Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 82
February 6, 2022
Perchè scrivo online …

Alla domanda di un editor di MEDIUM “why do you write online?” ho risposto in questo modo:
Domanda giusta per un figlio di una famiglia di tipografi tradizionali post-Gutenberg. Mio Padre mi ha insegnato a leggere e scrivere prendendo le lettere di piombo da quelle scatole, da quei piccoli spazi quadrati, disposti in ordine alfabetico, da sinistra a destra, nelle loro varie dimensioni, tonde o corsive, maiuscole e minuscole, disposte sul compositore, misurate con il tipometro. Le parole si creavano, si organizzavano in frasi, generavano paragrafi e davano vita a “forme”, che diventavano pagine che diventavano libri. L’ultimo doveva contenere l’indice che portava il libro nelle mani del legatore che portava a termine l’opera. Mi sono accorto di aver scritto il mio libro, lo sto ancora scrivendo, spero di poter continuare a farlo non so ancora per quanto tempo. Il mio indice, quello della mia vita, con quei caratteri mobili, con le dita macchiate di inchiostro … Sono un dinosauro, ho appreso del Mondo Nuovo che stava arrivando, leggendo i libri di Aldous Huxley e George Orwell. “1984” è finito da tempo e sembra un’archeologia culturale. Credo che una buona informazione sopravviverà sia su carta che su digitale. MEDIUM è il futuro … e c’è molto altro ancora in arrivo …
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Proper question for a son of a family of traditional post-Gutenberg printers. My Father taught me to read and write by taking the lead letters from those boxes, from those small square spaces, arranged alphabetically, from left to right, in their various sizes, round or italic, uppercase and lowercase, arranged on the composer, measured with typometer. Words were created, organized into sentences, generated paragraphs and gave life to “forms”, which became pages that became books. The last was intended to contain the index that carried the book in the hands of the binder who completed the work. I realized that I have written my book, I am still writing it, I hope I can continue to do so I do not know yet for how long, my index, that of my life, with those movable type, with my fingers stained with ink …I am a dinosaur, I learned about the New World that was coming, reading the books of Aldous Huxley and George Orwell. “1984” is long gone, and it looks like cultural archeology. I believe that good information will survive both on paper and digital. MEDIUM is the future … and there is more coming …[image error]
February 5, 2022
Un “dinosauro digitale”
“Come catturare un uomo, come mantenere un uomo, come sbarazzarsi di un uomo”

Zsa Zsa Gabor nacque il 6 febbraio 1917. Aspirante sposa. C’era una passione che caratterizzò Zsa Zsa Gábor più di ogni altra cosa al mondo: i matrimoni. Per festeggiare e dimenticare, più o meno velocemente. Così sembra, dato che ci furono così tanti mariti per lei.
“Sono una splendida casalinga. Ogni volta che lascio un uomo, tengo la sua casa”, ebbe a dire la splendida attrice di origine ungherese, Sári Gábor, considerata la regina del gossip hollywoodiano. Tra i suoi uomini, l’imprenditore Conrad Hilton, fondatore dell’omonima catena alberghiera, dal quale l’attrice ebbe la sua unica figlia.
I suoi matrimoni finirono tutti con un divorzio, a parte l’ottavo con l’attore Felipe De Alba, sposato a bordo di una nave nell’aprile del 1982, matrimonio annullato il giorno successivo perché Zsa Zsa era ancora sposata con il marito numero sette, Michael O’Hara. Il loro amore finì lì. De Alba, spiegò poi la diva, era un playboy che ben presto la annoiò.
