Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 94
July 3, 2021
A che serve una parola?

L’aforisma è una risposta antica, seria e meditata alla babele logorroica mediatica nella quale la moderna tecnologia ci sta lentamente e fatalmente spingendo a vivere. Se il destino della scrittura e della lettura consiste nella ricerca del senso e del significato della comunicazione umana, l’aforisma può aiutarci a fare piazza pulita di tutte quelle scorie e trivia di cui è capace di creare la mente degli uomini. Possiamo benissimo concludere parafrasando il pensiero di Nietzsche dicendo:
“A che serve una parola se non ci conduce oltre tutte le altre parole?”.

June 30, 2021
La lezione della farfalla …

La farfalla è senza dubbio l’essere vivente più straordinario che esista al mondo. Badate bene, non ho detto “l’animale più straordinario”, e qui intendo spiegarvi il perché. Le farfalle hanno ispirato poeti e pittori, scrittori e musicisti, fanno impazzire di gioia bambini quando le inseguono per prenderle con la rete, oppure gli adulti quando, forniti di tele e pennelli, cercano di ritrarle in volo su campi dorati, oppure armati di binocoli e macchine fotografiche cercano di fermarne il volo ed i sospiri.
Io stesso posseggo da diversi anni una ricca collezione di veri esemplari di tutto il mondo, con un’ampio corredo documentaristico e bibliografico. La potete vedere nella foto di questo post. Ricordo che anni fa, in una ‘Summer School’ inglese, tra i tanti corsi che avevano in offerta ce n’era uno che aveva per titolo “Butterflies watching”. I partecipanti al corso dovevano dotarsi oltre che di carta, penna e colori, anche di un binocolo per fare le osservazioni di rito durante le uscite. In effetti, gran parte del tempo era ‘outdoor’ visitando i vari ‘habitat’ dove le farfalle vivono.
Ma la farfalla sembra difendere il suo mistero. La stessa etimologia della parola non è conosciuta e sfugge agli esperti. La proposta più accettabile potrebbe essere quella di Migliorini-Duro: “Voce onomatopeica, che col suono vuole rendere l’immagine del batter d’ali della farfalla”. Meno probabile la proposta del DEI: “Contaminazione del greco ‘phálle tarma’, ‘falena’, farfallina che si aggira intorno al lume, col latino ‘papiliō, -ŏnis’. Assolutamente fantastica l’ipotesi di Devoto: “Farfalla è termine che risulta da complessi incroci di parole.”
Il primo passo è l’incrocio del lat. ‘papilio -onis’ con ‘palpitare’ sotto l’influenza del battito (delle ali) da cui nasce un tipo *papilla. Il secondo passo è dato da ‘falena’ (greco phálaina) che incontra il lat. ‘farfăra’, nome di una pianta lunga e mobile (tanto che è soprannominata ‘coda di cavallo’), da cui nasce un tipo *farfăla. Dall’incrocio di *farfala e *papilla è nato allora farfalla”. Infine, non pare molto più probabile la proposta di M. Negri di una derivazione dall’arabo. Sia quello che sia “una farfalla è una farfalla è una farfalla è una farfalla”, proprio come la “rosa” di Gertrude Stein. Così si esprime Herman Hesse in “Farfalle”, un libro tanto gentile quanto prezioso:
“Bisogna essere ciechi o estremamente aridi se alla vista delle farfalle non si prova una gioia, un frammento di fanciullesco incanto, un brivido dello stupore goethiano. E certo ve ne sono buoni motivi. La farfalla, infatti, è un qualcosa di particolare, non è un animale come gli altri, in fondo non è propriamente un animale ma solamente l’ultima, piú elevata, piú festosa e insieme vitalmente importante essenza di un animale. È la forma festosa, nuziale, insieme creativa e caduca di quell’animale che prima era giacente crisalide e, ancor prima che crisalide, affamato bruco. La farfalla non vive per cibarsi e invecchiare, vive solamente per amare e concepire, e per questo è avvolta in un abito mirabile, con ali che sono molte volte piú grandi del suo corpo ed esprimono, nel taglio come nei colori, nelle scaglie e nella peluria, in un linguaggio estremamente vario e raffinato, il mistero del suo esistere, solo per vivere piú intensamente, per attirare con piú magia e seduzione l’altro sesso, per incamminarsi piú splendente verso la festa della procreazione. Tale significato della farfalla e della sua magnificenza è stato avvertito in tutti i tempi e da tutti i popoli, è una rivelazione semplice ed evidente. E ancora piú è divenuta, da festoso amante e splendente metamorfo, un emblema sia dell’effimero come di ciò che dura in eterno, e già in tempi antichi fu per l’uomo paragone e simbolo dell’anima.”
Un giorno, oltre un paio di millenni fa, il filosofo cinese Chuang-tzu si vide, in sogno, come una farfalla. Era una farfalla che volteggiava liberamente, e si divertiva molto. Non sapeva di essere Chuang-tzu. All’improvviso cominciò a percepire altre sensazioni, e si sentì di nuovo Chuang-tzu. Tuttavia, non sapeva se era Chuang-tzu che si era visto in sogno come una farfalla, o se era la farfalla che si era vista come Chuang-tzu. Ecco il testo della poesia in lingua inglese che scrisse un famoso poeta sull’episodio. Fa seguito la versione in italiano:
Chuang Tzu And The Butterfly/Chuang Tzu in dream became a butterfly,/And the butterfly became Chuang Tzu at waking./Which was the real — the butterfly or the man ?
Who can tell the end of the endless changes of things?/The water that flows into the depth of the distant sea/Returns anon to the shallows of a transparent stream.
The man, raising melons outside the green gate of the city,/Was once the Prince of the East Hill./So must rank and riches vanish./You know it, still you toil and toil, what for?
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Chuang Tzu e la Farfalla/Chuang Tzu in sogno divenne una farfalla,/E la farfalla divenne Chuang Tzu al risveglio./Chi era vero? la farfalla o l’uomo?/Chi può dire la fine dell’interminabile mutamento delle cose?
