero degli dei di Wu Ming 2. Si tratta di un romanzo di viaggio composto da racconti collegati tra loro, e al tempo stesso è – a tutti gli effetti – una guida per escursionisti con tanto di mappe, foto, consigli, indirizzi e contatti utili – e simultaneamente, senza soluzione di continuità, una controinchiesta su com’è stato deturpato e devastato l’Appennino tosco-emiliano. Ci sono tutti i danni e gli scempi causati da TAV e Variante di Valico. Qualche tempo dopo sono usciti il «romanzo meticcio» Timira, di Wu Ming 2 e Antar Mohamed, e Point Lenana, scritto da me e Roberto Santachiara. Questi ultimi due libri, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2013, compongono un dittico: entrambi affrontano il nostro rimosso post-coloniale, l’amnesia selettiva della nazione, i crimini del colonialismo italiano in Africa, anche se non parlano solo di questo. Point Lenana racconta il nazionalismo italiano, il fascismo, le guerre mondiali, le vicende del confine orientale, facendo passare ogni raggio attraverso un particolare prisma, quello del rapporto tra gli italiani e la montagna. E’ anche un libro sull’alpinismo, e sulla sua dimensione politica. Tommaso De Lorenzis lo ha definito «il risultato più estremo del lavoro di Wu Ming sull’ibridazione dei tipi testuali», ed è vero che abbiamo utilizzato tutte le tecniche che ci venivano in mente, tutti i tropi della scrittura saggistica, narrativa, lirica… In realtà ne L’Armata dei Sonnambuli andiamo oltre, solo che la faccenda è più sottile.


In fondo a molti nostri libri c’è una sezione chiamata Titoli di coda, dove segnaliamo le nostre fonti, elenchiamo le letture fatte, i viaggi, gli archivi consultati. In un certo senso «rilasciamo il codice sorgente del libro», affinché il lettore possa intraprendere un suo percorso di approfondimento, o andare alla deriva, oppure fare verifiche, fact-checking, «ingegneria inversa». Sebbene anche nei Titoli di coda le narrazioni proseguissero, il titolo e un certo salto stilistico li collocavano fuori dalla cornice del testo principale. Erano un addendo, un’appendice. Invece, ne L’Armata dei sonnambuli, i titoli di coda sono diventati il quinto atto dell’opera. Li abbiamo portati dentro la cornice del romanzo.


Manzoni chiama «Introduzione» la parte iniziale de I promessi sposi, ponendola fuori dall’intelaiatura del romanzo, ma quel testo è dentro la finzione dell’opera, l’estratto del documento secentesco è invenzione, è scritto imitando l’italiano di duecento anni prima. Oggi siamo smaliziati, sappiamo bene che quello stratagemma narrativo è frequente nel romanzo storico, anche perché su quella strada si è andati molto avanti, passando per Poe e arrivando alla fiction travestita da saggio (da Borges a La letteratura nazista in America di Bolaño passando per Sciascia, solo i primi riferimenti che mi vengono in mente hic et nunc). Oggi sappiamo anche distinguere il documento simulato dai documenti realmente reperiti negli archivi (le grida contro i bravi riprodotte nel primo capitolo). Anche i famosi «venticinque lettori» a cui Manzoni si rivolgeva erano smaliziati e in grado di cogliere la finzionalità e lo stratagemma, perché Manzoni lo riprendeva da Cervantes e Walter Scott. Il romanzo, dopo un lungo periodo di estrema «elasticità» nel definirlo, aveva da tempo trovato la propria forma e andava formando il proprio canone. Tempo addietro, la confusione tra fiction e non-fiction era frequente: nel 1719 De Foe aveva pubblicato il Robinson Crusoe spacciandolo per storia vera. È una volta terminata la confusione, una volta che il romanzo conquista la distinguibilità da altre forme, che può interrogarsi a fondo e con rigore su tale distinguibilità, e quindi sui confini tra fiction e non-fiction. Su questo Manzoni rimane un punto di riferimento, anche oggi, nell’era della testualità «liquida», dell’archivio infinito, della radicale prossimità e reciproco, rapidissimo interpellarsi di autori e lettori.


Il quinto atto de L’Armata dei sonnambuli non è chiamato «quinto atto» a caso, ma per segnalare che siamo ancora dentro la cornice del romanzo: gli scrittori entrano nel romanzo, il gioco prosegue e il lettore è sfidato a compiere le proprie esplorazioni, per capire dove passano i confini dopo la nostra ibridazione di archivio e finzione. Ci rivolgiamo a lettori partecipi e attivi, ai lettori «smaliziati» di oggi. Pensando a loro, abbiamo cercato di scrivere un libro che fosse pieno di bombe a tempo, di mine che esplodessero solo al secondo o terzo passaggio. Un libro che, una volta terminato, prima o poi chiamasse alla rilettura, grazie all’ultima parte «perturbante». Siamo lieti che questo stia succedendo. Quella che vogliamo far detonare è la consapevolezza del molteplice, contro ogni «smussatura» mononarrativa. L’alternativa all’imposizione di una storia è raccontarne mille altre possibili. Timira e Point Lenana hanno lavorato a fondo: i due percorsi della nostra produzione convergono, indietro non si torna. [WM1]



L'Armata dei Sonnambuli a Siena

L’Armata dei Sonnambuli a Siena, 16 giugno 2014. Clicca per ascoltare l’audio – diviso in capitoli – di quella presentazione. Con Wu Ming 4, Dimitri Chimenti, Alberto Prunetti e Francesco Zucconi. Qui sotto, invece, uno stralcio della recensione di Prunetti uscita in occasione dell’evento.


«Poi c’è la questione del linguaggio. Qui ci sarebbe tanto, troppo da dire, e sinceramente non me la sento. In queste righe estendo solo alcune sottolineature. L’Armata è uno di quei libri che si inventano una lingua. Una lingua che poi quando chiudi il libro ti rimane in testa e ti obbliga a continuare a dire svitoddio e soquanti. Anzi, più d’una lingua. Perché non c’è solo una voce narrante che ci conta soquanti fatti ed è un primo eccezionale livello di impasto linguistico, con prestiti dal bolognese e neologismi a iosa e calchi traduttivi dal francese. Già questo è brillante. Ma poi c’è il gergo fighetto dei fottuti muschiatini che pa’ola mia pa’ano come se avesse’o uno stecco nel sede’e: evitano la erre per spirito controrivoluzionario e vengono castigati da Scaramouche e dal bastone di Marat che le eRRRe le calca tutte di bRutto e a fuRoR di gengive (ma è quasi un Cirano dei poveri con lo scroscio abbondante, questo Leo-Scaraouche che è anche un po’ un tamarro bolognese, direi). E Scaramouche calca la erre ma anche la strada perché il teatro negli anni della rivoluzione scende in strada e non si fa mica solo nei manicomi, ormai è living theatre. E allora di teatro ce n’è tanto, sia quello ribelle che quello che simula la rivolta. C’è il proletariato e c’è la plebe. C’è la libertà e la costrizione della volontà, in questo libro. C’è quel popolino felice che ricorda Les enfants du paradis, quelli del loggione, il film capolavoro di Marcel Carné, che parla di teatro e di gerarchie (il paradiso è la zona più rumorosa e più alta e sfigata del teatro, dove vanno i poveri, mentre la platea è per i borghesi); e c’è lo spettacolo dei mesmerizzati, avvinti da una forza autoritaria come quella che promana dallo spettacolo dei media di massa. Non sono proletariato infatti quelle genti mesmerizzate e sonnambulizzate, manodopera plebea e robotica nelle mani del primo mesmerizzatore (contro)-rivoluzionario che farà del popolo un pubblico passivo del proprio teatro-spettacolo-politico.»

- Estratto da: Alberto Prunetti, Omaggio a Marie Nozière, recensione apparsa sul blog Il lavoro culturale.



L'Armata dei Sonnambuli a Pisogne

Poco prima della presentazione a Pisogne (BS), con Wu Ming 1, Franco Berteni (Mr. Mill) e Maurizio Vito.


«Wu Ming è, come sempre, attento ai controtempi storici, ai rimbalzi tra le epoche della ricezione della storia della Rivoluzione e ancora di più del suo mito e dei diversi miti rivoluzionari (e controrivoluzionari). Nel recente Utile per iscopodi Wu Ming 2 si legge che il romanzo storico non cerca né il vero né l’utile ma punta a «falsificare la narrazione dominante, mostrarne le stratificazioni, sostituire allo stereotipo il conflitto» e l’obiettivo è pienamente centrato, grazie a un uso dell’anacronismo consapevole, volutamente spinto per interagire con altri tempi alla ricerca della dialettica con il lettore.

Se il lettore è sempre istanza attiva nei confronti del testo, quest’affermazione sembra essere ancora più centrata in questo caso rispetto al modo di intendere la vita delle storie raccontate. L’atto quinto, Come va a finire, è qualcosa di più dei consueti “titoli di coda” nei quali si rivelano fonti e modalità di lavoro dei singoli pezzi: il romanzo è disseminato di “botole” o “varchi temporali” che intendono spingere i lettori a rileggere, indagare e seguire i percorsi tracciati, magari per aprirne di nuovi e inattesi.

Membri di una comunità di lettori affamati di racconti che parlino ancora di un ‘noi’ (anche perché orfani di altre comunità?) ci ritroviamo addosso il desiderio di continuare il lavoro sul mythos interpretandolo e portandone alla luce virtualità inespresse, fino a far coincidere Wu Ming con We Ming.»

- Estratto da: Enrico ManeraL’Armata dei Sonnambuli, apparso sulla rivista on line Doppiozero.




Siamo tutti #Scaramouche. Gli effetti della Termodinamica della Fantasia al #WuMingLab #Fantarchivo di CupraM. (AN) pic.twitter.com/CgZa0ZCkOM

— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) June 22, 2014




Bella presentazione de L’#ArmatadeiSonnambuli di @Wu_Ming_Foundt a Massenzatico. Ora però mi sono perso per la bassa reggiana. AIUTO.

— Gnarrrgh! (@Gnarrrgh) June 20, 2014




«E le donne, diverse, uguali, l’hanno iniziata loro la cagnara, donne in cerca di una strada, in cerca di una Rivoluzione nella Rivoluzione a partire dallo strappo, dal taglio, dall’eccezione. La controrivoluzione, che, per qualcuno, non è l’opposto di una rivoluzione: la controrivoluzione è la rivoluzione opposta. E  il Terrore. E la parte smerda, che «Terrorista» era chiunque rammentasse al prossimo che anche i ricchi cagano. La parte smerda perché, tanto, eravam tutti te’o’isti. E la fame, quella che la testa non funziona più come prima, s’incaglia. E frasi come stilettate, come sassi lanciati lontano con notevole precisione. Parole che eccitano gli animi e causano turbamento dell’ordine pubblico, perché il potere rivoluzionario rispetta la libertà d’opinione, ma attenzione a quel che si dice. Una narrazione in armonia con lingua e linguaggio, ricercata e colma di dettagli che creano un’insieme compatto, tangibile, fin negli odori, fin nella massa, nel popolo, che si muove, avanza, arretra, ancora avanza, vive, muore, ride, piange e fa la Storia.»

