Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 95

June 5, 2021

La “leggerezza” di essere Giorgia

Il Libro
Mai come in questo caso, la “chiosa” di un titolo famoso mi è utile per parlare di questo libro che ho appena finito di leggere. Per varie ragioni, temo sia diventato, se non ancora “famoso”, almeno tanto discusso per contrastanti motivi.
Lo faccio, nascondendomi dietro Dante, quando scrive: “E serbolo a chiosar con altro testo”, come correttamente riferisce la Treccani, spiegandone il significato. Vengono coinvolti tutti e cinque i canonici interrogativi riguardanti la scrittura di questo libro: chi-cosa-quando-dove-perchè.
Le risposte il lettore le trova nell’indice. Una veloce introduzione, l’identità di chi scrive, da dove proviene e dove vive, perchè scrive, il tutto in 328 pagine, per una edizione che è al momento in vetta alle classifiche di vendita e continua ad essere oggetto di discussa cronaca.

Giorgia Meloni, classe 1977, romana della Garbatella, un quartiere popolare di Roma, fa politica dall’età di 15 anni e non ha bisogno di presentazioni per parlarci delle sue radici e delle sue idee.

Questa che scrivo non è soltanto la recensione del libro, anche se apparirà come tale su Goodreads e Librarything, gli spazi virtuali nei quali parlo dei miei libri e della mie letture. Una ghiotta occasione di lettura, come figlio di un tipografo post-gutemberghiano, nato e cresciuto in una piccola tipografia di famiglia provincia meridionale, nel secolo e nel millennio trascorsi, diventato poi dinosauro bibliomane digitale.

Con gli anni e l’esperienza che mi ritrovo posso permettermi di parlare anche dei contenuti del libro di questa giovane politica di nome “Giorgia”, senza inganni o interessi personali, pregiudizi politici o prevenzioni culturali.

Il libro che la Meloni ha scritto e che Rizzoli (Mondadori) ha pubblicato, parla da sè. L’ho letto in versione cartacea. Per la realizzazione il libro porta la firma di uno studio editoriale milanese, per tutto il resto appare soltanto il nome dell’Autrice. Quindi l’ha scritto solo lei. Nessun aiuto, co-autore o “ghost-writer”, solo ed esclusivamente Giorgia: “Io sono Giorgia e questa è la mia storia, fin qui”.

Questa è la frase con la quale, alla fine della breve introduzione, inizia il suo racconto. Il libro si conclude con “… io sono un soldato”, il “canto finale” rivolto a sua figlia Ginevra, con queste parole: “Continua a ridere come hai fatto stamattina, topolino mio, e per tutto il resto troveremo un rimedio”.

Devo dire innanzitutto che, da un punto di vista editoriale, il libro è perfetto. Sei capitoli costruiti su parole chiave come Giorgia, donna, madre, destra, cristiana, italiana. I primi tre capitoli vanno dalla sua condizione di “piccola donna”, al battesimo di fuoco della politica, dal pensiero sul sesso forte in pieno mare aperto fino al momento quando nasce una madre e si confronta con le cose della vita che contano.

Il secondo gruppo di capitoli ha una cadenza diversa e molto pregnante da un punto di vista sia culturale che politico. Un inizio che poteva essere una fine ma che, invece, segnala una svolta per il futuro, guidata dalla forza di un credo personale e sociale, diretto anche contro il razzismo del progresso. Il capitolo conclusivo si lega alla quotidianità che ancora oggi continua a scorrere sotto i nostri occhi e non sappiamo come si trasformerà in storia.

Nel titolo di questo post ho fatto uso del termine “leggerezza” riferendomi al modo in cui Giorgia ha affrontato i suoi temi. Milan Kundera coniò quella frase, dando vita al titolo del suo famoso romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, quanto mai enigmatico, una frase “che si imprime nella memoria come una frase musicale”.

Così ebbe modo di scrivere Roberto Calasso nella presentazione di quel libro. Aggiungeva che “questo romanzo obbedisce fedelmente al precetto di Hermann Broch: “Scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire”.

