Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 83
January 24, 2022
Il “mio” presidente …

Grazie a Carioti per questa “laica” risposta. Resto del parere che “one man, one vote” sia la scelta migliore. Ne faccio una questione di “common sense”. Nessun Presidente, come nessun Papa, viene eletto dallo Spirito Santo. Anche il Papa riceve i voti dai singoli cardinali …
[image error]January 22, 2022
Elogio della farfalla

La farfalla è senza dubbio l’essere vivente più straordinario (e anche misterioso) che esista al mondo. Badate bene, non ho detto “l’animale più straordinario”, e qui intendo spiegarvi il perché. Le farfalle hanno ispirato poeti e pittori, scrittori e musicisti, fanno impazzire di gioia bambini quando le inseguono per prenderle con la rete, oppure gli adulti quando, forniti di tele e pennelli, cercano di ritrarle in volo su campi dorati, oppure armati di binocoli e macchine fotografiche cercano di fermarne il volo ed i sospiri.
Io stesso posseggo una ricca collezione di veri esemplari di tutto il mondo con un’ampio corredo documentaristico e bibliografico. La potete vedere qui sopra nella foto che correda questo post. La foto che vedete alla fine, invece, è opera che merita un discorso a parte e che farò a tempo debito. Ricordo che anni fa, in una ‘Summer School’ inglese, tra i tanti corsi che avevano in offerta ce n’era uno che aveva per titolo “Butterflies watching”. I partecipanti al corso dovevano dotarsi oltre che di carta, penna e colori, anche di un binocolo per fare le osservazioni di rito durante le uscite. In effetti, gran parte del tempo era ‘outdoor’ visitando i vari ‘habitat’ dove le farfalle vivono.
Ma la farfalla sembra difendere il suo mistero. La stessa etimologia della parola non è conosciuta e sfugge agli esperti. La proposta più accettabile potrebbe essere quella di Migliorini-Duro: “Voce onomatopeica, che col suono vuole rendere l’immagine del batter d’ali della farfalla”. Meno probabile la proposta del DEI: “Contaminazione del greco ‘phálle tarma’, ‘falena’, farfallina che si aggira intorno al lume, col latino ‘papiliō, -ŏnis’.” Assolutamente fantastica l’ipotesi di Devoto: “Farfalla è termine che risulta da complessi incroci di parole.”
Il primo passo è l’incrocio del lat. ‘papilio -onis’ con ‘palpitare’ sotto l’influenza del battito (delle ali) da cui nasce un tipo *papilla. Il secondo passo è dato da ‘falena’ (greco phálaina) che incontra il lat. ‘farfăra’, nome di una pianta lunga e mobile (tanto che è soprannominata ‘coda di cavallo’), da cui nasce un tipo *farfăla. Dall’incrocio di *farfala e *papilla è nato allora farfalla”. Infine, non pare molto più probabile la proposta di M. Negri di una derivazione dall’arabo. Sia quello che sia “una farfalla è una farfalla è una farfalla è una farfalla”, proprio come la “rosa” di Gertrude Stein. Così si esprime Herman Hesse in “Farfalle”, un libro tanto gentile quanto prezioso:
“Bisogna essere ciechi o estremamente aridi se alla vista delle farfalle non si prova una gioia, un frammento di fanciullesco incanto, un brivido dello stupore goethiano. E certo ve ne sono buoni motivi. La farfalla, infatti, è un qualcosa di particolare, non è un animale come gli altri, in fondo non è propriamente un animale ma solamente l’ultima, piú elevata, piú festosa e insieme vitalmente importante essenza di un animale. È la forma festosa, nuziale, insieme creativa e caduca di quell’animale che prima era giacente crisalide e, ancor prima che crisalide, affamato bruco. La farfalla non vive per cibarsi e invecchiare, vive solamente per amare e concepire, e per questo è avvolta in un abito mirabile, con ali che sono molte volte piú grandi del suo corpo ed esprimono, nel taglio come nei colori, nelle scaglie e nella peluria, in un linguaggio estremamente vario e raffinato, il mistero del suo esistere, solo per vivere piú intensamente, per attirare con piú magia e seduzione l’altro sesso, per incamminarsi piú splendente verso la festa della procreazione. Tale significato della farfalla e della sua magnificenza è stato avvertito in tutti i tempi e da tutti i popoli, è una rivelazione semplice ed evidente. E ancora piú è divenuta, da festoso amante e splendente metamorfo, un emblema sia dell’effimero come di ciò che dura in eterno, e già in tempi antichi fu per l’uomo paragone e simbolo dell’anima.”
Un giorno, oltre un paio di millenni fa, il filosofo cinese Chuang-tzu si vide, in sogno, come una farfalla. Era una farfalla che volteggiava liberamente, e si divertiva molto. Non sapeva di essere Chuang-tzu. All’improvviso cominciò a percepire altre sensazioni, e si sentì di nuovo Chuang-tzu. Tuttavia, non sapeva se era Chuang-tzu che si era visto in sogno come una farfalla, o se era la farfalla che si era vista come Chuang-tzu. Ecco il testo della poesia in lingua inglese che scrisse un famoso poeta sull’episodio. Fa seguito la versione in italiano:
Chuang Tzu And The Butterfly
Chuang Tzu in dream became a butterfly,
And the butterfly became Chuang Tzu at waking.
Which was the real — the butterfly or the man ?
Who can tell the end of the endless changes of things?