D’altra parte, il suo ultimo marito, Frédéric Prinz von Anhalt, un “principe” che aveva acquistato il titolo nobiliare per aprire le porte della ricchezza, le fu vicino fino alla fine. Abbastanza vicino da ingaggiare anche una dura battaglia legale con il figlia di un’attrice per la custodia della madre all’età di quasi 100 anni ed anche di tutti i suoi averi. Chiaro esempio di coazione a ripetere. I suoi mariti, però, sapevano sceglierli bene: le permettevano di vivere nel lusso e di collezionare case.[image error]
February 1, 2022
Ulisse è “palindromo” …

Il 2 febbraio di cento anni fa è una data più che palindroma 2–2–22, è il giorno del suo quarantesimo compleanno, giorno in cui James Joyce pubblicava l’Ulisse, enigmatico e monumentale capolavoro. Per complessità, innovazione e stratificazioni di significati, la sua tecnica subliminale, non ha eguali nella storia della letteratura. Nel 1922 lo pubblicò Sylvia Beach, la visionaria proprietaria della libreria parigina Shakespeare and Company. Questa libreria sta organizzando una lettura del testo completo inglese destinata a diventare un podcast. Cento anni e cento scrittori, artisti, musicisti tra i quali Margaret Atwood, Will Self, Jeannette Winterton, Ben Okri daranno voce al caos musicale di quella narrazione fluviale. Inizia il 2 febbraio, finisce il 16 giugno, nel Bloomsday, il giorno in cui Leopold Bloom vaga per Dublino, città la cui mappa coincide con la mappa della modernità.
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Per la prima volta l’Ulisse di James Joyce viene pubblicato in edizione bilingue: il testo originale (completo di varianti a stampa e manoscritte), la traduzione italiana, l’introduzione, i quattro saggi tematici (redatti da esperti di fama internazionale) e il rigoroso commento (più di 200 pagine in cui si spiegano allusioni e fonti) contribuiscono a rendere un unicum questo volume. Curata da un riconosciuto specialista, l’opera è dotata anche di un ricco corredo di apparati: gli schemi interpretativi redatti dallo stesso Joyce, le mappe della Dublino dei primi del Novecento in cui sono indicati i luoghi delle peregrinazioni in città, le corrispondenze omeriche e le biografie dei singoli personaggi si rivelano strumenti indispensabili per addentrarsi nel complesso labirinto del testo. Il libro, attraverso intricate architetture, descrive, nell’arco di quasi 24 ore (dalle 8 del mattino del 16 giugno 1904 alle prime ore del giorno seguente) i viaggi fisici e mentali di alcuni dublinesi, e in particolare dei coniugi Bloom (Leopold e Molly). I protagonisti vivono una giornata ordinaria che, nell’attenzione maniacale per il dettaglio, diviene rivelatrice. Li accompagna Stephen (giovane intellettuale, avatar e alias di Joyce stesso) che si perde tra pensieri oscuri, sonore ubriacature e vagabondaggi nel quartiere a luci rosse di Dublino. L’Ulisse segna l’inizio della letteratura contemporanea e un punto di non ritorno per la sperimentazione all’interno del genere romanzo. È un’opera nata, e in gran parte scritta, in Italia: la prima intuizione, concepita nel breve soggiorno romano tra il 1906 e il 1907, è stata ripresa e sviluppata a Trieste molti anni dopo, per trovare infine conclusione a Parigi. L’Ulisse, che nel febbraio del 2022 compie cent’anni, ha suscitato l’ammirazione di numerosi grandi scrittori, tra cui T. S. Eliot, Vladimir Nabokov, Jorge Louis Borges, Anthony Burgess e Umberto Eco.
2080 pagine, testo a fronte, peso del volume 1kg 420 gr.[image error]
Elogio di Vivian e della fotografia

Nasce l’ 1 febbraio 1926 (+21 aprile 2009) la famosa tata-fotografa per caso. Vivian Maier è uno dei massimi esponenti della street photography. Un’artista pura, straordinaria come la sua biografia, ancora oggi in gran parte sconosciuta.
Sappiamo che per mantenersi faceva la tata e nel tempo libero, con la sua Rolleiflex, rendeva immortale la quotidianità, gli sguardi degli emarginati e dei personaggi famosi. Una fotografa istintiva, autodidatta e dallo stile unico. Non ha mai pubblicato un suo scatto, ha raggiunto la popolarità solo dopo la sua morte. Curiosa la serie di coincidenze che l’hanno resa famosa a sua insaputa.
Tutto ha inizio nel 2007, quando un ragazzo, John Maloof, per alcune ricerche che stava facendo in un quartiere di Chicago, decide di acquistare un baule pieno di rullini fotografici sequestrati a una donna sepolta nei debiti a un’asta pubblica.
Una giornata memorabile per Maloof e per la storia della fotografia. Nelle sue mani c’erano centinaia di rullini non sviluppati, girati da un artista che sarebbe presto diventato uno dei punti di riferimento della fotografia di strada.