La “insostenibile leggerezza” di quel romanzo si trasforma in una altrettanto “leggerezza”, intesa in maniera positiva e convincente con la quale Giorgia Meloni parla di sè e scrive le sue memorie.

Il suo libro non è affatto un romanzo e, a mio modesto parere, nemmeno un’autobiografia. Non è “romanzo” perchè leggendo il libro ho avuto modo di rivivere gran parte degli eventi che lei descrive nella mia personale memoria di semplice cittadino, non politicizzato, nè tanto meno iscritto ai partiti o alle idee di Giorgia.

Non è neanche una “autobiografia” perchè il suo tempo, il tempo di Giorgia, è ancora “in progress”, tutto rivolto verso un futuro che deve ancora avvenire.

Ciò detto, mi pare che nel libro si possa dire ci sia abbastanza materiale per far nascere contrastanti e forti emozioni, sensazioni e reazioni specialmente se diciamo che l’autrice del libro, nonostante il suo essere “piccola donna”, dimostra grande carattere e chiare intenzioni, scritte nero su bianco.

Evita di fatto, volutamente, quella liquidità social quotidiana nella quale navigano tanti politici del terzo millennio. Giorgia Meloni sa quello che pensa e lo scrive in maniera diretta, scorrevole e senza infingimenti, richiamandosi a modelli, schemi e riferimenti di grande livello sia culturale che sociale e politico.

Numerose e mirate le sue letture, un percorso culturale che nasce dal mito e dalla fantasia di autori quali J. R. R. Tolkien, si concretizza nel pragmatismo filosofico conservatore di Roger Scruton, non senza aver prima studiato, letto e richiamato Giuseppe Mazzini accusato di “fascismo” per il suo “Dio, Patria e Famiglia”.

Ma la Meloni sta con i piedi radicati fermamente per terra, legata come dimostra di essere tanto all’antica cultura classica, quanto a quella moderna, espressa nelle sue varie citazioni che corredano il libro, sia in forma poetica che musicale.

Ogni suo capitolo porta un richiamo, sia in italiano che in inglese. Da Ed Sheeran a Luciano Ligabue, dai Beatles a Mia Martini, da De Gregori a Jovanotti, da Zero a Maroon 5, da Lucio Battisti alla Compagnia dell’Anello.

Indimenticabili i versi di Franco Battiato “Povera Patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame, che non sa cos’è i pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene”. Introducono un capitolo fondamentale in cui Giorgia decide di “aggredire il declino” dopo di aver verificato che “Non andò tutto bene”.

“Come nel Medioevo faceva chi combatteva in prima fila sapendo che poteva essere il primo acadere, colpito da un dardo, o come faceva chi durante la Grande Guerra avanzava pregando Dio che il cannone lo schivasse. Oggi dardi e cannoni non si usano più, i metodi per colpirti sono molto più subdoli e sofisticati. Ho messo in conto anche questo, ma non diserterò. E’ la guerra dei nostri tempi, e io sono un soldato”.

Volete che una piccola donna, così “tosta”, venga accolta ed accettata senza riserve, con “leggerezza”, senza invidia, gelosie, ignoranza ed incomprensioni. Sopratutto una popolana, una “elfo” della “Terra di Mezzo”, capitata per caso nella “serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”?

Cara Giorgia, tra i tanti scrittori, poeti e artisti che citi nel tuo libro, nel capitolo in cui ti occupi del “Razzismo del progresso”, sul tema dell’accoglienza, per risolvere il problema della sofferenza, affermi di detestare fortemente l’idea che la politica possa essere scissa dalla morale e scrivi: “Il pensiero dello storico fiorentino, semplificato con il celebre “il fine giustifica i mezzi”, dovrebbe essere guardato con un certo sospetto.”