L’acqua che scorre nel profondo del lontano mare/Ritorna diversa sulla superficie trasparente del ruscello./L’uomo che vende i meloni fuori al cancello verde della città,/Era un tempo il principe della collina d’oriente./Così finiscono ricchezze e status./Tutti lo sappiamo e tu che leggi continui a faticare, a che scopo?
La scelta poetica della farfalla nella poesia di Li Po non è casuale. Infiniti infatti sono i simboli attribuibili ad essa: le anime dei defunti antenati che vagano in libertà. La crisalide è l’anima chiusa nel corpo e quando diventa adulta è simbolo di libertà dell’anima sulla morte. Il passaggio da crisalide a farfalla simboleggia la trasformazione. Il mutamento del baco in crisalide e poi farfalla è la maggiore trasformazione che possa avere luogo nel mondo animale.
Non solo trasformazione fisica ma anche di personalità e di pensiero. Gli antichi Greci identificavano il continuo svolazzare di fiore in fiore da parte di queste farfalle alle inarrestabili mutazioni e continui turbamenti della mente umana. Non a caso la parola greca per farfalla è “psiche” da cui discende la parola “psicologia”. Nel mondo moderno il simbolo della farfalla sta per libertà, gioia, purezza e natura. Ecco alcune importanti caratteristiche così come le elenca il WWF:
ALI A SCAGLIE. Le farfalle, intese come quelle diurne, appartengono ai Lepidotteri (farfalle e falene), un ordine di insetti con più di 250.000 specie al mondo, secondo gruppo più numeroso degli inetti, dopo i coleotteri. Le farfalle sono soltanto una piccola parte dei Lepidotteri, appena il 5%. Il termine Lepidotteri significa «ali a scaglie». Sono proprio le minuscole scaglie a dare colori e disegni alla livrea delle farfalle. Senza scaglie, le ali sono trasparenti.
PICCOLA MA BEN DIFESA! Le farfalle sembrano essere prede facili. Hanno invece ottimi sistemi di difesa. Alcune specie, per esempio il monarca, hanno un sapore disgustoso per eventuali predatori, altre somigliano a calabroni. Ci sono poi farfalle che hanno particolari disegni (come occhi sulle ali e appendici caudali che sembrano antenne) che inducono i predatori a mordere parti del corpo senza che il morso risulti letale. Specie che hanno colori vistosi in volo, possono mimetizzarsi perfettamente al momento di posarsi. Bruchi emanano spesso un odore sgradevole e i peli di alcuni producono sostanze urticanti che possono provocare bruciore e irritazione sulla pelle dell’uomo.
GUSTI PARTICOLARI. I bruchi hanno bisogno di una pianta ospite per alimentarsi. E questa diventa fondamentale per la loro sopravvivenza. Tanto che alcuni nomi di farfalla prendono proprio origine dalla pianta alimentare. Per esempio la vanessa dell’ortica, la vanessa del cardo, la cavolaia o la ninfa del corbezzolo. Ma anche la vanessa io e l’atalanta hanno come pianta ospite l’ortica, mentre la cedronella e la cleopatra si cibano delle foglie di alaterno.
CICLO DI VITA MISTERIOSO. L’affascinante ciclo della vita delle farfalle (la metamorfosi completa e cioè il passaggio dalle fase di uovo a quella di larva o bruco a quella di pupa o crisalide fino allo stato adulto) viene utilizzato in molti paesi per insegnare i segreti della natura.
FARFALLE DI CULTURA. Ci sono molti riferimenti alle farfalle in letteratura, dalla Bibbia a Shakespeare alla letteratura contemporanea, e nella poesia e nei testi delle canzoni. Le farfalle sono anche tra gli animali più rappresentati nell’arte.
LA PAGINA DEI FAN. Molti sono gli appassionati di farfalle nel mondo. Nel Regno Unito, più di 10.000 persone si dedicano a documentare la presenza di farfalle. Ci sono 850 siti che vengono monitorati ogni settimana. Migliaia di persone viaggiano ogni anno per andare ad osservare le farfalle. Si organizzano eco-tour che toccano i paesi europei e anche note mete nel mondo, come la Valle delle Farfalle in Rhodesia o i Santuari della Monarca in Messico.
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L’articolo che avete letto qui sopra l’ho scritto diversi anni fa sul mio blog di Google. Me lo sono riletto e l’ho riproposto dopo di avere letto il libro che vedete qui accanto. Ci è caduto addosso il mondo in questi ultimi mesi, quasi due anni di pandemia, un evento per il quale questi due scrittori Daniel Lumera e Immaculata De Vivo hanno creato un bellissimo libro contenente “sette consapevolezze per rigenerarsi e scoprire un nuovo benessere”. Senza dubbio, un libro impregnato di molto ottimismo e sopratutto di speranza e volontà di sopravvivere, rigenerandosi alla maniera della farfalla.
In quattrocento pagine, diviso in quattro sezioni, i due scienziati partono dall’IO al NOi, esplorando un nuovo mondo, in cerca di un nuovo equilibrio ambientale e sociale per trovare le chiavi del cambiamento. Il confronto più forte ed impegnativo è quello con la “morte”, considerata una “maestra” dai sette insegnamenti. Devo dire che i due autori ce l’hanno messa tutta per portare il lettore a trovare una soluzione ai tanti problemi che un evento come questa pandemia ha arrecato alla intera comunità umana.
Il materiale prodotto è quanto mai abbondante, ricco di ricerche, aiuti e consigli utili al necessario cambiamento. Un cambiamento che deve essere mutazione, trasformazione e ricerca di una nuova e diversa identità. Non so quanti lettori sapranno far fronte a questa ricca e variegata mole di notizie ed informazioni su quello che è successo, sulla condizione attuale in cui l’umanità si è venuta a trovare e le future prospettive che ci aspettano. Consapevolezza significa soprtatutto “sapere con” se stessi e con gli altri, dall’io al noi e viceversa.