The water that flows into the depth of the distant sea
Returns anon to the shallows of a transparent stream.
The man, raising melons outside the green gate of the city,
Was once the Prince of the East Hill.
So must rank and riches vanish.
You know it, still you toil and toil, what for?
— —
Chuang Tzu e la Farfalla
Chuang Tzu in sogno divenne una farfalla,
E la farfalla divenne Chuang Tzu al risveglio.
Chi era vero? la farfalla o l’uomo?
Chi può dire la fine dell’interminabile mutamento delle cose?
L’acqua che scorre nel profondo del lontano mare
Ritorna diversa sulla superficie trasparente del ruscello.
L’uomo che vende i meloni fuori al cancello verde della città,
Era un tempo il principe della collina d’oriente.
Così finiscono ricchezze e status.
Tutti lo sappiamo e tu che leggi continui a faticare, a che scopo?
La scelta poetica della farfalla nella poesia di Li Po non è casuale. Infiniti infatti sono i simboli attribuibili ad essa: le anime dei defunti antenati che vagano in libertà. La crisalide è l’anima chiusa nel corpo e quando diventa adulta è simbolo di libertà dell’anima sulla morte. Il passaggio da crisalide a farfalla simboleggia la trasformazione.
Il mutamento del baco in crisalide e poi farfalla è la maggiore trasformazione che possa avere luogo nel mondo animale. Non solo trasformazione fisica ma anche di personalità e di pensiero. Gli antichi Greci identificavano il continuo svolazzare di fiore in fiore da parte di queste farfalle alle inarrestabili mutazioni e continui turbamenti della mente umana. Non a caso la parola greca per farfalla è “psiche” da cui discende la parola “psicologia”.

January 21, 2022
Lord Byron, lucido e moderno premonitore della fine del mondo

In questi giorni ricorre l’anniversario della nascita del poeta inglese Lord Byron nato il 22 gennaio del 1788 a Londra come George Gordon.
Un soggetto impulsivo, estroverso, facile agli eccessi di vario tipo, un carattere, come si suol dire, “bipolare”. Ebbe un rapporto incestuoso con la sua sorellastra Augusta, forse padre di uno dei suoi bambini.
Un temperamento carismatico, spiritoso, arguto, atletico. Una delle sue amanti lo definì “matto, cattivo e pericoloso”. Si sposò una sola volta con Anne Isabella Milbank nel 1814 nella speranza che la vita domestica avrebbe concorso a mitigare il suo temperamente tempestoso.
Ma il matrimonio fu un errore sin dal principio. La moglie non aveva il senso dell’umorismo ed era piuttosto rigida. Insomma un fallimento.
Ebbero una figlia di nome Ada. Nel 1815 si separarono e Byron lasciò l’Inghilterra decidendo di vivere all’estero. Non fece mai ritorno in patria.
Nonostante la sua vita irrequieta, e spesso violenta, trovò il tempo di scrivere una grande produzione poetica, una delle più grandi del mondo di lingua inglese. Diventò subito una stella del suo tempo.
Basti pensare che il suo poema “Il Corsaro” (1814), nel giorno in cui venne pubblicato, vendette 10.000 copie. Tenete presente che siamo agli inizi dell’ottocento.
Una mattina di aprile del 1824 esce a cavallo, a torso nudo, a fianco del giovane attendente di cui è innamorato, dà ordini, urla, come se conducesse una battaglia.
In preda alle convulsioni, quella stessa notte, è sottoposto a salassi multipli, ma ancora non si arrende: «Non estrarrai la mia vita, dottore!» è l’ultimo epico grido.
Poche ore dopo è in coma. Il giovane di cui è innamorato gli resta accanto, atterrito, quasi fino alla fine e poi scappa con la cassa, abbandonando il poeta.
Byron incarna nella vita reale l’eroe romantico dei suoi scritti perdendo il confine tra realtà e letteratura e finendo divorato dal suo personaggio.
Eccessivo e istrionico, ha dato spettacolo durante tutta la sua esistenza. A soli 36 anni ha calato il sipario sulla sua burrascosa esistenza.
Il testo poetico che vi presento è un estratto della poesia Darkness scritta nell’anno 1816. Un anno che venne definito “senza estate” a causa dell’eruzione del monte Tambora, nelle Indie Occidentali olandesi.
Si era diffusa una grande paura in tutto il mondo, ed in particolare in Europa: la fine del mondo sembrava imminente. Ci furono episodi di violenza, disordini, suicidi di massa e manifestazioni di isterismo collettivo.
Il movimento culturale in voga al momento, il Romanticismo, affermò la connessione tra la natura e Dio. Alcuni poeti romantici come S. T. Coleridge scrissero che la natura doveva essere trattata con gentilezza, non si doveva essere crudeli con lei altrimenti lei sarebbe stata crudele.
Nella poesia di Lord Byron si possono intravedere elementi di questo evento eruttivo: foreste in fiamme, genti e animali in fuga, morti di fame, scomparsa del sole oscurato dalla cenere del vulcano trasportata per km e km. La mancanza di una comunicazione di rete come quella di oggi concorse a diffondere l’idea di tristi ed imminenti funesti presagi.
Quando Byron scrisse la poesia era in Svizzera con i suoi amici poeti e scrittori famosi come P. B. Shelley, Mary Shelley, William Polidori ed altri. Gli eventi si susseguirono per tutto quell’anno e fanno da sfondo alla composizione quanto mai pessimistica nella sua visione dell’umanità.