Ma chi era Vivian Maier? Maloof iniziò immediatamente la ricerca. Scoprì che Vivian, nata il 1 febbraio 1926 a New York, aveva quasi sempre vissuto a Chicago e si era mantenuta facendo da babysitter, scattando foto per hobby dopo la morte della madre. Immagini che ritraevano la strada e la gente del quartiere, e tanti autoritratti che mostravano la sua persona riflessa nelle vetrine dei negozi.
Seppe che la donna era ancora viva, era single e aveva 81 anni. Alla fine scoprì che Vivian non si era mai separata dal suo archivio fotografico, lo portava sempre con sé in ogni famiglia in cui andava a lavorare, anche quando doveva riempire duecento scatole di cartone.
E mentre Maloof la cercava per onorare e gloriarsi del suo lavoro, Vivian, ignara di tutto, lasciò il mondo: morì nel 2009 in seguito a un incidente sul ghiaccio, in cui cadde battendo la testa.
Una artista dalla vita enigmatica, forte e bizzarra allo stesso tempo, vestita con abiti lunghi, cappello e scarpe pesanti da uomo anche in piena estate. Una donna senza figli né amici che amava fare autoritratti in cui la sua immagine appare sempre come un’ombra o un riflesso. Forse un modo per cercare di comunicare con il mondo, per dire “io sono qui”. Virtù sconosciuta nella vita, poi diventata famosa a sua insaputa.
«Be’, suppongo che nulla sia destinato a durare per sempre. Dobbiamo fare spazio ad altre persone. È una ruota. Vai avanti, devi andare fino in fondo. E poi qualcuno ha la stessa opportunità di andare fino in fondo e così via”.
Vivian Maier
[image error]January 30, 2022
Venire al mondo, un esercizio di scrittura creativa …

“Nei certificati di nascita è scritto dove e quando un uomo viene al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo”. Questa frase di Anton Pavlovič Čechov ci dà il senso di quanto possa essere spaventoso e, allo stesso tempo, meraviglioso venire al mondo. Non sapere a quale scopo siamo prefissati ci fa paura, ma è anche un ventaglio di possibilità che possiamo mettere in atto con le nostre forze e la nostra volontà.
Chi sono. Me lo chiedo sempre. Risponde il mio io che mi dice tutto sta scritto nella tessera di identità che sono andato a rinnovare stamani. Sta per scadere quella cartacea, me la daranno elettronica. Vantaggi del progresso. Non esistono più quei registri di un tempo, con l’alfabeto ai margini. Lettera dopo lettera, l’impiegato del registro scorreva sul foglio il tuo cognome seguito dall’elenco di tutti i tuoi dati più importanti.
Oggi siamo trasformati in “bits & bytes”: codice fiscale, patente, carta di credito, chip sul passaporto, identità completa sul cervello aggiuntivo che è l’indispensabile cellulare. Se non ce l’hai, non puoi dire di esistere. Tutto è avvenuto in una manciata di pochi anni.
Questo testo lo sto scrivendo non a penna, non su di un foglio, non alla macchina da scrivere e nemmeno al PC. Lo sto scrivendo sul mio cellulare, usando il mio dito mignolo, pigiando docilmente sul display del mio cervello aggiuntivo, il mio samsung. Uso il mignolo per non sbagliare le battute, per i ridotti spazi sulla piccola tastiera.
Sono ovviamente collegato, o forse meglio dire “intrappolato” dalla Rete e mando questa mia memoria alla nuvola, il Cloud di Google che ci collega tutti con il tutto del mondo. La chiamano Internet, Rete, Web, non so bene cosa sia, nessuno lo sa, ma tutti ci sono e ci devono essere. Anche io con la mia identità di cui ho detto all’inizio. Ecco chi sono.
Oggi, ventunesimo secolo. Certamente non quello che ero o fui. Non sono mai stato lo stesso, ovviamente. Sono stato di continuo in divenire ed ero quello che non sapevo sarei diventato. Lo so soltanto oggi che non sono più quello che fui. Spazio e tempo mi hanno continuamente condizionato senza rendermene conto.