E poi aggiungi: “Io credo che non fosse questo il vero insegnamento di Machiavelli, quanto piuttosto quello, molto meno cinico, secondo cui il compito della politica è agire sempre per il bene del tutto, anche quando le scelte possono sembrare dolorose”.

Auguri Giorgia!

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Published on June 05, 2021 07:02

June 3, 2021

“Flaming June”, ovvero “il Giugno Fiammeggiante”

Flaming June, by Frederic Leighton, 1895, Museo de Arte de Ponce, Puerto Rico. Courtesy Wikimedia/Creative Commons.

Frederic Leighton , (1830–1896) Presidente della “Royal Academy” di Londra, fu uno dei pittori più celebri dell’epoca vittoriana quando dipinse la sua opera più famosa, e il suo canto del cigno, “Flaming June” nel 1895. Era un omaggio alla statua di Michelangelo, “Notte”, creata per la Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze intorno al 1530, che Leighton considerava una delle maggiori realizzazioni della civiltà occidentale. Mentre la figura a riposo di Michelangelo è fatta di marmo nudo, fresco e solenne, quella di Leighton è un’ondata di colori caldi e carnali.

Il sottile velo trasparente color zafferano che avvolge il corpo della donna a forma di S, i lunghi capelli ramati, il rossore della guancia che tradisce la possibilità che la donna sappia di essere osservata e sta solo fingendo di dormire, le pieghe e i contorni compressi al centro, come un fiore in piena fioritura in un ambiente vagamente classico, mediterraneo. L’oleandro nell’angolo in alto simboleggia la vicinanza del sonno e della morte.

“Flaming June” fu acquistato subito dopo la morte dell’artista nel 1896 dall’editore della rivista “Graphic”, che ne offrì cartoline ai suoi lettori.
Nonostante la sua popolarità tra il pubblico vittoriano, le opere di Leighton sono passate di moda. Quando è stato offerto alle principali gallerie per diffondere una canzone negli anni ’60 non ci furono acquirenti fino a quando un uomo d’affari portoricano,
Luis A. Ferré , lo ha acquistato per il suo nuovo museo dove l’opera che è stata definita “il più meraviglioso dipinto esistente” ora risiede.

Michelangelo
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Published on June 03, 2021 06:19

Un anniversario “Kafkiano”…

Il monumento di Kafka a Praga
Franz Kafka nasce il 3 giugno del 1883, uno degli scrittori più importanti del ventesimo secolo, autore di racconti e romanzi che hanno fatto la storia della letteratura.
Kafka nacque a Praga (l’odierna Repubblica Ceca) nel 1883 da una famiglia ebrea azhkenazita.
I suoi genitori erano mercanti e aveva tre sorelle più giovani e due fratelli. I fratelli morirono durante l’infanzia.
Kafka studiò legge all’Università di Praga, e lì incontrò Max Brod, che avrebbe pubblicato postumo alcuni dei suoi lavori. Kafka ha scritto molto e ha lottato con la sua terribile autostima distruggendo gran parte del suo lavoro.
Ma nonostante circa il novanta per cento degli scritti di Kafka sia stato bruciato, le opere sopravvissute hanno avuto un profondo impatto sulla letteratura.
Kafka ha scritto in uno stile tipicamente surreale che fondeva la fantasia con la realtà, creando spesso narrazioni inquietanti o addirittura allarmanti. Durante la sua vita, ha trascorso la maggior parte del suo tempo lavorando o scrivendo.
Non si è mai sposato, ma ha avuto alcune fidanzate. Negli ultimi anni della sua vita, soffrì di tubercolosi e alla fine morì a causa delle complicazioni della malattia nel 1924. Cosa significa questa sua citazione?
“Se la letteratura che leggiamo non ci sveglia, perché allora la leggiamo? Un’opera letteraria deve essere una piccozza per rompere il mare gelato dentro di noi”
Kafka usa spesso metafore, in questo caso opera un confronto tra due cose dissimili dove una cosa si dice essere un’altra, per paragonare un testo letterario a una piccozza capace di rompere il paesaggio ghiacciato delle nostre emozioni.
I nostri sentimenti possono essere paralizzati, o congelati, per così dire, dalle nostre esperienze o circostanze della vita, e la buona letteratura dovrebbe avere la capacità di sfondare ciò che è rimasto bloccato dentro.
Kafka scrisse una lunga lettera a suo padre, come tentativo di riconciliarsi con lui. Era l’uomo che gli aveva causato un trauma immenso da bambino. Il padre fu violento e narcisista, lo punì e lo ferì in modo aggressivo per molti anni.
Questo abuso ha perseguitato Kafka per il resto della sua vita, ma nella età adulta decise che voleva provare a ricominciare da capo e perdonare suo padre.
Seguendo un suo particolare percorso, il suo pensiero, tuttavia, si è rapidamente trasformato in rabbia e amarezza. Kafka si scaglia contro suo padre per il danno emotivo che gli ha causato.
I temi sono l’amarezza e la sofferenza, così come l’idea del perdono, che è stata tentata, ma soprattutto, alla fine, è stata una reazione critica alle azioni del padre.
La sua vita e le sue opera hanno fatto nascere un aggettivo con particolari caratteristiche: “kafkiano”. La parola caratterizza qualità da incubo, burocrazia assurda e ragionamento circolare, non necessario e illogico. Trae origine dagli scritti dell’autore. Queste qualità emergono frequentemente nelle opere di Kafka.
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Published on June 03, 2021 04:11