La poesia possiede ancora oggi un indubbio valore profetico su quanto può accadere all’umanità se gli uomini continuano a comportarsi come continuano a fare nei confronti della natura. Guerre, inquinamento, contaminazioni, riscaldamento globale sono fenomeni all’ordine del giorno.Al tempo in cui Lord Byron scrisse la sua poesia la gente davvero credette che la fine del genere umano fosse arrivata.
Oggi, dopo due anni di pandemia, nessuno sa cosa sia, perchè sia accaduta, chi/cosa l’ha provocata e quando tutto finirà, gli uomini continuano a fare nei confronti di se stessi e dell’ambiente in cui vivono, cieca violenza. Brancoliamo nella più completa “darkness”, la “oscurità” del giovane poeta, così come la descrisse in questa sua drammatica poesia. Ci aspettiamo la fine da un momento all’altro, ma continuamo ad andare imperterriti verso l’oscurità. Trascrivo e traduco soltanto l’inizio della poesia, chi vuole può trovare il testo originale qui al link:
I had a dream, which was not all a dream:
The bright sun was extinguished, and the stars
Did wander darkling in the eternal space,
Rayless and pathless, and the icy Earth
Swung blind and blackening in the moonless air!
Morn came, and went, and came — and brought no day.
And men forgot their passions in the dread
Of this their desolation; and all hearts
Were chilled into a selfish prayer for light.
And they did live by watchfires — and the thrones,
The palaces of crownéd kings, the huts,
The habitations of all things which dwell,
Were burnt for beacons. Cities were consumed,
And men were gathered round their blazing homes
To look once more into each other’s face.
Happy were those which dwelt within the eye
Of the volcanos, and their mountain-torch!
A fearful hope was all the World contained -
Forests were set on fire, but hour by hour
They fell and faded, and the crackling trunks
Extinguished with a crash, and all was black …
— —
Ebbi un sogno che non era del tutto un sogno.[image error]
Il sole radioso si era spento, e le stelle
vagavano oscurandosi nello spazio eterno,
disperse e prive di raggi, e la terra coperta di ghiacci
in tenebre ruotava cieca nell’aria senza luce;
il mattino venne e svanì, ritornò senza portare il giorno,
e nel terrore di questa desolazione gli uomini obliarono
le loro passioni; e ogni cuore
gelò in un’egoistica preghiera di luce:
e vissero presso fuochi di campo e i troni,
i palazzi di re incoronati; i tuguri,
le abitazioni di tutti gli abitanti
furono arsi come segnali di fuoco; si consumarono
le città e gli uomini si radunarono attorno alle loro case ardenti
per guardarsi ancora una volta in volto;
felici coloro che dimoravano nello sguardo
dei vulcani, e nei pressi della loro torcia montana:
il mondo conteneva una sola timorosa speranza;
le foreste furono incendiate, ma in poche ore
crollarono distrutte, e i crepitanti tronchi
si spegnevano in uno scroscio — e tutto tornava oscuro…
January 20, 2022
Ricordando il “grande fratello”…

Ricordando il giorno della morte di George Orwell, il 21 gennaio 1950, non possiamo fare a meno di ammirare il suo contributo non solo come scrittore di grande talento artistico, ma come onesto cittadino del mondo che scrisse al popolo e per il persone, e si oppose all’Uomo! Era un uomo dalle molte identità. Il suo nome era Eric Arthur Blair. Era un cittadino britannico nato in India. Conosceva una vera capra chiamata Muriel, un personaggio della sua Fattoria degli animali. Aveva insegnanti molto intelligenti: Aldous Huxley era uno di loro. Era un uomo di molte parole. Era un giornalista e uno scrittore. È morto per una malattia mortale. Non solo George Orwell era uno scrittore appassionato e di talento, ma era anche una persona che credeva e difendeva la giustizia ovunque. Era anche un uomo molto interessante con una vita particolare. Il suo pensiero e i suoi libri continueranno ad influenzare e ad avere un impatto sul mondo per molto, molto tempo.
“Perché Orwell ha criticato il comunismo in modo molto più energico del fascismo? Perché l’aveva visto da vicino, e perché il suo fascino era più infido. Entrambe le ideologie raggiunsero la stessa destinazione totalitaria, ma il comunismo iniziò con obiettivi più nobili e quindi richiedeva più bugie per sostenerlo. Divenne “una forma di socialismo che rende impossibile l’onestà mentale” e la sua letteratura “un meccanismo per spiegare gli errori”.
― Dorian Lynskey, Il ministero della verità: la biografia di George Orwell del 1984
Non ce ne rendiamo conto. Abbiamo ormai tutti un “fratello” che sa tutto di noi. Nel suo famoso romanzo “1984” lo scrittore inglese George Orwell inventò un “Grande Fratello” che governava Oceania, assetato di potere, senza alcun interesse per il bene comune.
Quando Orwell si inventò quella storia negli anni quaranta del secolo e del millennio scorsi non era nemmeno pensabile che si potesse governare e dominare un popolo sottoponendolo ad un controllo continuo e spietato con mezzi straordinari come quello che avrebbe usato lui.
Tutto era, infatti, sotto il suo controllo tramite teleschermi dai quali una voce ricordava continuamente che il “grande fratello” sorvegliava. Oggi noi siamo sappiamo bene che la cosa è non solo possibile, ma ci scherziamo anche sopra con un famoso show televisivo.