Dovrei essere in grado di sapere il motivo e lo scopo di quello che sono stato. Non credo sia possibile rispondere a questi interrogativi sopratutto perché mai nessuno mi pose la domanda o mi chiese il perché avrei dovuto affrontare una prova di questo genere. Fui costretto ad accettare senza scampo. Fu frutto del caso, lo chiamano amore, ma anche sopravvivenza o evoluzione. Il senso dovrei averlo acquisito col passare del tempo, ma mi resta sempre il dubbio.
Ecco la parola, il dubbio. Non l’essere o non essere. Quello era Amleto, ma era un inganno letterario scritto da chi di inganni del genere si è dimostrato essere un genio. Eppure, Shakespeare non sapeva nulla del DNA, ma conosceva bene se stesso, o meglio, la sua natura di essere umano. La sua arte seppe far nascere i suoi personaggi senza che fossero nati come persone.
Seppe, per questa ragione, dare loro un senso ed un significato. Vennero al mondo sapendo cosa rispondere della loro identità. Puoi dire la stessa cosa di te, caro lettore che leggi? E tu che scrivi questo post, mi puoi dare le tue ragioni e i motivi? Soltanto un ennesimo esercizio di scrittura creativa …
[image error]January 28, 2022
Scrivere l’indice della vita

Se ogni uomo è un libro e ogni libro è un uomo, allora vorrà dire che la vita degli esseri umani ha bisogno di un modo che la descriva alla meglio. L’uscita di questo libro, (un ennesimo libro sul libro), mi offre l’opportunità di “indicizzare” la mia vita. Dal latino “indicem”, l’indicare del dito che tende a mostrare diverse “cose” riferite al soggetto su cui facciamo cadere la nostra attenzione. I sinonimi e le situazioni per “indicizzare” possono essere tanti e diversi.
L’indice. Innumerevoli sono le espressioni connesse a questa parola. In maniera figurata si può puntare l’indice, fare atto d’accusa nei confronti di qualcuno, accusare. Può anche indicare, negli strumenti di misurazione, l’asticella mobile destinata a segnare su una scala graduata il valore della grandezza da misurare, oppure, in matematica, segnalare il rapporto, talora espresso percentualmente, fra i valori numerici di due grandezze: gli indici antropometrici, l’indice toracico, l’indice di rifrazione. In statistica, segnala l’espressione sintetica delle dimensioni di un dato fenomeno in rapporto a una quantità assunta come base, o la relazione intercorrente fra più fenomeni: indice dei prezzi, indice di natalità e di mortalità. Ancora in matematica una lettera, numero o altro segno grafico per distinguere un determinato ente. Per esempio, le vitamine B1, B2, B6, B12, se posto in basso deponente, se è posto in alto rispetto al simbolo, esponente, se è posto in basso rispetto al simbolo, pedice. In maniera ancora figurata indica il dato sintomatico che rivela l’esistenza di determinati aspetti e fenomeni e, infine, nei libri, l’elenco dei titoli delle varie parti dell’opera o dei titoli dei brani, con l’indicazione della pagina relativa: consultare l’indice.
Eccoci arrivati al cuore del problema. Io lo chiamo: l’indice della vita, quella di ognuno di noi, un indice fatto di parole e di numeri, messi insieme determinano e stabiliscono le coordinate della nostra esistenza nello spazio e nel tempo. Quando veniamo alla luce cominciamo a scrivere sulle pagine del libro della nostra vita. Giorno dopo giorno inseriamo i “contenuti”.
Nella realtà di lingua inglese, per i libri non si usa il termine “indice”, ma si parla di “table of contents”, l’elenco dei contenuti, i fatti, gli eventi, gli accadimenti che segnano il nostro percorso di vita. Tutto può essere riportato in parole e queste determinano un tipo di indice che possiede valori appprofonditi, tanto profondi che possono chiamare l’indice “ragionato”. Il canone di riferimento è identitario e riportabile ai famosi chi-cosa-quando-dove-perchè.
L’ordine più naturale è quello alfabetico, legato alla scelta di parole, tutte quelle parole di cui è fatta la vita di ogni essere umano. Perchè siamo soltanto noi uomini e donne a sentire ed avere la necessità di lasciare una traccia nel tempo e nello spazio della nostra comparsa in vita. Di qui la necessità di mettere ordine per ritrovarsi. Arrivati ad un certo punto, ad una certa età, è cosa naturale ed auspicabile che ognuno di noi stenda il suo indice di vita. Questo libro mi offre la possibilità di stendere il mio. Lo posso fare perchè ho l’età.