June 25, 2021
I “saggi” non hanno problemi

Seneca ha scritto nel suo “Tranquillità della mente” (13.3b) che al saggio non accade nulla che non si aspetta.
La cosa è stata confermata anche dal poeta Esiodo in maniera diversa, ma abbastanza chiara: “Il miglior tesoro è una lingua parsimoniosa”, vale a dire una lingua che parla poco.
Robert Greene, nel suo libro “Le 48 leggi del potere”, considera la lingua addirittura un aspetto del potere: è sempre meglio dire meno del necessario.
Mi sembra che l’attuale Presidente del Consiglio Italiano si stia comportando proprio in questa maniera. Parla poco, ma “fa” molto.
Ma perchè parliamo troppo? Perchè pensiamo di poter essere di aiuto tanto a sè stessi quanto agli altri. Il che spesso, se non quasi sempre, complica le cose.
Parliamo perchè pensiamo di aiutare, di sfogarci, di trovare la soluzione, ascoltiamo noi stessi piuttosto quello che dicono gli altri. Il risultato è soltanto uno: complichiamo le cose.
Quindi oggi saremo parte del problema o parte della soluzione? Ascolteremo la saggezza del mondo o affogheremo con lui con più rumore?

June 23, 2021
Il “buco nero” …

Il sesso “tira” sempre. Il sesso, lo sappiamo tutti, gioca un ruolo centrale nella vita degli esseri umani. In nome del sesso ogni civiltà realizza i suoi riti, costruisce le sue difese, imbastisce i suoi rituali. Così accade dalla notte dei tempi, a partire dalla foglia di fico che Adamo usò per coprire ciò che non sapeva, prima di “conoscere” Eva. Così accade oggi di notte e di giorno, al nord come al sud, ad est come ovest. “Muscoli” che nascondono il mistero della vita, una vita fatta di amore e di piacere, di dolcezze e di trasgressioni, di tradizione e di novità, in ogni forma d’arte umana. Inclusa la scrittura. Anche se, dopo l’avvento dell’immagine in Rete, la parola si colloca al secondo posto nel mondo della comunicazione.
In gioventù ebbi modo di conoscere un vecchio gentiluomo della borghesia meridionale di origini svizzere, trapiantato dalle nostre parti e diventato poi noto imprenditore tessile. Con lui ero solito intrattenermi a ragionare e discutere di fatti della cronaca quotidiana e degli episodi della sua lunga esperienza di vita. Era quasi centenario e di cose da raccontare ne aveva e come! I suoi ricordi si allungavano fin addentro quel grande secolo che fu l’ottocento.
Era un piacere per me sentirlo raccontare mentre fumava dei pestilenziali, lunghi sigari che si faceva comprare da me a Napoli al Rettifilo, in una antica tabaccheria nei pressi della piazza così detta dei“quattro palazzi”, all’incrocio con via Duomo. Tra un tiro ed una sbuffata di sigaro ogni tanto i suoi ricordi cadevano anche sulle donne e su quello che con esse si poteva fare o che lui aveva fatto. Non c’era nulla di osceno o di pruriginoso in ciò che raccontava. Anzi, aveva tutta l’intenzione di smitizzare il tutto, a me che, giovincello e sbarbatello, mi apprestavo a fare le prime esperienze ed affrontare i primi incontri.
Mi metteva sull’avviso, il vecchio gentiluomo, dicendomi di stare attento. Perché, in fondo, il sesso non era altro che “lo sfregamento di due muscoli”. Quanto meno, egli sosteneva, di due distinte e particolari zone muscolari: quella riferita alle parti sessuali sia dell’uomo che della donna. Sfregando, sfregando, potevi rimanere … fregato. Questo era il suo avviso, col relativo invito a considerare l’atto sessuale non altro che una cosa del genere. Se poi, soggiungeva, c’era anche qualcosa d’altro che supportava lo “sfregamento”, tanto meglio. Potevi stare al sicuro. Ma sempre relativamente e con grande cautela. Non c’erano cinismi religiosi o sociali in quelle sue parole. Per lui era la realtà.
Ecco, questo mi è venuto in mente quando mi è capitato tra le mani questo libro sul quadro di sesso più famoso al mondo. Una strana coincidenza accaduta con la lettura della notizia della scoperta della modella che diede il volto del sesso a questo quadro. Quello di Gustave Courbet. L’ultimo proprietario del quadro fu lo psicoanalista Jacques Lacan. Ma Courbet l’aveva dipinto per un diplomatico arabo che animò la vita parigina del secondo Ottocento: lo teneva nascosto in bagno, coperto da una tenda verde e lo mostrava solo ai visitatori più intimi. Dopo la morte di Lacan il quadro è finito nelle collezioni pubbliche francesi e dal 1995 è esposto al Museo d’Orsay dove continua a far discutere i “benpensanti” che lo bollano come osceno. Attrae fiumane di visitatori dove la tela, messa a confronto con le foto pornografiche dell’epoca, rivela la sua “diversità”.
Posso tirare le somme di quanto ho letto e scritto? Il sesso “tira” e tirerà sempre. Per tutti: scrittori, lettori, editori e recensori. Buono o cattivo, proprio o improprio, naturale o innaturale, nessuno può farne a meno, almeno fino a quando la “cosa” si può “tirare”. Checchè ne dicano i censori i moralisti. In quei “luoghi”, meglio forse chiamarle “zone erogene” dove i “muscoli” si incontrano e si sfregano, c’è l’origine del mondo. In quel quadro di Courbet c’è la perfetta descrizione anatomica dell’organo genitale femminile, senza artifizi o inganni. Sfido chiunque a pensare che questa sia una gratuita immagine pornografica. Realismo ed audacia caratterizzano il quadro. Niente di osceno o di perverso. Tutto dipende da come si guardano le cose. Anzi la “cosa”. Se proprio ci tenete andate al link e godetevi il quadro di Courbet.