Si pensava che quello che aveva immaginato lo scrittore inglese non sarebbe mai potuto accadere, invece è sotto gli occhi di tutti. Anzi, no. Sotto gli occhi del grande fratello chiamato Google.
A distanza di 70 anni questo fratello ce lo portiamo addirittura in tasca, lo maneggiamo ogni momento, per ogni occasione e in tutte le stagioni della vita. Lui dice anche dove siamo e cosa facciamo. Non ha sete di potere, non è cattivo e tirannico, oppressivo. Almeno così sembra.
Solo in apparenza è diverso da quello immaginato da Orwell, ma in sostanza le cose sono al peggio, è cambiata soltanto la forma. Lo strumento è diventato più sofisticato ed autocraticamente adattato alla realtà di oggi. Non è tanto lui che ci opprime, siamo noi che facciamo di tutto per farci opprimere.
Sembra un paradosso, ma è così. Google non è soltanto un motore di ricerca, capace di trovare l’impossibile. E’ anche e soprattutto una realtà algoritmica mirata a fare informazione che si nutre di notizie raccolte sul nostro conto, senza alcuna soluzione di sosta. Al computer, ipad o cellulare, il WiFi ci lega a lui indissolubilmente.
Ingoia dati, li classifica e li usa, rivendendoli e facendo grande, grandissima cassa. Soltanto nel 2015 il fatturato del grande fratello chiamato Google è stato di oltre 75 miliardi di dollari, dei quali il 77% ricavato da pubblicità. Tutto questo, sulle nostre spalle, se non lo sapete.
Qualche settimana fa, in un negozio di Bologna, per un acquisto, fu chiesta a mia moglie la tessera sanitaria. Lei non l’aveva con sè e non sapevamo come fare. La commessa subito ci tranquillizzò dicendo che avrebbe provveduto lei con una domanda al “grande fratello” Google.
Nome, cognome, luogo e data di nascita e la risposta venne immediata. Sapeva più lui di mia moglie che lei di sè stessa. Un esempio forse banale, ma reale per capire quanto diciamo al nostro grande fratello senza che lui ce lo chieda nemmeno.
Basta pensare a tutto quello che facciamo quando siamo collegati alla Rete. Le mail, i video, il carico e scarico, le visite, le ricerche, insomma tutto quanto viene chiamato “navigazione”, il tutto trasformato in dati che continuamente aggiorniamo in maniera volontaria, liberamente e anche inconsapevolmente. Per sempre, anche quando ci trasferiremo altrove, lasciando questo pianeta.
Non si illuda chi pensa che non avendo il cellulare, il pc, il tablet o quant’altro fa digitale sia salvo. Tutti hanno per legge il CF, l’algoritmo chiamato “codice fiscale”. Una ricerca, quando saremo “altrove”, basterà per farci sapere che ci siamo trasferiti da quelle parti dove abita il “Grande Fratello”, il quale speriamo ci guiderà dal Padre.
Postato 30th November 2017 da galloway sul blog
[image error]Messaggio nella bottiglia del tempo

La Quaresima ricorda i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico. Il carnevale prelude alla Quaresima e si comincia a pensare alla maschera da indossare per l’occasione. Anche quest’anno non avremo problemi. La maschera continuamo infatti ad indossarla ormai da due anni. E allora, mi viene spontaneo pensare che la Vita è un’eterna Quaresima. Ci sono innumerevoli tipi di mascherine in giro per il mondo a causa della pandemia. Ci sono sempre state, a dire il vero. Ma, adesso, le “cose” sono diventate davvero buffe. Se non ci fossero milioni di morti, sarebbe solo da divertirci.
In questo messaggio nella bottiglia del tempo ci sono tante mascherine. Quelle semplici fatte in casa, quelle di servizio, quelle sociali, quelle pseudo sanitarie, quelle cliniche abusive, quelle chirurgiche autorizzate, quelle cinesi, quelle italiane, quelle personalizzate per colore, taglio e stile con le quali le persone comunicano agli altri che essi sono personaggi politici, culturali, religiosi, sociali.
Sono mascherine selettive, di classe, identificabili per gruppi, bande o clan. Anche in campo religioso, purtroppo se ne vedono molte in giro. Se ne sono sempre viste, a dire il vero, e non solo per chi è addetto ai lavori, ma soprattutto per chi si dice “cristiano” e sente la necessità, nell’avvicinarsi del tempo di Quaresima, di assumere una “faccia” adatta a questo tempo.
Guarda caso, la usano a seconda delle situazioni o convenienze, non si sa bene se piangere o ridere. Ma la Quaresima, quella Cristiana, è bene ricordarlo, è ben altra cosa.
Il Signore ci invita proprio in questo periodo a toglierci la maschera che da sempre copre le nostre meschinità.
Egli vuole che noi indossiamo, mostriamo, sveliamo a noi stessi ed agli altri un viso, un volto, un’immagine che sia quella di un comportamento nuovo, insieme ad un pensiero rivolto verso un divenire fatto di Grazia.
Non tutti si rendono conto che per ottenere una cosa del genere abbiamo bisogno di fare un lungo percorso. Non lo si copre in un momento, un giorno, una settimana.
Quaresima sta appunto a significare quaranta giorni, che poi non bastano nemmeno quaranta, anno dopo anno, un cammino verso quella meta che si chiama Eternità.
Soltanto alla fine del viaggio terreno potremo conoscere quale sarà il nostro vero volto, quando vedremo quello di Cristo, il suo Volto. Allora ci confronteremo con Lui senza alcuna maschera.[image error]
Oggi nacque il “sogno”…

Come non ricordare Federico Fellini?