June 1, 2021

Il giornale di servizio

Lunedì 31 maggio 2021— La Verità
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Published on June 01, 2021 11:23

May 30, 2021

In attesa di Apocalisse …

In attesa di Apocalisse … Il Libro
Il mondo che conoscevamo non esiste più. Un ceppo aviario particolarmente virulento ha infranto la barriera tra le specie ed è riuscito a compiere il salto per contagiare gli esseri umani, o forse è stato deliberatamente diffuso con un atto di bioterrorismo.
Il contagio si è propagato con una rapidità devastante in un’epoca moderna caratterizzata da città densamente popolate e viaggi aerei intercontinentali, uccidendo una vasta parte della popolazione globale prima che ci fosse il tempo per mettere a punto un vaccino efficace o almeno predisporre una quarantena.
«Quando la nostra civiltà crollerà, sarete capaci di cavarvela, almeno nelle cose più semplici?» Questa domanda ha il potere di spiazzarci e di insinuare in noi una certa inquietudine perché, pur essendo abituati a pensare che soddisfare le esigenze di base sia facile, basta immaginarci per un momento nei panni di Robinson Crusoe postapocalittici, privi di accesso a Internet e a biblioteche ben fornite, per renderci conto di quanto scarse siano le nostre conoscenze davvero utili a risolvere i problemi della vita di tutti i giorni. E anche se per un certo periodo potremo attingere ai resti della civiltà scomparsa, dovremo pur sempre decidere quali privilegiare e come servircene, e valutare se sia preferibile stabilirci in metropoli deserte ma ricche di infrastrutture oppure in sobborghi rurali dove abbondano le risorse naturali. Per orientarci in queste scelte cruciali, cosa potrebbe essere più utile di un «manuale di sopravvivenza alla catastrofe»? Bene, adesso c’è.

Lewis Dartnell, studioso di scienze planetarie, ci fornisce tutte le informazioni necessarie su come procurarci il cibo, costruirci una casa, guarire da ferite e malattie, produrre fibre tessili per poi trasformarle in indumenti, e altre attività ugualmente importanti. Il suo vero scopo, però, è mostrare la centralità della più grande invenzione umana, quella che rende possibili e feconde tutte le altre: il metodo scientifico, fenomenale macchina generatrice di conoscenza. È questo che deve essere tramandato ai superstiti, per evitare la condanna a un’incerta e lunghissima ripetizione «alla cieca» della storia passata.