- Estratto da: Mia Parissi, L’Armata dei Sonnambuli, una (non)recensione.




«Insomma, il romanzo si sostiene sulla farsa, in un senso che sa andare anche oltre l’aspetto tematico e che si dipana in domande implicite sulla veridicità di quanto narrato. Come sono andate veramente le cose durante la Rivoluzione Francese? Chi affermava cosa, e con quale obiettivo? E i personaggi di cui leggiamo, quelli che si muovono tra i vari Robespierre e Leclerc, sono realmente esistiti? L’ultimo atto è un’appendice storio-biografica in cui gli autori si dilungano sulle sorti dei protagonisti come Léo, D’Amblanc e Marie, citando fonti d’archivio e anagrafiche, e non dimenticando di ragguagliarci anche sulle successive vicende della rivoluzione e dei reali di Francia. Dell’esistenza di questi uomini e queste donne si parla con la stessa naturalezza con cui si racconta di eserciti ipnotizzati e di guardie stroncate col flusso magnetico. Ma allora, a cosa dobbiamo credere? Cosa è stato inventato, cosa descritto?»

- Estratto da: Francesco Corigliano, La rivoluzione di Wu Ming.



L'Armata dei Sonnambuli a Casa di Khaoula

Poco prima della presentazione alla biblioteca «Casa di Khaoula» di Bologna, 11 giugno 2014. L’Armata dei Sonnambuli + il Wu Ming Contingent in versione unplugged. Clicca sulla foto per scaricare la cartella zippata con le canzoni e le letture. Se invece vuoi l’audio completo, tutto di fila, usa il link qui sotto. Per scaricare, clicca sulla freccia puntata all’ingiù.


Audio completo della presentazione alla biblioteca «Casa di Khaoula» di Bologna, 11 giugno 2014.

Audio completo della presentazione alla biblioteca «Casa di Khaoula» di Bologna, 11 giugno 2014.

Durata: 2h 24′ 15″. 207 mega.




@Wu_Ming_Foundt #ArmatadeiSonnambuli ecco come appare sul cell. Un po’ forte. Preso spunto da pag 634 e 637 pic.twitter.com/LSWncAgaTm

— Marco Scacc (@MScacc) June 21, 2014




APPUNTI PER IL PROSSIMO TRENTENNIO :-)

APPUNTI PER IL PROSSIMO TRENTENNIO :-)

Mario Galzigna introduce la presentazione de L’Armata dei Sonnambuli a Padova, 30 maggio 2014. Durata: 10’30″.


Mario Galzigna

Docente di storia della scienza e di epistemologia clinica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Galzigna è autore di numerosi saggi, l’ultimo dei quali è Rivolte del pensiero. Dopo Foucault, per riaprire il tempo (Bollati Boringhieri, 2013). Ha tradotto e curato le edizioni italiane degli ultimi corsi di Michel Foucault al College de France, Il governo di sé e degli altri e Il coraggio della verità, entrambi pubblicati da Feltrinelli. Sempre per Feltrinelli, ha curato la raccolta di saggi Foucault oggi.





Pier Aldo Rovatti

«Non è propriamente un dormire: il sonnambulismo è un altro modo di stare svegli. Non è un essere passivi e abulici, anzi è un attivismo incessante, produce dinamismo, quasi fossero proprio il godimento e l’azione a spingere la nostra marcia. Il sonnambulismo si mescola a una sindrome del fare, condotta anche fino al limite della violenza, a una specie di ubriacatura collettiva. I segnali non sono difficili da captare, dal parossismo tecnologico che ha ormai ipnotizzato giovani e meno giovani generazioni fino all’inebriamento di massa per i circenses sportivi.»

- Estratto da: Pier Aldo Rovatti, «Una società di sonnambuli», apparso su «Il Piccolo» del 20/06/2014.



L'Armata dei Sonnambuli a Parma

Presentazione de L’Armata dei Sonnambuli a Parma, 19 giugno 2014.



Nessun dominio di classe dura in eterno.

«Il confronto tra aspirazioni ideali e necessità materiali che vivificò il processo rivoluzionario non si risolse mai nella prospettiva di un ritorno al rassicurante ordine precedente e sono proprio quegli aspetti che più assecondarono le tensioni alla rottura con il passato che la rivoluzione ha lasciato come migliore eredità ai posteri . Un lascito in tutti gli ambiti, politico, economico e culturale, enorme, che la subdola restaurazione termidoriana non riuscì ad eliminare del tutto e a cui ancora oggi è necessario fare riferimento [...] Quando fu spodestata, l’aristocrazia non era che la parodia del ceto che per secoli aveva guidato il continente, ma a decretarne la fine furono, tra i vari motivi, anche gli errati presupposti ideologici, le tare che si portava con sé da secoli, rappresentate dall’ironica fine di Luigi XVII, discendente di re taumaturghi morto per la scrofola. La borghesia, la classe in ascesa, portava a sua volta con sé quei limiti che oggi la condannano, riassumibili nell’inesauribile contraddizione tra la difesa della proprietà privata e l’aspirazione ideale alla libertà, anche economica, della società.»

Vittorio Saldutti, dalla recensione apparsa su Falcemartello.



L'Armata dei Sonnambuli a Roma

Poco prima della presentazione de L’Armata dei Sonnambuli al Communia di Roma, 6 giugno 2014. Il video che trovate in questo stesso post, poco sopra, è stato girato in quest’occasione.


«Le quasi 800 pagine dei Wu Ming risuonano di una musicalità impressionante: “il ritmo è così incalzante – interviene Presini – che si può quasi riconoscere il rap, o il rock progressivo degli anni ‘70”, ed è chiara come la scrittura sia permeata dal “laboratorio sperimentale di musica” degli stessi autori, impegnati nel progetto, estraneo ad un semplicistico divertissement degli autori, Wu Ming Contingent. E così, mentre “per gli edulcorati, Cura Robespierre” resta il testo di una canzone del nuovissimo album Bioscop, le parole de ‘L’armata dei sonnambuli’ suonano di ritmi e assonanze, respiri e rime, ed una lettura attenta riconosce persino settenari ed endecasillabi “poi sporcati, come parti liriche subliminali, perché amiamo i metri di poesia nella prosa”. L’allegoria è dunque aperta: il sangue delle ghigliottine bagna i ciottoli di una Parigi in subbuglio e colora ‘lo spirito di Marat’, il bastone con cui l’attore Scaramouche, uno dei protagonisti, si improvvisa “macchina ammazza-cattivi” rendendo l’intera città teatro della sua commedia [...] La nube di transmedialità del romanzo incorpora il presente, si articola e si snoda oltre il piatto moralismo, perché “una rivoluzione non può essere decaffeinata, pacifica, una rivoluzione è una rivoluzione”.»

Estratto da: Silvia Franzoni, L’Armata dei Sonnambuli, sperimentazione dei Wu Ming.




Vuoi più bene ai #Mondiali2014 o alla #ArmatadeiSonnambuli? #nonsa #nonrisponde #nonlegge

— Fab (@j0hngr4dy) June 17, 2014



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Published on June 23, 2014 08:58

June 18, 2014

La testa e i piedi di Ryan Giggs | Note sul romanzo fútbologico

ryan-giggs-collects-obe_2007


di Wu Ming 4


Non è mica facile raccontare il calcio in un romanzo. E’ come raccontare un film, come trovarsi in mezzo tra lo spettacolo e la sua trasposizione bicolore, parole nere su fondo bianco. Visioni, emozioni, velocità, da ricreare attraverso una tastiera che produce sempre la stessa nota. Un’impresa. Proprio per questo si tratta forse di una delle sfide narrative più affascinanti. E se i sudamericani, si sa, in questo sono maestri, con le loro dosi massicce di poesia e metafore, gli inglesi lo fanno in un modo tutto particolare, perché spoetizzano il campo da gioco e lo trasformano in un prisma da cui guardare le trasformazioni della società che sta attorno. Non solo sulle tribune, ma nelle vie adiacenti lo stadio, fin dentro i pub e le living room. Sul rettangolo verde insiste il mondo, con la filiera di vite, lavoro, denaro, che da ogni singolo riflettore puntato risale fino all’angolo più remoto del globo.


Voglio la testa di Ryan Giggs (pubblicato da 66th and 2nd, 2014, p. 328, €17), il romanzo di Rodge Glass (classe 1978), fa questo e altro. Racconta la storia di una dipendenza, una droga per monomaniaci che si chiama “calcio” e che ne porta con sé altre: scommesse, alcool, sostanze. E’ un romanzo di formazione e deformazione, la biografia fantastica di una stella mancata del firmamento calcistico, in quel luogo mitico e mistico che è l’Old Trafford, epicentro della Repubblika di Mancunia. E’ un viaggio nella passione onnipervasiva per lo United, nel manchesterismo irriducibile, che si tramanda di padre in figlio. Un certo tipo di padre, un certo tipo di figlio, bisognerebbe dire, che però albergano in ognuno di noi. Una malattia, quella calcistica, a volte contratta in forma lieve, quasi utile a immunizzarsi, a volte in forme letali, devastanti per le relazioni e le vite. Lo sa chiunque abbia calcato gli spalti sbrecciati di un campionato Pulcini e abbia visto all’opera il morbo, sentendolo sfiorargli le orecchie, fargli tremare i polsi o il respiro. Lo sa chi ha biascicato una preghiera perché i numi del calcio lo risparmino, nella speranza che “il gioco più bello del mondo” possa ancora essere qualcosa di diverso da una patologia sociale (non sono bellissimi, quei bambini mentre giocano?), e magari quel pulcino se lo è pure preso da parte e certe cose ha provato a dirgliele, partita dopo partita, sentendosi Sisifo e Don Chisciotte insieme, cercando di guastare la congiura dei guastatori. Consapevole che di guasti con le migliori intenzioni sono pieni i rapporti tra padri e figli. cover


Il romanzo di Glass parla anche e forse soprattutto di questo. Dell’infezione trasmessa per via patrilineare, dai nonni e forse bisnonni, che per primi acquistarono gli abbonamenti allo stadio e sposarono il clan famigliare ai colori della bandiera. Una bandiera rossa che un tempo alludeva alla coscienza di classe della tifoseria di una città operaia, sventolata da un’Armata Rossa che cantava in coro dagli spalti, e che adesso assomiglia assai più a un brand commerciale come tanti altri, nonostante la retorica sia dura a morire. Senz’altro lo è per Mike Wilson, il protagonista del romanzo, pulcino che cresce in un’Inghilterra sudamericanizzata, in cui essere bravi a calcio è fondamentale. Essere molto bravi a calcio. Diventare campioni di calcio. La maggiore fortuna e sfortuna al tempo stesso. Mike Wilson è l’Agassi di Open al contrario, ma vittima delle stesse dinamiche, dello stesso investimento emotivo. Magistrale è il film della propria vita che si fa al suo esordio in prima squadra, mentre aspetta che il pallone lanciatogli da Giggs spiova sui piedi. Da lì comincia la simmetria rovesciata di due parabole esistenziali: quella del pilastro del Manchester United, vero e proprio semidio cittadino, che guadagna il ruolo di uomo-squadra e uomo-società, con una poltrona da allenatore o dirigente sportivo già calda per quando smetterà di giocare; e quella di Mike, che viene respinto sulla soglia dell’Olimpo.