Edipo in Romagna. Il 20 gennaio 1920 nasceva a Rimini Federico Fellini, il più talentuoso, immaginifico, visionario, onirico dei registi italiani. La sua vena creativa ha rivoluzionato i canoni estetici del cinema. Personaggi e scene dei suoi film sono diventati icone della memoria collettiva: Gelsomina e Zampanò stralunati artisti di strada nell’Italia del dopoguerra, il bagno nella Fontana di Trevi di Anita Ekberg, il carosello circense che conclude 8½, il transatlantico Rex che emerge dalla nebbia come una apparizione e lo zio Teo sull’albero che grida «Voglio una donna», in Amarcord. Non solo regista, ma anche sceneggiatore, disegnatore e fumettista, Fellini amava la magia, frequentava sensitivi e veggenti, sopra tutti Gustavo Rol, di cui seguì il consiglio di non girare “Il viaggio di G. Mastorna” perché avrebbe coinciso con la sua morte, rendendolo «il film non realizzato più famoso del mondo». Fellini era fortemente attratto dalle donne, le pensava in continuazione, amava essere da loro corteggiato. Inevitabile quindi che anche i suoi film siano popolati da donne, di solito provocanti nei confronti del maschio, Marcello Mastroianni, il suo alter ego cinematografico. Fellini le immagina morbide, calde, abbondanti e avvolgenti come un caldo abbraccio materno. Esse occupano tutte le sue fantasie risvegliando in lui le pulsioni del complesso edipico, alimentano la sua vita onirica priva di censure, la quale fornisce la sostanza dei suoi film. Una sorta di fissazione patologica per il mondo femminile, la sua, magistralmente esposta ne “La città delle donne”.
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On January 20, 1920 Federico Fellini was born in Rimini, the most talented, imaginative, visionary, dreamlike of Italian directors. Oedipus in Romagna. His creative vein has revolutionized the aesthetic canons of cinema. Characters and scenes from his films have become icons of collective memory: Gelsomina and Zampanò dazed street artists in post-war Italy, Anita Ekberg’s bath in the Trevi Fountain, the circus carousel that concludes 8½, the Rex ocean liner emerging from the fog like an apparition and Uncle Teo on the tree shouting “I want a woman”, in Amarcord. Not only director, but also screenwriter, draftsman and cartoonist, Fellini loved magic, he frequented psychics and visionaries, above all Gustavo Rol, whose advice he followed not to shoot “The journey of G. Mastorna” because it would coincide with his death, making him «The most famous unrealized film in the world». Fellini was strongly attracted to women, he thought of them all the time, he loved being courted by them. It is therefore inevitable that his films are also populated by women, usually provocative towards the male, Marcello Mastroianni, his cinematic alter ego. Fellini imagines them as soft, warm, abundant and enveloping like a warm maternal embrace. They occupy all of his fantasies, awakening the drives of the Oedipus complex in him, feeding his uncensored dream life, which provides the substance of his films. A sort of pathological fixation for the female world, his own world, masterfully exposed in “The city of women.”
[image error]January 19, 2022
L’insostenibile leggerezza della realtà …

Uno scatto, una epifania, un riflesso, un tramonto, un momento, un salotto, un interno, un esterno. Può essere tutto. Anche un esercizio di scrittura creativa. Quello che faccio. Stavo per tirare la tenda, dopo di aver chiuso la finestra ed avere osservato dal balcone i colori della valle, con lo spettacolare tramonto, non appena calato il sole dietro la linea dell’orizzonte. Era scomparsa la sagoma del monte Solaro di Capri e la guglia del campanile della chiesa di Pompei, sulla Valle dei Sarrasti, un magico tramonto in rosso. La lampada a braccio del salotto sembrava riflettere una luna di pensieri impossibili, in un cielo visitato da resti di nuvole sparse. Quella luce dalla finestra del palazzo accanto segnalava l’arrivo della sera. Ho preso il cellulare e ho colto l’attimo. Ho fermato la realtà nella sua insostenibile leggerezza.
Ma che cos’è la realtà? La risposta presuppone la conoscenza dei “luoghi”, reali e virtuali, nei quali ogni giorno viviamo e che crediamo di conoscere abbastanza. Purtroppo, ahimè, alla fine, ci accorgiamo che quella che viviamo o abbiamo vissuto, non è quella realtà che pensiamo o abbiamo pensato. Infatti, nessuno è venuto a dirci, almeno finora, cosa c’è “oltre”. Il “dopo”, per intenderci. Per non parlare poi del “prima”.

Se le cose stanno così, parlare di “realtà virtuale” potrebbe sembrare una provocazione, un non senso. Invece, la RV sembra essere diventata un argomento utile per leggere il futuro. Questo libro, uscito da poco, cerca di dare delle risposte a questo interrogativo. Nei ventuno capitoli con le tre appendici si possono leggere una cinquantina di definizioni di cosa l’autore intende con RV.
Se fate una ricerca in rete scoprirete che Google vi proporrà milioni di risposte. Eccone alcune: “una tecnologia mediatica per la quale misurare è più importante che apparire”. Oppure “quella tecnologia che evidenzia l’esperienza”, o ancora “un simulatore che addestra a fare guerra informativa”. Tutto e di più, come si può immaginare, specialmente in questo momento in cui i media sono sempre in primo piano a far rumore. Come è logico che facciano: è il loro mestiere.