June 20, 2021
La “Gioconda Afgana”, un volto che non si dimentica

Ho letto per anni il National Geographic Magazine, nella versione inglese, una delle riviste più prestigiose al mondo.
In occasione dell’anno 2000 mi nominarono persino “Honorary Member” della società (soltanto perchè avevo rinnovato l’abbonamento!) con tanto di certificato che ancora è appeso al muro della mia mansarda biblioteca. Conservo la copia del numero dedicato ad un volto che non si dimentica e che è passato alla storia.
Sharbat Gula (nata nel 1972 circa) è una donna afgana che è stata oggetto di una famosa fotografia del giornalista Steve McCurry. Gula viveva come rifugiata in Pakistan durante il periodo dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan quando venne fotografata. L’immagine la fece diventare famosa quando venne pubblicata sulla copertina del numero di giugno 1985 di National Geographic Magazine. Aveva circa 12 anni.
Gula fu conosciuta in tutto il mondo semplicemente come “la ragazza afgana” fino a quando non venne formalmente identificata all’inizio del 2002. La fotografia è stata paragonata al dipinto della Gioconda di Leonardo da Vinci ed è talvolta comunemente chiamata “la Gioconda afgana”.
Pashtun di etnia, Gula rimase orfana durante il bombardamento dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica. Venne inviata al campo profughi di Nasir Bagh in Pakistan nel 1984. Il suo villaggio fu attaccato da elicotteri da combattimento sovietici all’inizio degli anni ’80.
L’attacco sovietico uccise i suoi genitori, costringendo lei, i suoi fratelli e la nonna a fuggire sulle montagne fino al campo profughi di Nasir Bagh nel vicino Pakistan. Si sposò alla fine degli anni ’80 e tornò in Afghanistan nel 1992. Gula ha avuto tre figlie: Robina, Zahida e Alia. Una quarta figlia morì durante l’infanzia. Gula ha espresso la speranza che le sue ragazze ricevano l’istruzione che non è mai riuscita a completare.

Nel campo profughi di Nasir Bagh nel 1984, la fotografia di Gula venne scattata dal fotografo della National Geographic Society Steve McCurry, su pellicola Kodachrome a colori, con una fotocamera Nikon FM2 e un obiettivo Nikkor 105mm F2.5. Il ritocco fotografico prestampa venne eseguito da Graphic Art Service, con sede a Marietta, in Georgia. Gula era con alcuni studenti di una scuola all’interno del campo profughi. McCurry ebbe la fortuna di fotografare la ragazza per un servizio sulle donne afgane.
La sua foto, intitolata “Afghan Girl”, apparve sulla copertina del National Geographic del giugno 1985. Nessuno conosceva il suo nome. L’immagine del suo viso, con una sciarpa rossa drappeggiata liberamente sopra la sua testa e con i suoi penetranti occhi verde mare che fissano direttamente la telecamera, è diventata un simbolo sia del conflitto afgano degli anni ’80 che della situazione dei rifugiati in tutto il mondo. L’immagine stessa è stata nominata “la fotografia più famosa” nella storia della rivista.
L’identità della ragazza afghana è rimasta sconosciuta per oltre 17 anni. L’Afghanistan è rimasto in gran parte un paese chiuso ai media occidentali fino a dopo la rimozione del governo talebano da parte delle truppe americane e degli alleati locali nel 2001. Sebbene McCurry abbia fatto diversi tentativi negli anni ’90 per localizzarla, non ebbe successo.
Nel gennaio 2002, un team del National Geographic si recò in Afghanistan per individuare il soggetto della ormai famosa fotografia. McCurry, dopo aver appreso che il campo profughi di Nasir Bagh stava per chiudere, chiese aiuto ai residenti rimasti, uno dei quali conosceva il fratello di Gula. Questi fu in grado di mandare un messaggio alla sua città natale. Ci sono state diverse donne che si fecero avanti e si identificatificarono come la famosa ragazza afgana.

La squadra di ricerca finalmente localizzò Gula, quando aveva 30 anni, in una remota regione dell’Afghanistan. Era tornata nel suo paese natale dal campo profughi nel 1992.
La sua identità venne confermata utilizzando il riconoscimento dell’iride. La ragazza ricordava di essere stata fotografata, ma non aveva mai visto il suo famoso ritratto prima che le fosse mostrato nel gennaio 2002.
Immagini più recenti di lei sono state presentate come parte di una storia di copertina sulla sua vita nel numero di aprile 2002 di National Geographic ed è stata oggetto di un documentario televisivo, intitolato Search for the Afghan Girl, andato in onda nel marzo 2002.
In riconoscimento di lei, National Geographic ha istituito l’Afghan Girls Fund, un’organizzazione di beneficenza con l’obiettivo di educare le ragazze e le giovani donne afgane. Nel 2008, l’ambito del fondo è stato ampliato per includere i ragazzi e il nome è stato cambiato in Afghan Children’s Fund.
Nel 2010, la fotografa sudafricana Jodi Bieber ha vinto il premio World Press Photo of the Year per la sua fotografia di Bibi Aisha, una vittima afgana di mutilazioni facciali per mano del suo ex marito. Nel realizzare la fotografia, Bibi si è ispirata a Afghan Girl.
Fotografi e fotografie di volti che non si dimenticano e che fanno la storia.
Fonti:
^ Zoroya, Greg (2002–03–13). “National Geographic tracks down Afghan girl”. USA Today (Gannett Company). Retrieved 2012–02–14.
^ “Hollywood movie poster at the Kabul Cinema”. Retrieved 2012–12–04.
^ “Black and White picture says it all”. Ikràn. 15 February 2011. Retrieved 2012–01–14.
^ Newman, Cathy (April 2002). “Afghan Girl: A Life Revealed”. National Geographic Magazine. Retrieved 2012–01–14.
^ Lucas, Dean. “Afghan Eyes Girl”. Famous Pictures Magazine. Retrieved 2013–01–14.
^ “Portfolio”. Nikon World (Summer ed.) (Nikon) 4 (1): 9. 1988. OCLC 2265134. Archived from the original on 2012–11–27. Retrieved 2012–01–14.
^ McCurry, Steve (10 April 2001). “National Geographic: Afghan Girl, A Life Revealed”. The Washington Post (The Washington Post Company). OCLC 56914684. Archived from the original on 2012–11–27. Retrieved 2012–01–14.
^ Daugman, John. “How the Afghan Girl was Identified by Her Iris Patterns”. Retrieved 2012–01–14.
^ Braun, David (7 March 2003). “How They Found National Geographic’s ‘Afghan Girl’”. National Geographic News (National Geographic Society). Retrieved 2012–01–14.
^ “National Geographic Society: Afghan Girls Fund”. National Geographic Society. August 2004. Archived from the original on 2004–12–06. Retrieved 2009–03–15.
^ “National Geographic Society: Afghan Children’s Fund”. National Geographic Society. Retrieved 2012–01–14.
^ “Capturng Aisha”. Montreal Mirror. 8 September 2011.
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June 15, 2021
Siamo sommersi da un oceano di dati e stiamo rapidamente affogando