Se Ryan Giggs è un cavaliere senza macchia e senza paura, calciatore posato dentro e fuori dal campo, decorato dalla regina, capace di giocare fino a quarant’anni, Mike Wilson è un antieroe perfetto, che si specchia nel proprio idolo/modello, vedendosi restituire un’immagine di sé tumefatta e disperata. Mike la promessa mancata. Mike causa dei propri guai. Mike schiacciato da un complesso edipico irrisolto e irrisolvibile, in cerca di un padre che dopo averlo spinto a scommettere tutto sui piedi lo ha mollato su due piedi sparendo chissà dove, in fuga dagli effetti delle proprie dipendenze. Un padre presente e assente, che rimane una voce disincarnata, al telefono da un aldilà immaginato come un paradiso tropicale, ma che probabilmente è soltanto un purgatorio appena più tiepido dell’Inghilterra, dal quale minaccia sempre di fare ritorno.


Così la storia di Mike assomiglia a quella di un altro United, il Regno stesso, il paese de-socializzato, dove tanto la classe operaia quanto la piccola borghesia impoverita dopo la fine del sogno/incubo thatcheriano e blairiano, hanno perso ogni prospettiva di riscatto collettivo e si aggrappano all’unica chance di successo, o anche solo di welfare: il talento calcistico individuale. Quando poi il sogno si infrange, trascina sotto le macerie anche l’ipotesi di una vita normale. Colpa del singolo? Della famiglia? Della società? Della storia? Dell’educazione? Delle cattive compagnie? Questa è materia per i sociologi della domenica sui quotidiani del Regno o della Repubblica. Dove comincia la catena di responsabilità e concause che porta alla rovina? Forse perfino da quel primo calcio al pallone dato in un campetto di periferia, con un padre che fa il tifo e inizia a pensare che leggere un libro potrebbe essere una perdita di tempo per il futuro campione del mondo. Allora certi romanzi diventano quasi un antidoto, perché dimostrano che la buona narrativa e il bel gioco non sono alternative, ma perfino ottimi complementi.

Del resto, quando un romanzo incentrato sul calcio, su una squadra, su una città, non solo si lascia leggere, ma riesce a conquistare chi non mastica calcio, non tifa quella squadra e non ha mai messo piede in quella città, be’, è senz’altro un buon romanzo. Se poi fa tutto questo e ti fa anche guardare al calcio, alla paternità e alla prossima partita di tuo figlio con occhi nuovi, probabilmente è qualcosa di più.


lele C’è però una postilla necessaria, per controbilanciare o addirittura ribaltare il racconto di Glass. E’ la storia del F.C. United of Manchester, la società calcistica nata dai tifosi della prima squadra cittadina insoddisfatti della nuova gestione americana. Questi hanno deciso di ricominciare da capo, proponendo un modello di gestione societaria fondato sull’azionariato popolare. Nonostante la squadra sia composta da semiprofessionisti e militi in una divisione minore, la nuova società, con oltre tremila soci, sta progettando la costruzione di uno stadio in piena regola (senza sponsor!). Ecco un’impresa collettiva e positiva che potrebbe solleticare le corde di un romanziere. Non a caso se ne parla nel documentario di Wu Ming 3 e Christo Presutti, Nel pallone (2014), ché buon sangue non mente. Si può vedere qui sotto  dal minuto 8:26 (a seguire: il caso dell’Ardita San Paolo di Roma, che alla gestione societaria dal basso unisce anche la funzione sociale nel quartiere). Ecco, è bello immaginare che il finale alternativo per Mike Wilson sarebbe potuto essere proprio questo: liberarsi dagli spettri delle occasioni perdute, giocare lontano dai riflettori, ma nel nome di un progetto collettivo che letteralmente ricomincia dai fondamentali. La passione comune, la squadra, il gioco, il pallone. E fanculo i campioni del mondo.



Questo articolo è pubblicato in tandem sul sito di Fútbologia.


Il documentario Nel Pallone, di Christiano xho Presutti, Wu Ming 3 e Giangiacomo De Stefano, è  online sul canale YouTube della TV Laeffe:



prima puntata: La passione
seconda puntata: Il gioco

 


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Published on June 18, 2014 23:06

June 17, 2014

«American Parmigiano» parla inglese, francese e castigliano

AP


Da molti mesi,  il nostro blog in inglese langue senza aggiornamenti. Da un tempo ancor più lungo, la vecchia pagina del sito con i file dei nostri testi in varie lingue, è un insetto fossile nell’ambra digitale. La nuova pagina dei download è solo in italiano. Serve tempo, e da mesi non ne abbiamo, per mettere mano a una riorganizzazione di tutta la baracca.

Nel mentre, ci sono arrivate due traduzioni collettive del nostro racconto American Parmigiano, pubblicato nell’estate 2008 per la serie Corti di Carta del Corriere della Sera, e poi ristampato nelle antologie Sei Fuori Posto (Einaudi 2010) e Anatra all’Arancia Meccanica (Einaudi 2011).


La prima traduzione risale alla primavera 2009 e viene dagli (allora) otto alunni del secondo livello avanzato B2 della Escuela Oficial de Idiomas de Almerìa, (Dipartimento di italiano), coordinati dal prof. José Palacios.

Il pdf è in formato bilingue. (Quella riprodotta qui sopra è la copertina elaborata per l’occasione).

Chi volesse il file .doc con il testo solo in castigliano, lo trova qui.


La seconda traduzione viene dagli alunni del Dipartimento di italiano dell’Université Paul Valéry – Montpellier 3, coordinati dalla prof. Isabelle Felici, nell’ anno accademico 2013/2014.


Ringraziamo gli studenti delle due università per aver lavorato insieme su questo racconto, contribuendo così ad allargare ulteriormente il friendchise di coloro che usano, modificano, riadattano e trasformano i nostri testi, anche grazie alla formula copyleft che da sempre li contraddistingue.


Infine, ricordiamo che American Parmigiano esiste anche in inglese, tradotto da N.S. Thompson per l’antologia Italian Outsiders Stories (MacLehose Press, 2013 – traduzione britannica del già citato Sei Fuori Posto)


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Published on June 17, 2014 09:12

June 16, 2014

Breaking Beppe. La «guerra civile simulata» del Movimento 5 Stelle

Copertina di Breaking Beppe

Clicca per aprire la copertina completa (PDF)


Una segnalazione doverosa. La quarta edizione del libro di Giuliano Santoro Un Grillo qualunque esce ampliata, con un importante aggiornamento al post-Europee2014 e ulteriori precisazioni teoriche. Tanto che diventa un nuovo libro, un’opera diversa, da qui il nuovo titolo: Breaking Beppe.


«La guerra civile simulata è il conflitto che viene solo agitato, che chiede di essere delegato e che non comporta alcuna responsabilità. Matteo Renzi tiene la sua orazione in Parlamento con lo sguardo alla telecamera, rivolgendosi a «chi ci guarda da casa». L’opposizione segue la stessa logica: gli assalti ai banchi del governo hanno l’obiettivo di occupare lo spazio mediatico ed emotivo che in altri Paesi hanno le mobilitazioni di piazza. I combattenti digitali della “guerra civile simulata” temono le strade, che hanno smesso di essere il luogo dell’incontro e dello scontro e si limitano al più a ospitare i comizi del Capo o le rappresentazioni itineranti dei suoi adepti. Per questo i consiglieri grillini romani, un mese prima delle elezioni, votano a maggioranza assieme alle Destre e al Pd una mozione che chiede di spostare i cortei in periferia, dove arrechino meno disturbo possibile. Il Popolo vuole applaudire, fotografare col telefonino e condividere i selfie. Vuole far sapere di esserci. Allo stesso modo, i tossici digitali che paiono usciti da un ritratto cyberpunk seguono i talk-show nella speranza che il loro beniamino politico “distrugga”, “faccia a pezzi” o “sbugiardi” l’avversario di turno (locuzioni frequenti nel fervore da tastiera dei commenti online: la tv diventa social, la Rete serve a diffondere viralmente la televisione). Gli spettatori connessi sono alla ricerca di una dose istantanea di dopamina digitale che sublimi il loro essere impotenti.»


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Published on June 16, 2014 02:03

June 13, 2014

Un Link tra Hong Kong e #Bologna? FICO! – I partner della “Disneyland del cibo”.

Delegazione THE LINK al CAAB di Bologna. Foto Borella/Eikon

I partner cinesi del FICO. Delegazione THE LINK al CAAB di Bologna. Foto Borella/Eikon


di Wolf Bukowski (guest blogger)


Nell’insediamento abusivo di Shek Kip Mei un fornello si ribalta, un gioco di bambini cenciosi finisce male, un mozzicone cade su un materasso di paglia. O chissà che altro. In poche ore il fuoco – spietato compagno della miseria abitativa – lascia 53mila profughi cinesi senza tetto. Erano arrivati lì fuggendo dalla guerra civile tra i nazionalisti di Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek) e i comunisti di Mao Zedong. Ora guardano impotenti le fiamme, alimentate dal poco che possiedono, illuminare la notte di Natale del 1953 a Shek Kip Mei, nella colonia britannica di Hong Kong.


Il fuoco di Shek Kip Mei


53mila senza tetto su 300mila profughi, in una città dove il 20% dei 3 milioni di abitanti risulta essere squatter: sotto una tale pressione, il governo costruisce in pochi mesi edifici a sei piani con servizi in comune; poi, dai primi anni Sessanta, le case economiche (廉租屋) con bagno e cucina, qualcosa di simile alle nostre case minime o case Fanfani. Complessivamente, in dieci anni, lo stock residenziale pubblico passa da 33mila a 848mila unità abitative.

Le persone che le abitano devono mangiare, vestirsi e prendersi cura di sé –  dunque hanno bisogno di negozi. Così l’amministrazione costruisce alcuni centri commerciali, analoghi ai nostri degli stessi anni: luoghi di servizio, non di shopping experience. Un po’ come quello del Pilastro, quartiere popolare bolognese inaugurato nel 1966.


Il Centro Commerciale Pilastro


Dopo i moti filocinesi del 1967 il governo coloniale di Sua Maestà, spaventato, istituisce l’Housing Authority per sviluppare ulteriormente l’edilizia popolare; eleva l’obbligo scolastico e potenzia i servizi pubblici. Poi passa la paura, arriva la Thatcher e iniziano le privatizzazioni; nel 1997 gli inglesi se ne vanno e Hong Kong ritorna a casa, come cantano i CCCP, diventando Regione Autonoma Speciale della Cina comunista. Dove regna lo stesso liberismo e la stessa iniquità sociale (si veda qui l’indice di Gini, simile per i due paesi), con l’aggiunta di censura e feroce repressione politica.