L’autore di questo libro, di cui ho letto diversi estratti e recensioni, è uno che nella Silicon Valley sin dal 1984 si è occupato di realtà virtuale con quelle famose cuffie. Ora lavora alla Microsoft. Ha scritto diversi libri i cui titoli “Tu non sei un aggeggio” (2010) e “Chi è il padrone del futuro?” segnalano il suo pensiero nei confronti del potere monopolistico delle grandi multinazionali, i colossi della “high tech”.
Un libro importante non solo e non tanto per quanto riguarda la RV, quanto per comprendere dove siamo arrivati, la strada che abbiamo percorso finora per arrivarci e dove siamo diretti. Egli scrive che un tempo, solo una ventina di anni fa, nella Silicon Valley si pensava che il mondo potesse essere “migliorato”, creando un tipo di potere che sarebbe stato più importante del denaro. Per fare questo era necessario che il “software” fosse libero, come l’aria o il sesso.
A distanza di una ventina di anni, i colossi della tecnologia sono soltanto tre, il web è meno caotico di quando nacque, è più strutturato, ma i risultati non sono quelli sperati. L’ossessione del “libero e gratis” ha quasi distrutto il mercato musicale, le grandi aziende tech globali resistono a qualsiasi tipo di condizionamento locale, senza essere responsabili di quello che fanno con le loro potenti piattaforme. Si preoccupano più per il tempo che i loro visitatori/clienti trascorrono su di esse, piuttosto che della qualità dei prodotti che offrono ed essi consumano.
Faron Lenier sembra piuttosto fiducioso non tanto negli algoritmi, quanto sul fattore umano che deve essere il centro di Internet. Cosa significa allora, in una realtà come questa, la “realtà virtuale”? Va detto subito che questa non potrà mai avere lo stesso successo dei cellulari, ma avrà la sua influenza. Si svilupperanno ambienti generati al computer in maniera da riproporre la realtà per fini specifici quali ad esempio, la medicina, la formazione, i servizi sociali.
Bisogna però fare attenzione a non manipolare i suoi utenti. Bisognerà stare attenti a “non ingabbiare i naviganti all’interno di un annuncio pubblicitario”. E’ chiaro, comunque, sin da ora, che la RV si diffonderà dopo che ci saremo sempre di più abituati ad usare al meglio, (e non al peggio!), tutto l’armamentario dei nuovi media, e sapremo come non farci manipolare.
Potremo così, almeno dare una migliore definizione della stessa RV: “Un’anticipazione di quello che sarà la realtà quando la tecnologia migliorerà”. Ed è un fatto certo, la tecnologia migliora di giorno in giorno sia che essa dipenda dai tecnici che la usano che dalla capacità della società umana a farne quello che vorrà.
La fotografia dalla quale sono partito scrivendo questo post mi pare descriva proprio questo: la “insostenibile leggerezza” con la quale viviamo la nostra realtà quotidiana. Non riusciamo a capire completamente cosa siano le cose che ci circondano nella loro essenza: la natura, il cielo, il sole, gli alberi, il vento, i colori, il tramonto. Ci illudiamo di comprendere e possedere quelle che creiamo: il salotto, la lampada, la finestra, il vetro, il palazzo, il parco. Quando si sovrappongono, sembra che si confondano, certamente ci confondono. Ma rimane soltanto una insostenibile, che sta per pesante ed insopportabile, leggerezza. Questa non fa altro che confermare tutta la nostra non-conoscenza.[image error]
January 17, 2022
Un libro indimenticabile

Il 16 gennaio 1605 viene pubblicata in Spagna la prima parte del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes come “El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha (“L’ingegnoso nobile Sir Chisciotte della Mancha”).
Nella Prefazione a Don Chisciotte Cervantes dice che l’idea del libro gli è venuta mentre era in carcere. La sua intenzione era quella di raccontare una storia sulla vita reale nella Spagna rurale e di usare la voce autentica dello spagnolo di tutti i giorni, invece della solita dizione letteraria educata, come modo per fare satira sui romanzi cavallereschi di alto livello.
La pubblicazione divenne immediatamente popolare e generò numerosi imitatori che hanno scritto altri libri utilizzando la storia e i personaggi di Cervantes. Per contrastare ciò, lo stesso Cervantes pubblicò una seconda parte nel 1615.
Il libro ovviamente ci ha dato la parola “chisciottesco”, che significa una ricerca o un’avventura ben intenzionata ma sconsiderata destinata a un fallimento quasi certo (“contro i mulini a vento”). Le battaglie illusorie e deliranti di Don Chisciotte (al fianco del suo fedele compagno Sancho Panza) e le crudeli sconfitte che subisce lo hanno reso un personaggio estremamente popolare fino ad oggi.
La sua storia è stata mantenuta viva nel corso degli anni in balletti, opere, opere teatrali musical.