Nella presentazione appare una breve frase che sintetizza l’idea dominante di questo libro: “Dedicato ai 130 milioni di libri scritti prima di questo”.
Non so se questa cifra è esatta, non lo credo. I libri scritti fino ad oggi saranno certamente molti di più. Un piacere senza dubbio per chi ama leggere e scrivere, oltre che per chi li pubblica. Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia. Caleb Scharf , direttore del “Columbia Astrobiology Center”, uno scienziato, scrittore e narratore, ne parla apertamente in questo suo libro. La sua carriera di ricerca ha abbracciato la cosmologia, l’astrofisica e l’astrobiologia. È Direttore di Astrobiologia presso la Columbia University di New York, dove si occupa di questioni fondamentali sulla natura della vita nell’universo.
È un prolifico comunicatore, acclamato dalla critica, scrittore con diversi libri di divulgazione scientifica e centinaia di articoli apparsi in pubblicazioni importanti. Le sue conferenze ed eventi pubblici lo hanno portato in giro per il mondo ed è un frequente consulente per una varietà di produzioni televisive e di scienza dei media. Il suo mantra è: Immaginare, Pensare, Discutere. Ripetere.
Questo suo libro che ho letto in formato Kindle si apre con un esempio illuminante: l’opera di Shakespeare che cambia il mondo. Tra i lati positivi, Shakespeare ha arricchito la letteratura, creando opere senza tempo che fanno parte della “mente estesa” della nostra specie. Sull’altra faccia della medaglia si legge anche però che il lavoro di Shakespeare richiede un notevole impegno di energia e di intelligenza. La lettura e lo studio delle sue opere, con il suo pensiero e con le idee dei suoi personaggi e i racconti delle sue vicende continuano a provocare ricerche, studi e approfondimenti.
Ancora più energia viene spesa in mentre i neuroni dei nostri cervelli si attivano per comprendere la sua lingua. La mossa energetica diventa più concreta quando Scharf arriva a un punto sbalorditivo: dipendiamo così tanto dai dati e dalla potenza del computer necessaria per elaborarli che entro il 2040 quei computer richiederanno più elettricità di quella che può essere prodotta in tutto il mondo. Frustrati da questo limite, cosa dobbiamo fare?
L’autore indaga ancora più in profondità, notando come la grande massa di dati che abbiamo creato, il “dataome” , l’equivalente informativo di un bioma ecologico , ci sta cambiando proprio mentre lo cambiamo. In un testo profondo ma accessibile che spazia dal cuneiforme sumero al pensiero che una strategia per salvare il pianeta, l’idea potrebbe essere quella di rinunciare a tutte quelle simpatiche GIF e ai post sui social media. Scharf rivede e riscrive il pensiero di Marshall McLuhan scrivendo che i media sono estensioni della mente umana . Egli afferma che ci imbattiamo in informazioni eludendo le restrizioni della selezione darwiniana.
Una delle caratteristiche più peculiari e forse uniche degli esseri umani è la grande quantità di informazioni che portiamo al di fuori del nostro sé biologico. Ma nella nostra fretta di costruire l’infrastruttura per i 20 quintilioni di bit che creiamo ogni giorno, non siamo riusciti a chiederci esattamente perché stiamo spendendo quantità sempre crescenti di energia, risorse e sforzi umani per mantenere tutti questi dati.
Attingendo a idee profonde e pensiero di frontiera in biologia evoluzionistica , informatica, teoria dell’informazione e astrobiologia, Caleb Scharf sostiene che l’informazione è, in un senso molto reale, viva. Tutti i dati che creiamo, tutte le nostre e-mail, tweet, selfie, testi generati dall’intelligenza artificiale e video divertenti di gatti, costituiscono una forma di vita aggregata . Ha obiettivi e bisogni. Può controllare il nostro comportamento e influenzare il nostro benessere. Ed è un organismo che si è evoluto proprio accanto a noi.
Questa relazione simbiotica con l’informazione offre una nuova e sorprendente lente per guardare il mondo. I dati non sono solo qualcosa che produciamo; è la ragione per cui esistiamo. Questa potente idea ha il potenziale per capovolgere il modo in cui pensiamo alla nostra tecnologia, al nostro ruolo come esseri umani e alla natura fondamentale della vita.
“The Ascent of Information” , ovvero “L’ Ascesa della Informazione” , offre una visione umiliante di un universo costruito da e per le informazioni. Scharf cerca di capire come la nostra relazione con i dati influenzerà la nostra evoluzione in corso come specie umana. Comprendere questa relazione sarà fondamentale per evitare che i nostri dati diventino più un peso che una risorsa e per preservare la possibilità di un futuro umano.