Nello stesso anno scoppia la bolla finanziaria e immobiliare asiatica. L’Housing Authority, per non fare concorrenza ai costruttori privati, interrompe i progetti già avviati e si autoinfligge una crisi di bilancio; questa crisi diventa il pretesto per privatizzare le proprietà non residenziali. Ovvero: 131 centri commerciali con 8424 negozi, più di settemila chioschi e 395 uffici, compresi quelli affittati a servizi pubblici e studi medici; inoltre, decine di migliaia di parcheggi. Le preoccupazioni dei negozianti in affitto vengono placate con false promesse, mentre le opposizioni politiche sono emarginate o criminalizzate. Gli attivisti anti-privatizzazione vengono pedinati da giornalisti filo-governativi, mentre la causa legale contro la vendita degli assets intentata dalla signora Lo è descritta come un attacco “alla 11 settembre” a mercati e governo (vi ricorda qualcosa quest’assurda accusa di terrorismo?).


Lo Siu Lan

La signora Lo Siu Lan, vecchia pazza secondo i media governativi


È dunque in un clima di inganno e diffamazione che nel 2004 tutti gli assets non abitativi della Housing Authority vengono conferiti al fondo The Link REIT, le cui azioni sono vendute in borsa a partire dal 25 novembre 2005.


Nel 2006, The Link REIT rinnova gli appalti di pulizia e sorveglianza e 1400 lavoratori vengono licenziati dalle ditte vincitrici; il risparmio di The Link si traduce in spesa pubblica (la sorveglianza dei parcheggi viene assunta dalla polizia) e in condizioni di lavoro ancora più opprimenti per i dipendenti, che perdono la recente e non generalizzata conquista delle otto ore (si passa a 8 e 1/2 fino a dieci ore. Gli attivisti di The Linkwatch riportano casi di 14 o 15 ore), hanno salari più bassi della media del settore e talvolta vengono taglieggiati della spesa per l’uniforme che devono indossare. A fronte di questo, la qualità della loro malpagata prestazione lavorativa è controllata quotidianamente:

1) dai supervisori della ditta di pulizia,

2) da quelli del management del centro commerciale,

3) da quelli di The Link.


Gli addetti alla pulizia dei bagni non possono lasciarli per tutto il turno e non possono parlare con estranei. Se hanno finito il loro lavoro possono sedere per 5 minuti l'ora, ma solo secondo la pianificazione riportata dal cartello (Centro Commerciale Tze Wan Shan, nov. 2005)

Gli addetti alla pulizia dei bagni non possono lasciarli per tutto il turno e non possono parlare con estranei. Se hanno finito il loro lavoro possono sedere per 5 minuti l’ora, ma solo secondo la pianificazione riportata dal cartello (Centro Commerciale Tsz Wan Shan, nov. 2005)


Naturalmente erano proprio gli affitti commerciali (il non-core business) a portare soldi freschi e costanti alla Housing Authority: venuti meno quelli, la crisi dell’ente si aggrava. Come scrivono Chen e Pun: “le crisi reali e immaginarie sono solo un mezzo per perseguire la neoliberalizzazione del programma di edilizia pubblica.”


Altrettanto aggressivo il comportamento di The Link nei confronti dei piccoli esercenti in affitto nei suoi centri commerciali. L’immagine coordinata e la standardizzazione che impone, oltre a spazzare via la varietà dei mercati cinesi, diventano un modo per promuovere supermercati e grandi catene distributive nel quartieri popolari (come scrive Sophia So Lok Yee).


Ma il passaggio chiave, come in ogni processo gentrificante, è la ristrutturazione/remodelling e i costi che comporta. Con gli interventi di “valorizzazione” di The Link del 2007-2008 gli affitti aumentano anche di 3 volte. Di conseguenza molti piccoli operatori abbandonano e la presenza dei negozi di grandi catene distributive cresce anche del 70%. È così che McDonald’s diventa il quarto partner di The Link, godendo peraltro di affitti al metroquadro assai più convenienti di quelli dei chioschi a conduzione familiare (paradossale? No: liberista). Lo stesso contratto di locazione imposto da The Link (tre anni senza possibilità di recesso neanche in caso di chiusura dell’attività) e altre infinite e onerose vessazioni perseguono chiaramente la gentrificazione commerciale.


Come abbiamo visto, secondo Chen & Pun l’obiettivo del processo è quello di arrivare alla privatizzazione del nucleo dell’Housing Authority: l’edilizia residenziale pubblica. Con calma, naturalmente, e sottotraccia, proprio come fa il Comune di Bologna con le case popolari del Pilastro (qui le inequivocabili dichiarazioni dell’assessora Gabellini).


Di nuovo il Pilastro? Ma che c’entra con Hong Kong? C’entra, c’entra: è proprio The Link REIT il “fondo asiatico” che investirà nel FICO, il parco tematico di Eataly che sorgerà in un Pilastro riscritto, cementificato e gentrificato.


È The Link REIT l’investitore straniero a cui Andrea Segrè, presidente di CAAB, spera di vendere una parte delle quote pubbliche di Fico, consegnando così a una maggioranza privata il patrimonio comunale CAAB.

Ed è per The Link REIT, per i The Link di tutto il pianeta costruiti sull’accaparramento di risorse comuni che Oscar Farinetti intende trasformare il meridione in “un unico Sharm El Sheik” e concedere 10 anni di esenzione fiscale a “tutte le multinazionali del mondo” che investano in Italia; ed è per i profitti di queste e dei loro partner (Eataly, Coop, Intesa-Sanpaolo per citare non a caso) che Renzi e Poletti tracceranno una rotta verso gli abissi per le condizioni di lavoro.

È per loro, ed è contro di noi; contro di noi e con lo stesso preciso gesto, nello stesso identico momento contro gli addetti e le addette alla pulizia dei centri commerciali di Hong Kong.

Non ci resta che pensare, costruire e praticare relazioni e contromisure che siano altrettanto globali. E ambiziose.


[Fonti principali e preziosissime di questo testo sono: la tesi The Victims of Privatization: the Case Study of the Link REIT in Hong Kong di So Lok Yee Sophia (2010) e l'articolo Neoliberalization and Privatization in Hong Kong after the 1997 Financial Crisis di Chen Yun Chung e Pun Ngai (2007).]

-

*


Nel frattempo, a proposito di tesi, Natale “Oscar” Farinetti si è laureato “honoris causa” in Marketing e Comunicazione per le Aziende all’Università di Urbino.


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Published on June 13, 2014 03:42

June 5, 2014

Vik Arrigoni e #Wikipedia, una storia di «buon senso» e conflitto

Vittorio Arrigoni



di Nicoletta Bourbaki (guest blogger)


Senza prenderla troppo alla larga, possiamo affermare che il ruolo di Wikipedia nella società contemporanea sia paragonabile a quello di una bussola, o di una stella a cui fare riferimento prima di mettersi in cammino.

Dalle sue pagine partiamo alla ricerca di qualcosa, deriviamo le prime impressioni, ci orientiamo e conosciamo nuovi percorsi. Si tratta di una constatazione forse banale, ma di certo non lo sarebbe stata dieci anni fa, o forse meno.

Seppur con eccessiva lentezza, si sta cominciando a studiare l’impatto dell’enciclopedia libera anche sul modus operandi di giornalisti e ricercatori.

La cosa interessante del progetto è senza dubbio la sua capacità olistica, il suo svilupparsi radicalmente al di là della somma delle parti grazie a discussioni e ragionamenti frutto di uno sforzo collettivo. Eppure non lo si può isolare dal resto della società, rappresentarlo come un congegno estraneo alle dinamiche e alle relazioni “off-line”, o in “real life”. Allo stesso modo, sarebbe superficiale e limitante osservarne gli aspetti puramente formali: il rischio sarebbe quello di idealizzare Wikipedia come un meccanismo autoimmune e perfetto in quanto eternamente perfettibile.

Non si può prescindere da queste considerazioni prima di muovere i primi passi dentro una vicenda emblematica come quella relativa alla voce su Vittorio Arrigoni – attivista, blogger e giornalista impegnato per anni a raccontare cosa succedeva a Gaza e dintorni, fino al tragico epilogo della sua vita –, una vicenda risalente a qualche anno fa ma che offre spunti di riflessione importanti e che non abbiamo dimenticato, così come il ricordo di Vik e della sua determinazione è ancora forte e vivido.


L’epicentro di questa storia si situa tra la Palestina e i server che ospitano Wikipedia, fra la notte del 14 e la sera del 16 aprile 2011. Vittorio Arrigoni viene preso in ostaggio, e dopo nemmeno trenta ore viene ammazzato. Le cose succedono a una tale velocità che è difficile inquadrarle, ancora meno dall’Italia. Ciò che da subito risulta essere chiaro è che Vittorio ha pagato un pegno enorme per non essersi mai tirato indietro nel suo impegno d’attivista in Palestina con l’International Solidarity Movement. Oggi, dopo tre anni, i fatti che videro Vik suo malgrado protagonista di una vicenda che scosse molti animi e che ebbe risonanza mondiale sono più chiari, anche se rimane una storia torbida che qui – anche per rispetto nei confronti del suo spessore umano, che non merita di essere liquidato in un paio di righe – non tenteremo nemmeno di riepilogare. Quello che possiamo ed è nostro interesse in questa sede ricostruire per intero, è ciò che avvenne all’interno di Wikipedia dal momento in cui la notizia del suo assassinio divenne pubblica. Mentre la rabbia e la frustrazione per la morte di Vik montavano, questa vicenda “minore” gettava sale su una ferita ancora sanguinante; eppure la sua ricostruzione merita la pazienza e lo sforzo di essere ricordata e compresa.


La voce «Vittorio Arrigoni»: creata e cancellata in una manciata di minuti

Mauro Vanetti – utente wikipediano che non nasconde le sue idee forti e difende la compatibilità di queste con un atteggiamento leale e costruttivo su WP, nonché guest blogger su Giap – appresa la notizia della morte di Vik si rivolge all’enciclopedia libera per ottenere informazioni sulla vita di Arrigoni. Niente. La voce non esiste. Sorpreso, decide di crearne una.


«Vittorio Arrigoni (… – Gaza, 15 aprile 2011) è stato un giornalista e attivista italiano. Era membro dell’International Solidarity Movement e si era trasferito a Gaza da dove diffondeva informazioni sulle condizioni dei palestinesi della Striscia. Il 14 aprile 2011 è stato rapito da un gruppo salafita che lo ha ucciso per soffocamento durante la notte».


Poche righe, uno spunto, eppure alea iacta est, la valanga è innescata, il caos incombe.


Scambio di pareri tra Mv e Guidomac

Scambio di pareri tra Mv e Guidomac, clicca per ingrandire.