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Sfaccendato lettore, potrai credermi senza che te ne faccia giuramento, ch’io vorrei che questo mio libro, come figlio del mio intelletto, fosse il più bello, il più galante ed il più ragionevole che si potesse mai immaginare; ma non mi fu dato alterare l’ordine della natura secondo la quale ogni cosa produce cose simili a sé. Che poteva mai generare lo sterile e incolto mio ingegno, se non se la storia d’un figlio secco, grossolano, fantastico e pieno di pensieri varii fra loro, né da verun altro immaginati finora? E ben ciò si conviene a colui che fu generato in una carcere, ove ogni disagio domina, ed ove ha propria sede ogni sorta di malinconioso rumore. Il riposo, un luogo delizioso, l’amenità delle campagne, la serenità dei cieli, il mormorar delle fonti, la tranquillità dello spirito, sono cose efficacissime a render feconde le più sterili Muse, affinché diano alla luce parti che riempiano il mondo di maraviglia e di gioia. Avviene talvolta che un padre abbia un figliuolo deforme e senza veruna grazia, e l’amore gli mette agli occhi una benda, sicché non ne vede i difetti, anzi li ha per frutti di buon criterio e per vezzi, e ne parla cogli amici: come di acutezze e graziosità. Io però, benché sembri esser padre, sono padrino di don Chisciotte, né vo’ seguir la corrente, né porgerti suppliche quasi colle lagrime agli occhi, come fan gli altri, o lettor carissimo, affinché tu perdoni e dissimuli le mancanze che scorgerai in questo mio figlio. E ciò tanto maggiormente perché non gli appartieni come parente od amico, ed hai un’anima tua nel corpo tuo, ed il tuo libero arbitrio come ogni altro, e te ne stai in casa tua, della quale sei padrone come un principe de’ suoi tributi, e ti è noto che si dice comunemente: sotto il mio mantello io ammazzo il re. Tutto ciò ti disobbliga e ti scioglie da ogni umano ricordo, e potrai spiegar sulla mia storia il tuo sentimento senza riserva, e senza timore d’essere condannato per biasimarla, o d’averne guiderdone se la celebrerai.
Vorrei per altro, o lettor mio, offrirtela; pulita e ignuda, senza l’ornamento di un prologo, e spoglia dell’innumerabil caterva degli usitati sonetti, epigrammi, od elogi che sogliono essere posti in fronte ai libri; e ti so dire che sebbene siami costato qualche travaglio il comporla, nulla mi diede tanto fastidio quanto il fare questa prefazione che vai leggendo. Più volte diedi di piglio alla penna per iscriverla, e più volte mi cadde di mano per non sapere come darle principio. Standomi un giorno dubbioso con la carta davanti, la penna nell’orecchio, il gomito sul tavolino, e la mano alla guancia, pensando a quello che dovessi dire, ecco entrar d’improvviso un mio amico, uomo di garbo e di fino discernimento, il quale, vedendomi tutto assorto in pensieri, me ne domandò la cagione. Io non gliela tenni celata, ma gli dissi che stava studiando al prologo da mettere in fronte alla storia di don Chisciotte, e ci trovavo tanta difficoltà, che m’ero deliberato di non far prologo, e quindi anche di non far vedere la luce del giorno alle prodezze di sì nobile cavaliere.
Dal “Prologo”
[image error]Il “Caso” in Apologetica

Oltre 140 voci caratterizzano questo Dizionario di Apologetica. Voci antiche e moderne, tutte di grande interesse per il lettore di oggi pronto ad affrontare tematiche che restano di grande interesse. Un approccio ovviamente religioso, in senso cristiano, ma aperto a confronto e discussione. Una ricca bibliografia permette a chi legge di documentarsi per approfondimenti e conferme. Oggi ho letto la voce “caso” e intendo registrare il mio pensiero su questa “parola effetto” che io chiamo “random”.

Una volta scrissi un post intitolato “Conoscete l’effetto random?”. La parola è inglese, un termine usato in locuzioni del linguaggio scientifico e tecnico con il significato di casuale, aleatorio, privo di regolarità.
“Random walk” è una “passeggiata aleatoria”. In informatica R.A.M. “Random Access Memory”, “memoria ad accesso casuale”.
Nei calcolatori ci sono i numeri “random”, numeri casuali generati in sequenza da appositi algoritmi, utilizzati nei calcolatori per programmi di simulazione. Per estensione, in funzione casuale, casualmente, qua e là, senza un ordine preciso: due pensieri “random”, sulla situazione attuale; andare “random” per locali notturni. Questi miei pensieri, però, non sono affatto “casuali”. Hanno un senso, una provenienza, scaturiscono da un fatto accaduto, (questo sì!), in maniera davvero casuale. Nella immagine qui sopra appare la foto di un biglietto aereo intestato ad un signore greco di nome Mavropoulos Antonios. La (M) sta per “maschio” nel lessico della compagnia aerea.
La storia ha fatto il giro del mondo, in tutte le lingue, ma è nata, così come l’ha vissuta e scritta in prima persona, in lingua greca, il protagonista. Nell’incidente aereo avvenuto lungo la rotta tra Addis Abeba e Nairobi, con 149 passeggeri e otto membri dell’equipaggio a bordo, sul velivolo viaggiavano anche 8 italiani. Non ci sono stati superstiti. Anzi no, ce n’è uno solo, che “per fortuna” è rimasto a terra, non è partito. Ho scritto “per fortuna”, ma in questo contesto sta per “effetto random”.
Due minuti di ritardo, problemi con una sua valigia, quando il signore greco è arrivato al gate, era stato già chiuso e non ha potuto salire a bordo. Antonos, mentre stava a protestare, infuriato come era per non essere salito a bordo, penso non si sia subito calmato. Ma, dopo una decina di minuti, quando ha saputo che a sei minuti dal decollo, il 737 della compagnia aerea etiopica si era disintegrato al suolo, ha assaporato il piacere di sentire la terra sotto i piedi.
A dire il vero, lui dice di avere “sentito ballare il terreno sotto i piedi.”