June 14, 2021
“La mia ombra sull’onda del tempo …

L’ho scritto sulla mia pagina di FB, il luogo dove scorre la quotidianità liquida del mondo social. Il pensiero mi è venuto in inglese: “My shadow on the wave of time” … “la mia ombra sull’onda del tempo” … Mi sono ricordato di questo sonetto di Shakespeare, il 123, che qui riproduco nella nuova, moderna traduzione di Lucia Folena, nella edizione appena uscita di Einaudi.

No, non vantarti, Tempo, di cambiarmi! Le rinate piramidi possenti non mi sembrano nuove, né speciali, ma varianti di cose già vedute. Breve è la vita, e perciò ci stupiscono quelle anticaglie che tu ci rifili: le pensiamo create per piacerci quando invece se n’era già parlato. Io ti sfido e contesto i tuoi registri, da presente e passato non sorpreso; mente il tuo annale e quello che si vede ingrandito o ridotto dal tuo correre. Giuro che eternamente, nonostante te e la tua falce rimarrò lo stesso.
No, Time, thou shalt not boast that I do change! Thy pyramids built up with newer might To me are nothing novel, nothing strange; They are but dressings of a former sight. Our dates are brief, and therefore we admire What thou dost foist upon us that is old, And rather make them born to our desire Than think that we before have heard them told. Thy registers and thee I both defy, Not wondering at the present nor the past; For thy records and what we see doth lie, Made more or less by thy continual haste. This I do vow, and this shall ever be: I will be true, despite thy scythe and thee.
Caro Shakespeare, mi dispiace, ma non sono d’accordo con te. Tutto scorre e tutto cambia e noi cambiamo col tempo. In quel castello fittizio, in fondo a quella spiaggia, non resta altro che la memoria, il ricordo di te e di quello che in quel tempo si consumò. Le onde di questo mare, è vero, sembrano le stesse, ma non lo sono. Lo sapeva bene Eraclito, non ci si bagna mai nelle stesse acque, siano esse del mare o del fiume. Il resto è soltanto memoria …

June 11, 2021
I sogni di Dalì …

Metti a tacere il tuo telefono e immergiti in un paesaggio da sogno ispirato a Dalí. “Dreams of Dalí” è un video interattivo a 360°. Durante la riproduzione, fai clic e trascina il cursore sul lettore video per esplorare la scena. Per un’esperienza di visualizzazione ottimale, ingrandisci il player di YouTube a schermo intero e imposta la massima qualità.
Il dipinto di Salvador Dalí “Reminiscenza archeologica dell’Angelus” di Millet (1935) è una rivisitazione surreale del dipinto L’Angelus di Jean-François Millet (1859). Il lavoro di Dalí ripropone la coppia contadina dell’originale come imponenti figure di pietra, con la donna che incombe sull’uomo in uno spettacolo di dominio sessuale femminile. Creato come parte di una mostra di realtà virtuale al “Dalí Museum” di St Petersburg in Florida, questo video consente agli spettatori di entrare nel paesaggio onirico e inquietante dell’opera, mentre volano attraverso un tour di un mondo ispirato al dipinto, un mondo che è pieno di ulteriori uova di Pasqua Dalí.
Al di là di un’esperienza immersiva semplicemente estasiante, “Dreams of Dalí” suggerisce una sperimentazione artistica VR ancora più sofisticata in arrivo nel prossimo futuro. Enjoy!