[Questa è un’elaborazione grafica esplicativa, in cui sono stati tagliati e rimontati in ordine cronologico i commenti tra Mauro Vanetti e il patrollatore che si è attivato per la cancellazione immediata della voce. Lo scambio originale si può visualizzare qui e qui ]


La voce – che era segnalata, con relativo avviso in evidenza nella pagina, come “abbozzo” – viene cancellata per direttissima e in modo sbrigativo da un altro utente. Ciò avviene nel corso di un patrolling, che alla lettera significa “pattugliamento delle ultime modifiche”, una procedura che come si può leggere sulla stessa WP consiste nel vaglio delle voci appena create. Fra le possibilità che un utente impegnato nel patrolling ha a disposizione c’è la “cancellazione immediata” di una voce, per i casi “precisamente e tassativamente previsti” nella relativa pagina di spiegazione. Si tratta – per dare un’idea di massima – di voci autopromozionali, di pagine vuote o dai contenuti offensivi, oppure pagine palesemente non enciclopediche. Ed è proprio per mancanza dei requisiti di enciclopedicità che l’utente patrollatore cancella la voce “Vittorio Arrigoni” in uno slancio di zelo, dandone comunicazione a Vanetti con toni spicci che poco si confanno allo spirito wikilove e senza dedicare molto tempo alla riflessione sull’insieme delle regole di WP – tutt’altro che univoche nella loro interpretazione – che un utente esperto dovrebbe aver ben presente prima di procedere con un’azione forte come la cancellazione immediata di una voce.


Un inciso: chi può fare patrolling? Secondo le indicazioni che troviamo nelle regole che gli utenti stessi di WP si sono dati, chiunque. Dall’utente iscritto a quello anonimo, anche se di fatto – come è logico che sia – se ne occupano gli utenti più esperti, in particolare gli amministratori. Si tratta di un’attività routinaria, di per sé ben poco avvincente ma importante perché “la tempestiva verifica di ogni modifica è uno dei presupposti per fare sì che Wikipedia divenga più affidabile”; da qui la possibilità di ricorrere a strumenti eccezionali, che non richiedono di passare per la discussione e la votazione degli utenti, così come previsto per la procedura di cancellazione standard [si veda anche il diagramma di flusso sulle procedure di cancellazione standard].


Mauro Vanetti a questo punto, vistosi cancellare senza possibilità di replica la voce appena creata, apre una discussione nel bar di WP sollecitando il parere degli altri utenti: «Ciao, mi chiedevo se fosse opportuno o meno creare la pagina Vittorio Arrigoni», spiegando poi in poche righe cosa fosse successo all’abbozzo di pagina da lui creata nelle ore precedenti. La discussione vede subito il contributo di molti utenti che si dividono fra favorevoli e contrari all’inserimento della pagina su Vittorio Arrigoni in it.wiki, tra questi l’utente patrollatore che inconsapevolmente, o forse ingenuamente, ha dato avvio alla valanga che andava nelle ore montando: nella sua interpretazione la voce è autopromozionale, non enciclopedica e, se anche lo fosse, soffre di “recentismo”, quindi – al limite – da inserire in “Wikinotizie”.


«Esperienze lavorative nessuna [...] Voce promozionale»

Ecco uno dei commenti del patrollatore che risponde, nella discussione aperta sul bar di Wikipedia, alle richieste di chiarimento espresse da vari utenti:



«Qui stiamo discutando dei massimi sistemi, non è il caso. Io ho trovato una voce che, testualmente, recitava:

Vittorio Arrigoni (… – Gaza, 15 aprile 2011) è stato un giornalista e attivista italiano. Era membro dell’International Solidarity Movement e si era trasferito a Gaza da dove diffondeva informazioni sulle condizioni dei palestinesi della Striscia. Il 14 aprile 2011 è stato rapito da un gruppo salafita che lo ha ucciso per soffocamento durante la notte..

Fonti nessuna, notizie sulla sua biografia nessuna, esperienze lavorativa nessuna. La voce, in quelle condizioni, non poteva e non doveva stare su Wikipedia. @Cotton, la voce è stata cancellata in quanto promozionale. E smettiamola nel fingere di pensare che le voci cancellate per C4 siano tutte ’’’paleaemente non enciclopediche’’’. Possono esserlo, è vero, ma in C4 vanno anche le voci ’’’promozionali’’’ e le voci costituite da un ’’’Curriculum Vitae’’’. Leggiamo la voce, ’’’prima’’’ di esprimere giudizi.»



Wikipedia non è un mondo chiuso

Andando oltre l’ argot da specialisti, si intuisce senza troppa difficoltà quali siano le perplessità di chi opera su Wikipedia: come si possa creare una voce enciclopedica su una persona che si ritrova al centro di una macabra vicenda di cronaca dalla risonanza internazionale, oltretutto senza la possibilità di fare chiarezza sulle dinamiche dell’omicidio, evitando che si proceda sull’onda di uno slancio emotivo. Molti fra gli utenti che intervengono nella discussione aperta nel bar di conseguenza consigliano un atteggiamento attendista, anche chi implicitamente si esprime a favore della creazione della voce si premura di invitare ad attendere e a tenere “in caldo l’idea”. Non mancano utenti che puntano il dito e allargano il loro giudizio alla ricorrente interpretazione della formula “palesemente non enciclopedica” in riferimento alle nuove voci, che ripropone l’impossibilità d’interpretare in modo univoco quali argomenti, personaggi o avvenimenti abbiano valore enciclopedico. Intervento dopo intervento la discussione si avvita e molti utenti si innervosiscono, i toni di alcuni si fanno arroganti, le argomentazioni tranchant rischiano di spostare il focus su un piano di mera valutazione della correttezza procedurale, perdendo – o confermando che mai vi era stata – la percezione dell’impatto che quello che stava succedendo in WP avrebbe comportato. Ecco un commento che esemplifica bene le reazioni che si fanno scomposte:


«Se qui c’è qualcosa da annullare sono le trollate come questa. Se c’è un difetto nella pdc è la procedura da annullare non la votazione, ed in ogni caso l’autore non è registrato. E non si osi di parlare di buon senso.»


Il tono stizzito continua a essere quello che caratterizza anche la comunicazione del patrollatore, il quale risponde così alle richieste di chiarimenti da parte di Mauro Vanetti:


«Avrei voluto evitarlo ma… cosa non ti è chiaro della frase ‘’La voce, in quelle condizioni, non poteva e non doveva stare su Wikipedia’’? Non era un abbozzo, era una serie di informazioni prive di fonti e come tale non era possibile che potesse stare su Wikipedia.»


Wikipedia non è un bunker, ma una stanza con finestre e porte che restano sempre aperte, in cui le informazioni entrano e da cui possono uscire, anche se a volte l’atteggiamento di alcuni utenti sembra indicare che questa banale constatazione non sia per tutti così evidente.


Nel frattempo, a pochi minuti dalla prima cancellazione, un utente non registrato ha ricreato la pagina su Vittorio Arrigoni e commenta: “si potrà discutere se è enciclopedica, ma adesso è una voce circostanziata con fonti”. Subito la comunità di utenti si mette all’opera per migliorarla ma, a questo punto, con un nuovo colpo di teatro, un amministratore propone la voce per la cancellazione, ora per via ordinaria.

Si apre un nuovo scenario, che procede su tre filoni paralleli: le modifiche da apportare alla voce, la discussione sul bar di Wikipedia e quello in cui si cerca di stabilire se la voce vada cancellata o meno. Questa volta però, oltre a discutere, la comunità è chiamata ad esprimersi anche attraverso una votazione, mentre la risonanza di quel che sta succedendo travalica le pagine di WP e viene percepito come un attacco alla figura di Vittorio Arrigoni, incomprensibile arroccamento procedurale di una comunità che non riesce a fare a meno delle proprie regole anche quando queste sfidano largamente il buon senso e il sentire comune. Da vari blog, tra cui quello del Popolo Viola, che nel 2011 aveva ancora un seguito notevole, da profili Facebook, ma anche testate online come Vanity Fair o il Secolo XIX, giungono appelli affinché la voce non venga cancellata. Va detto che, in generale, è parso l’incontro di due mondi che non hanno strumenti per comunicare tra loro, o di un fronte di aria fredda e uno di aria calda pronti a generare la tempesta perfetta.





Come stupirsi che per l’utente medio, che si rivolge a WP per reperire informazioni e le riconosce credibilità – anche implicitamente, in conseguenza di semplici abitudini, per pigrizia, o perché le sue voci compaiono sempre come primo risultato su un motore di ricerca –, la notizia della cancellazione della voce dedicata alla vita di Vittorio Arrigoni nel giorno stesso del suo assassinio venga considerata incomprensibile e oltraggiosa? La domanda è retorica, ma è necessario marcare quanta distanza esista tra le reazioni emotive di chi, già scosso dalla notizia dell’assassinio, viene a sapere della cancellazione e quelle da macchinico burocrate di certi wikipediani puristi. Tuttavia, non sempre le reazioni della società civile sono state impeccabili, spesso si è dato sfogo a sentimenti comprensibili ma che denotavano una totale mancanza di comprensione delle dinamiche wikipediane, di cosa sia una procedura di cancellazione e da quali motivazioni possa avere origine.


Dall’interno, questo movimento di pressione affinché la procedura di cancellazione venga interrotta viene vissuto così: «E’ in corso una campagna virale (invio di messaggi a tutti i propri contatti), che nel giro di poco tempo coinvolgerà migliaia di persone (e ha già coinvolto varie testate giornalistiche). Per questo reputo l’interruzione della procedura la cosa più saggia. Gli amministratori attivi sono una ventina. Gli utenti attivi che si occupano di patrollaggio quanti? Considerando già i mille vandalismi che sfuggono mi appellerei ai cinque pilastri a difesa della buon vecchia wiki.


«Leoman3000: Chiunque disponga dei criteri ’’’può votare’’’, poco importa se assente da tempo o meno. Il rischio maggiore è l’intervento ’’’indiscriminato’’’ di utenti che i requisiti non li hanno, con conseguente ’’’vizio del consenso’’’. Non vorrei essere drastico e chiedere – nel caso di manifesta esagerazione – l’annullamento della procedura e la riapertura della stessa fra qualche giorno.


SpeDIt: Leoman, sai benissimo che questo lo so e sono sicuro che riesci a comprendere che c’è in corso una campagna elettorale, a questo punto ognuno che rientra nei criteri può votare, ma da uno come te che mi viene a puntualizzare quello che so (così come da tutti gli altri amministratori) mi aspetto che sia chiaro anche che non è permesso fare campagne elettorali, cosa che mi sembra pià che evidente dato il caos che c’è in questa pagina. Spero che la mia richiesta di immediata sia presa in considerazione, altrimenti non è seria questa situazione e vuol dire che abbiamo delle regole, ma con le regole ci scherziamo e ci facciamo quello che vogliamo.»