E’ quello che ha fatto Dennis Duncan, professore, accademico, bibliotecario e linguista inglese, scrivendo questo libro che ha sottotilolato:“Un’avventura libresca, dai manoscritti medioevali a quelli dell’età digitale”. Le immagini delle due edizioni italiana e inglese illustrano questo post.
La maggior parte della gente, quando ha tra le mani un libro, pensa poco alle ultime pagine ed anche alla possibile introduzione/presentazione. Io, figlio di tipografo, le cerco e le leggo prima di entrare nel libro, per me sono importanti. Specialmente l’indice, è il mondo segreto del libro e del suo autore, uno strumento quotidiano, non celebrato ma straordinario, con una storia illustre ma poco conosciuta, la chiave per capire l’opera.
Tracciando il suo curioso percorso dai monasteri e dalle università dell’Europa del tredicesimo secolo alla Silicon Valley nel ventunesimo secolo, Dennis Duncan rivela come l’indice abbia salvato gli eretici dal rogo, tenuto i politici dalle alte cariche e fatto di noi tutti i lettori che sono oggi.
Lo seguiamo attraverso tipografie tedesche e caffè illuministi, soggiorni di romanzieri e laboratori universitari, incontrando imperatori e papi, filosofi e primi ministri, poeti, bibliotecari e, ovviamente, indicizzatori lungo il percorso. Duncan rivela il vasto ruolo dell’indice nella nostra cultura letteraria e intellettuale in evoluzione e mostra che nell’era della ricerca siamo tutti rastrellatori di indici nel cuore.
Più di 2300 anni fa veniva edificata la biblioteca di Alessandria, pronta a raccogliere in un unico luogo migliaia di papiri. Questa concentrazione mai vista prima di opere pose dei problemi pratici: come orientarsi tra file e file di rotoli all’apparenza tutti uguali senza doverli srotolare uno per uno? Come dividerli tra gli scaffali, come raggrupparli?
Fu il poeta Callimaco a trovare una soluzione semplice ma geniale: catalogare alfabeticamente le casse contenenti i rotoli e stilare a parte un volume che raccogliesse l’elenco delle opere presenti nella biblioteca. Man mano che la produzione di testi scritti aumentava, il libro stesso iniziò a cambiare, per rispondere alla domanda che tormentava già Callimaco: com’è possibile trarre velocemente un’informazione in questa selva di pagine?
I libri iniziarono così a essere divisi in capitoli che scandivano i temi tenendo conto del tempo effettivo di una singola sessione di lettura, mentre la divisione dei paragrafi sorse insieme alle prime università, per fornire agli studenti una scansione visiva più rapida ed efficace. A partire dalle concordanze delle bibbie medievali, questo inesausto processo di affinamento tecnologico del libro si raddensò intorno a uno strumento oggi spesso sottovalutato, nascosto com’è nelle ultime pagine di ogni volume: l’indice analitico.
Pochi lo sanno, infatti, ma è per rendere efficienti gli indici che sono nati i moderni numeri di pagina. E questa centralità segreta dell’indice nell’ecosistema del sapere arriva fino a oggi: ogni volta che sfruttiamo la barra di ricerca di Google stiamo solo accedendo a una forma avanzatissima di indice analitico, non poi troppo diverso da quelli che con l’invenzione della stampa presero a corredare la moltitudine di copie che affollavano le biblioteche del mondo.
Dennis Duncan ci racconta l’avventurosa storia dell’indice analitico, di come abbia salvato eretici dai roghi, influenzato la politica e provocato risse tra scrittori. Scopriremo un regno di improbabile ossessione e piacere che accomunò nei secoli tipografi tedeschi e monaci medievali, Virginia Woolf e Vladimir Nabokov, filosofi illuministi e ingegneri informatici della Silicon Valley. Perché “Indice, Storia dell” è in fin dei conti la storia di come abbiamo imparato con fatica e ostinazione a rendere leggibile il grande e vitale caos di conoscenza che ogni giorno produciamo.
Questo e’ un libro che ho letto in versione Kindle e che ho trovato non solo importante, ma anche utile dal punto di vista strettamente personale. In qualità tanto di dinosauro, quanto anche come figlio di una famiglia di tipografi, mi sono sorpreso a ricordare, leggendolo, le casse dei caratteri mobili nella stanza della composizione della piccola tipografia paterna.