June 10, 2021
Le facce del diavolo e le ali di pipistrello

Quanti sono i diavoli che conosciamo? Non si contano nella storia i volti, come le immagini, con i quali gli uomini li hanno immaginati.
Anche nel ventunesimo secolo, terzo millennio dell’era cristiana, anno 4218 per i cinesi, questo “personaggio” continua ad occupare gran parte della nostra esistenza.
Non ho citato a caso, accanto al nostro calendario tradizionale, quello cinese. Da oltre una anno a questa parte, le vicende che stiamo vivendo con la pandemia da Coronavirus, secondo molti, hanno origini in quel mondo orientale cinese dal quale tanto ci divide e ci separa.
Una manifestazione “diabolica” che si rinnova in forme strane, assumendo anche nomi diversi. Il “personaggio” diventa così un versatile sostituto per ogni sorta di male.
Dalla moderna “corona” al mangiatore di uomini a tre teste dell’Inferno di Dante al Mefistofele del folklore tedesco, vestito e ricoperto di rosso in una produzione teatrale scritta da Goethe, le rappresentazioni di Satana si sono trasformate in una spaventosa moltitudine di persone che brandiscono il forcone, invocano il fuoco e altre creature malevole. Oggi in forma addirittura di “corona”.
Ma come si è evoluto un personaggio un po’ minore dell’Antico Testamento in una versatile scorciatoia per ogni sorta di male umano? Con una sfilata dei tanti diavoli in forma di “meme” che sono arrivati a permeare l’immaginazione pubblica?
Satana, la bestia che stritola le ossa dei peccatori nella sua tana sotterranea.
Lucifero, l’angelo caduto infuriato contro l’ordine costituito. Mefistofele, l’imbroglione che fa affari con ignari umani. Questi tre diavoli divergenti sono tutti basati su Satana dell’Antico Testamento, un membro angelico della corte di Dio che tormenta Giobbe nel Libro di Giobbe. Ma a differenza di questi diavoli letterari, il Satana della Bibbia era un personaggio relativamente minore, con scarse informazioni sulle sue azioni o sul suo aspetto. Quindi come è diventato l’antagonista definitivo, con così tante forme diverse?
Nel Nuovo Testamento, Satana ha visto un po’ più di azione: tentare Gesù, usare i demoni per possedere le persone e infine apparire come un drago gigante che viene gettato nell’inferno. Quest’ultima immagine ispirò particolarmente artisti e scrittori medievali, che raffigurava una creatura squamosa e dal pelo ispido con le unghie dei piedi troppo cresciute. Nel dipinto di Michael Pacher di Sant’Agostino e il diavolo, il diavolo appare come una lucertola eretta, con una seconda faccia in miniatura che luccica sul retro.
L’epitome di questi mostri Satana è apparso nell’Inferno di Dante. Tutti ricordiamo le fantastiche immagini di Dorè. Racchiuso nel nono cerchio dell’inferno, il Satana di Dante è un colosso a tre teste con ali di pipistrello che banchetta con i peccatori. Ma è anche oggetto di pietà: impotente perché il battito delle sue ali in preda al panico lo avvolge ulteriormente nel ghiaccio. Il protagonista del poema fugge dall’inferno arrampicandosi sul corpo di Satana e prova sia disgusto che simpatia per la bestia intrappolata, spingendo il lettore a considerare il dolore di fare il male.
Con il Rinascimento, il diavolo iniziò ad assumere una forma più umana. Gli artisti lo dipingevano come un uomo con gli zoccoli e le corna arricciate ispirandosi a Pan, il dio greco della natura. Nel suo capolavoro del 1667 “Paradise Lost”, il poeta inglese John Milton dipinse il diavolo come Lucifero, un angelo che iniziò una ribellione per il fatto che Dio è troppo potente. Cacciato dal paradiso, questo carismatico ribelle diventa Satana e dichiara che preferirebbe governare all’inferno piuttosto che servire in paradiso.
La poesia di Milton ha ispirato numerose rappresentazioni di Lucifero come una figura ambigua, piuttosto che puramente malvagia. Il Lucifero di Milton in seguito divenne un personaggio iconico per i romantici del 1800, che lo vedevano come un eroe che sfidava il potere superiore alla ricerca di verità essenziali, con tragiche conseguenze.
Nel frattempo, nella leggenda tedesca del Dottor Faust, che risale al XVI secolo, diamo uno sguardo a cosa succede quando il diavolo arriva sulla Terra. Faust, uno studioso insoddisfatto, offre la sua anima al diavolo in cambio di un piacere senza fondo. Con l’aiuto del messaggero del diavolo Mefistofele, Faust si impadronisce rapidamente di donne, potere e denaro, solo per cadere nei fuochi eterni dell’inferno. Le versioni successive della storia mostrano Mefistofele sotto luci diverse.
Nel racconto di Christopher Marlowe, un cinico Dottor Faustus è felice di stringere un patto con Mefistofele. Nella versione di Johann Wolfgang van Goethe, Mefistofele inganna Faust in un macabro accordo. Oggi, un patto faustiano si riferisce a un commercio che sacrifica l’integrità per guadagni a breve termine. Nelle varie messe in scena della commedia di Goethe, Mefistofele è apparso in calzamaglia rossa e mantello.
Questa versione del diavolo è stata spesso interpretata come un affascinante imbroglione, uno che alla fine ha sfilato attraverso fumetti, pubblicità e film nel suo abito rosso. Queste tre interpretazioni del diavolo sono solo la punta dell’iceberg: il diavolo continua a perseguitare l’immaginario collettivo fino ai giorni nostri, tentando artisti di ogni genere a renderlo secondo visioni nuove e fantastiche.
Mi ha colpito particolarmente il quadro che illustra questo post, un dipinto, che fa parte del grande polittico con i Padri della chiesa che si trova nella Pinacoteca di Monaco. Fu eseguito da Michael Pacher (1430–1498) alla fine degli anni ’70 del Quattrocento per l’abbazia di Novacella nei pressi di Bressanone. La scena è la via principale di quella che ha l’aria di una cittadina delle Alpi, con la sua tipica architettura. C’è chi siede pigramente sulla soglia di casa, chi si affaccia a una finestra e chi chiacchiera su una balconata.
L’atmosfera potrebbe essere quella di una tranquilla giornata di sole, se non fosse per i due singolari personaggi in primo piano. A sinistra, Sant’Agostino, nello sfarzo delle sue vesti vescovili, stringe in mano un gigantesco pastorale. Sulla mitria, ornata di gemme, poggia un’aureola. Si è messo a parlare col più improponibile degli interlocutori: il diavolo. Si potrebbe, malignamente, pensare che Agostino lo conosceva bene, se pensiamo ai suoi trascorsi, prima che diventasse quello che l’immagine ci propone.
Nessun dubbio sull’identità demoniaca. Il repertorio degli attributi infernali appare completo: corna, occhi iniettati di sangue, una proboscide, zanne ricurve e, perfino, orecchie da cui escono lingue di fuoco. Il corpo esile, con spina dorsale a scaglie e ali da pipistrello, ornate dalle nervature di una foglia, gambe sottilissime, simbolo dell’instabilità della menzogna. Non gli mancano nemmeno gli zoccoli caprini e la coda arricciata. Una seconda faccia, con tanto di occhi, bocca e zanne, è ben visibile in corrispondenza del sedere descrive la sua doppiezza.
Il verde colore vivace del corpo, invece del tradizionale rosso, lo fa diventare il simbolo della volubilità, della follia e del gioco. Sant’Agostino sapeva bene chi aveva di fronte: proprio il diavolo fatto e finito. Il pittore sembra che ci voglia far immaginare quali sottili diatribe teologiche o quali discussioni i due potranno svolgere. Su quel “Libro dei Vizi” sono registrati tutti i peccati che il diavolo sapeva bene che Agostino conosceva.
Col suo stile, insieme tradizionale e aggiornato, con la sua nitida costruzione spaziale, la sua concretezza e la sua definizione di ogni dettaglio è riuscito a restituire un’atmosfera sospesa tra favola e realtà. E a trasformare il diavolo in un verde bitorzoluto lucertolone, affatto innocuo e abbastanza ripugnante. E non dimenticate quelle ali di … pipistrello …
June 6, 2021
Paura più della scienza o della paura?