Questo scambio di commenti fra due utenti, nella pagina di votazione della cancellazione della voce, evidenzia la preoccupazione che l’esito della procedura sia alterato da un afflusso anomalo di utenti non registrati, che falsi il risultato della votazione. Un riflesso condizionato, visto che alla votazione possono partecipare solo utenti che hanno all’attivo un edit da almeno 30 giorni, oltre ad avere effettuato almeno 50 interventi di modifica al momento della messa in cancellazione della voce, ma che ritrae in modo nitido una situazione ormai sfuggita di mano alla comunità di it.wiki; la tentazione di chiudersi a riccio di una parte della comunità di WP che, nella foga, parrebbe essersi scordata di uno dei pilastri dell’enciclopedia libera: «Presumi la buona fede». In ultimo, una preoccupazione rivelatasi infondata visto che alla votazione partecipano solo pochissimi utenti non registrati, prima che la procedura di cancellazione della voce e la relativa votazione vengano sospese: siamo di nuovo nell’eccezione. Ora, senza impantanarci nelle logiche wikipediane (facilmente comprensibili consultando la pagina «Annullamento della cancellazione»), è interessante sottolineare che questa procedura eccezionale è stata giustificata avvalendosi del Quinto Pilastro – «Wikipedia non ha regole fisse» – e, in particolare, facendo riferimento alla Clausola della palla di neve, così spiegata nella relativa pagina dedicatagli su WP: «Fuor di metafora, la clausola significa che è contrario alle regole del buon senso intraprendere un’azione destinata con ogni probabilità al fallimento.» Alla buonora, il buon senso.


Interviene a questo punto un admin, il senso dell’intervento è: “diamoci tutti una calmata, dentro e fuori da wiki” e propone di sospendere la procedura di cancellazione; in sintesi la sua è un’esortazione ad abbassare i toni.

C’è chi non vorrebbe soccombere a “fattori extrawiki” creando così un precedente, altri invece invocano il buon senso, sostenendo che non valga la pena fomentare una situazione del genere ”per una manciata di byte su un povero ragazzo che per questo genere di cose si sta già rivoltando nella tomba”.


Scontro aperto, ovvero: non ci si può sottrarre al conflitto

Si pongono dunque un paio di quesiti importanti: come si deve relazionare Wikipedia rispetto ai rapporti di forza esterni e ai conflitti che la società esprime? La fede assoluta nelle procedure e nella loro applicazione che è corollario in WP di tecnofilia e oggettivismo, come si rapporta con il buon senso che, alla fine dell’analisi di questa vicenda emblematica, ci pare sia stato l’elemento che ha portato a un epilogo positivo, visto che la pagina oggi è presente nell’enciclopedia libera (non solo in lingua italiana, ma in altri 15 idiomi)?


Vittorio Arrigoni

Ripercorrere la discussione sulla necessità o meno di cancellare la voce è illuminante. Chi vuole approvare la procedura di cancellazione, come già visto, si appella alla scarsa rilevanza enciclopedica o al fatto che si tratti di un evento troppo recente.

Per esempio, si può leggere: «È sempre interessante vedere come questo tipo di voci viene creato il giorno dopo la morte o un fatto tragico… Se non fosse stato ucciso posso dirmi quasi certo che la votazione avrebbe preso una piega decisamente diversa: questa è l’onda emotiva della quale parlavo».

O ancora: «Ripeto, è famoso perché è morto. Quattrocchi è stato vittima del terrorismo islamico, Arrigoni apparentemente di una cellula “impazzita”. Secondo, ci sono troppe cose non chiare sugli eventi che hanno portato all’esecuzione di Arrigoni perché questa voce non soffra di recentismo. Se ne potrà parlare quando tutto sarà più chiaro, adesso è solo recentismo.


Clicca per ingrandire.


Dall’altro lato della palizzata, si replica che Arrigoni era personaggio di rilevanza enciclopedica ben prima della sua tragica morte – per l’attività di giornalista e per la notorietà che il suo blog scritto da Gaza aveva raggiunto durante l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” – e che un eccesso di tecnofilia non può che danneggiare Wikipedia, considerando anche le pressioni esterne.



«Io penso che con la frase ‘ha ottenuto notorietà internazionale poiché il suo blog Guerrilla Radio era l’unica fonte occidentale a informare da Gaza in un momento in cui nessun giornalista professionista aveva accesso alla Striscia’ si possa già giustificare la presenza di una sua voce enciclopedica. Cosa intendiamo per occidente? Europa ed America, ovvero circa 1 miliardo di persone; e non è allora straordinario pensare che su un miliardo di esseri umani soltanto Arrigoni fosse in grado di fornire informazioni su uno dei conflitti più importanti del ventunesimo secolo?»



Eppure non tutti vogliono sospondere la procedura perlo stesso motivo. Un utente, preoccupato soprattutto dalla reputazione di it.wiki, argomenta così il suo voto: «faremmo tutti una figura migliore discutendone nella pagina di discussione al riparo dagli occhi delle centinaia di visitatori occasionali che leggeranno la voce in questi giorni di sovraesposizione mediatica».


Lo stesso Vanetti, che aveva per primo creato la voce, sostiene:


«[…] Penso che i vari tentativi di cancellazione siano stati degli errori basati su una scarsa conoscenza sul merito della biografia di cui si stava parlando; alcuni amministratori si sentono molto sicuri delle procedure interne di Wikipedia, che conoscono a menadito, ma questo non significa che siano esperti su tutto lo scibile umano, e da vari commenti (“non se lo filava nessuno prima di morire”) si capisce che avessero competenze piuttosto lacunose per quel che riguarda la Striscia di Gaza e l’attualità. Cose che capitano, l’importante è che immediatamente la comunità ha reagito discutendo e correggendo l’errore. (…) Quando la votazione ha cominciato ad essere inquinata dall’agitarsi di forconi nelle pubbliche piazze (agitarsi che è “sbagliato” per le procedure interne di Wikipedia, ma è molto “comprensibile” visto l’errore macroscopico che, dal punto di vista esterno, era stato compiuto), è stato giusto secondo me sospenderla, visto che in ogni caso l’esito era scontato anche prima del casino.»


Le regole funzionano se si ha il buon senso di farle funzionare

Chi lavora all’enciclopedia libera ha percepito una minaccia esterna e questo ha prodotto in alcuni utenti una chiusura totale sorretta da un eccesso di entusiasmo tecnologico e fiducia nelle regole. Una tendenza immediatamente percepita dallo stesso Vanetti, che il 16 aprile scrive: «Credo che non siamo in una torre d’avorio e il mondo esterno abbia una certa importanza».

Insomma, le procedure si confrontano con una materia viva e scottante, la fredda legge di Wikipedia deve fare i conti con conflitti e polemiche avvenuti all’esterno. Si comprende come non sia sempre possibile portare il proprio contributo come fossimo macchine da scrivere, o come ospiti che lasciano per educazione le scarpe sul pianerottolo prima di entrare in casa d’altri. Si collabora al progetto come esseri umani, ognuno con il proprio bagaglio di esperienze, con la propria weltanschauung, fermo restando che l’obiettivo rimane quello di procedere attraverso l’uso di fonti rilevanti e appropriate, con uno spirito costruttivo e ben disposti verso il confronto. Eppure, proprio nei dettagli procedurali si nasconde l’insidia maggiore, come già emerso nel precedente post di Salvatore Talia, il rischio che utenti esperti giochino strumentalmente con le regole e che questo offra il fianco, in un contesto in cui per “quieto vivere” non sempre si è disposti a scontrarsi in conflitti dialettici, a finalità che sostanzialmente danneggiano il progetto stesso di it.wiki.


Tuttavia criticare le regole in sé sarebbe fuorviante quanto adottarle in stile cane di Pavlov. Le stesse procedure interne di Wikipedia, che interpretate alla lettera hanno in un primo momento rischiato di far deragliare la situazione, hanno poi permesso che si ristabilisse un certo ordine. Il concetto chiave, in questo caso, è “buon senso”. Da intendere sì come equilibrata capacità di giudizio, ma soprattutto come raccomandazione wikipediana: non solo ragionevolezza, ma capacità d’individuare «la soluzione migliore nell’interesse del progetto, senza bisogno di costruire complicate architetture di obblighi e divieti».

Il quinto pilastro, torniamo a sottolineare, recita: «Wikipedia non ha regole fisse». Il succo è che le norme devono essere interpretate sì in modo flessibile, ma soprattutto che in ogni caso bisogna fare appello alle proprie facoltà critiche. A questo riguardo va nuovamente ricordata la clausola della palla di neve già citata in precedenza, la cui ragion d’essere è esplicitamente indicata nel fatto che «Wikipedia non è una burocrazia».


A voler fare questioni di lana caprina allora sì, Wikipedia è perfetta anche a livello procedurale e contiene gli anticorpi adatti a ogni situazione. Ma chiaramente non è così, dato che – specie su questioni spinose – esistono tanti utenti quante sfumature di “buon senso”, e che queste rispecchiano ogni volta i rapporti di forza e le tensioni che si sviluppano all’esterno dell’enciclopedia. La vicenda della voce dedicata a Vittorio Arrigoni potrebbe essere dunque derubricata – per quanto dolorosa – a sfortunato equivoco, ma può dirci e insegnarci molto: come nei grandi incidenti industriali, l’origine non è da cercarsi in un solo guasto, la responsabilità non è mai solamente umana o tecnica; è piuttosto il risultato di una serie di guasti minori che le tecnologie e le procedure di controllo non sono state in grado di evidenziare e che i controllori umani – affidandosi di default alle norme – non hanno saputo interpretare.

La credibilità dell’intero progetto WP risiede nella volontà comune di scrivere voci attendibili, affidabili, documentate, senza pretendere di eliminare i punti di vista personali ma allo stesso tempo ancorandoli a un processo il cui scopo è svilupparne una sintesi condivisa. Un processo faticoso che dovrebbe ricorrere a decisioni prese attraverso votazioni a maggioranza solo in caso di stallo, perché a essere al centro del processo di costruzione dell’enciclopedia libera è il consenso.

Last but not least, come ogni sistema complesso, l’enciclopedia libera rimarrà tale fino a quando permetterà un certo grado di osmosi con la società di cui è parte integrante rimanendo fedele ai propri principi, funzionerà nella misura in cui il buon senso e il rispetto accompagneranno l’applicazione delle regole. Come in ogni contesto della vita sociale contemporanea, non esistono un dentro e un fuori, quel che conta è la modalità in cui ci si muove in un dato contesto, la consapevolezza della necessità di mantenere un approccio critico, la fiducia riposta nei processi di condivisione e di costruzione collettiva del sapere. Le contaminazioni sono salutari, che siano le benvenute – senza timore per nessun wikipediano purista – anche nell’enciclopedia libera.


Stay human, not foolish.


Vittorio Arrigoni


Ringraziamo Mauro Vanetti per la sua consulenza nella ricostruzione dei fatti e per avere, a suo tempo, creato la voce “Vittorio Arrigoni” su Wipedia per poi salvaguardarla – in numerosa e buona compagnia – dall’insensatezza di chi voleva cancellarla.