Ecco allora che spazi urbani riconquistati dalle foreste, in cui i grattacieli diventano torri vegetali, o devastati da esplosioni, crolli e incendi indomabili, potrebbero aprirsi alla rinascita di una civiltà che offrirà un panorama fantascientifico di carcasse di auto trainate come calessi da cavalli o buoi, e oceani solcati da navi a vela dotate di bussole e sestanti…

Nel frattempo, in attesa dell’apocalisse prossima ventura, la riflessione su ciò che è indispensabile sapere per garantirci la sopravvivenza ci apre gli occhi sulla ricchezza storica e la complessità tecnologica sottese alla nostra solo apparentemente «semplice» vita quotidiana.

Lewis Dartnell, astrobiologo, è ricercatore presso lo Space Research Center dell’Università di Leicester. Divulgatore scientifico e giornalista televisivo, ha pubblicato: Life in the Universe: A Beginner’s Guide (2007) e, con Dorling Kindersley, il libro illustrato per l’infanzia My Tourist’s Guide to the Solar System and Beyond (2012).

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Published on May 30, 2021 08:29

May 27, 2021

Cose di Bibliomania …

Cose di Bibliomania … La mia Biblioteca
La mia biblioteca su Librarything è formata da 96 schermate, per un totale di 4578 libri. Se cliccate sul link vedete le copertine in scorrimento, se cliccate sulle copertine potrete leggere la scheda di ogni libro.
Le collezioni sono 10, le etichette 266, gli autori 2941, le recensioni 856, le valutazioni 1589. Ogni libro è collegato all’algoritmo del sistema, il che permette di sapere chi altro membro lo possiede nella sua biblioteca.
Il libro può essere in lingua originale o tradotto, il che significa gli incroci possono essere in diverse lingue. Al momento la biblioteca è operante in 56 lingue. Gli utenti italiani sono 16,814 con oltre un milione di libri e circa due milioni di etichette.
I membri in lingua inglese sono al momento oltre due milioni e mezzo, per un totale di 158 milioni di libri e 4 milioni di recensioni, con circa 170 milioni di etichette.
Su LT sono presenti biblioteche private e pubbliche. Ci sono membri che hanno oltre centomila libri classificati con migliaia di recensioni. Ho fatto un poco i conti con i miei libri e vi invito a ridere con me sui risultati che ho acquisito.
Se i libri presenti nella mia biblioteca sono al momento 4578, ne ho letto (con recensioni) 856, significa che dovrei avere davanti a me ancora una decina di anni per leggerli tutti.
La cosa mi spaventa e mi fa ridere, se penso al tempo che ho trascorso leggendo e scrivendo sin da quando mio padre mi insegnò a leggere e scrivere mettendo insieme i caratteri mobili sul bancone della sala composizione nella sua piccola tipografia di famiglia.
Poi c’è il fatto che ogni giorno nel mondo si stampano in media quasi tremila libri, per un totale di oltre milione l’anno. In Italia 237 al giorno, 80 mila in un anno, il che significa pescare nella quotidianità liquida che alimenta le nostre giornate.
Una missione dedicata alla lettura e scrittura davvero impossibile. Eppure, sembra che, per quanto mi riguarda, sia l’unico modo per sopravvivere oltre alla quotidianità anche a tutti gli accidenti che dobbiamo affrontare ogni giorno.
Qohelet, duemila anni fa, disse che troppi libri fanno “male”. Io sono convinto che ci aiutano a guarire … ma possono anche farci impazzire!
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Published on May 27, 2021 07:41