Si sarebbe dovuto sedere al posto 2L, zona 1 Business, rimasto sicuramente vuoto, anche questa volta “per un caso”. Anzi, no, a causa della sua valigia. Tutto previsto dal suo algoritmo. Mi riferisco all’algoritmo che ha generato la vita di questo essere umano che risponde al nome di Antonios Navropoulos, di nazionalità greca. Tutti gli altri passeggeri erano di 35 nazionalità diverse. Guarda caso. Di caso in caso, è proprio il caso di dire. Scusate il bisticcio linguistico.
Quanto è precaria la nostra esistenza! Un “caso” anch’essa?
Forse le cose capitano, come capitano, a me, a te o a chiunque altro che si chiami Antonos, soltanto perchè è l’effetto “random” al quale noi umani siamo legati. Siamo, forse, soltanto un “algoritmo”, anche se “celeste”? Non è possibile dare una spiegazione o una ragione del “male” e del perchè lo stesso capita a me o a te che mi leggi. Tutto sta scritto nel disegno, divino o laico, dell’aldilà. Resta, comunque, da dare ragione della volontà di chi si trova ad affrontare la sfida e sa vincerla alla meglio.
January 15, 2022
Nessun uomo legge mai lo stesso libro due volte

Pensa a un libro che hai letto che ti ha cambiato la vita. Ora pensa a tutte le cose che sono cambiate da quella lettura. Nel mondo. In te. Forse anche nella tua comprensione della scienza o della storia o della biografia della persona che l’ha scritta.
Tutto questo è il motivo per cui devi andare a prendere quel libro, in effetti tutti quei libri che ti hanno influenzato, e leggerli di nuovo. «I libri sono rimasti gli stessi», disse una volta Italo Calvino, «ma di certo siamo cambiati noi e quindi, questo incontro successivo è del tutto nuovo». Oppure, come disse quel poeta prediletto di Marco Aurelio, Eraclito, “nessuno cammina mai due volte nello stesso fiume, perché non è lo stesso fiume e non è lo stesso uomo”.
Man mano che cambiamo, i nostri contesti cambiano, cambia anche ciò che scopriamo e otteniamo dalla lettura di un libro. Per questo Marco leggeva Epitteto quando era in linea per il trono e quando era imperatore. Il libro che leggeva a 25 anni era sempre con lui e ogni volta che lo leggeva era diverso.
Questo è il motivo per il quale, quando io stavo leggendo Epitteto per la prima volta, attraversando la Manica su quel battello diretto a Dover e poi London/Victoria oltre mezzo secolo fa, e quando lo rileggo oggi, mi accorgo che davvero quell’acqua non è mai la stessa. Dobbiamo tornare ancora e poi ancora ai nostri libri e scrittori preferiti, per scoprire che non solo i libri non sono gli stessi, ma anche noi che li leggiamo. Ri-leggere non è come leggere.
Con così tanti libri che escono ogni anno, e così tanti libri meravigliosi scritti negli ultimi 3000 anni circa che non ho ancora letto, perché dovrei leggere di nuovo un libro? Facile, se ami leggere. I libri sono come le persone. Alcuni li incontri una volta e basta. Alcuni vuoi conoscerli meglio e ogni volta che sei con loro ne scopri di più.
Alcuni sono vecchi amici che non vedi da anni ma incontrarli di nuovo è una gioia. Molti dei miei libri sono vecchi amici, voci familiari e confortanti in tempi di stress e, ancor di più, promemoria stimolanti di quanto sia possibile capire e rappresentare molto bene il nostro mondo spesso sconcertante.
La rilettura arricchisce. Non riesco ancora a godermi un’opera di Shakespeare senza leggerla due volte di seguito per far emergere chiaramente i suoi schemi e le sue idee. Non tutte le letture richiedono lo stesso tipo di ri-lettura. Ci sono compensi speciali e diversi per aver riletto un libro da molto tempo.
Scopri così tanto che hai dimenticato, e così tanto che prima non eri stato in grado di vedere, tante cose che non eri abbastanza maturo per riconoscere e valorizzare. Come disse una volta Goethe, “il diavolo è vecchio, invecchia tu stesso per capirlo”. Lo stesso vale per i libri. La rilettura scopre non solo cose nuove su ciò che hai letto prima, ma anche cose nuove su te stesso.
La rilettura è centrale per la coerenza di una cultura. Le società hanno un corpo di testi, non sempre scritti, in comune. Le religioni hanno testi che vengono regolarmente riletti ritualmente e talvolta anche memorizzati, come la Bibbia o il Corano. Le comunità nazionali hanno i loro testi: nelle scuole pubbliche di molti paesi si leggono testi letterari nazionali, come ad esempio, in alcume scuole degli USA si leggono frammenti della Dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione.
Altri paesi hanno testi letterari che vengono riletti o rievocati regolarmente; non averli letti a scuola è (o era) in qualche modo scandaloso: “Faust” in Germania, “La Divina Commedia” in Italia, o, nel mondo anglofono, Shakespeare, che è stato anche dichiarato poeta nazionale da una varietà di culture.
Molte di queste opere rivendicano lo status internazionale di quelli che sono detti “grandi libri”. Rileggerli, e persino memorizzarne parti, significa dichiarare l’appartenenza a un mondo più ricco della propria comunità fisica. Naturalmente, non tutti i libri meritano una rilettura, ma tutti stimolano, hanno la forza e le qualità di sollecitare i ricordi.
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