N.d.R. I commenti a questo post saranno attivati 72 ore dopo la pubblicazione, per consentire una lettura ragionata e – nel caso – interventi meditati (ma soprattutto, pertinenti).

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The post Vik Arrigoni e #Wikipedia, una storia di «buon senso» e conflitto appeared first on Giap.

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Published on June 05, 2014 23:48

June 4, 2014

Vox plebis, nego deum! Nuovo florilegio di commenti su L’#ArmatadeiSonnambuli

Andrea Alberti, copertina alternativa per «L'Armata dei Sonnambuli», 2014. Sullo sfondo, l'ospedale di Bicetre.

Andrea Alberti, copertina alternativa per «L’Armata dei Sonnambuli», 2014. Sullo sfondo, l’ospedale di Bicêtre.


[È trascorso esattamente un mese dall'ultimo florilegio. Noi siamo ancora in tour e ci rimarremo per un bel pezzo (fino alla primavera 2015). La discussione prosegue fitta nello «Spoiler Thread». Nel frattempo sono uscite molte recensioni, alcune egregie. Qui sotto riportiamo alcuni estratti, con link ai testi completi, più immagini, interviste, link e lo Spirito di Marat. Buona lettura.]

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«L’armata dei sonnambuli è, certamente, l’oggetto del grande complotto del misterioso mesmerista di fede realista che intende combattere il governo rivoluzionario con la sua stessa arma: le masse. Ma sonnambuli sono anche i protagonisti del periodo rivoluzionario. D’altronde Victor Hugo, modello letterario dei Wu Ming per questo romanzo, non definì Napoleone, il figlio della Rivoluzione, “il potente sonnambulo di un sogno che si è dileguato”? Il sogno iniziato con la presa della Bastiglia, che convince le masse popolari della possibilità di diventare finalmente attori della Storia, non solo agenti passivi delle scelte prese a Versailles. Tant’è che poi il popolo di Parigi andrà a prendere la famiglia reale nella loro sfarzosa reggia e la trascinerà nella capitale, prigioniera della volontà della maggioranza.

La rivoluzione, spiegano i Wu Ming, è “un tema sottotraccia a tutta la nostra produzione, un’urgenza dei nostri tempi, che si sta riaprendo dopo un lungo periodo di congelamento”. Già in Q molti lettori e diversi critici lessero una riflessione sui movimenti degli anni di piombo, filtrata dalla minuziosa ricostruzione storica dell’Europa del XVI secolo, teatro delle vicende narrate nel romanzo. L’impressione è che i Wu Ming usino il romanzo storico per parlare di questioni moderne, un po’ come già Umberto Eco – senza la stessa verve politica e polemica del collettivo – ha fatto con i suoi bestseller. Non è un caso allora che gli autori parlino de L’armata dei sonnambuli come punto d’arrivo della loro produzione, tanto da aver già anticipato che, dopo questo romanzo, inizieranno a percorrere altre strade. L’attualità di un romanzo ambientato nella Rivoluzione francese non sfugge a nessuno. I parallelismi tra il crollo dell’ancien régime e le difficoltà in cui si dibattono le fragili democrazie europee, soffocate dalla Grande Recessione e dall’avanzare del “populismo” (sprezzantemente giudicato dalle élite con lo stesso astio con cui l’aristocrazia parlava del fenomeno dei sanculotti e delle loro radicali soluzioni), sono abbastanza evidenti. Sennonché, la posizione assunta dai Wu Ming appare chiara con la scelta di non iniziare dal principio, dal 1789 o ancora prima, ma in medias res, nel momento culminante, proprio come Victor Hugo fa nel suo ultimo romanzo, pubblicato nel 1874, Novantatré (Hugo, 1998), in cui parla della Rivoluzione narrando del suo periodo più cupo, quello del Grande Terrore.

Il perché è presto detto: non può esserci rivoluzione senza rivoluzione. Il Terrore non è un episodio storico a sé stante, uno “slittamento” degli ideali del 1789, come tanti storici successivi tenteranno di spiegare, dividendo la Rivoluzione in due distinte fasi (tanto che anche una bella fiction del 1989, in occasione del bicentenario, si divideva in due parti: les années lumières les années terribles). Giustificazioni a posteriori che lasciano il tempo che trovano, alla stregua di quella di Benedetto Croce che tentava di sostenere come il fascismo fosse una parentesi, uno “smarrimento della coscienza” (Croce, 1963) nel percorso tutto sommato condivisibile della storia italiana. Il Terrore non fu una parentesi, un incubo dal quale improvvisamente ci si risveglierà come tanti sonnambuli (ecco l’altra interpretazione del titolo del romanzo): è parte integrante della Rivoluzione francese.»

Roberto PauraUna rivoluzione senza rivoluzione?, su «Quaderni d’altri tempi» n. 49.


Centro sociale NextEmerson, Firenze, 18 maggio 2014: presentazione de «L'Armata dei Sonnambuli».

Centro sociale NextEmerson, Firenze, 18 maggio 2014: presentazione de «L’Armata dei Sonnambuli».


«Due vendicatori si aggirano in questi stessi giorni per l’Europa: lo Scaramouche giustiziere di Incredibili sulle ceneri del Terrore robespierriano raccontato da Wu Ming (L’armata dei sonnambuli, Einaudi) e il Beppe Grillo mattatore della Vecchia Politica sulle macerie di due incompiute repubbliche italiane analizzato da Oliviero Ponte di Pino nel bel libro Comico & Politico (Raffaello Cortina Editore), recensito su queste pagine da Marco Belpoliti.

Entrambi i volumi prendono le mosse (casualmente?) dalla Rivoluzione Francese e dal ruolo che vi ebbero gli artisti di teatro come gruppo ai margini della società costituita, che li aveva in passato ghettizzati; piccola enclave instabile ma dotata di una sapienza antica, disponibile a sovvertire ogni cristallizzazione sociale. Ambedue avanzano l’idea che gli attori, grazie alla loro tecnica dell’emozione e alla loro capacità di rappresentazione, emergono nelle tempeste della storia a cavalcare i venti della rivolta, dell’atto spettacolare qui e ora, del “colpisci uno per educare cento”, esibendosi piuttosto che in spettacolini didattici e consolatori in atti simbolici, in comportamenti trasgressivi che dovrebbero propiziare un nuovo ordine, o almeno impedire che il vecchio sistema sopravviva o si ricompatti.»

Massimo Marino, Grillo: oltre il teatro della crudeltà, su «Doppiozero»


Istituto Catullo, Belluno, 29 maggio 2014: presentazione de «L'Armata dei Sonnambuli».

Istituto Catullo, Belluno, 29 maggio 2014: presentazione de «L’Armata dei Sonnambuli».


«La Parigi dei primi anni ’90 del settecento in cui Wu Ming ci trascina è un micromondo sotto gli occhi del mondo di fuori, di cui percepiamo soltanto in sottofondo gli echi di  paura  e di ammirazione, mentre per le sue strade viviamo lo scontro tra le fazioni rivoluzionarie, o cripto-reazionarie, attraverso gli occhi di un pugno di personaggi perfettamente descritti e introdotti, affascinanti, ben delineati. Da questi si dipanano le sottotrame destinate a convergere in un concerto di ibridazioni di genere, dall’horror, al fumetto, al soprannaturale (c’è  un riferimento a Wolverine, per dire), che pur spiazzando, non inquinano la credibilità dell’atmosfera storica, che anzi ne esce felicemente arricchita in un buon connubio di impegno, storia e di evasione. Fuori dalle vicende dei personaggi, comunque avvincenti, l’affresco sullo sfondo resta potente, solido, dai colori realistici, rafforzato dai contributi documentali ed epistolari che inframmezzano i capitoli. Più difficile da valutare la ricerca sul linguaggio, una sfida non da poco, nel simulare in italiano i dialetti e gli slang popolari della Francia dell’epoca. Senza aver fatto nessuna analisi linguistica, l’impressione è che spesso l’operazione riesca, altre volte, anche quando suonare un po’ forzata, abbia comunque la capacità di spezzare il ritmo della narrazione permettendo agli autori di divertirsi con sberleffi, neologismi e l’arte antica, sempre raffinata, del turpiloquio creativo.  Mutano come detto anche gli stili (epistola, documento, narrazione classica, discorso libero indiretto e linguaggio parlato popolare) e la persona narrante che varia dalla terza, alla prima, alla quarta, in una polifonia nella quale i Wu Ming sono maestri (e non da oggi) nel non mettere mai a rischio l’unità strutturale dell’opera.»

Daniele Trovato, L’Armata dei Sonnambuli, dal blog «Ozia»


Libreria Laformadelibro, Padova, 30 maggio 2014: il filosofo e storico della psichiatria Mario Galzigna presenta con noi «L'Armata dei Sonnambuli».

Libreria Laformadelibro, Padova, 30 maggio 2014: il filosofo e storico della psichiatria Mario Galzigna presenta con noi «L’Armata dei Sonnambuli».


«Teatrale nella forma, ricco, straricco di metafore e allegorie, continui richiami al presente, chiamate alle armi senza tempo, galleria di figure indimenticabili che comunque rivisiterò al più presto. Perchè è difficile, molto difficile non rileggere questo capolavoro.

Ho il bisogno fisico, impellente, di rivedere Scaramouche all’opera. Devo piazzarmi di guardia, all’angolo del vicolo buio dove si nasconde per indossare la terribile maschera dal naso abbastanza lungo da contenere un rostro. Un rostro da conficcare nei globi oculari dei Sonnambuli. Dileguandosi poi nelle tenebre della notte, aiutato dal mantello nero che lo avvolge. Come Batman.»


Dikotomiko, 25 maggio 2014: vota e fai votare Scaramouche.


Vag 61, Bologna, 9 maggio 2014: presentazione de «L'Armata dei Sonnambuli»

Vag 61, Bologna, 9 maggio 2014: presentazione de «L’Armata dei Sonnambuli»


«Centrale nel romanzo dei Wu ming è la ferocia e la potenza dei moti dal basso. In barba a chi ha rivalutato come rivoluzione borghese l’evento straordinario che fu quella marea che si sollevò nel 1789, i Wu ming rivendicano la forza della spinta popolare, le azioni di personaggi umili. Anche proprio laddove le aspettative del popolo sono state disilluse e frustrate. La rivoluzione francese in parte fu un fallimento. Ma se i Wu Ming non si astengono dal tratteggiare una rivoluzione fallita ( senza tralasciarne tutte le lacerazioni e i compromessi e le trappole in essa insiti), non rinunciano ad un concetto di lotta vivo, più vivo che mai. E L’armata dei sonnambuli è un romanzo che parla soprattutto di Resistenza contro il potere.