Non si contano ormai i libri che sono stati scritti sulla pandemia . Quella che vedete qui è la copertina di uno degli ultimi libri pubblicati in Italia su questo argomento.
Non sarà l’ultimo, ovviamente, fin tanto che la paura continua a girare intorno a noi e intorno al pianeta Terra sul quale siamo capitati a vivere.
L’autore è un famoso filosofo italiano, anzi un “Distinguished Professor of Philosophy and the Humanities” all’Università di California, Ermanno Bencivenga , autore di sessanta libri in tre lingue. Non uno qualunque, dunque, eppure si è visto negare dai principali editori italiani la pubblicazione. Li ha elencati tutti in una intervista: Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, Bollati Boringhieri, Garzanti, Laterza … E’ riuscito a pubblicarlo con un minuscolo editore e io sono riuscito ad averlo da Amazon. Un contenuto esplosivo. Ha scritto:
“Io credo che il Covid sia una brutta, una brutta influenza che ha fatto molte vittime come era successo ad altre influenze in passato … credo che nella sua primissima fase, sia stata poco capita e per questo motivo sia stata più letale; ma credo che quel che è successo dopo sia stato causato da scelte politiche arroganti e dissennate … La presa di posizione ministeriale contro le autopsie; la testarda quanto ingiustificata insistenza su un protocollo di vigile attesa, a tutto sfavore di (efficaci) cure precoci; infine la propaganda a tappeto per i “vaccini” che tali non sono, ma sono invece terapie geniche sperimentali, approntate in fretta e furia in violazione di ogni parametro di ricerca scientifica e destinata a risultare un rimedio peggiore del male. Da cittadino, spero che prima o poi ci si rivalga sui responsabili di questo macello; spero che chi li ha applauditi in corso d’opera abbia occasione di vergognarsi … La scienza è stata trasformata in dogma e la paura in strumento di tirannia”.
Qui arriviamo alle due parole chiave che sono la “chiave” , scusate la ripetizione, per capire il senso di questo libretto, che, in poco più di cento pagine, la dice tutta: “Scienza” e “Paura” .
“La Scienza è la più straordinaria avventura in cui gli esseri umani si siano da sempre impegnati: l’animale razionale deve tentare di darsi una ragione di ciò che esiste, sè stesso incluso. Ma è un’avventura, appunto: come cavalieri erranti, gli scienziati percorrono il territorio della nostra esperienza, scoprendo a volte tesori e a volte mulini a vento che scambiano per giganti. L’errore come sbaglio, conseguenza dell’errare come vagabondaggio, è parte integrante e ineliminabile dell’attività scientifica …Un vero scienziato si muove con umiltà e cautela, consapevole dei rischi cui va incontro, degli errori passati e dei probabili errori futuri. In questo tragico periodo, ma anche ridicolo periodo, abbiamo visto tetri burocrati trasformare la scienza da un’avventura in un dogma, pronunciare verdetti inappellabili, deleggittimare e schernire chiunque la pensasse diversamente”
Alla domanda perchè gli Italiani, e non solo questi, si sono sottoposti senza troppe proteste alle restrizioni e alla retorica dell’emergenza, così risponde:
“La risposta va cercata nella paura, che ha un carattere infantile. La persona spaventata, come un bambino che fa i capricci, non ragiona, non ascolta opinioni alternative, non accetta ritardi o esitazioni, se per caso qualcuno fa resistenza e si divincola e strilla. Quindi buona parte di quel che ha agito e fatto danni in questo periodo è stato un uso sistematico e martellante di messaggi che miravano a spaventare la gente. Il che ha portato a fruizione una generale tattica di rimbambimento in atto da almeno trent’anni: dall’inizio in Italia della televisione commerciale. Quelli che io guardavo da ragazzo in televisione erano programmi per adulti, che mi educavano a pensieri e sentimenti adulti; anche il varietà aveva una dimensione più che dignitosa. Quel che si è visto negli ultimi decenni, in televisione e poi sulle piattaforme della Rete, ha “educato” a un perpetuo infantilismo; a reazioni subitanee, disarticolate, non ragionate. Quando è arrivato il momento, a questi bambini di ogni età non è stato difficile fare una grande paura”.
Il disegno riprodotto sulla copertina del libro di questo filosofo che parla chiaro non è un disegno qualunque. E’ uno dei quadri più famosi e più costosi al mondo, firmato dall’artista norvegese Edvard Munch . In un’asta di Sotheby’s è stato valutato 120 milioni di dollari , cifra stellare almeno quanto e più di quelle che ha fatto battere la diffusione della pandemia su tutto il pianeta in termini di profitti e guadagni con la diffusione del Covid 19 , sulla pelle di tanti malati. All’interrogativo che il giornalista Francesco Borgonovo ha posto al filosofo Benvivenga, in una sua intervista sul quotidiano “La Verità”, su come trovare il modo per far conoscere la realtà della Scienza agli uomini nel modo migliore, senza diffondere la Paura, ha risposto così:
“Che cosa può risponderle un insegnante? Dovremmo ricominciare a educare sul serio: alla profondità di pensiero, alla tolleranza delle voci contrarie, alla libertà e dignità del dibattiro. Solo allora realizzeremo l’augurio di Piero Calamandrei, padre della nostra Patria, quando disse: “La scuola è il complemento necessario del suffragio universale”. Solo allora avremo ascoltato la lexione di Antonio Gramsci quando scrisse: “Volete che chi è stato schiavo fino a ieri diventi un uomo? Incominciate a trattrlo, sempre, come un uomo, e il più grande passo in avanti sarà fatto”.
Campa cavallo!!!

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