May 21, 2021

Ho fatto un sogno …

Ho fatto un sogno …Il Libro
Sto leggendo “Lettere a Lucilio” di Seneca”. Stanotte il filosofo mi è venuto in sogno.
Le “lettere” le sto leggendo in una edizione in lingua inglese, per tenermi in allenamento con questa mia seconda lingua.
Al tempo del ginnasio, (l’ho scritto in diverse occasioni e non ho timori a ricordarlo), non ho avuto un rapporto felice con le lingue classiche, il latino e il greco.
Vado ancora incontro a incubi linguistici di questa natura, specialmente quando, per le diverse letture che faccio e le varie discussioni con il mio amico Pasquale, già docente di lettere classiche, nonchè vecchio compagno di classe.
Si dice che in tempo di senescenza, per ogni esser umano, oltre al decadimento cellulare, si verifica come un fenomeno che segna il ritorno a situazioni sofferte, tipiche della infanzia o fanciullezza. Quel mio vecchio, classico conflitto linguistico emerge dal subconscio e genera una frizione con le lingue moderne.
In sogno, quando mi sono reso conto di avere di fronte Seneca, nella figura ritratta come nella immagine di copertina del libro qui sopra, ed io ero Lucilio, non riuscivo a capire quello che mi diceva.
Dalla sua bocca uscivano parole chiaramente articolate, ma non capivo il senso. Ad un certo punto mi sono reso conto che parlava in latino ed io cercavo di rispondergli in inglese. Una grande fatica, oltre che una sofferenza da parte mia.
Mi sforzavo a far uscire le parole dalla mia bocca, ma mi rendevo conto che non articolavo i suoni. Sentivo, ma non capivo quello che diceva, come in una connessione interrotta. Intuivo che mi stava dicendo qualcosa sui libri e la lettura. La mia bibliomania.
Improvvisamente, ad un certo punto ho cominciato a capirlo, mi parlava di qualità e quantità. Troppi libri e troppe biblioteche cartacee o digitali.
Non potrai leggerli tutti, meglio piantare semi di pochi autori piuttosto che disperdersi tra molti. Mi sono svegliato di colpo e mi sono ricordato che quello che stava cercando di dirmi l’avevo letto poco prima di addormentarmi.
“Da quanto mi scrivi e da quanto sento, nutro per te buone speranze: non corri qua e là e non ti agiti in continui spostamenti. Questa agitazione indica un’infermità interiore: per me, invece, primo segno di un animo equilibrato è la capacità di starsene tranquilli in un posto e in compagnia di se stessi. Bada poi che il fatto di leggere una massa di autori e libri di ogni genere non sia un po’ segno di incostanza e di volubilità. Devi insistere su certi scrittori e nutrirti di loro, se vuoi ricavarne un profitto spirituale duraturo. Chi è dappertutto, non è da nessuna parte. Quando uno passa la vita a vagabondare, avrà molte relazioni ospitali, ma nessun amico. Lo stesso capita inevitabilmente a chi non si dedica a fondo a nessun autore, ma sfoglia tutto in fretta e alla svelta. Non giova né si assimila il cibo vomitato subito dopo il pasto. Niente ostacola tanto la guarigione quanto il frequente cambiare medicina; non si cicatrizza una ferita curata in modo sempre diverso. Una pianta, se viene spostata spesso, non si irrobustisce; niente è così efficace da poter giovare in poco tempo. Troppi libri sono dispersivi: dal momento che non puoi leggere tutti i volumi che potresti avere, basta possederne quanti puoi leggerne. “Ma,” ribatti, “a me piace sfogliare un po’ questo libro, un po’ quest’altro.” È proprio di uno stomaco viziato assaggiare molte cose: la varietà di cibi non nutre, intossica. Leggi sempre, perciò autori di valore riconosciuto e se di tanto in tanto ti viene in mente di passare ad altri, ritorna poi ai primi.” (Lettere a Lucilio, libro primo, 2).
E’ vero. Non c’è nessun premio per aver letto milioni di libri e nemmeno a sapere tutti i fatti che accadono nel mondo prima di morire. Non potremo mai conoscere e capire tutto quello che è archiviato tanto nella mente dei server di Google quanto nella mente di Dio. Ciò che conta è la qualità non la quantità.
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Published on May 21, 2021 08:51

Leggere - Reading

La lettura non è un'attività solitaria e introversa, si tratta di connettersi con le persone e il mondo. In tempi di dolore e trauma questo diventa ancora più essenziale. Praticamente ogni libro che abbiamo amato ha avuto un ruolo nella costruzione della resilienza mentale, perché ogni grande libro ci offre un modo non solo per sfuggire alla nostra mente, ma per espanderla. Ci sono libri particolari che incontri al momento giusto che offrono davvero i consigli di cui hai bisogno, per aiutare a rafforzare quelle difese mentali.