[...]  Il magnetismo animale è infatti soggetto ad una duplice interpretazione: o come un vero e proprio incantesimo o in chiave razionale come una sorta di ipnotismo (e appunto i sonnambuli del titolo sono sprofondati in un sonno indotto). Il conflitto messo in scena è quello tra un mesmerismo democratico e razionale, che segue i principi dell’illuminismo e dell’etica (quello di D’Amblanc) e dall’altro lato un mesmerismo totalitario, usato per raggiungere scopi personali e che non tenga minimamente in considerazione la volontà dei sonnambulizzati, trattati alla stregua delle bestie (quello del misterioso villain del romanzo, dall’identità fittizia).

Il magnetismo diventa quindi un’ottima metafora politica, una riflessione sempre attuale sugli abusi del potere e sulla libertà. Non è forse un caso che le vittime del magnetismo scellerato siano rappresentati nel romanzo per lo più da bambini, per sempre danneggiati e irrimediabilmente corrotti da una volontà fascista e brutale.»

Ilenia Zodiaco, Vive la trance! L’Armata dei Sonnambuli o lo leggete o sbrisga!, dal blog «Con amore e squallore»


Festival «A sud di nessun nord», Asti, 31 maggio 2014: presentazione de «L'Armata dei Sonnambuli»

Festival «A sud di nessun nord», Asti, 31 maggio 2014: presentazione de «L’Armata dei Sonnambuli»


«Ogni rivoluzione e perfino ogni periodo di sola effervescenza sociale dispone delle proprie casamatte topografiche: il quartiere parigino di Belleville durante la Comune, San Lorenzo a Roma o Kreuzberg a Berlino negli anni settanta, 23 de Enero a Caracas ancora oggi. Ai tempi della rivoluzione francese l’epicentro rivoluzionario era il Faubourg Saint-Antoine con la sua popolazione di operai dediti alla creazione di beni acquistati dalle classi abbienti. È questo l’intreccio di relazioni umane, di osterie, di club, di comitati, di solidarietà e potere diffuso che si propone di attaccare la reazione: “Abbiamo piegato la volontà della plebaglia, l’abbiamo annichilita, colpendola dove essa era usa radunarsi”, commenta soddisfatto l’oscuro personaggio che impersona la controrivoluzione nel romanzo di Wu Ming. Del resto anche oggi dalle recenti cronache venezuelane apprendiamo che a essere colpiti dall’opposizione antibolivariana sono i presidi medici e sociali di cui usufruiscono le persone dei quartieri popolari, quasi come a volerne spezzare il morale e la rete di solidarietà.

Ma la reazione manda in piazza le proprie armate di mostri eterodiretti quando il riflusso è già iniziato, quando le varie fazioni rivoluzionarie hanno finito per massacrarsi vicendevolmente e la rivoluzione ha affievolito la sua spinta propulsiva, facendo emergere nuove contraddizioni. Da questo punto di vista, molto interessante è il fenomeno della gioventù dorata, dei moscardini, che nel romanzo compaiono con il nome di “muschiatini” [...]»

Luca Cangianti, Scaramouche siamo noi, su «Micromega»


Zó bòt! Una versione dello Spirito di Marat realizzata e donataci dai sanculotti del foborgo Piave (Belluno, 29 maggio 2014). Quando la transmedialità può fare male.

Zó bòt! Una versione dello Spirito di Marat realizzata e donataci dai sanculotti del foborgo Piave (Belluno, 29 maggio 2014). Quando la transmedialità può fare male.


«Una delle dimensioni più interessanti è quella della reinvenzione della lingua. I Wu Ming fanno un certosino lavoro di ricostruzione della lingua sanculotta, bestemmie comprese: una vox plebis corale che si basa sullo studio del giornale radicale Le Pére Duchesne e che in italiano usa come collante delle astruse e fantasiose parole che la compongono il bolognese e il ferrarese. Per rendere l’Occitano dell’Alvernia l’italiano dei Wu Ming invece si avvicina al Piemontese. Una sorta di alleanza tra dialetti gallo-italici insomma. C’è poi l’utilizzo politico della lingua: chi non pronuncia (anzi p’onuncia) più la R della rivoluzione e chi la maRca pRopRio per sottolineaRe la sua fede RivoluzionaRia. Per il povero traduttore che dovrà curare la versione francese saranno cazzi.

Se amate Wu Ming ne uscirete malati. Su Twitter abbondano lettori che si ritraggono con la maschera di Scaramouche, che scrivono parole come “gecchi”, “aristocchi”, “muschiatini” per rivolgersi al presente, chi produce finte locandine di film famosi con i protagonisti de l’Armata dei sonnambuli come divi (il set di Mariano Tomatis è in vendita alle presentazioni). Dal libro al web, dalle cartoline agli origami delle maschere di Scaramuche: la storia diventa prodotto transmediale, oggetto vivente che rilegge il passato e irrompe nel presente. Libri che escono dalla carta. Ce ne fossero.»

Luca Barbieri, Rivoluzione anno zero: attorno all’Armata dei Sonnambuli, su «A Nord Est di che».


Sa.L.E. Docks, Venezia, 16 aprile: presentazione de «L'Armata dei Sonnambuli».

Sa.L.E. Docks, Venezia, 16 aprile: presentazione de «L’Armata dei Sonnambuli».


«Partirei proprio da qui, perché l’aspetto legato al linguaggio, con il quale ad esempio si esprimono i sanculotti dei vari foborghi che animarono i mesi più caldi della rivoluzione, mi sembra non abbia altri precedenti così riusciti se non in quel meraviglioso romanzo epico che è l’Horcynus Orca di D’Arrigo, dove l’autore messinese crea proprio un idioma dello Stretto.

Ed è ricca di neologismi ed espressioni popolari torbide  la parlata del vulgo parigino; inutile affannarsi ad interpellare la Crusca, “sdozzo”, “zagno”, “buridone”, “sbrisga ”sono termini desunti dal bolognese.

Un  omaggio a Bologna che fa il pari con la scelta di inserire l’attore Leonida Modonesi tra i protagonisti della vicenda, un riportare tutto a casa per chiudere un’epoca, dalla Frankenhausen di Thomas Müntzer fino a via Verdi, passando per la Costantinopoli di Altai e l’America incontaminata dei nativi di Manituana.

Quando Norman Davies uscì nel ‘96 con la sua Storia d’Europa, analizzando la rivoluzione francese non diede molto spazio al ruolo esercitato dai sanculotti,  esortando in maniera indefinita a ricercare: “un’influenza che non è sempre stata adeguatamente valutata”.

Non sappiamo quanto volutamente lo storico inglese abbia invece ignorato gli studi di Daniel Guerin, nelle cui pagine più acute de: “La révolution et nous” aveva giàtracciato quel modello insuperato di rivoluzione democrazia diretta che si sviluppònei mesi fra il maggio del 1793 e il luglio del 1794, sui quali si concentra proprio la storia narrata da Wu Ming.

Mesi nei quali gli avvenimenti si susseguono in maniera vorticosa, come i cambi di direzione politica che sembrano seguire ora le masse in rivolta del lumpenproletariat parigino, ora le strategie della borghesia che trasformando il terrore sociale in terrore politico finirà per consegnare la rivoluzione nelle mani di uno stato centralizzato, burocratizzato e poliziesco.

Il secondo aspetto che più colpisce è rappresentato dai personaggi femminili. La grande novità dell’opera.

Un universo a dire la verità poco esplorato fino ad ora nei romanzi precedenti e colonna portante invece dell’Armata dei Sonnambuli.

Storie spezzate e dolorose, aperte come cicatrici che ancora fanno male.»

Fabio Cuzzola, Scaramouche contro l’Armata dei Sonnambuli: l’ultimo sipario dei Wu Ming, su «Terra è libertà»



«Il romanzo storico ha origini gloriose (Dumas, Hugo) ma con il tempo è diventato un po’ manierato e prevedibile, soprattutto nel folto ramo anglofono. Si distingue la britannica Hilary Mantel, una delle poche che ha saputo creare autentica letteratura dalla materia della storia. Vent’anni fa Mantel ha pubblicato un romanzo molto acuto sulla Rivoluzione francese, finalmente pubblicato in Italia questa primavera. Ora appare l’ultima prova dei talentuosi Wu Ming, un racconto brillante sul Terrore e la reazione monarchica che ha già conquistato un gran pubblico. Siamo nell’inverno tra il 1793 e il 1794, e “gira la cittadina Fame”, ma intanto “Robespierre e Saint-Just terginicchiano, parlaversano, fan passare le ore.” La curiosità e simpatia degli autori vanno dritti ai poveri, il popolo di Parigi: qui rappresentati da Marie, umile sarta del “foborgo” Sant’Antonio e dal guitto italiano Scaramouche,  affiancati da un esperto in mesmerismo. Un altro mesmerista, però, vuole plagiare la massa contro i giacobini, creare disturbi e controrivoluzione. Come nel loro fortunato primo romanzo Q i Wu Ming sono bravi a scorgere nello specchio del passato gli incubi e le speranze del presente, e brillano per le invenzioni linguistiche. Viva la Rivoluzione e chi la racconta con gusto ed energia!»

- Frederika Randall, recensione nella rubrica «Italieni» della rivista Internazionale, n. 1050, 9 maggio 2014.

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C.S.A. Sisma, Macerata, 11 maggio 2014: presentazione de «L'Armata dei Sonnambuli».

C.S.A. Sisma, Macerata, 11 maggio 2014: presentazione de «L’Armata dei Sonnambuli».


«Dissezionato qui (in questa Armata dei Sonnambuli che è cuneo narrativo che al contempo sradica e racconta) come corpo vulnerato e vulnerante e tuttavia fremente di rivelazioni anatomopatologiche, il tempo della Rivoluzione Francese viene illuminato attraverso l’azione e l’intersecazione dei piani narrativi che giungono a isolare l’istante in cui il corso vichiano raggiunge lo zenit per poi iniziare la sua parabola verso l’inevitabile ricorso e cioè quell’istante termidoriano in cui l’amplesso della Storia giunge a partorire l’inevitabile climax di un avvenimento che vive quasi come ecosistema autonomo e che governa così le vite di tutti coloro i quali, a tutti i livelli, lo vengono ad abitare in quello stesso frangente. E quel climax è la mutazione quasi antropologica che gli avvenimenti della Rivoluzione Francese subiscono in un avvilupparsi di contrazioni politiche che fanno di quel momento il paradigma universale del percorso e della evoluzione di tante rivoluzioni. Modello, dimostrazione scientifica che mirabilmente gli Autori sanno raccontare come in romanzo di cappa e spada rivisitato da un graphic novel del terzo millennio. E, ancora una volta, come in ogni romanzo dei Wu Ming, la realtà, storica e quotidiana intese come reciproco riverbero di cause ed effetti, non è mai come appare.»

Angelo Ricci, L’Armata dei Sonnambuli, dal blog «Notte di nebbia in pianura».


ALTRI LINK


I volti de L’Armata dei Sonnambuli - a cura di Roberto Novaresio


Videointervista a Wu Ming 1 su Global Project


Immagini e audio della presentazione al Vag61 di Bologna, con Girolamo De Michele e Mariano Tomatis.


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Published on June 04, 2014 07:04

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