Ho imparato a leggere e scrivere prendendo le lettere di piombo da quelle casse, da quei piccoli spazi quadrati, sistemati in maniera alfabetica, da sinistra a destra, nelle loro varie dimensioni, tondo o corsivo, maiuscoli e minuscoli, disposti sul compositore, misurati col tipometro.
Si creavano le parole, si organizzavano in frasi, generavano paragrafi e davano vita alla “forme”, che diventavano pagine e poi quinterni, sedicesimi che diventavano libri. L’ultimo era destinato a contenere l’indice che portava il libro nelle mani del rilegatore che completava l’opera. Mi sono reso conto di avere scritto il mio libro, lo sto ancora scrivendo, spero di poter continuare a farlo non so ancora per quanto tempo, il mio indice, quello della mia vita, con quei caratteri mobili, con le dita sporche di inchiostro …[image error]
January 25, 2022
Il pettine dei calvi

“L’esperienza è un pettine che la natura dona ai calvi. La sapienza popolare ama spesso ricorrere alla spezia dell”ironia per colpire vizi e difetti: è il famoso principio latino del castigare ridendo mores, ossia del colpire i comportamenti non con la sferza dello sdegno altezzoso ma con la pacata forza d”una risata. Spesso, infatti, le miserie umane meritano, più del grido veemente, la critica quieta e l”umorismo. E” ciò che fa anche l”antica saggezza cinese con questo proverbio che ho trovato citato su una rivista francese, il pettine al calvo interessa ben poco ed è per lui di assoluta inutilità. Così purtroppo, annota il sapiente, accade a tanti con l”esperienza: è un pettine che non riesce mai ad essere usato perché siamo vuoti di consapevolezza, di rimorso, di correzione. Ricordo una definizione di esperienza che lessi tempo fa e che era attribuita all”autore francese del famoso romanzo Pel di carota, Jules Renard (1864–1910): «Un regalo utile che non serve a niente». Il paradosso è che questo dono non manca a nessuno perché vivere è obbligatorio e quindi è consequenziale fare esperienza. Ma pochi sono quelli che imparano la lezione della vita e, quindi, la maggioranza preferisce andare a sbattere di nuovo la testa, a scottarsi le dita, a rimanere scornato. Alla fine l”esperienza altro non è che il nome che assegnamo ai nostri errori, senza cavarne beneficio per il futuro. C”è, dunque, un”ostinazione che nasce dall”orgoglio e che ci fa credere che noi non cadremo mai più in uno sbaglio già fatto. E così ci avviamo sicuri e impavidi, senza prudenza e consiglio, verso il nuovo errore.”
(Gianfranco Ravasi) [image error]January 24, 2022
La giornata dell’Enantiodromia

Il 25 gennaio è per san Paolo la “giornata dell’enantiodromia”. Questa festa celebra la conversione di San Paolo (già Saulo) sulla via di Damasco. La storia della conversione di Saulo, uomo noto per la persecuzione dei cristiani, si trova nella Bibbia in Atti 9.
Si ritiene che la conversione di Paolo sulla via di Damasco sia avvenuta nel 36 d.C. Anglicani e cattolici romani celebrano l’evento come la Festa della Conversione di San Paolo il 25 gennaio di ogni anno.
Dal greco per “correre al contrario”, la parola descrive il curioso processo per cui una cosa diventa il suo opposto. In filosofia questo si applica al pensiero di Eraclito, che scriveva: “Le cose fredde scaldano, le cose calde si raffreddano, le cose bagnate si asciugano e le cose aride si bagnano”. In altre parole, un’idea o uno stato è sempre sostituito dal suo contrario.
L’enantiodromia si verifica anche quando le convinzioni sono invertite, quando una comunità adotta la visione opposta che aveva precedentemente o quando un individuo cambia idea su qualcosa. Carl Jung ha introdotto il termine nella psicoanalisi.[image error]
Il “mio” presidente …

Grazie a Carioti per questa “laica” risposta. Resto del parere che “one man, one vote” sia la scelta migliore. Ne faccio una questione di “common sense”. Nessun Presidente, come nessun Papa, viene eletto dallo Spirito Santo. Anche il Papa riceve i voti dai singoli cardinali …
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