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Reading isn't a solitary, introverted activity, it's about connecting with people and the world. In times of pain and trauma that becomes even more essential. Pretty much every book we have ever loved has played a part in building mental resilience, because every great one offers us a way not just to escape our own mind but to expand it. There are particular books you come across at the right time that really offer the advice you need, to help fortify those mental defences.
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Published on May 21, 2021 06:22 Tags: leggere, reading

May 20, 2021

Gli abusi dell’inglese, “whatever it takes” …

Gli abusi dell’inglese, “whatever it takes” … Il libro
Ho letto l’intervista che l’autore di questo interessante saggio ha dato ad un giornale che l’ha titolata in maniera davvero catastrofica: “Una nuova parola su due è inglese. L’italiano diventa una lingua morta. In meno di 30 anni gli anglicismi sono raddoppiati e continuano a crescere. Si pensa e si scrive, anche che la nostra identità rischia di andare in frantumi.”
Scrivo questo post che non intende essere tanto una recensione sul libro, quanto il pensiero libero e forse contro corrente, di chi questa lingua, l’inglese, la considera “seconda lingua”, dopo quella materna. Non credo che l’inglese stia “assassinando” l’italiano. Se le cose stessero così, di cadaveri la lingua di Britannia ne avrebbe seminato molti lungo il suo cammino nel tempo e nello spazio.

Le cose stanno, invece, diversamente e spero di provarlo in maniera semplice e pratica, lontano da filosofismi o intellettualismi dei quali non ho mai saputo cosa farmene. La verità è che le lingue, tutte le lingue, e ovviamente le loro culture, nel mondo contemporaneo, con l’avvento della IT, Informazione Tecnologica, sono destinate ad avere identità diverse da quelle che le hanno caratterizzato per secoli. Per alcuni studiosi questa è la quarta rivoluzione non ancora conclusa e completata: la “Infosfera”. Dopo Copernico, Darwin e Freud, questa in corso è destinata a mescolare tutto.

Se penso a come iniziai a studiare la lingua, quella che oggi è sotto processo per tentato “assassinio” soltanto una manciata di anni fa, mi vien da sorridere. Ne ho scritto in diverse occasioni sul mio blog e non è il caso che mi ripeta. Quando ero ancora “in cattedra” a scuola, mi sono trovato spesso in conflitto con i docenti di lettere di tutti gli istituti superiori della Scuola italiana.

Ho dovuto litigare con i cari colleghi di latino e greco i quali hanno sempre avuto uno spazio egemone, decisivo e determinante nella formazione culturale degli studenti italiani. Hanno sempre ritenuto che il latino non era una “lingua morta” e le poche ore che che fino a pochi anni fa venivano assegnate allo studio delle lingue moderne, in particolare all’inglese, era tempo perso.

Non si sono mai resi conto che fuori dalle mura della scuola il mondo stava cambiando inesorabilmente. Radio, cinema, televisione, telefono, fino all’arrivo del Commodore 64 agli inizi degli anni ottanta, il primo pc alla portata di tutti, insieme alla diversa visione della cultura diventata improvvisamente un immenso “ipertesto” globale, avrebbe trasformato non solo la comunicazione linguistica, ma gli stessi contenuti culturali.

Adesso scoprono che ci sono troppi termini stranieri nella lingua italiana, troppi anglicismi, forestierismi, barbarismi, deviazioni linguistiche che danno vita a deviazioni mentali e culturali. Non si tratta di voler fare gli americani, ricordando una famosa canzone di Renato Carosone in auge negli anni cinquanta. In effetti il famoso musicista, con la famosa canzone “Tu vuò fà l’americano” anticipava la storia.

Non credete a chi dice, teme e scrive che l’italiano stia prendendo il posto del latino nello status di “lingua morta”. Il latino non è mai morto, nè tanto meno quel possente antico “mostro” del greco antico. Sia l’una che l’altra, sono lingue essenziali e decisive per lo studio delle lingue moderne e per la costruzione di una vera identità europea ed occidentale destinata a confrontarsi dall’interno della cultura greco-latina e mediterranea, non solo con quella anglo-americana, ma con altre ben diverse come la cultura araba e quella orientale.

Posso comprendere la “tortura” che deve affrontare Pasquale Califano, mio vecchio compagno di classe alla scuola media “G. B. Amendola” di Sarno, nella Valle dei Sarrasti, diventato poi collega docente di lettere, stimato preside, nonchè consuocero di mio figlio, convolato a nozze con sua figlia, (incredibili e brillanti imprevisti della vita!). Una “sferzata linguistica” quando legge il giornale o sente alla tv una parola inglese. Deve correre a guardare nel dizionario, una tortura insopportabile, per un presidente del club dei dinosauri al quale entrambi apparteniamo.

Non mi stanco mai di fargli capire che quello a cui dobbiamo stare attenti, quando si parla di anglicismi e di invasione linguistica, per quanto riguarda specialmente noi Italiani, è che questo travaso dell’inglese nell’italiano è ormai un fatto ineluttabile, da quando è in atto quella che è stata chiamata la socializzazione della comunicazione. Sarà sempre più forte e coinvolgente la voglia di fare non solo gli inglesi o americani, alla Carosone, ad essere “globish”, parola che sta per “global english”, atteggiandosi a conoscere le lingue e credendo di conoscere davvero l’inglese.

Questi anglicismi di cui si parla e si legge non solo sulla stampa ma anche nel Parlamento e nel Paese Italia, sono per la maggior parte pseudo anglicismi che un anglofono comprende con difficoltà. Sono parole inglesi usate quasi sempre in senso diverso. “Ad usum delphini” è il caso di dire. Ne volete una prova provata ed un brillante esempio?

Basta leggere la lunga e brillante carriera di un Italiano vero, rigoroso come un tedesco e creativo come un italiano, capace di saltare da una lingua all’altra: la prima frase pronunciata in inglese, la seconda in francese, la terza in tedesco, la quarta in italiano. Ciascuna con un contenuto differente dall’altra …” Canonica e perentoria la sua espressione diventata ormai classica: “Whatever it takes”.

Il Prof. Mario Draghi, futuro presidente della Repubblica Italiana.

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Published on May 20, 2021 04:52

May 19, 2021

“Quodlibet…” & “Whatever…”

Quodlibet
La parola potrebbe non essere familiare, ma il mondo oggi è sicuramente più pieno che mai di “quodlibetari”, persone che esprimono opinioni semiserie su qualsiasi argomento sotto il sole.
Il “quodlibet” latino significa “quello che vuoi, qualunque cosa”. Il “quodlibetum” accademico era un tempo un esercizio in cui il maestro parlava di qualsiasi argomento suggerito dal pubblico.
Quindi un “quodlibetano” è disposto a parlare consapevolmente di qualsiasi cosa. Oggi, rispetto al passato, le cose sembra che stiano, giorno dopo giorno, sempre peggio. Ma non sempre.
“Quodlibet”, nel nostro mondo moderno, è una parola che segnala una nota casa editrice che non pubblica, però, libri “qualunque”, alla stessa maniera di come “whatever”, in lingua inglese non sta a significare quello che il “quodlibet” intendeva in latino.
Quando il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, vero salvatore della patria, tanto invocato per salvarci dalla pandemia e dai pandemici “quodlibetani”, conferma la sua volontà di operare per la nostra salvezza whatever it takes, (a qualunque costo) non fa altro che confermare il suo “quodlibet”.
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Published on May 19, 2021 11:08

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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